1 Luglio 2021
 
Giovedì XIII Settimana T. O.
 
Gen 22,1-19; Sal 114 (115); Mt 9,1-8
 
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2021 - Beato Giovanni Battista Duverneuil Sacerdote carmelitano scalzo, martire: Tra i cinquecentoquarantasette sacerdoti e religiosi francesi che, per essersi rifiutati di giurare sulla Costituzione Civile del Clero, erano stati destinati alla deportazione in Guyana, ma rimasero bloccati in due navi ancorate nella rada di Rochefort, c’erano almeno tre Carmelitani Scalzi. Uno di essi era padre Leonardo, al secolo Jean-Baptiste Duverneuil, del convento di Angoulême. Nel Proprio dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, è riportato l’8 gennaio 1759 come sua data di nascita; la città d’origine, invece, era Limoges. Gli altri due erano padre Michele Luigi e padre Uberto di San Claudio. Padre Leonardo era stato caricato sulla nave «Les Deux Associés», dove affrontò gli stenti, gli scherni dell’equipaggio e le scarse condizioni igieniche e sanitarie, insieme ai suoi compagni di prigionia. In particolare, secondo la testimonianza di uno dei sopravvissuti, «Non c’erano né minacce, né pericoli che potessero legargli la lingua e impedirgli di riprendere con forza i bestemmiatori, qualunque fosse l’autorità di cui erano rivestiti, e il potere che avessero di punirlo della sua libertà». Morì il 1° luglio 1794, consumato dalla malattia, probabilmente tifo, che imperversava sulla nave. Venne sepolto sull’isola di Aix, dove venivano fatti sbarcare i moribondi. Padre Leonardo, padre Michele Luigi e padre Uberto di San Claudio furono beatificati dal Papa san Giovanni Paolo II il 1° ottobre 1995, compresi in un elenco di sessantaquattro sacerdoti e religiosi, i soli, fra i cinquecentoquarantasette deceduti a Rochefort, di cui si era potuta reperire sufficiente documentazione. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade, anche per l’Ordine dei Carmelitani Scalzi, il 18 agosto. (Autore: Emilia Flocchini)
 
Colletta: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II: [...] mediante i “miracoli, prodigi e segni” che ha compiuto, Gesù Cristo ha manifestato il suo potere di salvare l’uomo dal male che minaccia l’anima immortale e la sua vocazione all’unione con Dio.
È ciò che si rivela in modo particolare nella guarigione del paralitico di Cafarnao. Le persone che l’hanno portato, non riuscendo ad entrare attraverso la porta nella casa in cui Gesù insegna, calano il malato attraverso un’apertura del tetto, così che il poveretto viene a trovarsi ai piedi del Maestro. “Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: ‘Figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati’”. Queste parole suscitano in alcuni dei presenti il sospetto di bestemmia: “Costui bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Quasi in risposta a quelli che avevano pensato così, Gesù si rivolge ai presenti con le parole: “Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti” (cf. Mc 2, 1-12 e anche Mt 9, 1-8; Lc 5, 18-26; Lc 5, 25).
Gesù stesso spiega in questo caso che il miracolo di guarigione del paralitico è segno del potere salvifico per cui egli rimette i peccati. Gesù compie questo segno per manifestare di essere venuto come Salvatore del mondo, che ha come compito principale quello di liberare l’uomo dal male spirituale, il male che separa l’uomo da Dio e impedisce la salvezza in Dio, qual è appunto il peccato..
 
I Lettura: Abramo avrà paventato il crollo di tutte le promesse: l’alleanza, la promessa, il dono della terra, il dono della discendenza. Ma è solo una prova e Abramo, con la sua fede, la supera diventando modello di obbedienza per tutti i credenti.
 
Vangelo: Il paralitico e coloro che lo portano chiedono a Gesù la guarigione del corpo perché attratti dalla sua misericordia usata nei confronti dei malati e degli ossessi. Gesù dona al paralitico la salute fisica e contemporaneamente il perdono dei peccati, ma non dobbiamo credere che quel paralitico fosse più peccatore che malato: Gesù «fa intendere che in quell’uomo si sono rese evidenti in modo particolare le conseguenze di quella separazione tra Dio e uomo nella quale risiede la radice del male. Gesù richiama i presenti a questa considerazione affinché non si fermino alla esteriorità del miracolo. E ai versi 10-11 “affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati... ti ordino... alzati” chiarisce la verità opposta, cioè che il perdono non resta mai un fatto puramente interiore, psicologico, ma riconduce anche l’aspetto corporale dell’uomo sotto la sovranità di Dio» (P. Antonio Di Masi).
 
Dal  Vangelo secondo Matteo 9,1-8: In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati». Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico -, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua. Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 1-2 Data la concisione del testo di Mt, viene trascurata la presenza della folla assiepata dinanzi alla casa, nella quale era ospitato Gesù; inoltre è omessa la scena dei quattro portatori, che calarono il paralitico dal tetto sfondato (cf. Mc. 2,1-4). Si ha l’impressione che il miracolo avvenga lungo una via della sua città, cioè di Cafarnao (cf. v, 9). L’evangelista concentra l’attenzione del lettore unicamente sulla parola stupefacente di Gesù, connessa con la fede dei presenti. I dettagli sono omessi, perché considerati ingombranti e secondari rispetto al messaggio salvifico del Cristo.
Tuttavia all’appellativo «figlio» Mt aggiunge coraggio, che ha lo scopo di rinforzare nel paralitico la fiducia nella guarigione. Il passivo nell’espressione ti sono rimessi indica come agente Dio.
v. 4 I pensieri che salgono nel cuore degli scribi sono definiti in Mt malvagi (ponèrà), perché provenienti dal Maligno (ponèràs), l’avversario di Cristo.
v. 8 Soltanto alla fine del racconto sono menzionate le folle, che conferi cono una dimensione ecclesiale all’episodio. Esse sono prese da un timore sacro, una reazione positiva provocata dalla costatazione dell’exousia concessa da Dio agli uomini. Il potere accordato a Gesù sarà da lui trasmesso anche ai suoi discepoli, che ne prolungheranno la missione con il perdono dei peccati (cf. 18,18).

Allora alcuni scribi: Gli scribi dal popolo erano onorati e stimati, ma Gesù rimprovererà talvolta la loro condotta indegna, il formalismo e l’ipocrisia per la quale vengono equiparati ai farisei (Mt 23,1-39). Comunque, la gente riusciva a cogliere la differenza fra l’insegnamento degli scribi e quello di Gesù (Mt 7,29). Ben presto gli scribi si unirono ai sadducei e ai farisei, naturali e acerrimi nemici, per mettere Gesù in difficoltà ponendogli domande imbarazzanti su questioni centrali, quali l’importanza dei comandamenti della Legge (Mc 12,28-34). Essi si spinsero fino a chiedergli un segno (Mt 12,38) e si scandalizzarono delle libertà che Gesù si prendeva rispetto alle usanze imposte dalla Legge mosaica: i suoi discepoli non facevano le abluzioni rituali (Mt 15,1-2), ed egli stesso consumava i suoi pasti in compagnia di pubblicani e peccatori, si permetteva di rimettere i peccati e operava guarigioni in giorno di sabato (Mt 9,1-3; Mc 2,7.16; ecc.). Ai piedi della croce lo scherniranno atrocemente (Mt 27,41). Ci furono però anche scribi che ascoltarono Gesù, sinceramente aperti alle novità del suo insegnamento, e che manifestarono il desiderio di diventare suoi discepoli (Mt 8,18-20). Nel I secolo d.C. saranno i custodi dell’ebraismo dopo la distruzione del Tempio.
 
