1 FEBBRAIO 2022
 
MARTEDÌ DELLA IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
2Sam 18,9-10.14.24-25.30;19,1-4; Dal Sal 85 (86); Mc 5,21-43
 
Il Santo del Giorno 1 Febbraio 2022 - Sant’Orso d’Aosta - Sembra fosse un presbitero di Aosta, che aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di san Pietro. Sant’Orso, uomo semplice, pacifico e altruista, viveva da eremita trascorrendo il tempo nella preghiera continua, sia di giorno che di notte, dedito al lavoro manuale per procurarsi il cibo per vivere, accogliendo e consolando e aiutando tutti quelli che a lui accorrevano. Il tutto costellato da miracoli e prodigi, testimonianza della sua santità. Se incerto è il periodo in cui visse (fra il V e l’VIII secolo), più sicuro è il giorno della morte, che poi è diventato il giorno della sua festa: 1 febbraio. Il suo culto, oltre che ad Aosta dove l’antica chiesa di san Pietro è diventata la Collegiata di san Pietro e sant’Orso, si estese anche nella diocesi di Vercelli, Ivrea e altre zone dell’Italia Nord- Occidentale. È invocato contro le inondazioni, le malattie del bestiame. A lui è dedicata la fiera che si tiene nel giorno della vigilia della sua festa ad Aosta. (Avvenire)
 
Colletta: Signore Dio nostro, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Non temere, soltanto abbi fede! - Benedetto XVI (Udienza Generale 24 ottobre 2012): La fede è dono di Dio, ma è anche atto profondamente libero e umano. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo dice con chiarezza: «È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo» (n. 154). Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti. Credere è affidarsi in tutta libertà e con gioia al disegno provvidenziale di Dio sulla storia, come fece il patriarca Abramo, come fece Maria di Nazaret. La fede allora è un assenso con cui la nostra mente e il nostro cuore dicono il loro «sì» a Dio, confessando che Gesù è il Signore. E questo «sì» trasforma la vita, le apre la strada verso una pienezza di significato, la rende così nuova, ricca di gioia e di speranza affidabile.
Cari amici, il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine.
 
I Lettura: La guerra tra l’esercito di Assalonne e l’esercito di Davide era ormai così avanti che nulla poteva fermarla. Nonostante gli ordini precisi di Davide perché suo figlio venisse risparmiato in ogni caso, Assalonne viene ucciso da Ioab credendo di fare cosa gradita al re Davide. Di fronte alla morte, Assalonne non è più il ribelle, ma solamente il figlio, e così la vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: «Il re è desolato a causa del figlio».
 
Vangelo: I due miracoli concatenati hanno una tematica comune: suscitare nei lettori la fede in Gesù. La donna, piena di fede tocca le vesti di Gesù e viene guarita dalla sua infermità, la figlia di Giàiro viene risuscitata da Gesù per la fede del padre: l’evangelista Marco vuol dire che Gesù è colui che dona la vita fisica e quella spirituale, la guarigione del corpo e la salvezza eterna.
 
Dal Vangelo secondo Marco 5,21-43: In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
 
Due miracoli compongono questo lungo racconto. La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, «con la sua strana domanda: “Chi mi ha toccato”, enfatizza il fatto, mettendo pure in imbarazzo la donna, ma lo fa per esaltare pubblicamente la sua fede e indicarla come requisito necessario per la guarigione» (Bruno Barisan).
La bambina non è morta, ma dorme - Il caso si presentava ormai senza soluzioni: dalla casa del capo della sinagoga erano venuti alcuni a dire che la fanciulla era morta. Non aveva quindi più senso continuare a importunare il Maestro di Nazaret. Gesù, il figlio di Maria (Mc 6,3), come se non avesse inteso nulla, esorta Giàiro, il padre della fanciulla morta, a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui. Poi, con Pietro, Giacomo e Giovanni, che saranno le «colonne della Chiesa» (Gal 2,9), si avvia verso la casa di Giàiro.
La scelta dei tre discepoli non è lasciata al caso: più avanti sempre Pietro, Giacomo e Giovanni, e soltanto loro, saranno chiamati ad essere gli unici testimoni privilegiati della trasfigurazione (Mc 9,2) e della preghiera nel giardino del Getsemani (Mc 14,33). Gesù, così come dettava la legge mosaica (Dt 19,15), vuole dei testimoni qualificati che in seguito avessero potuto testimoniare la realtà del miracolo che stava per operare.
La casa di Giàiro è sprofondata nel dolore: gli strepiti, i pianti dei parenti e delle prèfiche, accrescono la confusione e il chiasso. Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai piagnoni: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Le parole di Gesù non devono far credere che si tratta di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della fanciulla, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giàiro, il presente stato della fanciulla è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.
Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore. La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bambina.
Gesù presa la mano della fanciulla, il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), pronuncia le parole ‘Talità kum’. Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica. La guarigione è immediata e istantanea.
La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
 
