30 Gennaio 2019

Mercoledì III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO


Oggi Gesù ci dice: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!» (Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Marco 4,1-20: La parabola del seminatore può essere divisa in due parti: nella prima parte vi è il racconto della semina del seme che cade ora lungo la strada, oppure sul terreno sassoso, o tra i rovi, e infine, altre parti cadono sul terreno buono; nella seconda parte v’è la spiegazione della parabola. Il seme è la Parola che ha una forza intrinseca (Is 55,10-11), ma la sua maturazione è determinata anche dal terreno e dalla azione degli eterni nemici della Parola. I diversi terreni sono gli uditori, la loro capacità e disponibilità nell’accogliere la Parola, mentre gli operatori che tendono a neutralizzare la Parola sono Satana, la tribolazione o la persecuzione a causa della Parola, le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, che soffocano la Parola. L’insegnamento della Parabola sta nell’invito a farsi terreno buono per portare frutto: ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre (Gc,1,17), ma “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te” (Sant’Agostino, Sermo CLXIX,13).

Il seminatore è Gesù - Papa Francesco (Angelus, 16 luglio 2017): Il seminatore è Gesù. Notiamo che, con questa immagine, Egli si presenta come uno che non si impone, ma si propone; non ci attira conquistandoci, ma donandosi: butta il seme. Egli sparge con pazienza e generosità la sua Parola, che non è una gabbia o una trappola, ma un seme che può portare frutto. E come può portare frutto? Se noi lo accogliamo.
Perciò la parabola riguarda soprattutto noi: parla infatti del terreno più che del seminatore. Gesù effettua, per così dire, una “radiografia spirituale” del nostro cuore, che è il terreno sul quale cade il seme della Parola. Il nostro cuore, come un terreno, può essere buono e allora la Parola porta frutto – e tanto – ma può essere anche duro, impermeabile. Ciò avviene quando sentiamo la Parola, ma essa ci rimbalza addosso, proprio come su una strada: non entra.
Tra il terreno buono e la strada, l’asfalto – se noi buttiamo un seme sui “sanpietrini” non cresce niente – ci sono però due terreni intermedi che, in diverse misure, possiamo avere in noi. Il primo, dice Gesù, è quello sassoso. Proviamo a immaginarlo: un terreno sassoso è un terreno «dove non c’è molta terra» (cfr v. 5), per cui il seme germoglia, ma non riesce a mettere radici profonde. Così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non “decolla” mai. È un cuore senza spessore, dove i sassi della pigrizia prevalgono sulla terra buona, dove l’amore è incostante e passeggero. Ma chi accoglie il Signore solo quando gli va, non porta frutto.
C’è poi l’ultimo terreno, quello spinoso, pieno di rovi che soffocano le piante buone. Che cosa rappresentano questi rovi? «La preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza» (v. 22), così dice Gesù, esplicitamente. I rovi sono i vizi che fanno a pugni con Dio, che ne soffocano la presenza: anzitutto gli idoli della ricchezza mondana, il vivere avidamente, per sé stessi, per l’avere e per il potere. Se coltiviamo questi rovi, soffochiamo la crescita di Dio in noi. Ciascuno può riconoscere i suoi piccoli o grandi rovi, i vizi che abitano nel suo cuore, quegli arbusti più o meno radicati che non piacciono a Dio e impediscono di avere il cuore pulito. Occorre strapparli via, altrimenti la Parola non porterà frutto, il seme non si svilupperà.
Cari fratelli e sorelle, Gesù ci invita oggi a guardarci dentro: a ringraziare per il nostro terreno buono e a lavorare sui terreni non ancora buoni. Chiediamoci se il nostro cuore è aperto ad accogliere con fede il seme della Parola di Dio. Chiediamoci se i nostri sassi della pigrizia sono ancora numerosi e grandi; individuiamo e chiamiamo per nome i rovi dei vizi. Troviamo il coraggio di fare una bella bonifica del terreno, una bella bonifica del nostro cuore, portando al Signore nella Confessione e nella preghiera i nostri sassi e i nostri rovi. Così facendo, Gesù, buon seminatore, sarà felice di compiere un lavoro aggiuntivo: purificare il nostro cuore, togliendo i sassi e le spine che soffocano la Parola.

