30 Maggio 2018

Mercoledì VIII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: «Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).  

Dal Vangelo secondo Marco 10,32-45: Gesù libera gli uomini donandosi per loro. Tutti i cristiani, senza equivoci e ipocrisie, sono chiamati a compartecipare al suo gesto oblativo, nel servizio reciproco e nella testimonianza. I discepoli, come Gesù, devono incamminarsi per l’irto cammino della Croce sempre pronti a rispondere a chiunque domandi loro ragione della speranza che è in essi (cf. 1Pt 3,15). Il calice nella tradizione biblica, tra i tanti significati, indica la coppa dell’ira di Dio che giudica gli empi (Sal 75,9), il popolo infedele (Is 51,17), l’umanità peccatrice (Ger 25,15-18; Ez 23,32-34). Il battesimo è la passione dolorosa nella quale sarà immerso senza riserve il Figlio di Dio. Gesù, solidale con l’umanità peccatrice, berrà la coppa dell’ira divina fino all’ultima goccia (Mt 14,36) e si farà obbediente alla volontà salvifica del Padre «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8).

Cosa volete che io faccia per voi - Il racconto evangelico odierno è posto tra il terzo annuncio della passione (Mc 10,32-34) e la guarigione del mendicante cieco Bartimeo, figlio di Timeo (Mc 10,46-52). Mentre cupe nubi, foriere di morte, si addensano sinistramente sul capo di Gesù, i discepoli fanciullescamente sembrano essere occupati unicamente a guadagnarsi i primi posti. I figli di Zebedeo, appàiono i più risoluti in questa ricerca.
Giacomo e Giovanni, conosciuti come i «figli del tuono» (Mc 3,17), quelli che avrebbero voluto incenerire i samaritani colpevoli di non aver accolto Gesù (Lc 9,54), sembrano bene intenzionati a scavalcare gli altri Apostoli pur di arrivare ai primi posti del comando. La richiesta è perentoria: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Una rivendicazione che pretende inequivocabilmente un assenso.
In quanto era sentire comune che i giusti, accanto al Figlio dell’uomo, avrebbero preso parte al giudizio finale (cf. Mt 19,28 ), i figli di Zebedeo, chiedono questa dignità regale e giudiziaria, ma evidentemente senza rendersi conto delle conseguenze della loro domanda. Gesù, che «sapeva quello che c’è in ogni uomo» (Gv 2,25), sembra stare al gioco. Vuole che dai loro cuori esca tutto il pus, la rogna nauseabonda del comando che rodeva il loro cervello.
Così invita i due fratelli a bere il suo calice e a ricevere il suo battesimo. In questo modo, chiedendo di associarsi alla sua Passione, ma senza pretendere altro, cerca di correggere la loro mentalità ancora carnale. Nell’invitarli a bere il calice della sua amara passione e a immergersi nel suo battesimo di sangue: esige la «disponibilità al martirio e la costanza nella persecuzione che può essere anche mortale. Il discepolo non ha alternativa per giungere alla gloria; egli deve sapere che il calice e il battesimo offertigli sono la sorte di Gesù [“il calice che io bevo ... il battesimo con cui io sono battezzato”], non un destino privo di senso, voluto da una potenza senza volto» (Luigi Pinto).
Con faccia tosta a dir poco, Giacomo e Giovanni, rispondono che lo possono. La risposta non tarda ad arrivare come una secchiata di acqua gelida: sì, morirete ammazzati per la fede, ma sedere alla destra del Cristo è «per coloro per i quali è stato preparato». Questa affermazione non è determinismo. Nulla è scritto, nel senso di predeterminato (cf. Rom 8,29). La salvezza è un dono di Dio e viene accordata ai discepoli, ma non per la via dei privilegi e della grandezza umana: il verbo preparare al passivo rimanda, come spesso nei testi biblici, alla sovrana volontà di Dio.
I primi a sedersi «uno alla sua destra e uno alla sinistra» (Lc 15,27) saranno i due ladroni, crocifissi con il Cristo. Ancora una volta si scompagina il solito sentire umano.
«Gli altri dieci si sdegnarono». Una nota che mette in luce una realtà fin troppo scomoda: nel gruppo apostolico serpeggiavano divisioni, liti, manie di grandezza ... La risposta di Gesù va in questo senso. La vera grandezza sta nel servire, nell’occupare gli ultimi posti come il Figlio dell’uomo. Una risonanza di questo insegnamento è nel racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1ss). Con questo detto «non si condanna di aspirare ai posti di responsabilità né si insegna paradossalmente che per raggiungere tali posti bisogna farsi servi e schiavi di tutti, ma più semplicemente si vuol dire che nell’ambito della comunità cristiana i chiamati al comando devono adempiere al loro mandato con spirito di servizio, facendosi tutto a tutti e guardando solo al bene degli altri [cf. 1Cor 9,19-23; 2Cor 4,5]» (A. Sisti).
Per Gesù servire vuol dire essere obbediente alla volontà del Padre fino alla morte, senza sconti e ripiegamenti, come il Servo di Iahvè, che si fa solidale con il peccato degli uomini. Affermando che è venuto per «dare la propria vita in riscatto per molti», il Cristo dichiara il carattere soteriologico della sua morte. Donandosi alla morte per la salvezza degli uomini e per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato, Gesù offre alla Chiesa un modello di amore supremo, che essa è chiamata a inverare e prolungare nella storia.