Non possiamo sfuggire a una domanda - (E. SCHWEIZER, Il Vangelo secondo Marco): Questo doppio racconto è tutto orientato verso l’attesa del sorgere della fede nel lettore. Il carattere concreto, fisico, dell’azione di Gesù è descritto in modo cosi realisticamente esplicito, che non possiamo sfuggire a questa domanda: siamo disposti a riconoscere che l’azione di Dio si estende anche al dominio della vita corporale, oppure lo neghiamo? ... Al tempo stesso, però, viene precisato che la fede è completa solo nell’incontro personale con Gesù, nel «dialogo» con lui, mentre persino l’esperienza di un miracolo che supera ogni possibilità di comprensione non serve ancora a nulla; può soltanto aiutare a comprendere correttamente l’evento.
Anche per Marco questa risurrezione è un’eccezione unica che mostra si l’autorità di Gesù, ma non vuol risolvere il problema della morte. Gesù non ha vinto la morte perché ha rimandato alcune persone, morte in circostanze particolarmente tragiche, a rivivere per pochi anni in seno alle loro famiglie.
La comprensione di questo racconto, richiede che vediamo una sorta di progressione: si giunge, attraverso tutte le possibili esperienze, alla fede, ad una fede che, partendo dallo « sguardo» di Gesù che cerca e crea la comunione con l’uomo, porta al dialogo con lui e alla sua parola che lascia andare liberi nella pace di Dio.
Allora il credente si rende conto che questo « si » di Dio a lui, la comunione in cui Dio lo ha accolto, non si interromperà con la morte.
In questa prospettiva può anche ritenere Dio capace di quella quanto mai concreta potenza creatrice che risuscita i morti, di cui l’episodio narrato nel nostro testo è segno visibile, e imparare a prendere, come fa Gesù, la realtà del Dio che risuscita i morti più seriamente della apparente realtà della morte.
Vicino a una bara o sul letto di morte crederà alla Vita che è più concreta e reale di tutto ciò che noi, sulla terra, chiamiamo esistenza e vita
 
La fede dono di Dio - Catechismo degli Adulti - Dono di Dio [90]: La fede è un dono o una scelta? Quando Paolo venne a portare il vangelo in Europa, nella città di Filippi «c’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia... e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14). Non basta l’annuncio esteriore a suscitare la fede; occorre anche una illuminazione interiore. Già l’Antico Testamento aveva chiara consapevolezza che la fede è frutto di una iniziativa di Dio: «Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti... Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele» (Dt 7,79). Gesù stesso ha dichiarato pubblicamente: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44). La fede è dono dello Spirito Santo, che la previene, la suscita, la sostiene, l’aiuta a crescere. È lui che illumina l’intelligenza, attrae la volontà, rivolge il cuore a Dio, facendo accettare con gioia e comprendere sempre meglio la rivelazione storica di Cristo, senza aggiungere ad essa nulla di estraneo.
[91] Qualcuno potrebbe pensare: se la fede è un dono, forse io non l’ho ricevuto ed è per questo che non credo. C’è da dire, anzitutto, che i confini tra fede e incredulità nel cuore delle persone non sono ben marcati, un po’ come in quell’uomo che diceva a Gesù: «Credo, aiutami nella mia incredulità» (Mc 9,24). I credenti sono tentati di non credere e i non credenti sono tentati di credere. Qualcuno pensa di non credere e invece crede, almeno a livello di disponibilità e adesione implicita; altri pensano di credere e invece danno soltanto un’adesione teorica, senza vita.
 
