1 OTTOBRE 2023
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
Ez 18,25-28: Salmo Responsoriale Dal Salmo 24 (25); Fil 2,1-11; Mt 21,28-32
Colletta
O Padre, che prometti vita e salvezza
a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia,
donaci gli stessi sentimenti di Cristo,
perché possiamo donare la nostra vita
e camminare con i fratelli verso il tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Francesco (Udienza Generale 20 Marzo 2019): Dio non è ambiguo, non si nasconde dietro ad enigmi, non ha pianificato l’avvenire del mondo in maniera indecifrabile. No, Lui è chiaro. Se non comprendiamo questo, rischiamo di non capire il senso della terza espressione del “Padre nostro” («Sia fatta la tua volontà»). Infatti, la Bibbia è piena di espressioni che ci raccontano la volontà positiva di Dio nei confronti del mondo. E nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo una raccolta di citazioni che testimoniano questa fedele e paziente volontà divina (cfr nn. 2821-2827). E San Paolo, nella Prima Lettera a Timoteo, scrive: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (2,4). Questa, senza ombra di dubbio, è la volontà di Dio: la salvezza dell’uomo, degli uomini, di ognuno di noi. Dio con il suo amore bussa alla porta del nostro cuore. Perché? Per attirarci; per attirarci a Lui e portarci avanti nel cammino della salvezza. Dio è vicino ad ognuno di noi con il suo amore, per portarci per mano alla salvezza. Quanto amore c’è dietro di questo!
Quindi, pregando “sia fatta la tua volontà”, non siamo invitati a piegare servilmente la testa, come se fossimo schiavi. No! Dio ci vuole liberi; è l’amore di Lui che ci libera. Il “Padre nostro”, infatti, è la preghiera dei figli, non degli schiavi; ma dei figli che conoscono il cuore del loro padre e sono certi del suo disegno di amore.
Guai a noi se, pronunciando queste parole, alzassimo le spalle in segno di resa davanti a un destino che ci ripugna e che non riusciamo a cambiare. Al contrario, è una preghiera piena di ardente fiducia in Dio che vuole per noi il bene, la vita, la salvezza. Una preghiera coraggiosa, anche combattiva, perché nel mondo ci sono tante, troppe realtà che non sono secondo il piano di Dio. Tutti le conosciamo. Parafrasando il profeta Isaia, potremmo dire: “Qui, Padre, c’è la guerra, la prevaricazione, lo sfruttamento; ma sappiamo che Tu vuoi il nostro bene, perciò ti supplichiamo: sia fatta la tua volontà! Signore, sovverti i piani del mondo, trasforma le spade in aratri e le lance in falci; che nessuno si eserciti più nell’arte della guerra!” (cfr 2,4). Dio vuole la pace.
I lettura: Ai sedicenti sapienti d’Israele che accusavano Dio di non essere retto nel suo agire, il profeta Ezechiele ricorda il principio della responsabilità individuale. Da questa controversia scaturisce anche una novità: l’uomo non è condizionato dal suo passato; se è stato un malvagio, se vuole, può convertirsi e godere della salvezza. Ma come il perverso può diventare buono, così il giusto può diventare cattivo. Ogni uomo è costruttore del proprio destino, o di morte o di vita. Nessuno, quindi, disperi della salvezza e nessuno sia così arrogante da sentirsi già salvo: timore e tremore sono per tutti (Cf. Fil 2,12).