Costui bestemmia, il giudizio degli scribi era «fondamentalmente giusto, perché il rimettere i peccati è una prerogativa esclusiva di Dio [cfr Es 34,6-8; Sal 103,3; Is 43,25; 44,22]. Ma avevano torto in quanto dall’osservazione dei fatti prodigiosi compiuti da Gesù non avevano saputo risalire alla sorgente divina delle sue facoltà» (Adalberto Sisti, Marco). La tentazione di imprigionare Dio dentro gli oscuri schemi della grettezza umana, di asservirLo alle proprie conoscenze sono purtroppo manovre tentate spesso dai battezzati e anche dagli uomini di Chiesa: è la tentazione dei nostalgici. Gesù con una impietosa operazione chirurgica mette fuori, alla luce del sole, i pensieri occulti degli scribi e anche questa è una prerogativa divina: solo Dio può conoscere i pensieri dell’uomo, solo Lui scruta il cuore degli uomini (Ger 17,9-10). Che cosa è più facile... Il perdono dei peccati è qualcosa che non si può riscontrare, il miracolo sì; ecco perché Gesù per dare prova che il «Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati», sana il paralitico nel corpo. Solo la folla a questo punto applaudisce. È meravigliata non tanto, o non solo, per il miracolo prodigioso, quanto per l’autorità che Gesù rivendica a sé. A Cafarnao Gesù aveva già operato guarigioni, liberazioni di indemoniati meravigliando tutti, ma ora, cosa mai vista, sana un uomo dalla lebbra del peccato dandone la prova certa guarendolo dalla paralisi, per questo motivo la gente stupita, lodando Dio, diceva: «Non abbiamo mai visto nulla di simile» (Mc 2,12). Ma quanta amarezza nel vedere come gli scribi, che avevano le carte in regola per riconoscere tali cose, in verità, per la loro albagia, escono fuori dal coro.
 
Gesù vicino ai peccatori Catechismo degli Adulti 196: Il regno di Dio, più ancora che nei miracoli, si manifesta nel perdono concesso ai peccatori, nella loro rigenerazione come uomini nuovi, ricondotti alla comunione con il Padre e con i fratelli. L’annuncio dei profeti e l’esperienza della preghiera avevano maturato presso il popolo ebraico il senso del peccato e la certezza del perdono di Dio. Ora Gesù indica così il senso della sua missione: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Le persone devote si scandalizzano per il comportamento di Gesù; mormorano, protestano, dicono di lui: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). In realtà Gesù è misericordioso, ma non accomodante. Esige conversione: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); addita come norma la santità di Dio: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Se si intrattiene con i peccatori, lo fa perché sentano di essere amati da Dio, riconoscano il loro peccato, riprendano fiducia e imparino a loro volta ad amare: «“Simone, ho una cosa da dirti... Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”» (Lc 7,40-43).
 
Gesù usa misericordia a chi ha fede: «Se, di fatto, al paralitico che mancava di fede [cfr. Mt 9,2], ma a causa delle fiduciosa speranza dimostrata dai suoi portantini che lo hanno calato dinanzi a Te, nella tua compassione, Tu hai usato misericordia, quanto di più la tua onnipotente parola sarà capace di purificare il mio corpo pieno di infermità, io che verso di Te grido nei sospiri!... Tu sei capace, o Misericordioso, di operare anche qui meraviglie con la tua potenza che è per sempre, dicendo: Sii risollevato dalla rovina della tua anima [cfr. Mc 5,34], oppure: “Ti sono rimessi i tuoi peccati” [Mt 9,2], o ancora: Va’ in pace, sei purificato dai tuoi peccati [cfr. Lc 7,50]» (Gregorio di Narek, Liber orat., 35,1; 73,2).
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 GIUGNO 2021
 
MERCOLEDÌ DELLA XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)
 
Gen 21,5.8-20; Sal 33 (34); Mt 8,28-34
 
Il Santo del Giorno - 30 Giugno 2021 - Sant’Adolfo di Osnabruck Vescovo: Figlio dei conti di Tecklenburg nella Westfalia, nato verso il 1185, da giovane entra a far parte del clero di Colonia e diventa canonico della cattedrale. Visitando il convento dei Cistercensi di Altenkamp, rimane colpito dalla vita monastica. Chiede e ottiene, così, di restare nel monastero. Poco dopo, però, sia a causa dei suoi illustri natali sia anche per la fama della sua virtù, nel 1217 viene eletto vescovo di Osnabruck. Durante i sette anni del suo episcopato si distingue per semplicità di vita. Ha grande cura per i poveri e i lebbrosi, a favore dei quali distribuisce i proventi dei suoi possedimenti. Attivo e sollecito della vita spirituale della diocesi, si interessa dei monasteri compresi nella sua giurisdizione e riforma le dame regolari di Herzebrack, sottoponendole alla regola benedettina.
Muore il 30 giugno 1224, ma nei martirologi dell’Ordine cistercense è commemorato l’11 febbraio. (Avvenire)
 
Colletta: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Lo spirito maligno il padre del peccato: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 3 agosto 1988): Negli Atti degli Apostoli leggiamo che Gesù “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10, 38). Infatti appare dai Vangeli che Gesù sanava i malati da molte infermità (come per esempio quella donna curva che “non poteva drizzarsi in nessun modo” [cfr. Lc 13, 10-16]). Quando gli accadeva di “scacciare gli spiriti cattivi”, se lo accusavano di far questo con l’aiuto del maligno, egli rispondeva dimostrando il non senso di una tale insinuazione e diceva: “Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12,28; cfr. Lc 11,20). Col liberare gli uomini dal male del peccato, Gesù smaschera colui che è il “padre del peccato”. Proprio da lui, dallo spirito maligno, ha inizio “la schiavitù del peccato” nella quale si trovano gli uomini. “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Gv 8,34-36).
 
I Lettura: Il racconto biblico vuole spiegare i rapporti di parentela tra gli ismaeliti e gli israeliti discendenti di Isacco, ma allo stesso tempo mette in evidenza la miseria dell’uomo: Sara, pur beneficata dal dono di Dio, non riesce a vincere la gelosia che ha messo radici nel suo cuore, e come una bambina viziata infastidisce a tal punto il marito fino ad ottenere la cacciata della rivale, esponendola alla morte per fame e per sete. Da una parte la nobiltà e la liberalità di Dio che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, e dall’altra parte l’estrema povertà dell’uomo perennemente schiavo del suo egoismo.
 
