1 Settembre 2021

 Mercoledì XXII Settimana T. O.

 Col 1,1-8; Sal 51 (52): Lc 4,38-44

Il Santo del Giorno - 1 Settembre 2021 - San Giosuè, Patriarca:  Il giovane Giosuè fa il suo tirocinio al servizio di Mosè. Accumula esperienza e conoscenza, diventa un uomo pieno dello spirito di saggezza. Per questa sua sapienza e docilità merita di diventare il successore di Mosè, che guiderà il popolo nell’ingresso nella terra promessa. Il passaggio del Giordano più che un’azione bellica è una processione liturgica da lui guidata. Al centro dell’evento vi è l’Arca trasportata dai sacerdoti. Non appena essi toccano l’acqua, questa si divide per lasciar passare il popolo all’asciutto. Anche la conquista di Gerico viene presentata come un’azione liturgica di cui sono protagonisti i sacerdoti. Per sei giorni essi aprono il corteo intorno alle mura della città. Il settimo giorno compiono il giro per ben 7 volte, e al termine dell’ultimo, al suono delle trombe, le mura crollano. I due episodi sono accomunati da una premessa teologica: la conquista della terra è un dono di Dio, Giosuè ne è lo strumento. (Avvenire)
 
Colletta: Dio onnipotente, unica fonte di ogni dono perfetto, infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome, accresci la nostra dedizione a te, fa’ maturare ogni germe di bene e custodiscilo con vigile cura. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, continuamente pregando per voi, avendo avuto notizie della vostra fede in Cristo Gesù e della carità che avete verso tutti i santi - Caritas in veritate n. 2: La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa - ammaestrata dal Vangelo - la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (cfr 1 Gv 4,8.16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, «Dio è carità» (Deus caritas est): dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.
Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della «veritas in caritate» (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della «caritas in veritate». La verità va cercata, trovata ed espressa nell’«economia» della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio.
  
I Lettura: La lettera ai Colossesi tratta del primato di Cristo nel cosmo e nella vita cristiana. Nel brano odierno a Paolo si accompagnano Timoteo ed Epafra, suo caro compagno nel ministero. L’apostolo come ha già fatto in altre lettere anche qui suggerisce che la vita cristiana deve essere sostenuta, alimentata dalla fede, dalla carità e dalla speranza. Nel vergare questa lettera Paolo manifesta tutta la sua contentezza e gioia a motivo della diffusione ormai inarrestabile del Vangelo.
 
Vangelo: Gesù cacciato via dalla sinagoga di Nazaret aveva preso dimora a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali  (Mt 4,13). A Cafarnao ((ebr. Kĕfar Naḥūm «villaggio della consolazione», gr. Καϕαρναούμ), avvennero numerosi miracoli, guarigioni, esorcismi con i quali cacciava i demoni, ma nonostante tanto amore e misericordia dimostrata da Gesù verso gli ultimi, i poveri, gli ammalati, gli indemoniati, gli abitanti di Cafarnao rimasero indifferenti, attirandosi una triste e paurosa profezia pronunciata da Gesù: E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! (Mt 11,23; Lc 10,15-10).
Il racconto lucano è presente anche nel Vangelo di Marco (1,29-39), il quale per raccontare la guarigione della suocera di Simone utilizza il verbo egeirō che viene spesso usato per indicare la risurrezione di Gesù (Cf. Mc 14,28; 16,6; 1Cor 15,4; At 3,15; 13,37).
Luca sottolinea che la suocera di Simone Simone era in preda a una grande febbre, un particolare che potrebbe rivelare la professione medica di Luca. Forse febbre malarica, ma in ogni caso la guarigione avviene nella dimora di Simone dove abitava con la propria famiglia, e il gesto di delicatezza compiuto da Gesù verso la donna inferma ridonda sul futuro capo visibile della Chiesa: è un gesto di amore che Cristo fa a Simon Pietro!
Le folle hanno il timore che Gesù abbandoni Cafarnao, ma la risposta è netta: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». Da qui l’intenzione dell’evangelista Luca di mettere bene in evidenza l’universalità dell’annuncio evangelico: E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.
 
Dal Vangelo secondo Luca 4,34-44: In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. 
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

La vita di Gesù è una vita girovaga senza riposo e senza un tetto sotto il quale ripararsi (cfr. Mt 8,20), uno stile di vita che i discepoli devono saper imitare. Sul suo esempio, Egli vuole che i suoi discepoli siano decisi ad abbracciare questo stile di vita intessuto di povertà e di precarietà, pronti nell’abbandonare affetti, case e parentele varie per mettersi al suo seguito (cfr. Mt 8,21-22). Un distacco totale che contrassegna la sequela cristiana. Ritirandosi in un luogo deserto per pregare, Gesù indica ai suoi discepoli la fonte dove trovare la forza per attuare un simile programma di vita. I Vangeli amano parlare della preghiera di Gesù. Sopra tutto la ricordano in occasione dei momenti più importanti del ministero pubblico del Signore: il battesimo (cfr. Lc 3,21), la chiamata degli Apostoli (cfr. Lc 6,12), la prima moltiplicazione dei pani (cfr. Mc 6,46), la Trasfigurazione (cfr. Lc 9,29), nel Getsemani (cfr. Mt 26,39), sulla croce quando prega per i suoi carnefici (cfr. Lc 23,34). Altresì, possiamo ricordare quante volte la preghiera ottenne il dono della guarigione da Gesù: il cieco nato (cfr. Mc 10,46-56), la guarigione del lebbroso (cfr. Mt 8,23), la Cananea (cfr. Mt 15,21-28). Il discepolo apprende in questo modo il segreto della preghiera come unico fondamento su cui poggiare la sua fede, la sua speranza. Senza la preghiera il cristiano non può essere fedele alla sua vocazione e alla sua elezione (2Pt 2,10).
 
Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!» - Hugues Cousin (Vangelo di Luca): Il racconto si inserisce in uno schema classico: 1. Il demonio riconosce l’ esorcista e si ribella. Questo elemento è qui ricco di informazioni. Per bocca del posseduto, il demonio non si limita a chiamare Gesù di Nazaret e a prendere le distanze da lui con atteggiamento ostile. Egli si chiede se l’ ora ultima in cui il mondo delle forze del male deve crollare non sia giunta (Le 10,18); in effetti egli sa chi è realmente Gesù e si rivolge a lui col titolo cristologico di «Santo di Dio» (cfr. Gv 6,69). Una tale conoscenza non rientra evidentemente nella confessione di fede (cfr. Gc 2,19)!
2. L’ esorcista proferisce una minaccia o un ordine.
3. Il demonio esce davanti a tutti. Per dimostrare la realtà dell’ espulsione, l’uomo viene qui «gettato a terra davanti a tutti» gli spettatori; ma Luca ci tiene a precisare che ciò non provoca alcun danno all’uomo.
4. Il racconto infine registra l’impressione prodotta sui presenti: un timore religioso che porta a interrogarsi sull’ origine di questa parola così efficace. Il lettore sa che si tratta dello Spirito di cui Gesù ha ricevuto l’unzione.
 
È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio: Evangelii gaudium 180: Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).
 
Sono stato mandato - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 24 Giugno 1987): Se la verità su Gesù Cristo come figlio mandato dal Padre, viene messa in rilievo soprattutto nei testi giovannei, essa è però contenuta anche nei Vangeli sinottici. Da essi ci risulta, ad esempio, che Gesù ha detto: “Bisogna che io annunzi il regno anche alle altre città; per questo sono stato mandato” (Lc 4,43). Particolarmente illuminante è la parabola dei vignaioli omicidi. Essi trattano male i servi mandati dal padrone della vigna “a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna” e ne uccidono molti. Alla fine il padrone della vigna decide di mandare da loro il proprio figlio: “Aveva ancora uno, il figlio prediletto; lo inviò a loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l’erede; su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra. E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna” (Mc 12,6-8). Commentando la parabola, Gesù si richiama all’espressione del Salmo 118/(117) sulla pietra scartata dai costruttori: Proprio questa pietra è diventata testata d’angolo (cioè la pietra angolare) (cfr.Ps 118,22).
 
Crisostomo Giovanni (Comment. in Matth., 27, 1): Fattosi sera, gli condussero molti indemoniati, ed egli con una parola scacciò gli spiriti e guarì i malati, affinché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie” (Mt 8,16-17; Is 53,4). Notate come è cresciuta ormai la fede della moltitudine. Non si rassegnano infatti ad andarsene, nonostante l’incalzare del tempo, né ritengono inopportuno condurre a Cristo i loro malati di sera. Vi prego inoltre di considerare quale numero di persone risanate gli evangelisti qui sorvolano, senza menzionare e raccontare i dettagli di ogni guarigione. Con pochissime parole infatti essi passano sopra un mare infinito di miracoli.

O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 31 Agosto 2021

 Martedì XXII Settimana T. O.

  1Ts 5,1-6.9-11; Sal 26 (27); Lc 4,31-37

 
Il Santo del Giorno - 31 Agosto 2021 -  Sant’Aidano di Lindisfarne Vescovo - Di Aidano ci è giunta una descrizione a opera del monaco anglosassone Beda il Venerabile, che nacque 20 anni dopo la sua morte. È sconosciuto il luogo e la data di nascita di Aidano, ma si crede che fosse irlandese. Nel 635 fu nel monastero di Iona nell’omonima isola e centro missionario dell’epoca. In quell’anno il re di Northumbria, Oswald desideroso di diffondere il cristianesimo nel suo regno, si rivolse all’abate di Iona, dove era stato convertito e battezzato, affinché mandasse un missionario. Dopo il fallimento del vescovo Cormano, fu mandato lo stesso Aidano, che intanto era stato consacrato vescovo missionario. Accolto dal re Oswald gli concesse l’isola di Lindsfarne nel Mare del Nord per fondarvi un monastero e una sede episcopale. Aidano ebbe un aiuto costante da parte del re Oswald e quando questi morì nel 642, il successore Oswin, continuò ad appoggiarlo nella sua opera di apostolato missionario. Undici giorni dopo la morte del re Oswin assassinato, anche Aidano morì a Bambourgh il 31 agosto 651 e sepolto nel suo monastero. (Avvenire)  
 
