1 Giugno 2021
 
San Giustino, Martire
 
Tb 2,9-14; Sal 111; Mc 12,13-17
 
Il Santo del Giorno - 1 Giugno 2021 - Tra fede e ragione la via che conduce a Dio - San Giustino, Martire: L’uomo può conoscere Dio: lo può accogliere nel suo cuore e nella sua mente, e lo può “vedere” e incontrare in Cristo, la cui eredità vive nella Chiesa. Fu san Giustino, con la sua ricerca filosofica a cercare di gettare un ponte tra fede e ragione. Era nato in una famiglia di origine latina a Flavia Neapolis (oggi Nablus) e si era messo alla ricerca della verità presso diverse scuole filosofiche. Alla fine gli parve di averla trovata nel pensiero platonico, ma grazie alla testimonianza dei cristiani comprese che Dio era molto di più. A Efeso, attorno al 130, si fece battezzare e si mise all’opera per conciliare i suoi studi filosofici con il Vangelo. Viaggiò molto, ma a Roma, a causa del suo impegno apologetico a favore dei cristiani venne accusato di essere ateo e condannato a morte: venne decapitato assieme ad alcuni suoi discepoli tra il 163 e il 167.
 
Colletta: O Dio, che attraverso la stoltezza della croce hai donato al santo martire Giustino la sublime conoscenza di Gesù Cristo, concedi a noi, per sua intercessione, di respingere gli inganni dell’errore per conseguire fermezza nella fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale 21 Marzo 2007): Nel complesso la figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di «empietà» e di «ateismo». In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia, condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui come diabolici «depistaggi» nel cammino della verità. La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. «La nostra filosofia...»: così, nel modo più esplicito, giunse a definire la nuova religione un altro apologista contemporaneo di Giustino, il Vescovo Melitone di Sardi (citato in Eusebio, Storia Eccl. 4,26,7).
Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione – ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini – dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: «Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit – Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine» (La velazione delle vergini 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni «moda culturale», «moda del tempo».
In un’età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione – come pure nel dialogo interreligioso –, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo – e così concludo – le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: «Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire» (Dial. 7,3).
 
I Lettura: Tobi, uomo giusto, diventa cieco, una disgrazia immane per un uomo, con la cecità si precipita nell’abisso della impotenza, e al dolore si assommano gli insulti, la derisione della moglie: «Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ecco, lo si vede bene da come sei ridotto!». In questo modo è posto l’eterno problema del giusto sofferente, un problema che può essere dipanato soltanto dalla Parola di Dio. Sarà infatti lo stesso Libro di Tobi a fornire la soluzione.
 
Salmo: Baldovino di Ford: Il Signore ha spezzato il pane per donare a un gran numero, per comunicare la sua grazia a un gran numero... Se Gesù non avesse spezzato il pane, come sarebbero giunte fino a noi le briciole? L’ha spezzato e distribuito, ha sparso, ha dato ai poveri... Verrà un tempo in cui non avranno più né fame, né sete: nell’attesa, spezza questo pane ogni giorno, Signore, per quelli che hanno fame. Perché oggi e tutti i giorni noi raccogliamo qualche briciola ed ogni giorno abbiamo ancora bisogno del pane quotidiano... In ogni consolazione che tu ci mandi, noi raccogliamo le briciole di questo pane che tu spezzi: ma ne abbiamo bisogno ancora... noi abbiamo sempre più fame!
 
Vangelo: I farisei non vogliono trovare la Verità, e non cercano un Maestro. Le loro domande sono maligne, sono un tranello: se Gesù avesse risposto alla domanda dei suoi interlocutori, qualsiasi risposta sarebbe servita loro per accusarlo. Nella infinita  pazienza e sapienza, Gesù capovolge i termini della questione affermando un principio morale: solo Dio è Re ed è l’unico Signore che l’uomo deve servire, anche se questo non dispensa di servire e di obbedire alle autorità che governano le nazioni. Una obbedienza che va rifiutata soltanto quando si comandano cose che si oppongono alla libertà religiosa e ai diritti di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Marco 5,20-26: In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
 
La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio: Dalla risposta si evince come Gesù, rifiutando di entrare in questioni prettamente politiche, abbia voluto impartire alle guide spirituali d’Israele «un profondo insegnamento teologico circa la priorità assoluta di Dio su ogni dominatore terreno, anche se usurpava titoli divini. Riguardo alle disquisizioni teologiche e giuridiche nella storia della Chiesa dei rapporti tra il potere civile e quello religioso sulla base della sentenza di Gesù, si tratta di deduzioni dottrinali posteriori, talvolta discutibili, che non riguardano direttamente l’esegesi» (Angelico Poppi). Quindi la risposta va al di là della mera questione di pagare il tributo a Cesare, per il quale, oltre tutto, la Chiesa non ha avuto mai dubbi, così come insegna l’apostolo Paolo: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto» (Rom 13,7). E quello che bisogna dare a Dio era oltremodo chiaro ai farisei e agli erodiani, bisogna dare tutto; “tutto” se stessi, senza infingimenti e riserve: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo dei comandamenti» (Mt 22,37-38). La risposta di Gesù supera «l’orizzonte umano dei suoi tentatori; si pone aldilà del sì e del no che avrebbero voluto carpirgli. La dottrina di Gesù Cristo trascende qualsiasi concezione politica, e se i fedeli, nell’esercizio della loro libertà, scelgono una determinata soluzione per le questioni temporali, “ricordino essi che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”
 
