8 Luglio 2025
Martedì XIV Settimana T. O.
Gn 32,23-33; Salmo Responsoriale Dal Salmo 16 (17); Mt 9,32-38
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Un duro combattimento - Catechismo della Chiesa Cattolica 407 La dottrina sul peccato originale – connessa strettamente con quella della redenzione operata da Cristo – offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero. Il peccato originale comporta « la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo ». Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi.
408 Le conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni: « il peccato del mondo » (Gv 1,29). Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini.
409 La drammatica condizione del mondo che «giace » tutto « sotto il potere del maligno» (1Gv 5,19) fa della vita dell’uomo una lotta:
« Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio ».
I Lettura: Angel Gonzalez: L’incontro di Giacobbe con Dio sulla riva dello Iabbok non avviene in forma di visione, come a Betel, ma in forma di lotta; ma non per questo si può dire che non sia una risposta divina alla preghiera del patriarca. Dio gli attraversa ancora una volta la strada e dal suo titanismo lo porta al riconoscimento della presenza che lo guida. L’episodio è riferito dallo yahvista. Dio si apposta alla frontiera fra le due terre: la Mesopotamia degli aramei e Canaan che apparterrà ai discendenti di Giacobbe.
Giacobbe fa attraversare alla sua gente e ai suoi greggi questa frontiera costituita dal fiume; e l’autore lo lascia solo per un confronto drammatico, che precede quello che avrà con suo fratello, ma che non manca d’una relazione con esso.
Vangelo
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!
Gesù esorcizza un “muto indemoniato” e questo suscita stupore, ma soltanto nelle anime “semplici”, nei cuori perversi invece monta la bile, l’odio, la gelosia, e l’accusa è scoccata come freccia avvelenata: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». Il vangelo di Matteo non registra alcuna reazione da parte di Gesù, il quale riprende il suo cammino percorrendo “tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità”. È straordinaria questa nota, Gesù pur minacciato non ha paura di annunciare il vangelo del Regno e di compiere prodigi proprio nelle sinagoghe, la tana del lupo. Ma non è coraggio, è la sua missione, una missione che non è scevra di pericoli, di delusioni, ma impastata anche di compassione sopra tutto quando il suo sguardo si posa sulle folle mirandole “stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. Una verità lucida il cui riverbero raggiunge i nostra anni, un Europa che ha rigettato le radici cristiane, da qui l’imperativo dettato ai discepoli di tutti i tempi: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,32-38
In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Parola del Signore.
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 32-33 Un muto indemoniato; il demonio aveva reso muto l’infelice di cui era in possesso. L’esorcismo fu compiuto verosimilmente con un semplice comando.
Non s’è mai vista cosa simile in Israele; l’espressione della folla chiude convenientemente la serie dei miracoli narrati da Matteo; essa non si riferisce all’ultimo miracolo narrato, ma a tutti quelli ricordati nei capitoli 8-9 e va considerata come l’epilogo di tutta la sezione narrativa.
34 Matteo nota, per ragione di contrasto, l’ostinazione dei capi spirituali del popolo (i Farisei) e ricorda l’insinuazione demolitrice che essi hanno osato compiere contro gli esorcismi operati da Cristo. L’intero versetto manca in codici importanti della tradizione occidentale. Sopra l’accusa mossa dai Farisei contro Cristo l’evangelista ritornerà più avanti e ne parlerà più diffusamente (cf. Mt., 12, 22-37).
35 Versetto di transizione con il quale Matteo ricapitola l’attività svolta da Gesù tra il popolo ed introduce l’opera che il Maestro inizia per la formazione dei suoi collaboratori.
36 L’esperienza fatta in Galilea da Gesù e dai suoi apostoli aveva loro rivelato la triste condizione spirituale delle popolazioni. Il maestro ne è profondamente commosso e rattristato; il popolo si trovava come un gregge stanco ed affamato senza le cure premurose di un pastore. Il versetto contiene un’amara allusione alle guide spirituali del tempo, le quali, chiuse in un orgoglio compiacente della propria religiosità, non curavano gli umili ed i semplici.
37-38 Si passa dall’immagine del gregge a quella della messe (Luca conserva il paragone della messe in un contesto più logico e cronologicamente più esatto; cf. Lc., 10, 2). Nei due paragoni (gregge-messe) è soggiacente lo stesso pensiero. Sono egualmente necessari i pastori come pure i mietitori, altrimenti il gregge langue e la messe marcisce. Gesù invita tutti a pregare Dio, affinché si degni suscitare ed inviare degli operai nel campo della raccolta; il Signore provvede quando è pregato. Cristo, come uomo, è limitato; egli non può essere dovunque, né può far giungere a tutti la parola della salvezza, per questo fa chiedere al Padre dei collaboratori. Le parole del Maestro rivelano una sublime concezione dell’apostolato: l’apostolo è un inviato ed un collaboratore scelto da Dio.
Pregate dunque ... - Italo Castellani: Il ritrovato impegno e tanta preghiera per le vocazioni, che si eleva oggi dalle nostre comunità - anche perché è sotto gli occhi di tutti la constatazione di una sproporzione tra il raccolto che ci sarebbe da fare e le braccia necessarie per questo raccolto - dovrà forse entrare sempre più nello spirito del comando di Gesù: “Pregate il Padrone della messe...”.