Colletta: Dio onnipotente, unica fonte di ogni dono perfetto, infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome, accresci la nostra dedizione a te, fa’ maturare ogni germe di bene e custodiscilo con vigile cura. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Udienza Generale 1986): n. 8: Secondo la Sacra Scrittura, e specialmente il Nuovo Testamento, il dominio e l’influsso di satana e degli altri spiriti maligni abbraccia tutto il mondo. Pensiamo alla parabola di Cristo sul campo (che è il mondo), sul buon seme e su quello non buono che il diavolo semina in mezzo al grano cercando di strappare dai cuori quel bene che in essi è stato “seminato” (cf. Mt 13,38-39). Pensiamo alle numerose esortazioni alla vigilanza (cf. Mt 26,41; 1Pt 5,8), alla preghiera e al digiuno (cf. Mt 17,21). Pensiamo a quella forte affermazione del Signore: “Questa specie di demoni in nessun altro modo si può scacciare se non con la preghiera” (Mc 9,29). L’azione di satana consiste prima di tutto nel tentare gli uomini al male, influendo sulla loro immaginazione e sulle loro facoltà superiori per volgerle in direzione contraria alla legge di Dio. Satana mette alla prova persino Gesù (cf. Lc 4,3-13), nel tentativo estremo di contrastare le esigenze dell’economia della salvezza così come Dio l’ha preordinata.
Non è escluso che in certi casi lo spirito maligno si spinga anche ad esercitare il suo influsso non solo sulle cose materiali, ma anche sul corpo dell’uomo, per cui si parla di “possessioni diaboliche” (cf. Mc 5,2-9). Non è sempre facile discernere ciò che di preternaturale avviene in questi casi, né la Chiesa accondiscende o asseconda facilmente la tendenza ad attribuire molti fatti a interventi diretti del demonio; ma in linea di principio non si può negare che nella sua volontà di nuocere e di condurre al male, satana possa giungere a questa estrema manifestazione della sua superiorità.
n. 9: Dobbiamo infine aggiungere che le impressionanti parole dell’apostolo Giovanni: “Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19), alludono anche alla presenza di satana nella storia dell’umanità, una presenza che si acuisce man mano che l’uomo e la società si allontanano da Dio.
 
I Lettura: Grande è la misericordia di Dio, ma non è a buon mercato. La salvezza è dono di Dio, ma anche da parte dell’uomo vi deve essere un sostanzioso contributo fatto di ascesi, di vigilanza. Una vita vissuta come veraci figli della luce, e non sotto il nebuloso cielo del peccato che addormenta le coscienze e accende le passioni.
 
Vangelo: Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro: così il giudaismo chiamava i demoni, estranei e anzi ostili alla purità religiosa e morale che esige il servizio di Dio. Omicida fin da principio (Gv 8,44), Satana è colui che si mette di traverso per rovinare l’uomo e alienarlo da Dio, ma non può resistere alla potenza di Dio, deve retrocedere dinanzi all’autorità del Cristo. Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!: magnifica professione di fede. Poiché Dio è il «santo» per eccellenza, tutto ciò che si ricollega a lui è santo, e in primo luogo Gesù, che gli appartiene per la filiazione divina e l’elezione messianica.
 
Dal Vangelo secondo Luca 4,31-37:  Dal Vangelo secondo  Luca 4,31-37: In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Gesù predica a Cafarnao (4,31-32) Dopo la visita di Gesù a Nazaret, Luca riprende la trama di Marco, ma tralasciando il racconto della chiamata dei primi quattro discepoli, che riporterà dopo un congruo periodo del suo ministero pubblico (5,1-11).
Per recarsi da Nazaret a Cafarnao, lontana 40 km circa, bisogna discendere: il lago di Tiberiade, sulla cui sponda sorgeva Cafarnao, si trova a 212 m sotto il livello del mare. Anche Luca, come Marco, segnala un prolungato periodo di insegnamento a Cafarnao, il domicilio abituale di Gesù nella prima fase del ministero.
Egli insegnava nella sinagoga, in occasione della liturgia del sabato. L’evangelista sottolinea lo stupore degli uditori per l’autorevolezza del suo insegnamento, dal quale traspariva una potenza divina (exousia). Luca tralascia il confronto con l’insegnamento degli scribi, che non è noto ai suoi lettori.
Guarigione di un indemoniato (4,33-37) Luca segue quasi letteralmente il testo di Marco per il racconto di questo primo esorcismo compiuto da Gesù. II «più forte» (3,16) inizia la lotta contro Satana, che aveva già respinto nel deserto. Il demonio conosceva l’identità messianica di Gesù: «So chi sei tu, il Santo di Dio» (4,34). Ma questi gli impose silenzio con un comando perentorio, manifestando così la sua superiorità.
Luca non dà particolare rilievo al tema del «segreto messianico». Sottolinea piuttosto l’autorità di Gesù, annotando come il demonio scaraventò nel mezzo l’uomo posseduto, ma senza potergli nuocere. L’evangelista distingue meglio di Marco (1,27) l’insegnamento di Gesù dalla sua azione, i detti dai fatti (cf. At l,1).
Sopra aveva parlato della parola con autorità (v. 32) in riferimento all’insegnamento di Gesù; ora attribuisce tale exousia alla sua parola taumaturgica, con cui comandava agli spiriti immondi negli esorcismi. Comunque, si tratta sempre dellefficacia della parola liberatrice di Gesù, nella quale agiva la forza dello Spirito.
 