II lettura: I versetti 6-11 da molti sono ritenuti un inno cristologico anteriore a Paolo. Mette in evidenza le diverse tappe del mistero del Cristo: la preesistenza divina, l’umiliazione della incarnazione, l’abbassamento ulteriore della morte, la glorificazione celeste, l’adorazione dell’universo, il titolo nuovo del Cristo. Si tratta del Cristo storico, Dio e uomo, nell’unità della sua personalità concreta che Paolo non divide mai, sebbene distingua i suoi diversi stati di esistenza (Cf. Col 1,13s). Additando il Cristo come servo, Paolo vuole evidenziare il fatto che il Figlio di Dio, fatto uomo, ha adottato una via di umiliazione e di obbedienza. Forse Paolo pensa al «servo sofferente» di Isaia (42,1; 52,13-53,12). Le affermazioni paoline sull’incarnazione di Gesù fanno intendere a chiare lettere che il Cristo non fu soltanto un vero uomo, ma un uomo «come gli altri», condividendo tutte le debolezze della condizione umana, «escluso il peccato» (Eb 4,15).
Vangelo
Pentitosi andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
La parabola dei due figli denuncia la mancanza di docilità da parte d’Israele. È da collegarsi alla precedente discussione su Giovanni, il precursore del Cristo, nel corso della quale le guide spirituali d’Israele, per timore della folla, avevano rifiutato di pronunziarsi sulla autenticità della missione del Battista. La parabola è una risposta chiara alla loro albagìa smascherandoli palesemente come disobbedienti alla volontà di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21,28-32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Parola del Signore.
Un uomo aveva due figli - La parabola dei due figli appartiene solo a Matteo. In modo esplicito annunzia l’imminente giudizio divino e la conseguente condanna dei capi del popolo d’Israele. Lo stesso tema lo si trova nelle due parabole che seguono: quella dei vignaiòli omicidi (21,33-46) e quella del banchetto nuziale (22,1-14).
I due figli rappresentano, da una parte, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo che si ritenevano giusti davanti agli uomini (Cf. Lc 16,15); dall’altra, gli ultimi, gli emarginati, i peccatori i quali, nonostante tutto, si erano dimostrati disposti ad accogliere il Vangelo. I capi dei sacerdoti e gli anziani erano generalmente mal visti dal popolo e spesso additati come uomini ipocriti: non nel senso «più grossolano della parola, gente che finge, che conduce una doppia vita, ma in un senso molto più profondo, sdoppiati e insinceri innanzi tutto con se stessi. In realtà essi si sforzano di obbedire, prendono sul serio la Legge, si sforzano di adempierla fin nelle prescrizioni più piccole, persino quelle non obbligatorie [Mt 23,23; Cf. Lc 18,11s]. Eppure, nonostante tutto questo affannarsi, la loro obbedienza non è autentica» (Vittorio Fusco). Prova ne sia che al momento decisivo essi non hanno saputo cogliere gli appelli che Dio rivolgeva loro, attraverso Giovanni il Battista e Gesù di Nazaret.
Respingendo quegli appelli, essi rivelarono una radicale disobbedienza alla volontà salvifica di Dio. I due figli rappresentano queste due categorie di persone con i loro rispettivi modi di rispondere agli inviti pressanti di Dio.
La risposta dei due figli, che passano dal sì al no e dal no al sì, collima con la dottrina della responsabilità individuale del profeta Ezechiele (Cf. prima lettura): ogni uomo è libero come è libera la sua risposta agli appelli di Dio e con la sua risposta determina in modo irreversibile il suo futuro terreno ed eterno.
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno. Non è una debolezza squisitamente divina che porta questa “gente poco onorabile” a salire vertiginosamente i gradini della salvezza, ma è la loro disponibilità ad aprirsi alla Buona Novella e a comportarsi di conseguenza mettendo in campo anche scelte che fanno sanguinare. In quest’ottica, la parabola dei due figli mette in luce la categoria di uomini sui quali si posano le preferenze divine: «Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Lc 6,46; Mt 7,21).
La ferma intenzione dell’empio a volgersi al bene apre un nuovo rapporto non soltanto con il futuro, ma anche con il passato. Se ha deciso di ritornare nella casa del Padre la vita passata non lo condiziona più, perché nel momento in cui si slancia tra le braccia di Dio, il Signore, una volta per sempre, straccia il documento scritto del suo debito, le cui condizioni gli erano sfavorevoli (Cf. Col 1,14).