Il Libro di Tobia - Bibbia di Gerusalemme: I contenuti: Il libro di Tobia presenta una storia ingenua e deliziosa, nella quale si condensa la pietà giudaica maturata lungo tutta la storia d’Israele. Ne sono protagoniste due famiglie imparentate, che vivono rispettivamente a Ninive e nei pressi di Ecbàtana. Il pio Tobi, divenuto cieco, non perde la fiducia in Dio. Egli manda il figlio Tobia in Media, nella cittadina di Rage, presso un parente, Gabaèl, a riscuotere il denaro che aveva depositato presso di lui. Tobia nel viaggio viene accompagnato dall’angelo Raffaele, che gli si presenta in incognito. Lungo il viaggio, giunto a Ecbàtana, da Raguele, ne prende in moglie la figlia, Sara, già sposata sette volte ma i cui mariti erano morti la prima notte di nozze. Egli si salva, pregando e bruciando nella camera nuziale il cuore e il fegato di un pesce preso lungo il viaggio. Recuperato il denaro depositato presso Gabaèl, al ritorno degli sposi a Ninive, il fiele del pesce sana gli occhi del padre Tobi. Raffaele svela infine la sua identità. La narrazione è accompagnata da ampi testi di riflessione religiosa e da preghiere. La trama del racconto si può dividere in tre parti:
Il dramma di due famiglie (1,1-3,17)
L’avventura del viaggio (4,1-6,19)
Una doppia guarigione (7,1-14,15).
Le caratteristiche: Il quadro storico presentato nel racconto è incoerente, mette insieme riferimenti disparati, vaghi e anche inesatti. In realtà, queste reminiscenze storiche sono tratte dal passato per creare lo sfondo di un racconto romanzato, nel quale si dà vita a personaggi creati per mostrare le virtù esemplari di un pio israelita. L’insegnamento messo maggiormente in luce riguarda il dovere di seppellire i morti e di sposare una donna della propria parentela. L’autore mostra pure come non manchino le prove e le contrarietà, anche quando si è pii e attenti ai bisogni del prossimo. Queste, tuttavia, sono superate con l’aiuto che Dio non fa mancare e che si rivela al momento opportuno.
L’origine: Il libro di Tobia presenta un clima tranquillo e sereno, a differenza di quelli di Ester e di Giuditta, caratterizzati da una forte nota bellicosa, che ci riporta all’epoca maccabaica. Questo libro sembra perciò riflettere un’epoca di poco antecedente (III-II sec. a.C.). Esso dovrebbe essere stato composto in una regione della diaspora giudaica dove si parlava aramaico. Qui, pur vivendo lontano dalla terra d’Israele, si sentiva forte il richiamo di Gerusalemme. A questo ambiente e a quest’epoca appartennero anche i primi lettori del libro di Tobia. L’autore è per noi sconosciuto; egli scrisse il racconto in ebraico o, più probabilmente, in aramaico. Frammenti di testo in aramaico e in ebraico sono stati trovati a Qumran. Il libro è però a noi pervenuto nella versione greca detta dei LXX. Quanto al testo stesso si distinguono due diverse recensioni: una più corta, riportata dai codici Vaticano (B) e Alessandrino (A), l’altra più lunga, propria del codice Sinaitico (S). È questa, di carattere più vivace, che sta alla base della presente traduzione. Il libro di Tobia è stato sempre riconosciuto come ispirato dalla Chiesa cattolica e da quelle ortodosse. Le comunità ecclesiali protestanti e anglicane, invece, lo escludono dal canone biblico.
 
Giustino (I Apol. 17): Noi ci sforziamo d’essere i primi a pagare tasse e tributi ai vostri funzionari, dovunque; e così da lui ci fu insegnato. In quel tempo, difatti, presentatisi a lui certuni, gli domandarono se si dovessero i tributi a Cesare. Egli rispose “Ditemi: di chi reca l’immagine la moneta?” Quelli risposero: “Di Cesare”. Ed egli: “Date dunque a Cesare ciò ch’è di Cesare; a Dio ciò ch’è di Dio” (Mt 22,21). Perciò l’adorazione la prestiamo a Dio solo; quanto al resto di buon grado serviamo voi, riconoscendovi imperatori e capi degli uomini, e pregando Dio che accanto all’autorità imperiale si riscontri in voi anche un sano discernimento. Che se, pur pregando per voi e mettendo ogni cosa alla luce, ci disprezzerete, sappiate che non saremo noi a riportarne danno, dacché crediamo, anzi siamo convinti, che ciascuno sconterà la pena del fuoco eterno secondo le azioni e renderà conto in proporzione delle facoltà ricevute da Dio, secondo il monito di Cristo: “Da colui al quale Dio più diede, più anche si esigerà” (Lc 12,48).
 
Nutriti dal pane del cielo, ti supplichiamo, o Signore:
concedi a noi di essere docili
agli insegnamenti del santo martire Giustino
e di vivere in perenne rendimento di grazie per i doni ricevuti.
Per Cristo nostro Signore.
 

 

 

 
31 Maggio 2021
 
Visitazione della Beata Vergine Maria - Festa
 
Sof 3,14-16 oppure Rm 12,9-16b; Sal da Is 12,2-6; Lc 1,39-56
 
Il Santo del Giorno - 31 Maggio 2021 - San Vitale d’Assisi, Eremita: San Vitale, monaco ed eremita, nacque a Bastia Umbra nel 1295, dopo aver trascorso la giovinezza compiendo orrendi peccati, pentitosi, cercò di espiare le colpe commesse recandosi in pellegrinaggio nei più importanti santuari italiani ed europei. Ritornato in Umbria, vestì l’abito benedettino e condusse un’esperienza di vita eremitica. Trascorse il resto della sua esistenza nell’eremo di Santa Maria di Viole, presso Assisi, nella più assoluta povertà, coprendosi di stracci, a piedi nudi e lasciando incolta la chioma; unico suo bene era un canestro usato per andare a prendere l’acqua in una vicina fonte. Morì il 31 maggio 1370. La fama della sua santità si sparse presto dappertutto e a causa dei numerosi prodigi compiuti a favore di quanti erano affetti da patologie ai genitali e alla vescica, divenne il protettore di questi ammalati. (Autore: Elisabetta Nardi)
 
