IL PENSIERO DEL GIORNO

25 Febbraio 2018

II DOMENICA DI QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Marco 9,2-10: Il racconto della Trasfigurazione di Gesù è presente, oltre che in Marco, anche nei vangeli di Matteo e di Luca, ma con accenti, intenzioni e sfumature diversi. Mentre Matteo “mette in rilievo la manifestazione di Gesù come nuovo Mosè [cfr. Mt 17,1] e Marco descrive un’epifania del Messia nascosto [cfr. Mc 9,2], Luca, o almeno la fonte che egli combina con Marco, pensa maggiormente a un’esperienza personale di Gesù che, nel corso di una preghiera ardente e trasformante, è illuminato dal cielo sulla «partenza» [alla lettera «esodo»], cioè la morte [cfr. Sap 3,2; 7,6; 2Pt 1,15], che egli deve compiere a Gerusalemme, la città che uccide i profeti [cfr. Lc 13,33-34]” (Bibbia di Gerusalemme). Comunque, i tre evangelisti hanno in comune la certezza che l’Antico Testamento trova il suo culmine nella persona di Gesù. La Trasfigurazione è il mistero svelato (cfr. Mc 9,2): Colui che sul monte cambiò d’aspetto e la cui veste divenne candida e sfolgorante è l’Emanuele, il Dio con noi. Il tempo della Legge e dei Profeti è finito: ora tutto si concentra e fa capo a Lui. Da qui la necessità dettata dalla voce che usciva dalla nube di ascoltare lui e lui solo. Gesù è la Parola conclusiva di Dio Padre e in lui raggiunge il massimo della rivelazione: “Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella.” (CCC 65). Appena la voce cessò, restò Gesù solo: inizia il dramma. I discepoli sollevando gli occhi videro Gesù solo. Inoltre, alla fine del Vangelo si legge: Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. Tutto ciò mette in evidenza l’angosciosa solitudine che si farà grumo di sangue nell’Orto degli Olivi (Lc 22,44). Gesù sa che dovrà affrontare la passione, la morte e la resurrezione, di cui la Trasfigurazione è stata solo un anticipo.


Il significato della Trasfigurazione (Catechismo della Chiesa Cattolica Compendio 110): Nella Trasfigurazione appare anzitutto la Trinità: «Il Padre nella voce, il Figlio nell’uomo, lo Spirito nella nube brillante» (san Tommaso d’Aquino). Evocando con Mosè ed Elia la sua «dipartita» (Lc 9,31), Gesù mostra che la sua gloria passa attraverso la Croce e dà un anticipo della sua risurrezione, e della sua gloriosa venuta, «che trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21).
«Tu ti sei trasfigurato sul monte e, nella misura in cui ne erano capaci, i tuoi discepoli hanno contemplato la tua Gloria, Cristo Dio, affinché, quando ti avrebbero visto crocifisso, comprendessero che la tua Passione era volontaria e annunziassero al mondo che tu sei veramente l’irradiazione del Padre» (Liturgia Bizantina).