La Parola - A. Feuillet e P. Grelot (Parola di Dio, in Dizionario Teologia Bblica): Gesù annunzia il vangelo del regno, «annunzia la parola» (Mc 4,33), facendo conoscere in parabole i misteri del regno di Dio (Mt 13,11 par.). Apparentemente egli è un profeta (Gv 6,14) od un dottore che insegna in nome di Dio (Mt 22,16 par.). In realtà parla «con autorità» (Mc 1,22 par.), come in proprio, con la certezza che «le sue parole non pas­seranno» (Mt 24,35 par.). Questo atteggiamento lascia intravvedere un mistero, sul quale il quarto vangelo si china con predilezione. Gesù «dice le parole di Dio» (Gv 3,34), dice «ciò che il Padre gli ha insegnato» (Gv 8, 28). Perciò «le sue parole sono spirito e vita» (Gv 6,63). A più riprese l’evangelista usa con enfasi il verbo «parlare» per sottolineare l’importanza di questo aspetto di Gesù (ad es. Gv 3,11; 8,25-40; 15,11; 16,4...), perché Gesù «non parla da sé» (Gv 12,49s; 14,10), ma «come il Padre gli ha parlato prima» (Gv 12,50). Il mistero della parola profetica, inaugurato nel Vecchio Testamento, raggiunge quindi in lui il suo perfetto compimento. Perciò agli uomini viene intimato di prendere posizione di fronte a questa parola che li mette in contatto con Dio stesso. I sinottici riferiscono discorsi di Gesù che mostrano chiaramente la posta di questa scelta. Nella parabola del seme, la parola - che è il vangelo del regno - è accolta diversamente dai suoi diversi uditori: tutti «sentono»; ma soltanto quelli che la «comprendono» (Mt 13,23) o l’«accolgono» (Mc 4,20 par.) o la «custodiscono» (Lc 8,15), la vedono portare in essi il suo frutto. Così pure, al termine del discorso della montagna in cui ha proclamato la nuova legge, Gesù oppone la sorte di coloro che «ascoltano la sua parola e la mettono in pratica» alla sorte di coloro che «l’ascoltano senza metterla in pratica» (Mt 7,24.26; Lc 6,47.49): casa fondata sulla roccia, da una parte; sulla sabbia, dall’altra. Queste immagini introducono una prospettiva di giudizio; ognuno sarà giudicato sul suo atteggiamento di fronte alla parola: «Se uno avrà arrossito di me e delle mie parole, il figlio dell’uomo arrossirà anche di lui quando verrà nella gloria del Padre suo» (Mc 8,38 par.)

La Chiesa accoglie la Parola - Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini 50: Il Signore pronuncia la sua Parola perché venga accolta da coloro che sono stati creati proprio «per mezzo» dello stesso Verbo. «Venne tra i suoi» (Gv 1,11): la Parola non ci è originariamente estranea e la creazione è stata voluta in un rapporto di familiarità con la vita divina. Il Prologo del quarto Vangelo ci pone di fronte anche al rifiuto nei confronti della divina Parola da parte dei «suoi» che «non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Non accoglierlo vuol dire non ascoltare la sua voce, non conformarsi al Logos. Invece, là dove l’uomo, pur fragile e peccatore, si apre sinceramente all’incontro con Cristo, inizia una trasformazione radicale: «a quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Accogliere il Verbo vuol dire lasciarsi plasmare da Lui, così da essere, per la potenza dello Spirito Santo, resi conformi a Cristo, al «Figlio unigenito che viene dal Padre» (Gv 1,14). È l’inizio di una nuova creazione, nasce la creatura nuova, un popolo nuovo. Quelli che credono, ossia coloro che vivono l’obbedienza della fede, «da Dio sono stati generati» (Gv 1,13), vengono resi partecipi della vita divina: figli nel Figlio (cfr Gal 4,5-6; Rm 8,14- 17). Dice suggestivamente sant’Agostino commentando questo passo nel Vangelo di Giovanni: «per mezzo del Verbo sei stato fatto, ma è necessario che per mezzo del Verbo tu venga rifatto». Qui vediamo delinearsi il volto della Chiesa, come realtà definita dall’accoglienza del Verbo di Dio che facendosi carne è venuto a porre la sua tenda tra noi (cfr Gv 1,14). Questa dimora di Dio tra gli uomini, questa shekinah (cfr Es 26,1), prefigurata nell’Antico Testamento, si compie ora nella presenza definitiva di Dio con gli uomini in Cristo.