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, tu hai ispirato alla beata Vergine Maria, che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare sant’Elisabetta: concedi a noi di essere docili all’azione dello Spirito, per magnificare sempre con Maria il tuo santo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Visitazione della Beata Vergine - La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]: La festa ha la sua origine nella pietà francescana: l’Ordine, sorto da poco, la celebra sin dal 1263, il giorno dopo l’ottava della Natività di Giovanni il Battista, il 2 luglio. Bonifacio IX, nell’anno 1389, estende la nuova festa a tutta la Chiesa, il che viene confermato dal Concilio di Basilea nel 1441. L’attuale riforma del calendario liturgico trasferisce la festa all’ultimo giorno di maggio e in questa maniera essa viene celebrata tra l’Annunciazione e la Nascita di Giovanni il Battista, cosa che corrisponde meglio al racconto evangelico.
Maria si reca dalla sua parente Elisabetta, questo l’avvenimento della storia della salvezza che commemora oggi la Chiesa. Maria saluta Elisabetta, che esclama con gioia: «Benedetta tu fra le donne. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,42). Maria è stata chiamata benedetta perché aveva creduto nelle parole del Signore: la Madre del Messia è la Madre della fede. L’incontro di Maria e di Elisabetta diviene l’incontro di Giovanni e di Gesù.
Sono di fronte il tempo dell’Antica Alleanza ed il prossimo tempo della Nuova Alleanza; l’attesa sta per finire, inizia la nuova era. Maria canta l’inno di esultanza «Magnificat» - l’anima mia magnifica il Signore -, pieno della sapienza dell’Antica Alleanza, ma rianimato già dallo spirito della Nuova che sta per arrivare. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente - esclama Maria - e la consapevolezza della misura della grazia conduce all’umiltà del cuore. Maria rappresenta in questo momento tutti i «timorosi di Dio» in Israele, tutto «il resto d’Israele», che conformemente alle predizioni dei profeti accoglierà le promesse di Dio.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata: le parole profetiche di Maria si sono adempiute. Benedicono Maria tutte le generazioni per la sua fede e per il suo «avvenga di me secondo la tua parola», per lo spirito di servizio e per la sottomissione alle ispirazioni di Dio.
 
I Lettura (Sof 3,14-17): Il popolo di Dio, figurato nella figlia di Sion, esulti e canti di gioia per i nuovi prodigi che il Signore Dio, salvatore potente, sta per operare a sua salvezza. Il Signore Dio, come un forte guerriero, disperderà i nemici d’Israele e porrà la sua dimora in mezzo ad esso. Dopo che avrà rinnovato il suo popolo con l’amore, il Signore Dio gioirà per esso ed esulterà con grida di gioia.
 
Vangelo: Maria non è una donna incredula al pari di Zaccaria. Va a trovare Elisabetta non per sincerarsi delle parole e della profezia dell’angelo, ma perché sospinta dalla carità e dal fuoco ardente dello zelo missionario: per mezzo di Maria, la Buona Novella, Gesù, mette le ali e già attraversa le vie della storia. Maria, pur consapevole della sua bassezza, sospinta dallo Spirito Santo, non può non esclamare la grandezza misericordiosa di Dio che guardando la sua umiltà ancora una volta persegue e conferma il suo eterno agire: scegliere le cose umili per confondere i sapienti (1Cor 1,27-28).
 
Dal Vangelo secondo Luca 1,39-56: In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
 
Si mise in viaggio - Maria si mette in viaggio verso la montagna e raggiunge una città di Giuda, oggi preferibilmente identificata con Ain-Karim, 6 Km a ovest di Gerusalemme. La fretta con la quale Maria si avvia a trovare Elisabetta, l’anziana sposa di Zaccaria miracolosamente rimasta incinta (Lc 1,5-25), mette in evidenza la sua pronta disponibilità al progetto di Dio. Entrata in casa, il saluto della Vergine raggiunge per vie misteriose il bambino che sussulta nel grembo della madre la quale, «piena di Spirito Santo», saluta con parole profetiche la Madre del Signore.
Con un’espressione semitica che equivale a un superlativo, Elisabetta proclama Maria «benedetta fra le donne»; la Vergine è benedetta «per la presenza di un frutto benedetto [eulogémenos] nel suo seno: benedetta dunque perché madre del Benedetto, perché madre del suo Signore [vv. 42-43;]; la proclama, ancora, beata [makaria] per la fede con la quale ha reagito alla proposta divina: beata dunque perché fedele, perché uditrice della parola del Signore [v. 45]» (Carlo Ghidelli).
Il saluto dell’angelo, - «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28) - e il saluto dell’anziana donna, - «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno» - (Lc 1,42), fusi insieme, saranno ripetuti nei secoli da milioni di credenti: l’Ave Maria è «una delle preghiere più belle e profonde, nella quale Elisabetta, e quindi l’Antico Testamento, si collega con Maria, cioè col Nuovo Testamento» (R. Gutzwiller).
Il racconto della visitazione ricorda, con evidenti allusioni e coincidenze, il racconto biblico del trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme operato dal re Davide (2Sam 6,1ss).
L’arca sale verso Gerusalemme, Maria sale verso la montagna. L’arca entra nella casa di Obed-Edom e Maria entra nella casa di Zaccaria. La gioia del nascituro e il suo trasalimento nel grembo dell’anziana madre ricordano la gioia di Davide e la sua danza festosa dinanzi all’arca. L’espressa indegnità di Elisabetta dinanzi alla Madre del Signore ricorda ancora l’indegnità del re David di fronte all’arca del Signore. Questi accostamenti, molto precisi nei particolari, ben difficilmente possono essere accidentali.
L’identificazione dei due racconti va allora verso una chiara proclamazione: Maria, la Madre del Signore, è la nuova arca del Signore, e suo figlio, Gesù, è il Signore abitante in quel tempio vivo.
L’anziana sposa di Zaccaria nel proclamare senza indugi Maria «la Madre del Signore» non fa che raccogliere e ripetere le parole del nunzio celeste.
Nella tradizione biblica il Signore è Iahvé, ma anche il grande sovrano (1Cr 29,11; 2Mac 5,20; Sal 48,3), il re (Sir 51,1; Sal 99,4). L’angelo aveva annunciato a Maria che il promesso figlio sarebbe stato chiamato «Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31) e avrebbe regnato per sempre «sul trono di Davide suo padre» (Lc 1,32-33): nel suo annuncio profetico, Elisabetta non fa che ricordare e confermare le parole del messaggero celeste.
Alla fine, sulle labbra di Elisabetta si coglie un’ultima parola di lode che viene rivolta con gioia alla Vergine di Nazaret: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Maria è beata perché «madre del Signore», ed è beata perché perfetta discepola: Ella ha accolto nel suo cuore, prima che nel suo grembo, la Parola viva feconda di vita e di salvezza.
Anche il cantico della Vergine ha un riscontro nell’Antico Testamento (cfr. 1Sam l-10). Ma sulle labbra di Maria il Magnificat ha risonanze e significati molto più profondi. La Vergine non risponde ad Elisabetta, ma si rivolge a Dio lodandolo per la sua misericordiosa accondiscendenza. Egli «mi ha guardato - dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento... così come lo stesso Salvatore, che ha detto: Imparate da Me che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime» (Origene).
 