Le sofferenze dei genitori - Pietro Crisologo, Sermoni 33, 2: Prima che il discorso riveli il mistero del senso evangelico, ci piace a questo punto illustrare brevemente le sofferenze dei genitori, da loro affrontate e sopportate per l’affetto e l’ amore dei loro figli. Circondata dalla famiglia, tra le tenere e delicate attenzioni dei parenti, la figlia giace nel soffice lettuccio, il padre giace ed è steso, prostrato sull’arida terra: quella è sofferente nel corpo, questi si strugge nella mente e nell’animo; quella sopporta le segrete sofferenze del suo male, questo, alterato nell’aspetto e immerso nel lutto, è oggetto dei discorsi e dei commenti di tutto il popolo; quella muore in vista del riposo, questo vive in vista del dolore ... Ahimè! Perché i figli ignorano un sì grande amore, perché non lo comprendono, perché non si sforzano di ricambiarlo ai genitori? E tuttavia l’affetto dei genitori insiste, perché Dio, padre di tutti, ripagherà ai genitori tutto quello che i genitori spenderanno per i figli.
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.

 

 31 Gennaio 2022
 
San Giovanni Bosco Presbitero,
 
2 Sam 15,13-14.30;16, 5-13a
; Sal 3; Mc 5,1-20
 
Il Santo del Giorno - 31 Gennaio 2022 - San Giovanni Bosco - Così la gioia e l’amore fanno diventare grandi: Per Bartolomeo Garelli, muratore di 16 anni, la grazia più grande fu quella di incontrare don Giovanni Bosco: quello fu il seme dell’oratorio del sacerdote santo, testimone dell’importanza dell’opera educativa alla luce del Vangelo. Il patrono dei giovani aveva appena nove anni (era nato il 16 agosto 1815 a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco) quando ebbe il sogno che gli indicò la strada da seguire: in un cortile, in mezzo a un gruppo di ragazzi, vide prima Gesù e poi la Madonna, attorniata a bestie feroci poi trasformate in agnelli. Lì cominciò l’opera di don Bosco, il cui “metodo” si fondava proprio sulla capacità di entrare in relazione con i ragazzi, anche attraverso il gioco e l’allegria. Divenne sacerdote nel 1841 e nello stesso anno diede avvio a quella che poi divenne la Società Salesiana, fondata nel 1854. Nel 1872, con santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Morì nel 1888 e la sua eredità oggi è presente in tutto il mondo.
 
Colletta
O Dio, che hai suscitato il presbitero san Giovanni [Bosco]
come padre e maestro dei giovani,
concedi anche a noi la stessa fiamma di carità,
a servizio della tua gloria, per la salvezza dei fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.  
 
Liberatore vittorioso - Catechismo degli Adulti [186]: Come la scelta iniziale, così tutto il servizio messianico di Gesù si sviluppa in conflitto con «l’impero delle tenebre» (Lc 22,53), fino all’ora decisiva della passione.
Dove passa Gesù di Nàzaret, si manifesta una potenza di liberazione, di guarigione e di riconciliazione. Poveri e malati, peccatori e ossessi vengono sollevati con l’energia dello Spirito di Dio. Il dominio del nemico arretra inesorabilmente: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore» (Lc 10,18).
«Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8), perché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La vittoria di Gesù e dei suoi discepoli sul peccato e la morte, sulla sofferenza, la malattia e il disordine della natura, è la vittoria del regno di Dio su quello del diavolo, perché, almeno indirettamente, le varie forme di male sono connesse al suo influsso nefasto.
 
I Lettura - Antonio Gonzales-Lamadrid (Commento della Bibbia Liturgica): Davide senza dubbio, si sente responsabile dell’indisciplina, dell’insolenza e dell’ambizione dei suoi figli, e specialmente di Assalonne; perciò, sopporta con una pazienza e una umiltà esemplari le villanie a cui si vede sottomesso. La figura di Davide che sale l’erta del monte degli Ulivi singhiozzando, a capo coperto e coi piedi scalzi, è realmente impressionante. Lascia dietro di sé la città da lui eroicamente conquistata, la capitale delle dodici tribù che solo il suo talento è stato capace di unificare, lascia alle sue spalle il palazzo reale, molte cose amate ma principalmente Assalonne, il figlio amato del quale conosce molto bene le ambizioni.
Le lacrime di Davide sul monte degli Ulivi fanno ricordare quelle di Gesù che, trovandosi in quello stesso luogo, ebbe sotto i suoi occhi la città santa e fu sopraffatto dal dolore e dalla tristezza, perché ne prevedeva l’apostasia e la rovina (Lc 19,41-44).
Non sono però meno impressionanti la pazienza e l’umiltà di Davide di fronte agli insulti e alle maledizioni di Simei, maledizioni, che, dal punto di vista politico, riflettono le tensioni esistenti fra la tribù di Benia: minore quella di Giuda, e fra i difensori della dinastia di Saul e quella di Davide. In fondo, però, quello che più si impone è la fortezza d’animo, la profonda religiosità e l’umiltà di Davide. Si direbbe che, in questo momento il re d’Israele concentri nella sua persona tutta la fede del popolo eletto, giustamente provato da Dio e avvezzo alla sofferenza e all’umiliazione.
 