La carità del servizio - Ortensio da Spinetoli (I Quattro Vangeli): Forse il presente racconto apoftegmatico rispecchia una situazione di conflittualità nella chiesa, per la ricerca di privilegi e di cariche onorifiche da parte di qualcuno. Lc trasferisce il diverbio tra i Dodici nel corso dell’ultima cena (22,24-27), ma in modo autonomo da Marco. Ciò dimostra la dipendenza di entrambi gli evangelisti da una tradizione preesistente. Comunque, Marco ha riallacciato questo episodio a quello precedente della richiesta dei figli di Zebedeo mediante le parole ­chiave «volere» (vv. 35,43-44), «sapere» (vv. 38.42).
In entrambe le pericopi viene messo in risalto che la sequela raggiunge il culmine nel dono della vita a imitazione di Gesù (vv. 38 e 45).
v. 41 Lo sdegno degli altri dieci discepoli contro Giacomo e Giovanni per la loro richiesta non si collega bene con il v. 40. Gesù aveva già respinto la richiesta dei due fratelli. Quindi si tratta di un aggancio redazionale, per proporre l’insegnamento di Gesù circa un problema scottante nella comunità cristiana.
v. 42 Gli abusi dei capi delle nazioni vengono descritti con distacco ironico e si riferiscono alla situazione della Palestina dominata dai romani e dai discendenti di Erode, intenti ai propri interessi e bramosi soltanto di accrescere il loro potere anziché il benessere della popolazione.
vv. 43-44 Lo statuto per la comunità è centrato sul principio del servizio. Gesù ripropone quasi testualmente la regola dell’umiltà, pronunciata dopo il secondo annuncio della passione (9,35), ma accentuando laspetto comunitario del servizio fraterno: chi vuole diventare grande, deve farsi servitore (diakonos): chi vuole essere il primo deve diventare schiavo (doulos) di tutti. I due detti sono stilati seconde un perfetto parallelismo sintetico, che sottolinea in modo plastico la necessità del servizio disinteressato ai fratelli da parte di coloro che sono costituiti in autorità.