Quindi, la bilancia del giudizio divino «non pende verso l’obbedienza o la disobbedienza come tali [non basta aver obbedito una volta per essere salvi, né aver disobbedito una volta per essere condannati], e neppure su una comparazione quantitativa [tanti anni di vita buona contro tanti anni di vita cattiva] ma pende sempre verso la scelta più recente, l’ultima compiuta» (Vittorio Fusco).
Nelle parole di Gesù è sottintéso così un importante messaggio ascetico; praticamente, l’uomo si costruisce momento per momento attraverso le sue scelte. La destinazione finale, Inferno o Paradiso, non è stata già determinata da una volontà superiore quanto capricciosa, ma è il frutto di un sì o di un no liberamente offerti ad una proposta di salvezza e mantenuti poi perpetuamente nel tempo.
Era venuto Giovanni a preparare la venuta del Messia e la sua predicazione, in perfetta sintonia con la predicazione profetica dell’Antico Testamento, aveva sollecitato gli uomini a camminare sulla «via della giustizia», ovvero a cercare il bene e ad abbandonare le strade tortuose del male e del peccato. A questa predicazione i peccatori avevano risposto in massa immergendosi nelle acque del Giordano per ricevere un battesimo di penitenza; invece, le guide spirituali del popolo eletto, all’inizio, avevano nicchiato e alla fine avevano opposto un netto rifiuto. Tanta ostinazione li smascherava palesemente come disobbedienti alla voce del Signore e di fatto si escludevano dal progetto salvifico di Dio. Solo chi fa la volontà di Dio è giusto e si incammina nella via della salvezza.
Preghiera e volontà di Dio - Antonio Bonora (Volontà di Dio in Schede Bibliche Pastorali - Vol VIII): Gesù ha insegnato a pregare dicendo: «Padre, sia fatta la tua volontà» (Mt 6,10). Il cristiano chiede a Dio di realizzare i suoi progetti, i suoi desideri, la sua volontà. Tale atteggiamento nasce dalla convinzione di fede che Dio vuole il bene dell’uomo, conosce quale sia veramente e può efficacemente realizzarlo. In altre parole, con la preghiera «sia fatta la tua volontà» l’uomo si mette dalla parte di Dio per volere ciò che Dio vuole. Pregare infatti non è altro che fare nostri i desideri di Dio. Giustamente s. Ignazio di Loyola diceva, riguardo alla preghiera degli Esercizi spirituali, che essi sono interamente protesi a «cercare e trovare la volontà divina».
Cercare la volontà divina significa innanzitutto riceverla attraverso la parola di Gesù e il dono del suo Spirito: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).
Gli amici di Gesù conoscono tutta la volontà del Padre. Di conseguenza, «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). Una volta interiorizzata e assimilata la parola di Gesù, possiamo chiedere «quel che vogliamo», ossia chiedere quel che anche Dio vuole: «Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già quello che gli abbiamo chiesto» (1Gv 5,14).
Inoltre solo lo Spirito di Cristo ci fa conoscere veramente la volontà di Dio e ci fa chiedere quel bene che anch’egli desidera: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rom 8,26-27). Lo Spirito ci fa chiedere «secondo i disegni di Dio», cioè secondo la sua volontà.
La preghiera, dunque, non è fatalistica rassegnazione a una volontà insondabile, ma ricerca di consonanza con la volontà salvifica e amante di Dio manifestataci nella vicenda storica di Gesù. La preghiera fa venire in luce il «non ancora» della realizzazione della volontà del Padre. La domanda «sia fatta la tua volontà» è congiunta con l’altra «venga il tuo regno». Il regno di Dio, inaugurato con e da Gesù si compirà soltanto alla fine e allora troverà pieno compimento la volontà del Padre.
Nella storia il cristiano è chiamato a cercare e discernere, in mezzo alle vicende del mondo, la volontà di Dio. San Paolo esorta infatti così: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rom 12,2). E l’apostolo prega per le sue comunità: «Noi non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Col 1,9).
La vita cristiana è una progressiva scoperta, conoscenza e attuazione della volontà divina fino a quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). Alla fine apparirà che la volontà di Dio è soltanto amore, vita, perdono, felicità.
Qual è sinteticamente la volontà di Dio per noi, qui e adesso? Possiamo prendere il testo in certo modo «riassuntivo» di 1Ts 5,16-22, in cui è tracciato un intero programma di vita cristiana: «State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa infatti è la volontà di Dio in Cristo verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male».
Letizia, preghiera, rendimento di grazie, ascolto dello Spirito, rispetto per la parola dei profeti cristiani, discernimento spirituale, buona condotta: ecco, in sintesi, ciò che ci può introdurre veramente nella conoscenza e nell’attuazione della volontà di Dio Padre.
Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): La parabola è un monito contro l’indurimento spirituale, la presunzione religiosa e la falsa sicurezza interiore, ed è un incitamento ad ascoltare Iddio, a seguire il suo richiamo. L’uomo deve sempre convertirsi e lasciarsi convertire, perché corre sempre il pericolo di battere strade sbagliate per colpa d’un contegno interiore sbagliato. Il pericolo è particolarmente grave allorché tutto, esteriormente, sembra in ordine. Vi è qualcosa di stupefacente nel fatto che Cristo preferisca i pubblicani e le meretrici ai farisei e agli scribi. Per le orecchie giudaiche è addirittura scandaloso. Ma Cristo guarda all’interno dell’uomo, e un peccatore conscio del proprio stato di colpa, che si converte nell’ora della grazia, è incomparabilmente più meritevole d’un devoto conscio della propria religiosità, che si sottrae al richiamo della grazia.
Considerata cosi, la parabola è di particolare importanza e gravità non tanto per quelli che stanno di fuori, quanto per coloro che stanno dentro. Non è il no iniziale che vien lodato, ma la conversione, cosi come non viene biasimato il si iniziale, ma la falsa «conversione» Esiste una falsa conversione dal si al no; ne esiste una giusta dal no al sì. L’uomo vive costantemente in pericolo di rispondere con un no alla richiesta di Dio, perciò è importante che sia sempre disposto alla conversione, e che la realizzi totalmente.
Tommaso d’Aquino (Super ev. Matth., XXI, 1 726): Un uomo aveva due figli ... : quest’uomo è Dio, e i due tigli sono due generi di uomini: i giusti e i peccatori; non però tutti i giusti, ma solo quelli che affermano di esserlo, e non tutti i peccatori, ma solo quelli disposti a pentirsi.
Il Santo del Giorno - 1 Ottobre 2023 - Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa - Quella «piccola via» verso la grandezza di Dio: Dio scava nell’anima, entra nel profondo della nostra vita, incide con il suo amore le fondamenta del nostro esistere, ma non sempre è facile seguire le sue tracce. Capitò anche a santa Teresa di Lisieux di “perdersi”, di chiedersi dove fosse Dio e il suo smarrimento è narrato in “Storia di un’anima”. Dal senso del limite e dell’imperfezione, però, per santa Teresa passò la scoperta della sua “piccola via” verso Dio: è nelle imperfezioni della vita che è possibile cogliere con più forza l’amore del Signore. Nata nel 1873 ad Alençon in Francia, Teresa era cresciuta in una famiglia “santa” (anche i genitori sono stati canonizzati) e, giovanissima, era entrata nel Carmelo di Lisieux. Il suo intenso cammino spirituale alla ricerca della santità venne interrotto dalla tubercolosi: morì nel 1897 all’età di 24 anni. Nel 1997 è stata proclamata dottore della Chiesa. (Autore Matteo Liut)
Questo sacramento di vita eterna
ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo,
perché, annunciando la morte del tuo Figlio,
partecipiamo alla sua passione
per diventare eredi con lui nella gloria.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.