Fu trasfigurato... - La mitologia greca con il termine trasfigurazione indica il mutare aspetto o forma degli dèi; nei Vangeli il termine non ha nessuna relazione con il suo uso mitologico, perché «questa scena di gloria, per quanto passeggera, manifesta ciò che è realmente e ciò che sarà presto in modo definitivo colui che deve conoscere per un certo periodo l’abbassamento del servo sofferente» (Bibbia di Gerusalemme).
Gesù, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, sale sopra un «alto monte, in disparte, loro soli»: la tradizione è unanime nell’identificare l’alto monte con il Tabor. Fu trasfigurato (metemorfode): il verbo greco «indica propriamente il passaggio da una forma ad un’altra, cioè ad un modo diverso di essere, in cui la persona, pur restando se stessa, si manifesta diversa» (Adalberto Sisti, Marco). Sul Tabor, i tre Apostoli, anche se per breve tempo, contemplano il fulgore della divinità del Cristo: il Figlio della Vergine, con il candido splendore delle sue vesti (il bianco è il colore degli esseri celesti: Cf. Mc 16,5; At 1,10; Ap 1,13; 3,4-5; 4,4; 7,9), svela la sua natura celeste e ai testimoni, sbigottiti e stupefatti, manifesta di essere il «figlio dell’uomo» (Dan 7,13-14) atteso dai profeti.
Elia con Mosè: rappresentano rispettivamente i Profeti e la Legge. Appaiono come testimoni dell’adempimento della Legge e dei Profeti in Gesù, nella sua gloria.
Rabbì, è bello... facciamo tre capanne: è un riferimento alla festa delle capanne che si celebrava per ricordare il soggiorno degli israeliti nelle tende durante l’esodo dall’Egitto (Cf. Lev 23,33-43).
L’evangelista Marco, a differenza di Matteo e di Luca, vede nell’evento soprattutto una epifania gloriosa del Messia nascosto, in conformità al tema dominante del suo vangelo. Ma se si tiene conto che la rivelazione dell’identità di Gesù di Nazaret come Figlio di Dio, nelle intenzioni di Marco, è fondata nel precedente annuncio della passione (Cf. Mc 8,31) e che gli stessi Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, qualche tempo dopo, saranno compagni del Cristo nel giardino del Getsemani (Cf. Mt 26,36-46), sembra allora che Gesù intenzionalmente abbia voluto rivelare la sua gloria a coloro che avrebbero assistito più direttamente al suo annichilimento. La Trasfigurazione quindi, al dire di san Leone Magno, «mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della Passione volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta di Cristo».
Da una lettura attenta del brano marciano, emerge abbastanza chiaramente anche l’intenzione di affermare che Gesù è la Parola di Dio - «Ascoltatelo» (Cf. Dt 18,15) -, che riunisce in sé la Legge e i Profeti e li porta a compimento. La Parola di Gesù è parola divina e ascoltare lui significa ascoltare il Padre celeste: questa corrispondenza «è tipica anche del profeta dell’Antico Testamento; Gesù però non è riducibile a dimensioni puramente profetiche, essendo il Figlio di Dio. La sua parola è definitiva, propria dei tempi ultimi» (G. B.).
Non ascoltarla avrebbe effetti catastrofici per l’uomo, sarebbe per sempre perduto (Cf. Ap 21,8).
La Parola di Gesù è fonte di vita eterna per chi la accoglie (Cf. Gv 5,24); costui non «vedrà la morte in eterno» (Gv 8,51-52). Cristo, infatti, Verbo di Dio, ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68); le sue parole sono «spirito e vita» (Gv 6,63). Per questo occorre che l’uomo, deposta «ogni impurità e ogni eccesso di malizia», accolga con docilità la parola di Gesù che è stata seminata in lui e che può salvare la sua anima (Cf. Gc 1,21). Imperiosamente la osservi, la custodisca (Cf. Gv 14,24; 15,20; Ap 3,8), la metta in pratica (Cf. Gc 1,22) e perseveri in essa (Cf. Gv 8,31; 15,7). La voce del Padre, come avvenne per il Battesimo (Cf. Mc 1,11), conferma la filiazione divina di Gesù. I tre discepoli, poi, «guardandosi attorno, non videro più nessuno», questo perché basta lui come dottore della legge perfetta e definitiva.
Il chiedersi «che cosa volesse dire risorgere dai morti», non «verteva circa la possibilità della risurrezione dei morti, allora ammessa comunemente da tutti nel mondo giudaico, ad eccezione dei sadducei [Cf. 12,18], ma circa l’indicazione concreta fornita dallo stesso Gesù, le cui parole “fino a quando il Figlio dell’uomo non fosse risuscitato dai morti” supponevano che il Messia dovesse soffrire e morire. E ciò per loro era ancora inconcepibile [Cf. Mc 8,32]» (Adalberto Sisti, Marco).
Nella 2Pt si fa riferimento alla Trasfigurazione, ma con intenzioni che vanno al di là del semplice ricordo; infatti, è inteso «a scalzare le obiezioni mosse contro la parusia, mostrando, sulla testimonianza dei testi oculari apostolici, che Gesù possiede già le qualità essenziali che saranno manifestate alla sua parusia: maestà, onore e gloria dal Padre, figliolanza messianica e divina» (T. W. Leaby).


Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): La trasfigurazione è una delle più sfolgoranti manifestazioni messianiche per il suo valore certificante in ordine alla identità del Cristo. Nel piano evangelico equivale a una testimonianza altissima da parte di chi la fa, per il suo contenuto e per i destinatari.
È lo stesso Dio Padre che interviene e si manifesta nella voce, nella parola, nello splendore esterno e nella nube, la quale nella Scrittura è il segno della teofania (Es 16,10; Lev 16,2; 1Re 8,10-12).
Rivelando che Cristo è suo Figlio, Iddio lo palesa come Verbo divino, consustanziale con se medesimo, coeterno, coinfinito, coonnipotente, coonnisciente, coonnipresente. Mostra che è lui l’uomo prescelto fra tutti come Messia, Consacrato, Inviato, Salvatore universale, Rivelatore del pensiero divino. Conferma con ciò la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc 9,29), con tutti gli attributi e le prerogative che questo titolo comportava nella tradizione biblica e giudaica. Ratifica tutte le attività del figlio di Maria come adempimento delle volontà divine e manifestazione della vita trinitaria. Conferisce forza di salvezza a tutte le sue azioni, come svolgimento del  grande piano di redenzione.
Dio Padre non rivolge la sua proclamazione sul Tabor ai soli apostoli, a tutti gli uomini di tutte le generazioni, perché il destino di tutti era legato indissolubilmente all’opera del Cristo.
La metamorfosi (tale è il termine greco di 9,2), cioè la deificazione dell’umanità di Cristo, resasi visibile agli occhi materiali dei presenti sul monte, era segno e saggio della partecipazione da parte del cristiano alla vita divina mediante la fede, il battesimo e gli altri sacramenti. Ma preludeva soprattutto al possesso della gloria divina in paradiso. L’evento del Tabor, insieme agli altri misteri Cristo, era anche causa dell’apoteosi riservata ai cristiani (cfr. SC 102).

Benedetto XVI (Angelus, 4 Marzo 2012): Il mistero della Trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini (cfr Mt 16,23). Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490).
Cari fratelli e sorelle, tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cfr Col 2,9). Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della sua luce. Chiediamo alla Vergine Maria, nostra guida nel cammino della fede, di aiutarci a vivere questa esperienza nel tempo della Quaresima, trovando ogni giorno qualche momento per la preghiera silenziosa e per l’ascolto della Parola di Dio.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, Padre buono, che non hai risparmiato il tuo Figlio unigenito, ma lo hai dato per noi peccatori; rafforzaci nell’obbedienza della fede, perché seguiamo in tutto le sue orme e siamo con lui trasfigurati nella luce della tua gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...