Papa Francesco (Omelia, 31 Maggio 2013): Da dove nasce il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta? Da una parola dell’Angelo di Dio: «Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio...» (Lc 1,36). Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice “udire” superficiale, ma è l’“ascolto” fatto di attenzione, di accoglienza, di disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio. Ma Maria ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita, è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie, ma va nel profondo, per coglierne il significato. La parente Elisabetta, che è già anziana, aspetta un figlio: questo è il fatto. Ma Maria è attenta al significato, lo sa cogliere: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Questo vale anche nella nostra vita: ascolto di Dio che ci parla, e ascolto anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in molti modi, pone segni nel nostro cammino; a noi la capacità di vederli. Maria è la madre dell’ascolto, ascolto attento di Dio e ascolto altrettanto attento degli avvenimenti della vita.
 
Presenza materna nel cammino della Chiesa: CdA 785:  La maternità universale di Maria interviene in modo discreto e silenzioso già all’esordio della Chiesa. Al centro del nucleo iniziale, esiguo ma proteso ad abbracciare tutte le genti, Maria invoca e accoglie il dono dello Spirito di Pentecoste. L’evangelista Luca racconta l’evento con alcuni richiami all’annunciazione e alla visitazione, quasi suggerendo una certa continuità tra la Vergine Maria e la Chiesa: come allora Maria, così ora la Chiesa riceve la potenza dello Spirito, che scende dall’alto sopra di lei, poi va ad annunziare le grandi opere di Dio. La Vergine Madre Maria si prolunga nella vergine madre Chiesa: «Con la sua nuova maternità nello Spirito, abbraccia tutti e ciascuno nella Chiesa, abbraccia anche tutti e ciascuno mediante la Chiesa». Non si pone solo come modello, ma coopera personalmente a rigenerare i figli di Dio.
 
Maria ha reso benedette in sé tutte le donne - Pseudo Gregorio Taumaturgo (Hom., 2): [Maria] allora si affrettò con premura verso la cognata Elisabetta. “Ed entrata in casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”, a imitazione dell’angelo. “E appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo” (Lc 1,40.41). Dunque la voce di Maria fu efficace, riempì Elisabetta di Spirito Santo: a mo’ di perenne fonte, per mezzo della lingua, emise un fiume di carismi profetici alla cognata: e, pur stando i piedini del feto stretti nell’utero, procurò il salto e l’esultanza. E ciò in verità era simbolo e segno del miracoloso tripudio. Infatti, quando venne la Piena di grazia, tutte le cose furono ripiene di gioia. Ed Elisabetta esclamò a gran voce, e disse: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del ventre tuo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,42.43). "Benedetta tu fra le donne". Tu senza dubbio fosti per le stesse principio di riparazione. Tu ci desti la fiducia di entrare in paradiso e fugasti l’antico dolore e lutto. Infatti, le donne dopo di te non vengono più disprezzate; giammai le figlie di Eva temeranno l’antica maledizione, né paventeranno le doglie del parto, poiché dal tuo santo utero uscì Cristo, Redentore del genere umano, Salvatore dell’intera creazione, Adamo spirituale, Medico della ferita dell’uomo terreno. “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del ventre tuo!”. Infatti, il tuo frutto divenne seme di tutte le cose buone. Invero, parole illustri sembrano anche queste della sterile Elisabetta; ma, a sua volta, ancor più illustri ne pronunciò la Santissima Vergine, la quale rese a Dio un cantico di grazie, di soave odore, pieno di teologia, annunciando cose nuove insieme con cose antiche, predicendo insieme con quelle dell’inizio del secolo quelle che accadranno alla consumazione dei secoli, esponendo sinteticamente in un breve discorso i misteri del Cristo.
 