Taci! Esci da lui! - Per un approfondimento del racconto evangelico si può fare ricorso al Magistero della Chiesa. L’uomo, incapace di superare efficacemente da sé gli assalti del male, è come se fosse incatenato (Cf. GS 13). Questa estrema povertà è il frutto amaro del peccato originale, in conseguenza del quale «il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimane libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 407).
Per cui ignorare che l’uomo «ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (ibidem).
Sempre per il Catechismo, le «conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni “il peccato del mondo” [Gv 1,29]. Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini» (408). Ecco perché è necessario aprirsi a Cristo che con la sua morte e risurrezione ha liberato l’uomo dal potere di Satana, sottraendolo alla sua schiavitù: «Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita, e in lui Dio ci ha riconciliato con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’apostolo: il Figlio di Dio “ha amato me e ha sacrificato se stesso per me” [Gal 2,20]» (GS 22).
Una liberazione già in atto, ma che si farà piena soltanto quando il Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,24).
Ecco perché oggi «tutta  la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (GS 13). Così come tutta «intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno» (GS 37).
L’uomo inserito in questa battaglia «deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 33).
Per stare saldi contro gli assalti del demonio si può fare ricorso all’autorità della Parola di Dio. Per esempio Ef 6,10-18, con dovizia di particolari, enumera le varie armi che compongono l’armatura spirituale necessaria a rintuzzare gli assalti di Satana. Ma potrebbe servire il monito di Friedrich Wilhelm Nietzsche rivolto all’uomo: «Diventa ciò che sei». E l’uomo non è un animale. L’uomo è immagine di Dio (Cf. Gen 1,27), trono della sua gloria, tempio della santa Trinità creato «per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e mediante questo salvare l’anima sua» (Ignazio di Loyola).
Chi ha il coraggio di essere uomo, e di vivere come tale, ha già vinto Satana!
 
Taci! Esci da lui!: Benedetto XVI (Angelus, 1 febbraio 2009): Gesù non solo scaccia i demoni dalle persone, liberandole dalla peggiore schiavitù, ma impedisce ai demoni stessi di rivelare la sua identità. Ed insiste su questo “segreto” perché è in gioco la riuscita della sua stessa missione, da cui dipende la nostra salvezza. Sa infatti che per liberare l’umanità dal dominio del peccato, Egli dovrà essere sacrificato sulla croce come vero Agnello pasquale. Il diavolo, da parte sua, cerca di distoglierlo per dirottarlo invece verso la logica umana di un Messia potente e pieno di successo. La croce di Cristo sarà la rovina del demonio, ed è per questo che Gesù non smette di insegnare ai suoi discepoli che per entrare nella sua gloria deve patire molto, essere rifiutato, condannato e crocifisso (cfr. Lc 24,26), essendo la sofferenza parte integrante della sua missione.
 
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro - Il peccato degli angeli - Giovanni Damasceno, De fide orthod., 2, 4: Tra le angeliche virtù il primo angelo dell’ordine terrestre, cui era stata affidata la cura della terra, pur essendo buono per natura e causa di bene e creato senza nessuna impronta di malizia, non tollerando più lo splendore che aveva ricevuto per libera donazione del Creatore, da ciò che era in armonia con la sua natura, si rivolse a ciò che era contro la sua natura, e si oppose al suo Creatore; così per primo si allontanò dal bene e da buono divenne cattivo. Poiché il male non è altro se non la mancanza di un bene, come le tenebre non sono altro che la mancanza di luce. Il bene è una luce spirituale e il male è un buio spirituale. Lui ch’era stato fatto luce dal Creatore e buono - Dio “guardò tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone” (Gen 1,31) - di sua spontanea volontà si fece tenebre. Con lui si ribellò tutta la moltitudine innumerevole di angeli ch’era sotto di lui. Pur essendo, dunque, della stessa natura di tutti gli altri angeli, per propria scelta, divennero cattivi e di loro spontanea volontà si piegarono al male.
 
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
30 AGOSTO 2021
 
LUNEDÌ DELLA XXII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
1Ts 4,13-18; Sal 95 (96); Lc 4,16-30
 
Il Santo del Giorno - 30 Agosto 2021 - Beato Alfredo Ildefonso Schuster Cardinale, Vescovo: Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, divenne monaco esemplare e, il 19 marzo 1904, venne ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione cassinese, poi priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura. L’amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di san Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l’archeologia, l’arte sacra, la storia monastica e liturgica. Il 15 luglio1929 fu creato cardinale da papa Pio XI e il 21 luglio fu consacrato arcivescovo di Milano nella suggestiva cornice della Cappella Sistina. Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa ambrosiana fino al 30 agosto 1954, data della sua morte, avvenuta presso il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un’abbazia in cima ad un colle. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996. (Avvenire)  
 