Servire - C. AUGRAIN e M.-F. LACAN: SERVIRE DIO SERVENDO GLI UOMINI - Gesù ricorre agli stessi termini della legge e dei profeti (M t 4, 10; 9, 13) per ricordare che il servizio di Dio esclude ogni altro culto e che, in ragione dell’amore che lo ispira, dev’essere integrale. Precisa il nome del rivale che può creare ostacolo a questo servizio: il denaro, il cui servizio rende ingiusti (Lc 16,9), ed il cui amore l’apostolo, eco del maestro, dirà che è un culto idolatrico (Ef 5,5). Bisogna scegliere: «Nessuno può servire a due padroni ... non potete servire a Dio e al denaro» (Mt 6,24 par.). Se si ama l’uno, si avrà odio e disprezzo per l’altro.
Perciò la rinuncia alle ricchezze è necessaria a chi vuole seguire Gesù, servo di Dio (Mt 19,21).
1. Il servizio di Gesù. - Inviato da Dio per coronare l’opera dei servi del Vecchio Testamento (Mt 21,33... par.), il Figlio diletto viene a servire.
Fin dall’infanzia afferma che deve occuparsi delle cose del Padre suo (Lc 2,49). Il corso di tutta la sua vita sta sotto il segno di un «bisogna» che esprime la sua dipendenza ineluttabile dalla volontà del Padre (Mt 16,21 par.; Le 24,26); ma, dietro questa necessità del servizio che lo conduce alla croce, Gesù rivela l’amore che, solo, gli dà la sua dignità ed il suo valore: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e che agisco come il Padre mi ha ordinato» (Gv 14,30).
Servendo Dio, Gesù salva gli uomini di cui ripara il rifiuto di servire, e rivela loro come il Padre vuole essere servito: vuole che essi si dedichino al servizio dei loro fratelli come ha fatto Gesù stesso, loro Signore e maestro: «II figlio dell’uomo non è venuto per essere servito. ma per servire e dare la sua vita» (Mc 10.45 par.): «Io vi ho dato l’esempio ... il servo non è maggiore del padrone» (Gv 13, 15 s): «Io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).
2. La grandezza del servizio cristiano - I servi di Cristo sono anzitutto i servi della parola (Atti 6,4; Lc 1,2), coloro che annunciano il vangelo, compiendo così un servizio sacro (Rom 15,16; Col 1,23; Fil 2,22), «in tutta umiltà», e, se occorre, «nelle lacrime ed in mezzo alle prove» (Atti 20.19).
Quanto a coloro che servono la comunità, su immagine dei Sette scelti dagli apostoli (Atti 6,1-4), Paolo insegna loro a quali con. dizioni questo servizio sarà degno del Signore (Rom 12,7.9-13). D’altronde, tutti i cristiani per mezzo del battesimo sono passati dal servizio del peccato e della legge, che era una schiavitù, al servizio della giustizia e di Cristo, che è la libertà (Gv 8,31-36; Rom 6-7; cfr. 1Cor 7,22; Ef 6,6). Essi servono Dio come figli e non come schiavi (Gal 4), perché lo servono nella novità dello spirito (Rom 7,6). La grazia, che li ha fatti passare dalla condizione di servi a quelli di amici di Cristo (Gv 15,15), permette loro di servire cosi fedelmente il loro Signore da essere certi di partecipare alla sua gioia (Mt 25,14-23; Gv 15,10s).

Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il nostro atteggiamento deve essere analogo a quello di Cristo: servire Dio e gli altri con visione assolutamente soprannaturale, senza nulla attendersi a compenso del nostro servizio; servire perfino chi non gradisce il servizio che gli viene prestato. Questo atteggiamento cristiano entrerà certamente in conflitto con i criteri umani. Tuttavia l’orgoglio del cristiano, che si riconosce in Cristo, consisterà appunto nel servire. Servendo gli altri, il cristiano partecipa della missione di Cristo e attinge così la sua dignità vera: «Questa dignità si esprime nella disponibilità a servire, secondo l’esempio di Cristo, che “non è venuto per essere servito, ma per servire”. Se dunque alla luce di questo atteggiamento di Cristo si può veramente “regnare” soltanto “servendo”, in pari tempo il “servire” esige una tale maturità spirituale che bisogna proprio definirlo un “regnare”. Per poter degnamente ed efficacemente servire gli altri, bisogna saper dominare se stessi, bisogna possedere le virtù che rendano pos­sibile questo dominio» (Redemptor hominis, n. 21). 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** L’orgoglio del cristiano, che si riconosce in Cristo, consiste nel servire.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo...