11 Dicembre 2018

Martedì seconda settimana di Avvento


Oggi Gesù ci dice: «Dio non vuole che i piccoli si perdano.» (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Matteo 18,12-14: La parabola della pecora smarrita si ispira a Ez 34, dove Dio è presentato come re-pastore che si sarebbe preso cura di Israele, “al posto dei falsi pastori, cioè dei re di Giuda, che avevano angariato e disperso il gregge loro affidato” (Angelico Poppi). Con mirabile maestria la Parola di Dio mette in evidenza l’amore redentore universale di Dio, e allo stesso tempo svela che questa è la volontà del Padre che è nei cieli: Dio, nostro salvatore... vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (1Tm 2,4). L’evangelista Matteo enfatizza lo sforzo instancabile del buon Pastore nel cercare la pecora smarrita, ma tra le righe, facendo eco all’evangelista Luca, risplende anche, con luce vivida, la gioia del pastore nel ritrovare la pecora perduta: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta” (Lc 15,6). In fondo, la gioia del perdono che Dio concede al credente che si era smarrito e ritorna all’ovile, o al peccatore che era perduto e si converte è il cuore del Vangelo.

La  parabola della pecorella smarrita - Wolfgang Trilling: Il testo è stato redatto tenendo conto delle istanze pastorali: il pastore si prende cura di un gregge numeroso, che non gli appartiene, ma gli è stato affidato, e dovrà render conto di ogni singola pecora. Se una si smarrisce in pascoli rocciosi o è caduta in un burrone, ne va del suo onore “professionale”; lascia il resto del gregge e va alla ricerca di quell’una finché non l’abbia ritrovata; allora la sua gioia trabocca. Avendole salvato la vita, gli rimarrà particolarmente cara. Anche le altre pecorelle hanno valore ai suoi occhi di buon pastore, ma quella “ritrovata” gli è occasione di una gioia particolare, maggiore di tutte le soddisfazioni che può aver avuto dal suo gregge.
Il quadro, desunto dalla vita concreta, trasmette un ammonimento. Anche Dio pensa come il pastore; anche lo sguardo di Dio si posa su tutti, non dimentica nessuno, si prende cura di ciascuno.
Se uno si allontana dalla comunità, per lui non è cosa indifferente, perché vuole, con forte e santa volontà, la salute di ciascuno. Il più piccolo - per Dio - non è abbastanza piccolo da rifiutargli il suo amore.
Il brano è un richiamo rivolto da Gesù alla comunità dei discepoli ad avere sempre cura e premura per i singoli, sul suo esempio. Non importa se lo «smarrimento» è avvenuto per una disattenzione o negligenza personale, oppure per colpa di altri, come nel caso dello scandalo. Basta il fatto. Nell’ultimo versetto (18,14) è detto chiaramente che si tratta di «piccoli»; ad essi è rivolta la cura pastorale; e nessuno li consideri troppo piccoli per questo impegno. Dio, che tanto valore assegna ai piccoli, vuole espressamente che neppure uno di loro venga trascurato. Proprio perché semplici, potrebbero essere maggiormente esposti al pericolo; trovandosi in ombra e in secondo piano, il pastore potrebbe perderli di vista e dimenticarli. Dio si mette dalla loro parte e si aspetta che la comunità cristiana faccia lo stesso.

Infatti il Figlio dell’uomo... - Angelo Lancellotti (Matteo): Qui la parabola non è nel suo contesto originale. Infatti in Luca è abbinata a quella della dramma perduta e vuole illustrare la compiacenza divina per la conversione del peccatore. In Matteo invece la parabola è utilizzata per mostrare la sollecitudine di Gesù che deve essere imitata dalla comunità cristiana, verso i membri più deboli di essa (i «piccoli» del v. 14), la cui rovina causata dallo scandalo va contro l’espressa volontà del Padre celeste.
Infatti il Figlio dell’uomo ... : il versetto, mancante in molti codici, è probabilmente un’interpolazione importata da Lc 19,10. Essa serve da ponte tra il discorso sullo scandalo e la parabola della pecorella smarrita.
12. Che ve ne pare?: è una formula introduttiva caratteristica del primo vangelo (cf l,2.5; 2. 1,2.8).
Sui monti: Luca ha: «nel deserto»; allusione, forse ai colli deserti della Giudea orientale.
va in cerca: la stessa immagine riferita a Dio che è invocato dal salmista perché vada in cerca di lui «smarrito come pecora sbandata».
13. più delle altre novantanove: in termini paradossali Gesù esprime la priorità che deve avere nella Chiesa il problema della preservazione dal male di coloro che sono più esposti alle nefaste conseguenze dello scandalo (cf vv. 6-10 e 14) e del recupero di quanti, vittime della propria debolezza, hanno deviato dalla retta via. Tuttavia la «maggiore» allegrezza del buon pastore per il ritrovamento della pecora smarrita non suppone affatto «minor» gioia per le pecore rimaste fedeli.