Ti magnifichi, o Dio, la tua Chiesa,
perché hai fatto grandi cose per i tuoi fedeli,
e con gioia riconosca sempre vivo in questo sacramento
colui che fece sussultare san Giovanni nel grembo della madre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Maggio 2021
 
Santissima Trinità - Solennità
 
Dt 4,32-34.39-40; Sal 32 (33); Rm 8,14-17; Mt 28.16-20
 
Il Santo del Giorno - 30 Maggio 2021 - San Giuseppe Marello, Vescovo: Giuseppe Marello nacque a Torino il 26 dicembre 1846, dove suo padre gestiva un negozio ed era amico di don Giuseppe Cottolengo al quale regalava lenzuola per gli ospiti della «Piccola Casa». A dodici anni andò in pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona e qui, nella cripta davanti all’altare di Maria riconobbe la sua vocazione. Fu ordinato sacerdote nel 1868 ad Asti dal vescovo Carlo Savio che lo nominò suo segretario. Diventato vescovo di Acqui nel 1872, partecipò ai lavori del Concilio Vaticano I e si sentì particolarmente felice per la proclamazione di san Giuseppe a patrono della Chiesa universale. A lui si ispirò per gli Oblati di San Giuseppe, congregazione religiosa che sorse nel 1878. Sin dagli inizi del suo sacerdozio aveva intuito i bisogni della gioventù e dei poveri. Ai suoi preti chiedeva di essere «certosini in casa, apostoli fuori». Morì, quasi cinquantenne, a Savona il 30 maggio 1895. È santo dal 2001. (Avvenire)
 
Colletta: O Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero ineffabile della tua vita, fa’ che nella confessione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l’unico Dio in tre persone. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Solennità della Santissima Trinità - La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]: La più antica tradizione liturgica non conosce una speciale festa in onore della Santissima Trinità poiché si pensava che tutta la liturgia fosse la continua adorazione di Dio nelle Tre Persone. Nell’epoca carolingia nasce la devozione privata alla Santissima Trinità, e fin dal secolo X alcune Chiese hanno già una festa a parte. Roma fu contraria a questa prassi ma senza effetto: la festa fu accolta in Gallia ed in Germania. Papa Giovanni XXII l’approva nell’anno 1334 e la festa si diffonde in tutta la Chiesa seguendo la decisione precedente del Sinodo di Arles (1263), si raccomanda di celebrarla la prima domenica dopo la Pentecoste.
«Santo, santo, santo il Signore, Dio dell’universo», esclamiamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia. Glorifichiamo il Dio vivo e vero, Dio che vive nei secoli e abita nella luce inaccessibile. Dio che ha dato origine all’universo, che con sapienza e amore ha fatto tutte le sue opere. Dio che ha formato l’uomo a sua immagine e somiglianza.
Unendoci agli angeli, che incessantemente cantano la sua lode, fatti voce di ogni creatura, innalziamo il canto di lode (Preghiera eucaristica IV).
Questo Dio ci ha fatto conoscere la sua vita intima: è l’Unico ma in Tre Persone. Nel proclamare Dio vero ed eterno, noi adoriamo la Trinità delle Persone. I libri della Nuova Alleanza ci introducono nella profondità di questo mistero. Il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito per salvarlo ed ha mandato lo Spirito Santo per guidarlo alla pienezza della santità. Contemplando il mistero di Dio esclamiamo: sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo. Professare la fede nella Santissima Trinità vuol dire accettare l’amore del Padre, vivere per mezzo della grazia del Figlio ed aprirsi al dono dello Spirito Santo: credere che il Padre ed il Figlio vengono all’uomo attraverso lo Spirito e vi abitano; gioire che il cristiano è il tempio vivo di Dio nel mondo; vivere sulla terra ma nello stesso tempo in Dio, camminare verso Dio con Dio.
 
I Lettura: Mosè nel ricordare agli Israeliti ciò che Dio con infinita bontà, liberalità e perfetta compiacenza ha fatto per essi, li invita a riconoscere la signoria e l’unicità di Dio: «Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro» (Cf. Dt 6,4-9). Accettare il Signore come unico Dio e sottomettersi con gioia alla sua sovranità significa innanzi tutto osservare con zelo «le sue leggi e i suoi comandi». Soltanto nella fedeltà al suo Signore, alla sua Legge e ai suoi comandi, il popolo d’Israele potrà trovare pace, gioia, benessere, stabilità politica e felicità.
 
II Lettura: «La vita del cristiano è partecipazione alla vita di Cristo, Figlio di Dio per natura. Poiché anche noi siamo veri figli di Dio, sebbene per adozione, abbiamo diritto a prendere parte alla sua eredità: la vita gloriosa in cielo. Questa vita divina in noi, iniziata col battesimo per mezzo della rigenerazione nello Spirito Santo, si sviluppa e cresce sotto la guida dello Spirito Santo, che ci rende sempre più conformi all’immagine di Cristo. La nostra filiazione adottiva è fin da ora una realtà - già possediamo le primizie dello Spirito -, ma solo alla fine dei tempi, con la risurrezione gloriosa del corpo, la nostra redenzione attingerà la sua pienezza» (Bibbia di Navarra, Lettera ai Romani, nota 8,14-30).
 
Vangelo: Il mandato di Gesù, «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», fonda la Chiesa e la costituisce intrinsecamente missionaria. La fecondità del ministero apostolico sta nella continua presenza del Cristo risorto in mezzo ai suoi discepoli. I poteri che il Padre ha dato al Figlio, mediante lo Spirito, «sono concessi agli apostoli come capi di quel popolo che dalla loro predicazione dovrà essere generato. E questo popolo, per corrispondere al disegno di Dio, dovrà essere battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ossia introdotto nella Trinità. Non c’è altra strada di salvezza” (Andrea Gemma, Vescovo).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 28,16-20: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
 