Colletta: Dio onnipotente, unica fonte di ogni dono perfetto, infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome, accresci la nostra dedizione a te, fa’ maturare ogni germe di bene e custodiscilo con vigile cura. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La fede è speranza - Spe salvi n. 2: «Speranza», di fatto, è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole «fede» e «speranza» sembrano interscambiabili. Così la Lettera agli Ebrei lega strettamente alla « pienezza della fede » (10,22) la « immutabile professione della speranza » (10,23). Anche quando la Prima Lettera di Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il logos – il senso e la ragione – della loro speranza (cfr 3,15), «speranza» è l’equivalente di «fede». Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l’aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l’esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni. Paolo ricorda agli Efesini come, prima del loro incontro con Cristo, fossero «senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2,12). Naturalmente egli sa che essi avevano avuto degli dèi, che avevano avuto una religione, ma i loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano «senza Dio» e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. «In nihil ab nihilo quam cito recidimus » (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo) dice un epitaffio di quell’epoca – parole nelle quali appare senza mezzi termini ciò a cui Paolo accenna. Nello stesso senso egli dice ai Tessalonicesi: Voi non dovete «affliggervi come gli altri che non hanno speranza» (1Ts 4,13). Anche qui compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una «buona notizia» – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo «informativo», ma «performativo ». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova.
 
I Lettura: La catechesi paolina sulla morte poggia su tre punti: a) di fronte alla morte il cristiano non si affligge come coloro «che non hanno speranza»; b) se i cristiani credono che Cristo è risorto, devono pure credere che i morti risorgeranno e saranno per «sempre con il Signore»; c) alla venuta gloriosa di Gesù tutti i credenti si ritroveranno insieme per andare incontro al Signore, e così saranno sempre con Lui.
Essere per sempre con Gesù, “vivere sempre con lui [cf. 1Ts 4,14; 5,10; 2Ts 2,1]”, in questo “consiste la salvezza, la gloria, il regno che Gesù concede a quelli che ha eletti [1Ts 2,12]” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo: Gesù è Nazaret dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entra nella sinagoga e si alzò a leggere. Ma la sua “sapienza” non suscita accoglienza ma scandalo. I Nazareni lo conoscono da sempre, e così conoscono i suoi parenti, e di conseguenza si sarebbero aspettati meno “cultura”, meno “sapienza”: gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?», i soliti pregiudizi che sbarrano la via della salvezza. Ai Nazareni scettici Gesù risponde che di solito i profeti sono disprezzati dai loro compatrioti mentre riscuotono onori dagli estranei ai quali spesso il Signore li invia, come nel caso della vedova di Serepta e di Naaman il Siro. Questo dire suscita ira, rabbia e soltanto perché impediti dai meno focosi, o forse anche perché soggiogati dalla impossibilitò straordinaria di Gesù, i Nazareni non giungono a macchiarsi dell’uccisione del loro conterraneo che non metterà più piede nella sua patria incredula. Scenderà a Cafarnao e vi prenderà dimora, nella casa di Simone il pescatore.
 
Dal Vangelo secondo Lc 4,16-30: In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi a proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Questa Scrittura oggi si è adempiuta - Subito dopo aver superato le tentazioni nel deserto (Cf. Lc 4,1-13), Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo. Gesù inizia il suo ministero in Galilea pieno di Spirito Santo, che è il protagonista della intera opera lucana. Non a caso il Libro degli Atti degli Apostoli è stato chiamato il Vangelo dello Spirito Santo.
Nazaret, il villaggio dove Gesù «era cresciuto» (Lc 4,16), non è menzionata né dallo storico Giuseppe Flavio, né nel Talmud. San Girolamo nel V secolo affermava che fosse un viculus ovvero un piccolo villaggio, abitato da un centinaio di persone. A Nazaret l’angelo del Signore aveva annunciato alla vergine Maria la nascita del Figlio dell’Altissimo, il Salvatore del mondo (Cf. Lc 1,32.35).
Gesù, come tutti gli Ebrei, amava frequentare la sinagoga che è l’edificio in cui gli Israeliti si radunavano per pregare, per leggere e per studiare la Legge. Il decano degli anziani, il quale era incaricato della celebrazione, a volte invitava qualcuno dei presenti a predicare. Fu così che Gesù venne invitato a leggere il profeta Isaia.
Il brano che Gesù legge è tratto dal libro di Isaia (61,1ss) dove il profeta, da parte di Dio, annunzia un messaggio di consolazione al popolo d’Israele. Ma in verità il testo isaiano non era scritto sul rotolo perché è frutto del lavoro redazionale di Luca che ha fuso insieme Is 61,1-2 e 58,6.
Lo Spirito del Signore... mi ha mandato... a proclamare l’anno di grazia del Signore. Il giubileo, prescritto ogni cinquanta anni (Cf. Lv 25,10), era stato istituito per donare la libertà agli schiavi e la restituzione dei beni patrimoniali.
L’anno di grazia, «con cui termina questa profezia, non è altro che il tempo di perdono che Dio accorda a quanti gli si accostano con sentimenti di umiltà e di povertà, il tempo della pace, nel senso più vasto del termine: la pace di Dio, intesa come suo dono amoroso; la pace di Dio, intesa come bene atteso dall’alto; la pace con Dio, intesa come riconciliazione col suo amore» (Carlo Ghidelli).
Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato. In Gesù questa Scrittura si compie perfettamente, ma in una dimensione molto più ampia in quanto raggiunge l’uomo nella sua totalità. I destinatari di questa Buona Novella sono i poveri, cioè gli umili, i deboli, i piccoli e i contriti di cuore che da sempre, per la loro obbedienza alla volontà di Dio, hanno attirato sulla terra lo sguardo benevolo del Padre fino a costringerlo amorevolmente a mandare il Verbo, la cui «incarnazione costituisce l’attestato più eloquente della sua premura nei confronti degli uomini» (Teodereto di Ciro).
In Gesù di Nazaret il Padre compie il suo progetto di salvezza e il suo compimento non è una resa di conti, ma è gioia, festa: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Ne 8,10; Cf. I Lettura). Il Vangelo, che sostanzialmente è una buona notizia, quando è veramente compreso, rallegra il cuore di chi lo accoglie, e porta a condividere questa gioia: chi è contento desidera che anche gli altri lo siano.
La profezia si è compiuta in Gesù e la sua stessa presenza rappresenta «l’oggi della salvezza, il compimento della Scrittura appena letta. Gesù con la sua parola non annunziava soltanto, ma attuava la salvezza divina, contenuta nelle promesse profetiche... La parola di Gesù diventa evento salvifico, vivo, attuale» (Angelico Poppi). Quella di Gesù è un’affermazione che dovrebbe far sognare ad occhi aperti tutti gli uomini: un sogno che diventerà realtà quando finalmente l’umanità, varcata la soglia della vita terrena, per essa si spalancheranno per sempre le porte della casa del Padre.
 
Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti - Helen Schüngel: Vita e morte non vanno viste nell’A. T. come contrapposione che si escludono a vicenda: la tranquilla morte di vecchiaia nella cerchia dei figli e nipoti fa parte integrante della vita promessa da Dio (Gen 15,15). In contrapposizione alla vita stanno tuttavia la morte prematura e la morte violenta, o il morire senza lasciare una discendenza (2 Sam 3,33s). Mentre JHWH è l’unico signore della vita e l’uomo, perciò, non ha mai il diritto di spargere sangue, di JHWH non si può dire che egli sia il signore della morte L’ambito della morte non appartiene a JHWH, i morti sono lontani da lui (cf. Sal 88), JHWH non li ascolta. Ma anche tutti coloro che non ubbidiscono alla Legge, rompendo così 1’alleanza, non appartengono alla vita, ma alla morte: la Legge è la vita e la benedizione, la disubbidienza è già m. e maledizione (cf. Dt 30,15ss).
b) Nel NT la morte è la potenza che pone fine a questa vita e pone in uno stato di assoluta impotenza e nullità perché essa separa temporaneamente o per sempre da Dio creatore. Manca un’ulteriore riflessione teologica: la morte viene accettata come l’esperienza più universale e più indiscutibile e intesa come la fine totale - visibile nella decomposizione - dell’esistenza legata al corpo dell’uomo; al N. T. è estranea un’immortalità naturale dell’anima. Gesù (Mt 9,24 par; Lc 7,12ss; Gv 11,44) e gli apostoli (At 9,40; 20,10; Mt 10,8) hanno allungato la vita di defunti ridestandoli dalla morte senza annullare la mortalità. Questi segni anticipatori culminano nella  risurrezione di Gesù, che manifesta il potere della morte come non definitivo, ma limitato e dominato dalla potenza creatrice di Dio.
 
Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato - Origene , In Luc., 32, 2-6: Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea gli occhi vostri possono fissare il Salvatore. Quando voi riuscite a rivolgere lo sguardo più profondo del vostro cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i vostri occhi vedranno Gesù. Felice assemblea quella di cui la Scrittura testimonia che «gli occhi di tutti erano fissi in lui». Come desidererei che questa nostra assemblea potesse ricevere una simile testimonianza, cioè che tutti voi, catecumeni e fedeli donne, uomini e fanciulli aveste gli occhi, non gli occhi del corpo ma quelli dell’anima, rivolti a guardare Gesù! Quando voi vi volgerete verso di lui, dalla sua luce e dal suo volto i vostri volti saranno fatti più chiari, e potrete dire: “Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore (Sal 4,7), “cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (1Pt 4,11).
  
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 Agosto 2021

 XXII Domenica T. O.