Se un uomo ha cento pecore...: Giovanni Paolo II (Omelia, 12 dicembre 1995): [Isaia] è un Profeta, è voce di Dio stesso. Egli annunzia il Dio vivente, il Dio che si rivela, che parla all’uomo. Il Verbo che deve venire al mondo. “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza...” (Is 40,9-10). L’evento della notte di Betlemme si compirà nel silenzio, ma gli angeli ne daranno notizia. I pastori di Betlemme, primi testimoni del Natale del Signore, li udranno annunziare la gloria di Dio nell’alto dei cieli e la pace sulla terra per gli uomini che Egli ama (cfr. Lc 2,13-14). Il Profeta esprime tutto questo con parole che, dopo tanti secoli, nulla hanno perso della loro bellezza e del loro vigore. Nell’odierna liturgia, anche il Salmo in qualche modo si fa eco delle parole di Isaia: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra” (Sal 95,1). Isaia presenta il Messia come pastore che raduna col suo braccio il gregge, porta gli agnellini sul petto e con delicatezza conduce le pecore madri (cfr. Is 40,11). L’immagine del pastore, ricorrente nell’Antico Testamento, è passata nel Vangelo: Gesù se ne serve per definire la propria missione (cfr. Gv 10). Il brano evangelico, oggi proclamato, parla di un pastore che cerca la pecora smarrita. “Che ve ne pare? - domanda Gesù - Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta?”. Ed aggiunge: “Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18, 12-14). L’immagine del Buon Pastore ci conduce dunque al cuore stesso del Vangelo. Il Dio atteso da Israele e dall’uomo di tutti i tempi è il Buon Pastore, ricolmo di grande premura paterna. È Amore! E non è certo un caso se nella notte del Natale i primi a rendere omaggio al divino Bambino furono proprio dei pastori, intenti a vegliare sul loro gregge nelle vicinanze di Betlemme.

... andrà a cercare quella che si è smarrita?: Benedetto XVI (Udienza generale, 5 ottobre 2011): Gesù è il “Buon Pastore” che va in cerca della pecora smarrita, che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7; Gv 10,2-4.11-18), Egli è la via, il giusto cammino che ci porta alla vita (cfr. Gv 14,6), la luce che illumina la valle oscura e vince ogni nostra paura (cfr. Gv 1,9; 8,12; 9,5; 12,46). È Lui l’ospite generoso che ci accoglie e ci mette in salvo dai nemici preparandoci la mensa del suo corpo e del suo sangue (cfr. Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,19-20) e quella definitiva del banchetto messianico nel Cielo (cfr .Lc 14,15ss; Ap 3,20; 19,9). È Lui il Pastore regale, re nella mitezza e nel perdono, intronizzato sul legno glorioso della croce (cfr. Gv 3,13-15; 12,32; 17,4-5).