Andate in tutto il mondo - Gesù risorto era apparso a Maria di Magdala e all’altra Maria e aveva comandato loro di annunciare ai suoi discepoli di andare in Galilea perché là lo avrebbero visto (Cf. Mt 2810).
Gli undici discepoli... undici perché Giuda si era impiccato, solo successivamente, con l’elezione di Mattia (Cf. Atti 1,23-26), il numero risalirà a quello originario voluto dallo stesso Cristo (Cf. Lc 6,13).
Andarono in Galilea, il luogo dell’apparizione del Risorto per alcuni è il monte della Trasfigurazione (Cf. Mt 17,1), ma forse si tratta solo di una indicazione teologica. Per i semiti la montagna era il luogo privilegiato per la rivelazione divina.
Si prostrarono: un gesto che esprime la fede degli Undici in Gesù Figlio di Dio (Cf. Mt 14,3). Ma rimane il nodo del dubbio che si scioglie a secondo come si interpreta il testo. Infatti, l’interpretazione del testo greco «è controversa. È incerto se tutti si prostrarono dinanzi a Gesù, riconoscendone la realtà divina, pur restando tutti [per altri esegeti soltanto alcuni] dubbiosi. Oppure se alcuni d’essi l’adorarono, mentre altri dubitavano. Il motivo del dubbio ricorre come elemento integrante nelle apparizioni di riconoscimento e viene superato con l’accertamento della identità di Gesù, qui, invece, solo per introdurre il discorso del Risorto. L’atteggiamento dei discepoli risulta comunque contrastante. Ma Gesù viene incontro alla loro incredulità. Infatti  “si avvicinò” per farsi riconoscere, dimostrando così che era realmente risorto, ma soprattutto per affidare ad essi l’incarico missionario» (Angelico Poppi).
La missione deve essere rivolta a tutti i popoli, un universalismo che travolge gli angusti spazi del popolo d’Israele.
... fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: la formula trinitaria forse risale alla liturgia. Gli Atti degli Apostoli dicono esplicitamente che il battesimo veniva amministrato nel nome di Gesù (Cf. Atti 2,38; 8,16; 10,48). Comunque, al di là di queste questioni, «la realtà profonda rimane la stessa. Il battesimo si ricollega alla persona di Gesù salvatore; ora tutta la sua opera di salvezza procede dall’amore del Padre e si compie nell’effusione dello Spirito» (Bibbia di Gerusalemme).
A questo proposito san Tommaso d’Aquino fa notare che in «Gesù Cristo vi sono l’umanità e la Divinità. L’umanità è la via, non il fine... Non voglio - Egli dice - che rimaniate nella via, cioè nell’umanità, ma che proseguiate verso la Divinità. Bisognava perciò che due cose venissero indicate: l’umanità e la Divinità. Con il battesimo l’umanità: Per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti con Lui nella morte [Rom 6,4]. E con la forma delle parole, la Divinità, in quanto che la santificazione avviene per mezzo della Divinità. Perciò dice: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Super Ev. Matth. XXVIII, 2465).
Oltre a fare discepoli tutti i popoli, gli Apostoli devono insegnare loro a osservare tutto ciò che Gesù ha comandato. Un riferimento innanzi tutto al duplice comandamento nell’amore: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente e amare il prossimo come se stesso: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,34-40).
Io sono con voi tutti i giorni…: l’evangelista Matteo all’inizio della sua opera aveva avuto premura di ricordare la profezia dell’Emmanuele (Cf. Mt 1,23; Is 7,14), adesso la dichiara compiuta. È la presenza del Salvatore, «intesa però non in modo statico, ma dinamico, perché viene associata alla missione dei discepoli per la diffusione del vangelo fra tutte le genti. Il popolo di Dio, configurato nel popolo messianico di Cristo, potrà godere della presenza di Dio [= shekinàh] sino alla “consumazione del secolo”, cioè sino alla instaurazione definitiva della sovranità nel giorno del giudizio universale, alla fine dei tempi» (Angelico Poppi).
Una presenza anche taumaturgica, così come ci ricorda Marco: «Allora [gli Undici] partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20).
 
Benedetto XVI (Angelus 7 Giugno 2009): Quest’oggi contempliamo la Santissima Trinità così come ce l’ha fatta conoscere Gesù. Egli ci ha rivelato che Dio è amore “non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza” (Prefazio): è Creatore e Padre misericordioso; è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica. Lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il “nome” della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore. Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. “O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8,2) - esclama il salmista. Parlando del “nome” la Bibbia indica Dio stesso, la sua identità più vera; identità che risplende su tutto il creato, dove ogni essere, per il fatto stesso di esserci e per il “tessuto” di cui è fatto, fa riferimento ad un Principio trascendente, alla Vita eterna ed infinita che si dona, in una parola: all’Amore. “In lui - disse san Paolo nell’Areòpago di Atene - viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore.
 
Fede trinitaria della Chiesa - Catechismo degli Adulti: [321]: La fede cristiana fin dalle origini è cristologica e trinitaria, perché nel mistero di Cristo, il consacrato con l’olio della sovranità divina, noi incontriamo «il Padre che fa l’unzione, il Figlio che la riceve, lo Spirito che è l’unzione stessa».
Nel II secolo nascono i “simboli della fede” e nascono esplicitamente trinitari. Ecco uno dei più antichi, quello della cosiddetta Didascalia degli Apostoli: «Credo nel Padre dominatore dell’universo e in Gesù Cristo Salvatore nostro e nello Spirito Santo Paraclito». Nel II secolo anche la preghiera eucaristica, pronunciata sul pane e sul vino durante la Messa, ha struttura trinitaria, essendo rivolta «al Padre dell’universo, mediante il nome del Figlio e dello Spirito Santo». E tale rimane fino ad oggi.
 
La volontà di Dio uno e trino - Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 22,15: Non cerco il mio volere, ma il volere di colui che mi ha mandato (Gv 5,30). Il Figlio unigenito dice: «Non cerco il mio volere» e gli uomini pretendono di fare la propria volontà! Egli, che è uguale al Padre, di così tanto si umilia, mentre di tanto si inorgoglisce colui che giace nel profondo, e che non potrebbe certo sollevarsi se nessuno gli porgesse una mano! Facciamo dunque la volontà del Padre, la volontà del Figlio, la volontà dello Spirito Santo: poiché questa Trinità non ha che una sola volontà, una sola potestà, una sola maestà. Per questo il Figlio dice: «Non sono venuto per fare il mio volere, ma il volere di colui che mi ha mandato».
 