Vangelo: Il racconto della liberazione dei due indemoniati di Gadara, con alcune varianti, è presente anche in Marco e in Luca. La narrazione “si articola in due scene: liberazione dei due ossessi (vv. 28-32), allontanamento di Gesù dal territorio pagano (vv. 33-34). Nel primo quadro emerge lo scontro tra Gesù e i demoni. L’accento cade sul riconoscimento da parte dei demoni che Gesù è «Figlio di Dio», venuto anzitempo a tormentarli. Nella seconda scena si ha la descrizione del rifiuto dei gadareni, che risulta davvero sorprendente: Gesù è riconosciuto dai demoni che scaccia vittoriosamente, ma è respinto dagli uomini, che ha beneficato con la liberazione da tanti ospiti poco graditi. Si osservi l’estrema concisione di Mt, che elimina tanti dettagli per rilevare il motivo cristologico, anche a scapito della valenza missionaria del racconto, più accentuata in Mc” (Angelico Poppi, I Quattro Vangeli).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 8,28-34: In quel tempo, essendo Gesù giunto all’altra riva del mare di Tiberiade, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada.
Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?».
A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci a pascolare; e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria».
Egli disse loro: «Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti.
I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati.
Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio.
 
Il racconto degli indemoniati di Gadara è presente anche nel Vangelo di Marco (9 5,1-20), e nel Vangelo di Luca (8,256-39). Per l’evangelista Matteo Gesù è nella città di Gadara, una città situata a sud-est del lago, o Gerasa secondo gli evangelisti Marco e Luca. Al di là di questa discordanza, Gesù è in territorio pagano.
Nel Vangelo di Matteo due sono gli indemoniati, mentre gli evangelisti Marco e Luca ne presentano uno: “ugualmente due ciechi a Gerico (Mt 20,30) e due ciechi a Betsaida (Mt 9,27), miracolo che è un ricalco del precedente. Questa duplicazione dei personaggi può essere un procedimento stilistico di Matteo” (Bibbia di Gerusalemme).
Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?: in attesa del giorno del giudizio i demoni godono una certa libertà nella loro azione sulla terra [Ap 9,5]; lo fanno di preferenza prendendo possesso degli uomini [Mt 12,43-45+]. Questa possessione è accompagnata spesso da una malattia, poiché questa, a titolo di conseguenza del peccato [Mt 9,2+], è un’altra manifestazione dell’azione di Satana [Lc 13,16]. Così gli esorcismi del Vangelo, che a volte, come qui, appaiono allo stato puro [cf. Mt 15,21-28p, Mc 1,23-28p, Lc 8,2], avvengono spesso in forma di guarigione [Mt 9,32-34, Mt 12,22-24p, Mt 17,14-18p, Lc 13,10-17]. Con il suo potere sui demoni Gesù distrugge l’impero di Satana [Mt 12,28p, Lc 10,17-19; cf. Lc 4,6, Gv 12,31+] e inaugura il regno messianico, di cui lo Spirito santo è la promessa caratteristica [Is 11,2+, Gl 3,1s]. Se gli uomini rifiutano di comprenderlo, i demoni invece lo sanno bene [qui e Mc 1,24p, Mc 3,11p, Lc 4,41, At 16,17, At 19,15]. Questo potere di esorcismo, Gesù lo comunica ai suoi discepoli insieme con il potere delle guarigioni miracolose [Mt 10,1, Mt 10,8p] che gli è connesso [Mt 8,3+, Mt 4,24, Mt 8,16p, Lc 13,32]” (Bibbia di Gerusalemme).
Con il permesso di Dio, satana esercita una sorta di dominio sull’uomo, in questo senso si può dire che con la possessione diabolica c’è una vera presa di possesso del corpo della vittima da parte di Satana. La possessione “è sempre regolata dalla permissione divina. Se gli spiriti maligni potessero realizzarla a loro arbitrio, tutto il genere umano ne sarebbe vittima. Ma Dio li trattiene, ed essi non possono dispiegare le loro violenze se non nella misura che la Sua Provvidenza permette. È difficile in pratica stabilire la ragione ultima di una determinata possessione. In molti casi si tratta di un segreto che Dio serba per sé, di una profonda unione di misericordia e di giustizia” (Royo Marin).
I demòni chiedono di essere “scacciati nei porci”, animali impuri per gli Ebrei erano simbolo del mondo dei peccatori e qui, ricordando il loro numero “erano circa duemila” (Mc 5,13), anche di ricchezza.
La reazione dei Gadareni è abbastanza aspra proprio perché si vedono depauperati dei loro beni: “Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio”.
Gesù è considerato un pericolo pubblico, il vincitore démoni non pone resistenza agli uomini, i Gadareni sono pagani e non era ancora giunto il loro tempo, che l’evangelista Matteo fa iniziare dopo l’apparizione del Risorto sul monte della Galilea (Mt 28,19-20).
 
Paolo VI (Udienza Generale, 15 novembre 1972) - Un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare: Sarebbe questo sul Demonio e sull’influsso, ch’egli può esercitare sulle singole persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti, un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare, mentre oggi poco lo è. Si pensa da alcuni di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, oggi purtroppo tanto diffuse in alcuni Paesi, un sufficiente compenso. Si teme di ricadere in vecchie teorie manichee, o in paurose divagazioni fantastiche e superstiziose. Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima - la propria anima battezzata, visitata tante volte dalla presenza eucaristica e abitata dallo Spirito Santo! - alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l’umana mentalità. Non è detto che ogni peccato sia direttamente dovuto ad azione diabolica (cfr. S. TH. 1,104,3); ma è pur vero che chi non vigila con certo rigore morale sopra se stesso (cfr. Matth. 12,45; Eph. 6,11) si espone all’influsso del mysterium iniquitatis, a cui San Paolo si riferisce (2 Thess. 2,3-12), e che rende problematica l’alternativa della nostra salvezza.
 