 Dt 4,1-2.6-8; Sal 14 (15); Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Il Santo del Giorno - 29 Agosto - Sant’Alberico Monaco Camaldolose: Vissuto nella prima metà del XI secolo, Alberico apparteneva a una nobile famiglia di Ravenna. Da giovane si votò a una vita eremitica fatta di rigorosa penitenza, preghiera e contemplazione, dimorando a Valle Sant’Anastasio presso San Marino. Poi visse nell’eremo di Ocri, in diocesi di Cesena-Sarsina, eretto da san Pier Damiani, e da qui passò a condurre una vita ascetica in una località detta Balze, situata in una gola sul Monte Fumaiolo. Appartenente all’Ordine camaldolese, morì intorno al 1050. L’eremo che prese il nome di «Celle di Sant’Alberico» fu abitato dagli eremiti camaldolesi. Il santo è invocato dai pellegrini che salgono all’eremo contro le malattie addominali e le ernie dei bambini. La prima memoria certa del suo culto risale al 1300 quando, nel timore che i fiorentini potessero impossessarsi del corpo, fu trasferito nella chiesa dell’abbazia benedettina di Valle Sant’Anastasio. Casualmente ritrovato nel 1640, fu collocato in un nuovo altare dedicato al santo dove si trova tuttora. (Avvenire)

Colletta:  O Padre, che sei vicino al tuo popolo ogni volta che ti invoca, fa’ che la tua parola seminata in noi purifichi i nostri cuori e giovi alla salvezza del mondo. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente: Veritatis splendor 44: L’uomo può riconoscere il bene e il male grazie a quel discernimento del bene dal male che egli stesso opera mediante la sua ragione, in particolare mediante la sua ragione illuminata dalla rivelazione divina e dalla fede, in forza della legge che Dio ha donato al popolo eletto, a cominciare dai comandamenti del Sinai. Israele è stato chiamato a ricevere e a vivere la legge di Dio come particolare dono e segno dell’elezione e dell’Alleanza divina, ed insieme come garanzia della benedizione di Dio. così Mosè poteva rivolgersi ai figli di Israele e chiedere loro: “Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste, come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?” (Dt 4,7-8). È nei Salmi che incontriamo i sentimenti di lode, gratitudine e venerazione che il popolo eletto è chiamato a nutrire verso la legge di Dio, insieme all’esortazione a conoscerla, meditarla e tradurla nella vita: “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1,1-2); “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi” (Sal 19,8-9 [18],8-9).

I Lettura: Il testo contiene due raccomandazioni: quella di accogliere e di mettere in pratica «le leggi e le norme» che Dio dona per la vita del suo popolo e quella di non aggiungere e nulla togliere riguardo a quei comandi del Signore per non incorrere nella maledizione divina. Raccomandazione molto diffusa per quei tempi (cfr. Ap 22,18-19). L’autore esprime anche il sentimento di fierezza che gli Ebrei hanno sempre avvertito, per essere stati i depositari e i custodi della rivelazione mosaica. Mentre le altre tradizioni del Pentateuco «sottolineano la distanza che separa Dio dall’uomo [cfr. Es 33,20], il Deuteronomio insiste sulla condiscendenza che rende Dio vicino al suo popolo: egli abita in mezzo ad esso [Dt 12,5]. Il medesimo spirito deuteronomista si trova espresso nel racconto della dedicazione del tempio [1Re 8,10-29]. Si ritrova questo pensiero in Ez 48,35. L’ultima parola sarà detta dal NT [Gv 1,14]» (Bibbia di Gerusalemme).

II Lettura: Giacomo mirabilmente mette in luce la vera religiosità cristiana, quella che egli chiama «religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre». Tale religiosità pura e senza macchia consta di due elementi: l’apertura verso i deboli e gli indifesi (orfani e vedove, le categorie sociali più bistrattate); il distacco dal mondo ingannevole e passeggero, il che vuol dire «intestardirsi» a cercare «le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio»; a pensare «alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2).

Vangelo: Le norme di purità che gli Ebrei ritenevano di dover osservare prima di prestare il culto liturgico a Dio si differenziavano tra cose, persone, creature, azioni pure e impure. Chi veniva a contatto con ciò che era considerato impuro doveva purificarsi, prima di entrare in contatto con Dio. Per la Bibbia di Gerusalemme, «i rabbini facevano risalire la tradizione orale, attraverso gli “anziani”, a Mosè ...  A proposito dell’impurità delle mani, obiettata dai Farisei, Gesù prende in considerazione la questione più generale dell’impurità attribuita dalla legge a certi alimenti [Lev 11] e insegna a posporre l’impurità legale a quella morale, la sola che importa veramente ([cf. At 10,9-16; 10,28 ...]».