Signore Dio nostro,
la comunione al tuo sacramento
e la professione della nostra fede in te,
unico Dio in tre persone,
siano per noi pegno di salvezza dell’anima e del corpo.
Per Cristo nostro Signore.
 

 

 

 

 

 29 Maggio 2021

 Sabato VIII Settimana T. O.

Sir 51,17-27 NV [gr. 51,12c-20b]; Sal 18 (19); Mc 11,27-33

 Il Santo del Giorno - 29 Maggio 2021 - Santi Sisinnio, Martirio e Alessandro, martiri: Antichissimo è nel Trentino il culto dei primi evangelizzatori e martiri: il diacono Sisinio, il lettore Martirio e suo fratello Alessandro, ostiario. La loro esistenza pare essere storicamente certa: troviamo infatti loro riferimenti nelle lettere di San Vigilio, vescovo di Trento, e negli scritti di Sant’Agostino e di San Massimo di Torino.
Sant’Ambrogio, celebre vescovo milanese, li aveva vivamente raccomandati a Vigilio, che al momento nella sua diocesi aveva scarsità di pastori. Questi incaricò i tre missionari di evangelizzare le Alpi Tirolesi ed in particolare la Val di Non. Naturalmente incontrarono non poche opposizioni alla loro opera, ma nonostante ciò riuscirono a guadagnare non poche persone alla fede in Cristo. Sisinnio in particolare promosse l’edificazione di una chiesa presso Methon (Medol). È facile immaginare come i pagani del luogo fossero sempre più adirati per l’adesione di copiose folle alla dottrina cristiana, sottratte così all’adorazione del dio Saturno. Tentarono allora di convincere i neo-convertiti al cristianesimo a partecipare a cerimonie politeiste, riscontrando però un netto rifiuto. Sisinio Martirio ed Alessandro, ritenuti responsabili dell’imbonimento della popolazione locale, furono assaliti nella loro chiesa e malmenati violentemente. Il primo morì subito dopo l’aggressione, mentre i due fratelli vennero arsi insieme dinnanzi all’altare del dio Saturno, usando a tal fine i legni della loro stessa chiesa distrutta. Era il 29 maggio 397 e la tradizione popolare ritiene quale scena del martirio la chiesa di San Zeno in Val di Non. Le loro ceneri furono traslate a Trento per volontà dei fedeli, mentre sul luogo del martirio venne eretta una chiesa in memoria. Nel 1997, nel 1600° anniversario della loro morte, le loro reliquie hanno visitato in pellegrinaggio tutte le parrocchie del Trentino. Oggi il quadro che li raffigura, abitualmente custodito nel museo Diocesano, è esposto nella piccola abside della cattedrale di Trento. (Autore: Fabio Arduino)

Colletta: Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà di pace e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

... andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani...: Catechismo della Chiesa Cattolica 574-575: Fin dagli inizi del ministero pubblico di Gesù, alcuni farisei e alcuni sostenitori di Erode, con dei sacerdoti e degli scribi, si sono accordati per farlo morire. Per certe sue azioni, Gesù è apparso ad alcuni malintenzionati sospetto di possessione demoniaca. Lo si accusa di bestemmia e di falso profetismo, crimini religiosi che la Legge puniva con la pena di morte sotto forma di lapidazione. Molte azioni e parole di Gesù sono dunque state un “segno di contraddizione” (Lc 2,34) per le autorità religiose di Gerusalemme, quelle che il Vangelo di san Giovanni spesso chiama “i Giudei”, ancor più che per il comune popolo di Dio (Gv 7,48-49). Certamente, i suoi rapporti con i farisei non furono esclusivamente polemici. Ci sono dei farisei che lo mettono in guardia in ordine al pericolo che corre. Gesù loda alcuni di loro, come lo scriba di Mc 12,34 , e mangia più volte in casa di farisei. Gesù conferma dottrine condivise da questa élite religiosa del popolo di Dio: la risurrezione dei morti, le forme di pietà (elemosina, preghiera e digiuno), e l’abitudine di rivolgersi a Dio come Padre, la centralità del comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. 

A partire dal versetto 18 Ben Sirach inizia a parlare in prima persona ricordando come fin da giovane si era posto alla ricerca della sapienza: Quand’ero ancora giovane, prima di andare errando, ricercai assiduamente la sapienza nella mia preghiera. Davanti al tempio ho pregato per essa, e sino alla fine la ricercherò.
Una volta raggiunta la sapienza l’accolse e vi trovò un insegnamento abbondante.
Questa pericope sembra fare eco a Sap 7,7-11: “Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Queste espressioni troveranno pienezza nell’incarnazione con la quale il Verbo di Dio si è fatto nostra sapienza: “Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30).

Con quale autorità fai queste cose?: se nel contesto la domanda dei capi dei sacerdoti si riferisce all’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme e alla cacciata dei mercanti dal Tempio, possiamo pensare che voglia abbracciare anche tutto il suo ministero pubblico. Gesù, come ha già fatto tante altre volte, risponde con una contro domanda, ponendo così i suoi avversari in difficoltà: Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi. Incapaci, per malizia e per paura della folla, di esprimere una decisione autorevole circa il battesimo di Giovanni, gli scribi e gli anziani preferiscono tacere. Dinanzi a tanta ipocrisia Gesù replica con forza e dice loro: Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose. Il cuore del racconto marciano è in questa solenne affermazione di Gesù; è una tacita rivendicazione di possedere un’autorità messianica concessagli da Dio. Le autorità religiose, per la loro caparbia ostinazione, ancor una volta hanno sciupato l’occasione di conoscere la Verità, accoglierla e custodirla nel loro cuore.