Perché Dio permette che esistano i posseduti - José Antonio Fortea (Summa Daemoniaca, q. 100): Dio lo permette perché si mostra la verità della religione cattolica, è un castigo per i peccatori, è vantaggio spirituale per i buoni, produce insegnamenti salutari per l’uomo. Se Dio permette la malattia, a maggior ragione permette qualcosa la cui esistenza è una vera e propria ragione per credere. Un fenomeno nel quale si può comprovare il potere di Dio, il potere di Cristo e quello della Chiesa. La possessione è come una finestra aperta dalla quale possiamo affacciarci sul mondo dell’odio e della sofferenza demoniaca. Una finestra aperta dalla quale possiamo scorgere qualcosa dell’invisibile potere delle nature angeliche. E il bene prodotto da tale visione, si riflette di norma sui presenti e sui familiari per il resto della loro vita. Di norma perché presenziare a un esorcismo non significa che necessariamente tutti i presenti, a partire da quel momento acquisiscano la fede. C’è infatti chi dopo essere stato testimone di un esorcismo, attribuisce la colpa a cause naturali o quanto meno sconosciute. Né ciò deve sembrarci strano se consideriamo che ci fu chi non credette in Gesù pur essendo stato testimone delle guarigioni e degli altri miracoli da lui compiuti. Dobbiamo capire che qualunque cosa vediamo (un miracolo, un esorcismo, qualsiasi cosa sia) ciò che ci fa credere è la grazia. Se liberamente decidiamo di resistere a questo invito interiore e invisibile, non importa assistere alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anche se il cielo si aprisse, e Dio ci parlasse dall’alto, tra le nuvole, penseremmo che si tratta di un’allucinazione. Non è ciò che vediamo, ma la grazia, ciò che accende all’interno della nostra anima immortale la fiamma della fede.
 
Perché i demoni uccidono i porci - Giovanni Crisostomo (Commento al Vangelo di Matteo 28, 2): Resta da chiederci perché i demoni uccidono i porci. La ragione sta nel fatto che essi cercano sempre di affliggere gli uomini e si rallegrano esclusivamente della loro rovina. Così si comportò il demonio nei confronti di Giobbe; e anche in quel caso col permesso di Dio, il quale acconsentì non certo per condiscendenza verso il diavolo, ma volendo rendere più glorioso il suo servo, togliere allo spirito del male ogni possibilità di sfrontatezza e far ricadere infine sulla sua testa tutte le macchinazioni contro quel giusto. Anche ora accade proprio il contrario di quanto i demoni vogliono. Mentre la potenza di Cristo viene proclamata e risplende con maggior luce, ancor più evidente appare la malvagità dei demoni, dalla quale Dio libera coloro che ne sono posseduti. Non solo, ma appare evidente che i demoni non possono accostare neppure i porci, se Dio, creatore di tutte le cose, non lo permette loro.
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
  29 Giugno 2021
 
SANTI PIETRO E PAOLO, APOSTOLI – SOLENNITÀ (MESSA DEL GIORNO)
 
At 12,1-11; Sal 33 (34); 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19
 

Il Santo del Giorno - 29 Giugno 2021 - Martirologio Romano: Solennità dei santi Pietro e Paolo Apostoli: Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, primo tra i discepoli professò che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente, dal quale fu chiamato Pietro. Paolo, Apostolo delle genti, predicò ai Giudei e ai Greci Cristo crocifisso. Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense. In questo giorno tutto il mondo con uguale onore e venerazione celebra il loro trionfo. 

Colletta: O Dio, che ci doni la grande gioia di celebrare in questo giorno la solennità dei santi Pietro e Paolo, fa’ che la tua Chiesa segua sempre l’insegnamento degli apostoli, dai quali ha ricevuto il primo annuncio della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri Vivi]: Oggi, la Chiesa romana celebra una grande festa, il giorno della sua natività. I due grandi apostoli - Pietro e Paolo - posero le sue fondamenta. La festa di oggi, così romana, viene celebrata da tutta la Chiesa, dato che il Vescovo di Roma, successore di san Pietro è il capo della Chiesa di Cristo sulla terra. Oggi, la Chiesa in modo particolare si rende conto di essere costruita sulle fondamenta degli apostoli e di essere chiamata a trasmettere fedelmente la loro testimonianza a Cristo. Pietro e Paolo ricevettero dal Signore carismi differenti e ciascuno di loro ebbe una missione diversa da compiere. Pietro, per primo, confessò la fede in Cristo; Paolo, invece, ricevette la grazia di penetrarne tutta la profondità. Pietro, fonda la prima comunità dei credenti provenienti dal popolo eletto; Paolo, invece, diventa lapostolo dei pagani. Ebbero carismi diversi, ma tutti e due si davano da fare con costanza per costruire la Chiesa di Cristo.
Ricordando i santi apostoli, eleviamo le preghiere con la loro intercessione: affinché la Chiesa di Cristo conservi fedelmente l’insegnamento degli apostoli, perseveri nello spezzare il Pane, e affinché tutti i suoi figli abbiano un cuor solo ed un’anima sola. Preghiamo, perché la Chiesa perseveri nella fede di Pietro e perché sia animata dallo spirito missionario di Paolo.

I Lettura: Erode Agrippa, figlio di Erode il Grande, perseguita la Chiesa. Fa giustiziare Giacomo, fratello di Giovanni, e solo per compiacere il popolo fa arrestare Pietro, il quale, alla vigilia del suo processo viene liberato miracolosamente da un angelo. L’intento di Luca è quello di esaltare la provvidenza divina che mai abbandona i giusti. Un racconto che vuole alimentare e sostenere la fede dei primi cristiani sottoposti a persecuzioni e a prove di ogni genere.

II Lettura: L’apostolo Paolo è ormai alla fine del suo lungo e doloroso cammino: pur avendo la profonda consapevolezza che sta «per essere versato in offerta», non ha paura della morte. Il premio che l’Apostolo si attende è la «corona di giustizia che il Signore, giusto» gli consegnerà nel giorno della parusia. Il premio è detto «corona della giustizia, perché sarà dato solo a chi l’avrà meritato mediante la santità e la giustizia. Il passo contiene pertanto la dottrina cattolica del merito, per cui Dio si impegna con obbligo di giustizia [giusto Giudice v. 8] a premiare coloro che hanno corrisposto alla sua grazia: il merito, perciò, non è solo una pretesa dell’uomo davanti a Dio, ma l’incoronazione che Dio stesso fa dei suoi doni di grazia e di amore liberamente accettati dalla sua creatura» (Settimio Cipriani). La stessa corona di giustizia sarà donata a tutti coloro che, come Paolo, avranno atteso con amore la manifestazione di Cristo.

Vangelo: Il primato di Pietro è un potere per il bene della Chiesa, e poiché deve durare sino alla fine dei tempi, sarà trasmesso a coloro che gli succederanno nel corso dei secoli. Inferi, alla lettera «Ade» (in ebraico sheol), designa il soggiorno dei morti (Cf. Num 16,33). Le potenze degli inferi, «evocano le potenze del Male che, dopo aver trascinato gli uomini nella morte del peccato, li incatena definitivamente nella morte eterna. Seguendo il suo Signore, morto, “disceso agli inferi” [1Pt 3,19] e risuscitato [At 2,27.31], la Chiesa avrà la missione di strappare gli eletti all’impero della morte, temporale ed eterna, per farli entrare nel regno dei cieli [Cf. Col 1,3; 1Cor 15,26; Ap 6,8; 20,13]» (Bibbia di Gerusalemme).

Dal Vangelo secondo Matteo 16,13-19: In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Gesù e Pietro (vv. 17-19). Il testo, proprio di Matteo, è composto da tre brani accuratamente ordinati:
a) «Beato sei tu...» (v. 17): Simone non è confessore della vera fede che in ragione della rivelazione gratuita del Padre promessa in precedenza ai «semplici» (11,25) e non in ragione «della carne e del sangue», cioè delle facoltà di un’umanità ben fragile (cfr. Gal 1,16).
b) «Io ti dico... » (v. 18). Si tratta ora di una promessa formulata al futuro: Simone sarà la pietra di fondazione che assicura la solidità dell’edificio e, come Abramo, «la roccia unica» da cui esce un intero popolo (Is 51,1-c). Se la Chiesa si appoggia su questa roccia, le potenze di morte non possono nulla contro di lei. Così come Abram divenne Abramo (Gn 17,5), il cambiamento di nome indica a Pietro la nuova missione che lo aspetta. Tranne che in questo caso e in Mt 18,17, i vangeli ignorano il termine greco «Chiesa», conosciuto dall’Antico Testamento e che significa «assemblea» convocata da Dio, mentre la parola «sinagoga» ha un significato assai simile. I primi cristiani di espressione greca chiamarono la loro comunità «Chiesa»; infatti, riunendo pagani ed ebrei, questa si distingueva ormai dalla sinagoga ebraica. In una sorta di anticipazione, Matteo pone questa parola del suo tempo sulle labbra di Gesù: «Io edificherò la mia Chiesa», egli dice. Vi è quindi un’assemblea del Cristo, distinta dalla sinagoga ebraica, i cui membri devono appoggiarsi su Pietro. In che senso? È quello che precisa l’ultima frase del discorso.
c) «Ti darò le chiavi del regno dei cieli...» (v. 19). Pietro ha un compito decisamente terreno e non quello di guardiano del paradiso. L’immagine delle chiavi ricorda senza dubbio qui il servo che apre e chiude l’ingresso alla casa del padrone (cfr. Is 22,20-22). Infatti Mt 23,13 accusa gli scribi di abusare delle chiavi, che conferisce loro la funzione di interpreti della legge di Mosè, per impedire alle persone l’accesso al regno dei cieli. La Chiesa non si confonde con il regno dei cieli, ma ne costituisce una sorta di vivaio sperimentale e, come uno scriba, Pietro ne detiene le chiavi, non più con l’occhio alla legge di Mosè, ma come rappresentante dell’insegnamento del Cristo, Figlio del Dio vivente. La conclusione del versetto parla in questo senso; infatti l’accostamento legare-sciogliere esprime, presso i saggi giudei, l’atto di autorità che decide se tale azione o tale atteggiamento è permesso o vietato dalla legge. Quello che Pietro deciderà in funzione dell’insegnamento di Gesù, questi glielo promette, sarà convalidato «nei cieli», cioè da Dio. 

Tu sei Pietro - Il primato di Pietro è fondante per la Chiesa, una santa cattolica e apostolica, ed è abbondantemente testimoniato dal Magistero.
Gesù, fin dagli inizi della vita pubblica, scelse dodici uomini perché stessero con lui e prendessero parte alla sua missione, facendoli partecipi della sua autorità e mandandoli ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli ammalati (CCC 551).
Ma tra i Dodici soltanto a Pietro venne assegnato un posto preminente: «Nel collegio dei Dodici Simon Pietro occupa il primo posto. Gesù a lui ha affidato una missione unica. Grazie ad una rivelazione concessagli dal Padre, Pietro aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” [Mt 16,16]. Nostro Signore allora gli aveva detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” [Mt 16,18]. Cristo, “Pietra viva”, assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli» (CCC 552).
E a tanto Gesù aggiunge l’autorità di governare la casa di Dio, che è la Chiesa e l’incarico “di legare e di sciogliere”, un mandato che «risulta essere stato pure concesso al collegio degli Apostoli, unito al suo capo» (LG 22). Tale incarico indica «l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno» (CCC 553).
Ora, questo «ufficio pastorale di Pietro e degli altri Apostoli costituisce uno dei fondamenti della Chiesa ed è continuato dai Vescovi sotto il primato del Papa» (CCC 881).
Ubi Petrus, ibi Ecclesia, ibi Deus, in tempi così burrascosi tale verità è l’unica ancora di salvezza: noi vogliamo stare con Pietro, perché con lui c’è la Chiesa, con lui c’è Dio.

La solennità dei “Santi Pietro e Paolo” ha messo sempre in evidenza l’infallibilità pontificia, che non va confusa con l’impeccabilità, e che è stata formulata dal Concilio Vaticano I e confermata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. (LG 25).  L’infallibilità del romano pontefice ha due conseguenze. Innanzi tutto, le definizioni del romano pontefice «si dicono a ragione irriformabili per se stesse, e non in forza del consenso della Chiesa, perché sono state pronunciate con l’assistenza dello Spirito Santo promesso a lui nel beato Pietro» (LG 25). Poi, «per conseguenza esse non hanno bisogno di alcuna approvazione da parte di altri, né ammettono appello alcuno ad altro giudizio» (LG 25). E questo perché «il romano pontefice non pronuncia la sua sentenza come persona privata, ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale maestro supremo della Chiesa universale, singolarmente insignito del carisma di infallibilità della Chiesa stessa» (LG 25). Da qui una verità molto semplice: chi dice di essere cristiano e rifiuta il magistero e il primato di Pietro inevitabilmente si pone fuori dalla Chiesa, perché dov’è Pietro ivi è la Chiesa. E poiché dov’è la Chiesa ivi è Cristo e dov’è Cristo ivi è la salvezza (Sant’Ambrogio), allora le conclusioni sono molto più semplici.

La continuità della dignità apostolica - Leone Magno (De natali Petri, V, 4 s.): Al motivo della nostra festa si aggiunge, inoltre, la dignità non solo apostolica, ma ancora episcopale di san Pietro che non cessa di sedere sulla sua Cattedra e conserva una incessante partecipazione alle prerogative del Sommo Sacerdote. La solidità che riceve dalla Pietra che è Cristo, egli, divenuto pietra a sua volta, la trasmette anche ai suoi eredi; e, dovunque compare una qualche fermezza, è la forza del pastore che si manifesta. Infatti se, per aver validamente sopportato i supplizi loro inflitti, dando così loro il modo di manifestare i propri meriti, i martiri hanno praticamente ottenuto tutti e dappertutto di poter recare soccorso agli uomini in pericolo, di scacciare le malattie e di guarire innumerevoli mali (cf. Mt 10,1), chi sarà così ignorante o così invidioso da disprezzare la gloria di san Pietro e credere che esistano porzioni di Chiesa che sfuggono alla sollecitudine del suo governo e non si accrescano grazie a lui? Eccoci di fronte ad un amore di Dio e degli uomini in pieno vigore e vita nel Principe degli apostoli, tale che neppure il carcere, le catene o le sommosse popolari, o le minacce dei re hanno potuto intimorire; così dicasi della sua fede invincibile che non ha ceduto nella lotta e non si è intiepidita nella vittoria.