Dal Vangelo secondo Marco 7,1-8.14-15.21-23: In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate
la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Discussione sulle tradizioni farisaiche - Ai tempi di Gesù, i Farisei e gli scribi erano considerati i fedeli custodi della tradizione scritta ed orale per cui la loro autorità era indiscussa. Ma la tradizione orale, il cui scopo era quello di esplicitare quella scritta e così alleggerirla, in verità la rendeva insopportabile, a volte, anche per le stesse guide spirituali tanto che spesso, con mille sotterfugi, arrivavano intenzionalmente a trasgredirla: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,3).
Il tema della discussione è quello del «lavarsi le mani» che non era un norma igienica, ma una prescrizione rituale della purificazione secondo la «tradizione degli antichi».
I tutori della legge consideravano Gesù e i suoi discepoli, a motivo del loro atteggiamento insubordinato, sovvertitori della legge e questo per la nazione intera poteva avere conseguenze inimmaginabili (Gv 11,48). La loro disubbidienza, poi, era sotto gli occhi di tutti; quindi, era urgente fermarli prima che fosse troppo tardi. Così si capisce perché la «casa madre», Gerusalemme, si premura di inviare a Genèsaret alcuni esperti della legge.
Sotto il rimprovero capzioso rivolto a Gesù, si può cogliere quella mentalità dura a morire la quale nasceva dalla considerazione che la legge, e sopra tutto la sua osservanza, bastava a giustificare il Giudeo: chi non osservava la legge era gente dannata (Gv 7,49), tagliata fuori dal progetto salvifico. Gesù, agli occhi dei Farisei, non soltanto sovvertiva la tradizione degli antichi, ma fuorviava il popolo introducendolo in sentieri che lo avrebbe portato molto lontano dalla salvezza. Accuse quindi molto pesanti che andavano al di là della banalità di lavarsi le mani prima di prendere cibo.
Gesù innanzi tutto si rifà agli insegnamenti dei Profeti in eterno conflitto con il potere deviante dei governanti e con il posticcio culto che la nazione rendeva a Dio. I re, sovente idolatri, sguazzavano nella melma della sensualità (Sir 47,19) e non si facevano scrupolo di ammazzare pur di possedere la donna oggetto delle loro brame (2Sam 11,1-27).
Il popolo da par suo era abilissimo nell’emulare le sue guide: da una parte l’incenso e dall’altra una vita scellerata (Is 1,11-13); da una parte le preghiere nel tempio e dall’altra parte le mani lorde di sangue fraterno (Is 1,15); da una parte l’osservanza del Sabato e dall’altra la bramosia che tutto passasse in fretta perché si potesse riprendere a vendere rubando e truffando sul peso (Amos 8,5-6).
La risposta di Gesù è molto aspra, la sua è infatti una controaccusa: i toni sono forti perché Egli sta rimproverando gente molto abile nell’eludere i comandamenti di Dio contrapponendovi la tradizione umana (Mc 7,9) e molto brava da apparire «giusti all’esterno davanti agli uomini» (Mt 23,28).
Per cui Gesù senza mezzi termini li taccia di ipocrisia: il termine hipokrites descrive gli attori con il volto nascosto da una maschera.
In questa prima discussione Gesù non coinvolge il popolo, si rivolge solo ai Farisei e agli scribi perché tecnicamente capaci di comprendere il suo linguaggio. Poi chiama la folla e qui il discorso ha la forma di didascalia, cioè di insegnamento; un insegnamento rivolto a tutti, discepoli e no, e che da tutti doveva essere ritenuto. Gesù non è un rivoluzionario: la legge va osservata anche nei più piccoli particolari perché lui non è venuto per abolirla, ma per renderla perfetta (Mt 5,17-19).
È un invito a guardarsi dentro: la creazione di per sé è buona e c’è un solo tipo di impurità che allontana l’uomo da Dio ed è quella che scaturisce dal suo cuore, cioè dai pensieri e dalle intenzioni. È l’uomo, se non ha un cuore puro, a rendere impure anche le cose buone. E poi, ora, nella pienezza del tempo, non è la legge e la sua osservanza a giustificare l’uomo, ma la fede in Cristo (Rom 5,1s).

L’obbedienza della fede al volere di Dio - P. Angelico Poppi o.f.m.conv.: La Legge di Dio non si oppone alla libertà ma consente alluomo di realizzare le aspirazioni più profonde del suo spirito. Gli uomini del nostro tempo sono consapevoli della dignità della persona umana, fondata su una «percezione particolarmente viva della libertà» (Veritatis splendor, n. 31). Ora, «la vera libertà è nelluomo segno altissimo dellimmagine divina», che permette alluomo di cercare spontaneamente il suo Creatore e giungere «liberamente, con ladesione a lui, alla piena e beata perfezione» (Gaudium et spes 17). Dio è nostro Padre  vuole soltanto il nostro bene. Quindi laccoglienza e losservanza fedele della sua Parola rappresentano un atto di intelligenza, perché garantiscono il conseguimento dei beni promessi, che consistono essenzialmente nella salvezza eterna con la partecipazione futura della vita divina. Come suggerisce Paolo (Rm 1,5), si tratta dellapertura delluomo al progetto salvifico di Dio attuato in Cristo (= «obbedienza alla fede»). Come ha rivelato Gesù con il suo insegnamento e la sua vita, la vera libertà «si realizza nell amore , cioè nel dono di sé ... Gesù è la sintesi viva e personale della perfetta libertà nellobbedienza totale alla volontà di Dio: la sua carne crocifissa è la piena rivelazione del vincolo indissolubile tra libertà e verità» (Veritatis splendor, n. 87). Il tratto evangelico deve premunirci da una falsa religiosità nellosservanza dei comandamenti di Dio. Gesù rimprovera ai farisei la pratica esteriore della legge, che si riduceva a vuoto formalismo. Con il pretesto duna scrupolosa osservanza dei precetti divini calpestavano i diritti del prossimo, trascurando il comandamento essenziale dellamore.

Alberto Magno (In ev. Marc. VII): Non c’è niente che possa contaminare l’uomo entrando in lui dall’esterno...: qui si parla della contaminazione dell’anima... che non avviene a causa del cibo, ma dell’inosservanza degli insegnamenti divini, come anche Adamo fu reso impuro non dal cibo, ma dalla disobbedienza, e rese noi tutti impuri.

O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.