Le parabole: Catechismo degli Adulti 125: Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all’opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l’imprevedibile, l’insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile. Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.

Quale terra sono? - Giovanni Paolo II, Omelia, 4 giugno 1991) - «La parabola del seminatore, come ogni altra parabola nel Vangelo di Cristo, ha tuttavia il suo senso metaforico, analogico: parla del regno di Dio. Come la storia di questa terra viene attraversata dal lavoro di uomini-seminatori e aratori, così attraverso la storia dell’uomo - degli uomini che abitano la terra - procede il lavoro della parola di Dio e del suo Seminatore. Il Seminatore è Cristo. Già prima di lui vi erano molti seminatori della verità divina: “Dio che aveva già parlato molte volte e in diversi modi... per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato... per mezzo del Figlio” [Eb 1,1], Egli stesso - il Figlio eterno - è il Verbo consostanziale al Padre. Il Vangelo della nuova ed eterna Alleanza è la parola di questo Verbo. La terra nel corso di duemila anni è stata già abbondantemente seminata con questa parola. È soprattutto Cristo stesso come Verbo ha reso fertile questa terra della storia umana per mezzo della redenzione mediante il sangue della sua croce. È nella parola della croce continua la sua semina, dando inizio a “un nuovo cielo e una nuova terra” [cf. Ap 21,1]. Tutti i seminatori della parola di Cristo attingono la forza del loro servizio da quell’indicibile mistero, quale è diventata - una volta per sempre - l’unione del Dio Verbo con la natura umana, e in un certo senso con ogni uomo (come insegna l’ultimo Concilio, cfr. Gaudium et spes, 22). Cadono le parole del Vangelo sulla terra delle anime degli uomini, ma soprattutto il Verbo Eterno stesso, generato per opera dello Spirito Santo da una Vergine-Madre, è diventato fonte di vita per le anime umane. Nella parabola evangelica Cristo rivolge l’attenzione soprattutto sulla terra delle anime degli uomini e delle umane coscienze - e mostra che cosa avviene alla parola di Dio in dipendenza dalla specie di questa particolare terra. Udiamo dunque parlare di un seme che è stato portato via e non ha attecchito nel cuore dell’uomo, perché questi ha ceduto al Maligno e non ha capito la Parola. Sentiamo parlare del seme caduto sulla terra rocciosa, sulla terra dura - e che non era in grado di mettere le radici, dunque non ha resistito alla prima prova. Udiamo parlare del seme caduto tra i cardi e le spine - che è stato da essi soffocato [questi cardi e spine sono un’illusione della temporaneità e del benessere che passano]. Solamente il seme caduto sulla terra buona, fertile, produce frutto. Chi è questa terra fertile? Colui che ascolta la parola e la comprende. Ascolta e comprende. Non è sufficiente ascoltare, bisogna accoglierla con la mente e con il cuore. “Chi ha orecchi [per udire], intenda” [Mt 13, 9] - dice il Seminatore divino. Tutti abbiamo udito. Ognuno di noi domandi a se stesso: quale terra sono? Che cosa avviene del seme della verità divina nella mia vita?».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Tutti abbiamo udito. Ognuno di noi domandi a se stesso: quale terra sono? Che cosa avviene del seme della verità divina nella mia vita?».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore Gesù Cristo...