Nutriti da questo sacramento, ti preghiamo, o Signore:
fa’ che viviamo nella tua Chiesa
perseveranti nello spezzare il pane
e nell’insegnamento degli apostoli,
per formare, saldi nel tuo amore, un cuore solo e un’anima sola.
Per Cristo nostro Signore. 

 

 
28 GIUGNO 2021
 
SANT’IRENEO VESCOVO E MARTIRE – MEMORIA
 
Gen 18,16-33; Sal 102 (103); Mt 8,18-22
 
Il Santo del Giorno - 28 Giugno 2021 - Sant’Ireneo Vescovo e Martire - Il senso della misura, ma anche la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario e la volontà di difendere la vera fede, cercando di esporre con chiarezza la verità del Vangelo: questi tratti della figura di sant’Ireneo di Lione, così come indicati da Benedetto XVI nell’udienza del 28 marzo 2007, appaiono come la descrizione dei compiti di ogni battezzato. Ogni fedele, infatti, è chiamato a conoscere a proporre la mondo la bellezza e la profondità di ciò in cui crede: il messaggio del Risorto. Così fece Ireneo, che era forse originario di Smirne ed era stato discepolo di san Policarpo, prima di diventare nel 177 vescovo di Lione in Gallia. Fu chiamato a succedere a san Potino, vescovo novantenne ucciso durante la persecuzione. Fino alla morte, nel 202 circa, Ireneo fu una guida saggia, un pastore autorevole e un difensore della retta fede, messa a rischio dalle eresie. (Autore: Matteo Liut)
 
Colletta: O Dio, che al santo vescovo Ireneo hai dato la grazia di confermare la tua Chiesa nella verità e nella pace, fa’ che per sua intercessione, rinnovati nella fede e nell’amore, cerchiamo sempre ciò che promuove l’unità e la concordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale 28 Marzo 2007): Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede. A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: i cinque libri Contro le eresie, e l’Esposizione della predicazione apostolica (che si può anche chiamare il più antico «catechismo della dottrina cristiana»). In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro le eresie. La Chiesa del II secolo era minacciata dalla cosiddetta gnosi, una dottrina la quale affermava che la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo per i semplici, che non sono in grado di capire cose difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali – gnostici, si chiamavano – avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista. Ovviamente questo cristianesimo intellettualista si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, cioè si negava la fede nell’unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell’uomo e del mondo. Per spiegare il male nel mondo, essi affermavano l’esistenza, accanto al Dio buono, di un principio negativo. Questo principio negativo avrebbe prodotto le cose materiali, la materia.  
Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo confuta il dualismo e il pessimismo gnostico che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l’originaria santità della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. Ma la sua opera va ben oltre la confutazione dell’eresia: si può dire infatti che egli si presenta come il primo grande teologo della Chiesa, che ha creato la teologia sistematica; egli stesso parla del sistema della teologia, cioè dell’interna coerenza di tutta la fede. Al centro della sua dottrina sta la questione della «Regola della fede» e della sua trasmissione. Per Ireneo la «Regola della fede» coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo. Il Simbolo apostolico, che è una sorta di sintesi del Vangelo, ci aiuta a capire che cosa vuol dire, come dobbiamo leggere il Vangelo stesso.
 
I lettura: Nonostante l’accorata preghiera di Abramo, Sòdoma e Gomorra, furono distrutte da Dio a motivo del loro peccato, un evento ricordato spesso nella Bibbia come esempio del giudizio e dell’ira di Dio (Cf. Dt 29,22; Sir 16,8; Is 1,9-10; 13,19; Ger 49,18; 50,40; Lam 4,6; Am 4,11; Sof 2,9; Mt 10,15; 11,23-24; Lc17,29; ecc.) e come esempio di malvagità (Dt 32,32; Is 3,9; Ger 23,14; Ez 16,44-58; Ap 11,8). Da questo racconto nascono i termini gomorreo, sodomia, sodomita: la «Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (CCC 2357).
 
Vangelo: Le due sentenze di Gesù rivolte a coloro che lo vogliono seguire mettono in evidenza il tema della sequela e le esigenze del discepolato. La prima sentenza suggerisce che farsi discepolo non è semplicemente seguire un messaggio e accettare una dottrina ma è condividere in tutto il destino del Figlio dell’Uomo, è lasciare la propria sicurezza per una vita incerta, è perdere la vita per causa di Cristo (Mt 10,39). La seconda sentenza pone la rinuncia ai legami di famiglia come una delle condizioni per il discepolato: non si può procrastinare o aspettare finché si sia assolto a tutti i doveri familiari, non si sarebbe mai in grado di seguire la propria vocazione. Il tempo è adesso: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 8,18-22: In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
 
Prologo: un appello rigoroso (8,18-22) - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): All’inizio della sezione precedente (Mt 4,18-22) i chiamati sembravano seguire Gesù del tutto spontaneamente. Qui, due personaggi incontrano la difficoltà di quella che i maestri spirituali chiamerebbero «la seconda chiamata».
Il v. 18 abbina due citazioni di Marco (4,1.35) per creare un quadro. Gesù si separa dalla folla e ordina ai discepoli di passare sull’altra riva, presso i pagani del territorio chiamato Decapoli: è un’avventura che, da parte dei discepoli, richiede riflessione.
Il dialogo (vv. 19-22) che segue, tratto dalle stesse fonti di Lc 9,57-60, ha il ritmo di un valzer «esitazione»: il primo aspirante si fa avanti, Gesù ne frena l’ardore; il secondo esita, Gesù lo spinge a compiere il passo. Secondo Matteo, il primo personaggio è uno scriba che ha trovato il suo «Maestro»: questo interprete ufficiale della Bibbia ha senza dubbio scoperto in Gesù la chiave delle Scritture. Ma attenzione: seguirlo nella sua missione implica una rinuncia e un disagio che potrebbero fargli rimpiangere la propria cattedra nella sinagoga. Qui compare per la prima volta l’espressione il Figlio dell’uomo, che deve lasciare lo scriba perplesso: infatti, nella tradizione giudaica, si tratta di una figura prestigiosa, ben lontana dal tenore di vita delle volpi e degli uccelli.
Il secondo aspirante si rivolge a Gesù come al proprio «Signore» e gli fa capire che non sarebbe capace di mettersi subito al suo seguito, poiché gli onori da rendere a un defunto sono uno dei più importanti atti di misericordia (cfr. Tb 1,17-18); e, nel caso di parenti defunti questi onori sono prescritti dal comandamento: «Onora il padre e la madre». Ma ecco che seguire Gesù (v. 22) è ancora più importante di questo dovere, si deve lasciare questo genere di problemi (il decesso) al loro corso naturale.
Lo scriba e il discepolo in lutto finirono con l’impegnarsi? L’evangelista non risponde alla domanda: spetta al lettore chiedersi se lui stesso si sarebbe a sua volta impegnato. In Luca l’episodio si conclude con queste parole: «Tu va’ a predicare il regno di Dio» (Lc 9,60). Matteo tralascia questa frase; infatti, in questa sezione, solo Gesù è il missionario del regno. Ai discepoli è sufficiente spezzare i loro legami e seguirlo con fiducia negli eventi che egli sta per affrontare.
 
Sequela - Christa Thomassen: Come il rabbi giudaico, anche Gesù raccoglie allievi-discepoli attorno a sé, che egli chiama alla sua sequela. Mentre però i discepoli dei rabbini scelgono personalmente il proprio maestro e hanno come obiettivo quello di diventare loro stessi un giorno dei rabbi, nella sequela di Gesù, secondo la testimonianza dei Sinottici, ogni iniziativa parte da Gesù. Con la sovranità che è propria soltanto a Dio, egli chiama degli uomini al suo servizio e questo discepolato è permanente. Si tratta di un’adesione a Gesù, di una irrevocabile risposta alla sua chiamata che impegna totalmente l’uomo (Mc 10,21). La chiamata di Gesù esige la rottura di tutti i legami col passato. Egli chiama a una radicale comunione di vita con sé allo scopo di partecipare alla sua opera messianica (Mc 1,17; 3,14). I discepoli hanno parte alla sua missione: l’annuncio dell’irruzione del regno di Dio attuato con parola e prodigi.
Contemporaneamente i discepoli vengono fatti entrare nella comunione di destino con Gesù (Mc 10,39). Come lui anch’essi devono essere pronti, nel servizio al messaggio di salvezza di Dio, ad affrontare eventualmente anche la morte. Mentre le rigide richieste descritte della sequela vengono poste da Gesù soltanto a pochi, nella riflessione successiva i detti della sequela vengono estesi a tutti coloro che aderiscono a lui. Come risposta all’offerta d’amore di Dio, l’articolazione della sequela, per es., nella quotidiana. La sequela della croce vale per tutti, non soltanto per la cerchia ristretta dei collaboratori di Gesù (Mc 8,34). Poiché la comprensione originaria della sequela è legata all’esistenza terrena di Gesù, dopo la sua risurrezione il suo contenuto viene articolato in forma nuova, per es. mediante la fede. In Gv la sequela esteriore, o il rimanere con Gesù, diventa il segno dell’unione interiore con lui (Gv 6,67-69; 8,12). I discepoli “rimangono in lui” se, seguendo il modello del maestro, offrono se stessi nell’amore vicendevole. Come essi partecipano alla sua umiliazione, così parteciperanno alla sua esaltazione. L’articolazione postpasquale della sequela mediante la fede diventa ancora più chiara in Paolo. Colui che mediante la fede è unito a Cristo diventa strumento di Dio a servizio dei membri della comunità. Nell’adesione al suo Signore egli adempie il mandato affidatogli da lui.
In questo caso è richiesta non soltanto la professione della parola, ma anche quella dell’azione e della vita.
Come ponte fra il tempo prepasquale e postpasquale, non esiste però, soltanto la professione della fede, ma anche una continuità sociologica che sussiste in quella cerchia di discepoli che Gesù chiamò alla sua sequela prima di Pasqua e che dopo Pasqua continua questa missione. Ne segue che la predicazione di Cristo dopo la Pasqua, e perciò la cristologia della futura chiesa, è esplicazione del discepolato prepasquale. 
 
Il radicalismo evangelico: Pastores dabo vobis 27: Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e a imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui, operata dallo Spirito (cfr. Mt 8,18ss; Mt 10,37ss; Mc 8,34ss; 10,17-21; Lc 9,57ss). Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” chiesa, ma anche perché sono “di fronte” alla chiesa, in quanto sono configurati a Cristo capo e pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”, che Gesù propone nel discorso della montagna (cfr. Mt 5-7) e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono.
 
Porre sempre Dio al primo posto, anche prima della stessa famiglia - Cirillo di Alessandria (Frammento 98): Quando non precede l’onore da tributare a Dio è giusto onorare i genitori; quando invece c’è tra loro contrasto bisogna tenersi stretti all’uno, e non si deve tener conto dell’altro, soprattutto se l’onore verso i genitori impedisce di essere graditi a Dio. Infatti in primo luogo bisogna glorificare Dio, affinché non ci si trovi a presentare a Dio, come fece Caino, un bene di secondo ordine.
Analogamente anche la legge antica impediva ai sacerdoti di avvicinarsi ai morti, ordinava di attenersi al proprio culto di non essere attaccati alla carne, ma questo lo ordinava in forma coperta e simbolica. Cristo invece insegna apertamente a colui che vuole dedicarsi a Dio di non fare conto di nessuna parentela, per non essere impediti di essere insieme con Gesù.
Infatti egli stesso, a vantaggio di coloro che lo seguono, ha trascurato la madre e i fratelli dicendo: Chi è mia madre, e chi i miei fratelli; ed è mia madre.
 
La partecipazione a questi santi misteri, o Padre,
accresca in noi la fede che sant’Ireneo testimoniò fino alla morte,
perché diventiamo anche noi veri discepoli di Cristo tuo Figlio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 
 27 GIUGNO 2021
 
XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
 
Sap 1, 13-15; 2,23-24; Sal 29 (30); 2Cor 8, 7.9.13-15; Mc 5,21-43
 
Il Santo del Giorno - 27 Giugno 2021 - San Arialdo di Milano Diacono e Martire: Nacque probabilmente a Cucciago, poco dopo l’anno 1000 da una famiglia di valvassori, originaria del vicino villaggio di Alzate Brianza o forse di Carimate. Fu ordinato diacono dall’arcivescovo di Milano Guido di Velate nel 1050, facendosi ben presto apprezzare per la sua capacità oratoria e la preparazione. Dopo la metà del XI secolo fondò insieme ad alcuni compagni tra cui Anselmo di Baggio e Landolfo Cotta un movimento contro la simonìa e per la riforma dei costumi del clero, detto dai suoi avversari pataria, termine tratto dal dialettale patée per identificare gli straccioni. Divenuto Pontefice Anselmo di Baggio con il nome di Alessandro II, si fece più aspro il conflitto con l’arcivescovo Guido che ribellandosi alla scomunica papale ricevuta, fece scacciare Arialdo e i suoi seguaci dalla città. Il 27 giugno 1066 Arialdo venne ucciso da alcuni avversari nel castello di Angera sul Lago Maggiore. (Avvenire)
 
Colletta: O Padre, che nel tuo Figlio povero e crocifisso ci fai ricchi del dono della tua stessa vita, rinvigorisci la nostra fede, perché nell’incontro con lui sperimentiamo ogni giorno la sua vivificante potenza. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
La morte del cristiano - Catechismo degli Adulti [1189]: Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini.
Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
 
I Lettura: In terra di esilio, Israele rischia di assorbire e fare proprio il pensiero agnostico e materialistico dei pagani. Se ciò avvenisse svanirebbe per sempre la sua fede nell’unico Dio. L’autore del libro della Sapienza cerca di sostenere e ravvivare la fede del popolo eletto, richiamando alla sua memoria la potenza e la misericordia di Dio che si sono manifestate soprattutto nel creare «l’uomo per l’immortalità».
 