La gioia nel Vangelo - A. Ridouard e M- F. Lacan: 1. La gioia della salvezza annunziata agli umili - La venuta del salvatore crea un clima di gioia che Luca, più degli altri evangelisti ha reso sensibile. Ancor prima che ci si rallegri della sua nascita (Lc 1,14), quando viene Maria, Giovanni Battista sussulta di gioia nel seno della madre (1,41.44); e la Vergine, che il saluto dell’angelo aveva invitato alla gioia (1,28: gr. chàire = rallégrati), canta con gioia pari all’umiltà il Signore che è divenuto suo figlio per salvare gli umili (1,42.46-55). La nascita di Gesù è una grande gioia per gli angeli che l’annunziano e per il popolo che egli viene a salvare (2,10.13s; cfr. Mt 1,21); essa pone termine all’attesa dei giusti (Mt 13,17 par.) che, come Abramo, esultavano già pensandovi (Gv 8,56). In Gesù Cristo il regno di Dio è già presente (Mc 1,45 par.; Lc 17,21); egli è lo sposo la cui voce colma di gioia il Battista (Gv 3,29) e la cui presenza non permette ai suoi discepoli di digiunare (Lc 5,34 par.). Questi hanno la gioia di sapere che i loro nomi sono scritti in cielo (10,20), perché rientrano nel numero dei poveri ai quali appartiene il regno (6,20 par.), tesoro per il quale si sacrifica tutto con gioia (Mt 13, 44); e Gesù ha insegnato loro che la persecuzione, confermando la loro certezza, doveva intensificare la loro letizia (Mt 5,10ss par.). I discepoli hanno ragione di rallegrarsi dei miracoli di Gesù che attestano la sua missione (Lc 19,37ss); ma non devono porre la loro gioia nel potere miracoloso che Cristo comunica loro (10,17-20); esso non è che un mezzo destinato non a procurare una vana gioia a uomini come Erode, amanti del meraviglioso (23,8), ma a far lodare Dio dalle anime rette (13,17) e ad attirare i peccatori, al salvatore, disponendoli ad accoglierlo con gioia ed a convertirsi (19,6.9). Di questa conversione i discepoli si rallegreranno da veri fratelli (15,32), come se ne rallegrano in cielo il Padre e gli angeli (15,7.10.24), Come se ne rallegra il buon pastore, il cui amore ha salvato le pecore smarrite (15,6; Mt 18,13). Ma per condividere la sua gioia, bisogna amare com’egli ha amato.
2. La gioia dello Spirito, frutto della croce. - Di fatto Gesù, che aveva esultato di gioia perché il Padre si rivelava per mezzo suo ai piccoli (Lc 10,21s), dà la propria vita per questi piccoli, suoi amici, allo scopo di comunicare loro la gioia di cui il suo amore è la fonte (Gv 15,9-15), mentre ai piedi della sua croce i suoi nemici ostentano la loro gioia malvagia (Lc 23,35ss). Attraverso la croce Gesù va al Padre; i discepoli dovrebbero rallegrarsene, se lo amassero (Gv 14,28) e se comprendessero lo scopo di questa partenza, che è il dono dello Spirito (16,7). Grazie a questo dono, essi vivranno della vita di Gesù (14,16-20) e, poiché domanderanno nel suo nome, otterranno tutto dal Padre; allora la loro tristezza si muterà in gioia, la loro gioia sarà perfetta e nessuno la potrà togliere loro (14,13s; 16,20-24). Ma i discepoli hanno così poco compreso che la passione porta alla risurrezione, e la passione distrugge a tal punto la loro speranza (Lc 24,21) che non osano abbandonarsi alla gioia che li invade dinanzi alle apparizioni (24,41). Tuttavia quando il risorto, dopo aver loro mostrato che le Scritture erano compiute ed aver loro promesso la forza dello Spirito (24,44.49; Atti 1,8), sale al cielo, essi hanno una grande gioia (Lc 24,52s); la venuta dello Spirito la rende tanto comunicativa (Atti 2,4.11) quanto incrollabile: «sono lieti di essere giudicati degni di soffrire per il nome» del salvatore di cui sono i testimoni (Atti 5,41; cfr. 4,12; Lc 24,46ss).

Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda: Dio ha l’iniziativa dell’amore redentore universale: Catechismo della Chiesa Cattolica 604-605: Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno su di noi è un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10). «Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Questo amore è senza esclusioni; Gesù l’ha richiamato a conclusione della parabola della pecorella smarrita: «Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14). Egli afferma di «dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28); quest’ultimo termine non è restrittivo: oppone l’insieme dell’umanità all’unica persona del Redentore che si consegna per salvarla. La Chiesa, seguendo gli Apostoli, insegna che Cristo è morto per tutti senza eccezioni: «Non vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).  
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai fatto giungere ai confini della terra il lieto annunzio del Salvatore, fa’ che tutti gli uomini accolgano con sincera esultanza la gloria del suo Natale. Per il nostro Signore Gesù Cristo...