Gesù infatti ha chiesto più volte di pregare, ma pochissime volte, quattro in tutto, con un’intenzione precisa: la preghiera per i nemici (Mt 5,44); la preghiera per non entrare in tentazione nei tempi escatologici (Mt 26,41); la preghiera per Pietro affinché la sua fede non venga meno (Lc 22,32), la preghiera al Signore della messe perché mandi operai nella sua messe (Mt 9,38).
È significativo che tra questi “comandi”, non generali ma “all’imperativo” consegnati ai discepoli, ci sia la richiesta di pregare per l’invio degli operai nella messe.
Qual è dunque il significato profondo, da recuperare ai nostri giorni nella preghiera per le vocazioni della comunità cristiana, di questo “comando autoritativo” che esprime una precisa volontà del Signore?
“Gesù, dopo aver detto queste parole, non conclude dicendo: dunque andate. C’è bisogno, dunque, rimboccate le maniche, muoviamoci... Dice: c’è bisogno, dunque, pregate”.
“Si noti che Gesù non comanda ai discepoli di essere operai di Dio bensì di pregare...”.
“Gesù sembra spostare il problema: non è tanto un problema vostro, è il problema del Padrone della messe, quindi è un problema di Dio. È cosa di Dio. Pregate perché mandi”.
A pensarci bene, alla luce di queste riflessioni, la preghiera per le vocazioni che si eleva dal cuore della comunità cristiana ha forse bisogno di diventare più autentica. Troppo spesso, forse, la nostra preghiera per le vocazioni, mentre da una parte è accoglienza del comando di Gesù, dall’altra è forse più sollecitata da congiunture contingenti e dall’ansia di sopravvivere ad ogni costo.
Rischia cioè di non essere una preghiera essenzialmente mossa dalla fede e dalla motivazione primaria, che Gesù c’insegna nel Padre Nostro, che “venga” il Regno di Dio.
“Ma perché domandare a Dio, supplicarlo per ciò che riguarda innanzitutto lui? Perché chiedere una cosa per lui? Sta qui il grande mistero della preghiera. È certo che Dio, come Gesù, vede le pecore senza pastore, è certo che Dio vede i bisogni della Chiesa, ma Dio vuole che noi domandiamo, supplichiamo, preghiamo, perché ‘noi’ ne abbiamo bisogno. Di questo abbiamo veramente bisogno... Pregare per le vocazioni significa ricordare e confessare che la vocazione è dall’alto, da Dio, per Cristo, nella potenza dello Spirito Santo: Dio è il soggetto che plasma le chiamate e solo lui le può sostenere. Non è il soggetto individuale che sceglie, non è neppure la chiesa che chiama (cioè la risposta ai bisogni della Chiesa) e non sono neppure i bisogni del mondo che suscitano vocazioni. Insomma, Dio è il ‘principio’ della chiamata e ne è il ‘fine’ ma questi due poli si possono tenere insieme solo pregando”.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 32, 3: Pregate, dunque, il padrone della messe. Con queste parole fa loro intendere quale grande dono sta per fare, e insieme lascia intravedere che egli stesso ha tale potere. Infatti, dopo aver dato questo avvertimento, senza che essi abbiano in precedenza rivolto una preghiera o una richiesta, egli subito li consacra apostoli, richiamando alla loro mente le parole di Giovanni, l’aia, il ventilabro, la paglia e il buon grano. Tutto questo mostra chiaramente che egli è l’agricoltore e insieme il padrone della messe e il Signore dei profeti che l’hanno seminata. E fuor di dubbio, che, inviando gli apostoli a raccogliere la messe, non li invia a mietere la messe di un altro ma ciò che egli stesso ha seminato per mezzo dei profeti. E non si limita a dar coraggio ai discepoli mostrando che il loro lavoro, il loro ministero consiste nella mietitura di una messe già pronta, ma anche li rende atti a questo ministero.
Il Santo del Giorno - 8 Luglio 2025 - Santi Aquila e Priscilla. L’amore tra sposi, frutto del Vangelo e risorsa per la vita della Chiesa: L’esperienza di famiglia è quella dimensione primigenia entro la quale tutti muoviamo i primi passi nel mondo. I legami che si formano tra le mura domestiche rappresentano le radici di ciò che poi siamo nel mondo. Oggi la Parola di Dio ci offre un’icona viva, che ai aiuta a comprendere due temi fondamentali: è il Vangelo la forza più preziosa per far crescere il rapporto tra sposi che a sua volta è una risorsa fondamentale nella crescita della vita di tutta la comunità dei credenti. I santi Aquila e Priscilla, così come raccontano gli Atti degli Apostoli al capitolo 18, incarnano bene questa duplice dimensione. La loro esperienza inizia da un preciso carisma, quello dell’accoglienza: «Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto – si legge negli Atti –. Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava». I due seguono Paolo fino a Efeso, dove istruiranno Apollo, predicatore la cui conoscenza del Vangelo è carente in alcuni punti. Per un periodo, poi, i due sposi sono a Roma ma in realtà nulla si sa della loro morte, che secondo la tradizione avviene per martirio.
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.