II Lettura: Ai Corinzi, che tentennavano ad aderire alla colletta promossa da Paolo per sostenere la Chiesa di Gerusalemme, l’Apostolo ricorda l’ideale dell’uguaglianza che deriva dall’amore fraterno e dalla mutua condivisione. In questo modo, avrebbero imitato Cristo, il quale da ricco che era, si è fatto povero, perché gli uomini diventassero ricchi per mezzo della sua povertà.
 
Vangelo: Due miracoli che mettono in luce la potenza di Gesù, Figlio di Dio. La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, con la sua domanda: “Chi mi ha toccato”, esalta pubblicamente la fede della donna e indica la fede come requisito necessario per la guarigione. La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la divinità e l’onnipotenza di Gesù, vero Dio e vero Uomo. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
 
Dal Vangelo secondo Marco 5,21-43: In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
 
La bambina non è morta, ma dorme - Il caso si presentava ormai senza soluzioni: dalla casa del capo della sinagoga erano venuti alcuni a dire che la fanciulla era morta. Non aveva quindi più senso continuare a importunare il Maestro di Nazaret.
Gesù, il figlio di Maria (Mc 6,3), come se non avesse inteso nulla, esorta Giairo, il padre della fanciulla morta, a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui. Poi, con Pietro, Giacomo e Giovanni, che saranno le «colonne della Chiesa» (Gal 2,9), si avvia verso la casa di Giairo.
La scelta dei tre discepoli non è lasciata al caso: più avanti sempre Pietro, Giacomo e Giovanni, e soltanto loro, saranno chiamati ad essere gli unici testimoni privilegiati della trasfigurazione (Mc 9,2) e della preghiera nel giardino del Getsemani (Mc 14,33). Gesù, così come dettava la legge mosaica (Dt 19,15), vuole dei testimoni qualificati che in seguito avessero potuto testimoniare la realtà del miracolo che stava per operare.
La casa di Giairo è sprofondata nel dolore: gli strepiti, i pianti dei parenti e delle prèfiche, accrescono la confusione e il chiasso.
Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai piagnoni: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Le parole di Gesù non devono far credere che si tratta di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della fanciulla, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giairo, il presente stato della fanciulla è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.
Riecheggiano le parole che Gesù dirà quando gli portano la notizia della morte di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
Questo linguaggio eufemistico è stato adottato dalla Chiesa che lo ha esteso a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» (At 7,60; 13,36; 1Cor 7,39; 11,30), in attesa della risurrezione finale (1Ts 4,13-16; 1Cor 15,20-21.51-52).
Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore.
La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bambina.
Gesù presa la mano della fanciulla, il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), pronuncia le parole ‘Talità kum’. Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica. La guarigione è immediata e istantanea.
La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
Oggi, Gesù, pur sedendo alla destra del Padre (Rom 8,34; Ef 1,20), continua ad essere presente nella sua Chiesa: per questa Presenza, i credenti fruiscono della potenza salvifica del Cristo celata misteriosamente nei sacramenti fino a che arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
 
La morte (cfr. I Lettura): E. Ghini (Morte in Schede Bibliche Pastorali): L’evento della morte, considerato realisticamente dalla rivelazione biblica come il totale venir meno della vita, non è visto in sé, ma sempre in stretta relazione con Iahvé, il Dio vivo: la morte la cui forza di estinzione è rappresentata dallo Sheól, si oppone alla vita come situazione di distacco da Dio nei confronti della pienezza dell’unica «fonte della vita».
Dall’assoluto monoteismo di Israele, legato al Dio unico, deriva la proibizione di ogni culto dei morti, peraltro sepolti con cura e pietà.
L’alleanza, che stabilisce un rapporto non personale ma nazionale fra Israele e Iahvé, fa sì che il problema della morte non assuma carattere drammatico, nella certezza della continuità del popolo, nonostante il venir meno dei singoli. Nel contesto vivo e in rapida evoluzione dell’alleanza, la morte è un problema poco essenziale: sia che si riconosca ai morti una sopravvivenza d’ombra nello Sheol, sia che si attribuisca loro un sonno eterno nel sepolcro di famiglia, il tema della morte non mette in crisi la fede di Israele. Da qui la rassegnazione con cui la morte è generalmente considerata e la pace con cui è accolta in tarda vecchiaia. Solo la morte precoce pone all’uomo la domanda che trova risposta nella potenza distruttiva del peccato delle origini. Ma poiché al peccato Dio ha sovvenuto con l’alleanza, la morte è superabile attraverso l’obbedienza alle «dieci parole» perché l’obbedienza, come assenso alla consacrazione operata dalla alleanza, è vita.
Israele ha lentamente intravvisto un superamento della morte sia nella conversione sollecitata dai profeti, sia nel personale rapporto con Iahvé che risolve anche, come per i salmisti e i sapienti, il problema della retribuzione. È l’apocalittica però che supera definitivamente la morte, annunciando la risurrezione dei giusti e dei peccatori nel regno escatologico.
Nel NT è soprattutto l’apostolo Paolo che, riprendendo la meditazione di Gen. 3, attribuisce la morte al peccato di Adamo. Col peccato e la legge, la morte è la principale potenza cosmica che domina sul mondo schiavo di Satana. Con l’avvento di Cristo, la morte è distrutta. Giovanni vede la morte di Cristo come passaggio da questo mondo al Padre, per un disegno di salvezza; Paolo, come atto di obbedienza che annulla il peccato e la morte nella risurrezione. La morte di Cristo per amore degli uomini è così creazione e nascita.
Per il cristiano, morto con Cristo, la fine della vita è ingresso nella vita stessa di Dio. Ciò esige l’adesione della fede, che già in sé è vita e comunica l’immortalità, mentre la sua mancanza è morte e conduce alla morte seconda della perdizione.
Morendo con Cristo il cristiano rinasce, per l’opera dello Spirito, alla vita nuova che lo rende partecipe dello stesso dinamismo trinitario, compiendo così la trasformazione definitiva nella viva immagine di Dio che, già iniziata nell’economia della figura, sarà completa alla parusia, quando i morti risorgeranno fruendo della vita stessa di Dio.
 
Antonio da Padova (Sermones (XXIV dom. dopo Pentecoste): Solo ch’io tocchi la sua veste, sarò salva!: veste di Cristo è la sua carne … Gesù Cristo sostenne da solo il torchio della croce, dove arrossò di sangue la sua veste. Orlo di questa veste (Mt. 9,20) è la Passione stessa che libera l’anima dal profluvio del sangue; infatti contro l’attrazione carnale e l ‘incentivo della libidine, vale moltissimo il ricordo della Passione, che si è manifestata nell’ultima parte della vita terrena di Cristo, così come l ‘orlo è sul fondo della veste.
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.