Dal vangelo secondo Marco 11,27-33: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?».
Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo».
E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
 
L’autorità di Gesù - La prima controversia - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Gesù aveva cacciato dal tempio i venditori e i cambiavalute; il giorno seguente, mentre si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani, chiedendogli: «Con quale autorità fai queste cose?». Gesù ne percepì l’intenzione ambigua e fece loro una controdomanda, dalla cui risposta sarebbe dipesa la sua: «Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?». Per non compromettersi né con Gesù né con la gente, risposero: «Non sappiamo». Allora anche lui tenne per sé la sua risposta. La scena è riferita anche dall’evangelista Matteo (21,23ss).
Questo è il primo dei cinque racconti di controversie che narra l’evangelista Marco, corrispondenti ai giorni che precedettero la passione del Signore. Si va accentuando la rottura tra Gesù e capi della religione ufficiale, che condurrà al suo processo di condanna.
Cristo amava il dialogo, ma anche la sincerità. E quando il suo interlocutore agiva con doppiezza, come nel caso di oggi, non rispondeva. Non lo fece neanche davanti al tribunale di Caifa, né davanti a Erode, né davanti a Pilato; così difese la sua dignità con il silenzio. Allo stesso modo cercò una scappatoia alla domanda sul tributo a Cesare a a quella degli inquisitori della donna adultera. Al regno di Dio si accede solamente per la strada della verità e della sincerità, che conducono alla fede; per questo molti dei responsabili del popolo d’Israele  restarono fuori dal regno.

Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? - Klemens Stock S.I. (Marco): Con la sua domanda, Gesù mette in grande difficoltà i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani. Essi non sono più quelli che pongono domande da una posizione di potere, ma a un tratto è
il loro stesso comportamento a essere messo in questione. Essi non vogliono riconoscere che quella di Giovanni era una missione voluta da Dio, perché non hanno preso sul serio il suo annuncio e il battesimo. Tuttavia non vogliono neppure di conoscerlo, perché il popolo ritiene Giovanni un vero profeta inviato da Dio, e perché essi temono il popolo. Così rifiutano una presa di posizione pubblica, onesta. In loro la paura del popolo è più forte del timore di Dio. Non sembra che essi stiano cercando dove si manifesti la volontà di Dio. Il loro comportamento è volto a mantenere possibilmente indisturbati la loro posizione e il loro potere.
Colpisce la grande analogia nei rapporti: sinedrio - popolo ­ Giovanni/Gesù. Il popolo ritiene Giovanni un vero profeta (11,32). Fin dall’inizio ha anche fatto l’esperienza di un’inconsueta autorità nell’insegnamento di Gesù (1,22.27; 11,18; cf. 6,14-15; 8,28) e lo ha ascoltato volentieri sino alla fine (12,37).
Poiché temono questo atteggiamento del popolo, i membri del sinedrio non osano contestare la missione divina di Giovanni (11,32) e dare direttamente esecuzione ai propri disegni su Gesù (11,18; 12,12; 14,1-2). Se Gesù li rimanda a Giovanni, questo produce anche l’effetto secondario di rendersi il popolo, per così dire, doppiamente alleato.
Essendo in imbarazzo, i rappresentanti del sinedrio rispondono a Gesù: «Non lo sappiamo» (11,33). Con ciò ammettono di non essere in grado di giudicare sull’origine dell’autorità di Giovanni.
Che senso ha allora che essi facciano domande sull’autorità di Gesù, e non sono in grado di formarsi un’opinione al riguardo?
Gesù quindi si vede sciolto dalla sua promessa e non dà loro nessuna risposta esplicita. Ma nella successiva parabola chiarisce quello che, nel rinvio a Giovanni, egli ha soltanto accennato per se stesso.

Quand’ero ancora giovane, prima di andare errando, ricercai assiduamente la sapienza nella mia preghiera (I Lettura) - Sapienza - Piccolo Dizionario Biblico: Costituisce una forma dell’arte del vivere, e come tale viene ne lodata dalla Sacra Scrittura quella degli Edomiti (Ger 49,7) e quella dell’Egitto (Gn 41 8; Ger 50,35). Come giusta norma di vita, la sapienza è fondata sul timore di Dio (Pro 1,7; Gb 28,28). Nella cosiddetta letteratura sapienziale dell’Antico Testamento si trovano le espressioni di questa sapienza (per esempio: Giobbe, Proverbi, Ecclesiaste, Sapienza [Libro della Sapienza], Ecclesiastico). Come l’Antico Testamento, anche il Nuovo Testamento esalta la sapienza di Dio (Rm 16,27), sottolinea tuttavia come la sapienza di Dio sia venuta nel mondo con Cristo (1Cor 1,24). Questa si manifesta nel messaggio della croce e così diventa appello rivolto all’uomo (lCor 1,21-25). La sapienza nascosta di Cristo (Col 2,3) si manifesta in vari modi (lCor 13,9s.12); essa viene elargita come dono dello Spirito Santo (lCor 2,13; Ef 1,8.17) e deve essere richiesta nella preghiera (Gc 1,5). La condotta retta del cristiano costituisce una testimonianza data per la sapienza di Dio (Col 3,16).

Il timore della Verità - Agostino (Commento al Vangelo di Giovanni 2, 9): Il timore di essere lapidati e il timore, ancor più grande, di confessare la verità, li indusse a rispondere una menzogna alla Verità; e l’iniquità mentì a se stessa (Sal26, 12). Essi risposero infatti: non lo sappiamo. E il Signore, vedendo che quelli si erano chiusi essi tessi la porta negando di sapere ciò che invece sapevano, neppure lui volle aprire, perché essi non avevano bussato. Sta scritto infatti: Bussate, e vi sarà aperto (Mt 7,7; Lc 11,9). Ma quelli non solo non bussarono per farsi aprire, ma con la loro negazione si chiusero la porta in faccia. E il Signore disse loro: Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio tali cose (Mt 21,17; Mc 11,33; Lc 20,7).

Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.