Vangelo: Il paese dei Geraseni è in territorio pagano: la Buona Notizia non è chiusa entro i confini di Israele. Un uomo posseduto da uno spirito impuro vive tra i sepolcri, fuori della città. L’indemoniato fa gesti folli, insensati e scomposti: “notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”. È un povero uomo instabile nelle sue facoltà, non più padrone di sé. Il racconto mostra che l’incontro con Gesù non è soltanto una guarigione, ma una vera liberazione, un ritrovare se stessi, una riconquista della propria autenticità. Guarito l’indemoniato chiede a Gesù di rimanere con lui, ma Gesù non glielo permette. Pur non conoscendo il motivo del rifiuto, è da sottolineare che qui Gesù non impone il segreto messianico come lo impose, invece, ai giudei, e che l’uomo, mandato da Gesù ad annunciare la misericordia di Dio, se ne va in giro per la Decàpoli a proclamando quanto Gesù aveva fatto per lui. La Buona Notizia risuona in questo modo anche in terra pagana.
 
Dal Vangelo secondo Marco 5,1-20: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto.
Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura.
Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.  
 
Subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Lo spirito è detto impuro perché si è sottratto, volontariamente, dalla potestà di Dio che è santo. Anche se il regno di satana è stato definitivamente distrutto dalla gloriosa morte e risurrezione di Gesù Cristo, in attesa del giorno del giudizio, i demoni godono una certa libertà nella loro azione sulla terra. Dio può permettere che essi prendano possesso degli uomini o degli animali. “Questa possessione è accompagnata spesso da una malattia, poiché questa, a titolo di conseguenza del peccato [Mt 9,2], è un’altra manifestazione dell’azione di Satana” (Bibbia di Gerusalemme). Così gli esorcismi del Vangelo, che a volte, come qui nel racconto di Marco, “appaiono allo stato puro [cfr. Mt 15,21-28; Mc 1,23-28; Lc 8,2], avvengono spesso in forma di guarigione [Mt 9,32-34; 12,22-24; 17,14-18; Lc 13,10-17]. Con il suo potere sui demoni Gesù distrugge l’impero di Satana [Mt 12,28; Lc 10,17-19; cfr. Lc 4,6, Gv 12,31] e inaugura il regno messianico, di cui lo Spirito santo è la promessa caratteristica [Is 11,2; Gl 3,1s). Se gli uomini rifiutano di comprenderlo, i demoni invece lo sanno bene [qui e Mc 1,24;  3,11; Lc 4,41; At16,17; 19,15]. Questo potere di esorcismo, Gesù lo comunica ai suoi discepoli insieme con il potere delle guarigioni miracolose [Mt 10,1.10,8] che gli è connesso [Mt 8,3; 4,24; 8,16; Lc 13,32)” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Werner Wiskirchen: Cacciata dei demoni. Nel mito dei racconti dell’antichità, su prodigiosi “uomini divini” riluce la verità che il mondo e gli uomini hanno bisogno di essere salvati. Secondo Marco Gesù inizia la sua attività con una cacciata dei demoni. Il suo grido di araldo rivolto a Israele che annuncia l’immediata vicinanza della signoria di Dio nella sua persona è, nel contempo, grido di combattimento contro tutte le specie di demoni. “Se io scaccio i demòni con il dito di Dio (Matteo: nello Spirito di Dio), è dunque giunto a voi il regno ili Dio” (Lc 11,20).
Gesù possiede lo Spirito santo puro e caccia i forti spiriti impuri dalla loro casa, dal momento che è più forte di loro. I demoni si manifestano soprattutto come causa di malattia e possessione. Per mezzo della cacciata dei demoni. Dio diventa Signore su Satana.
Satana, in quanto falso signore “tortura e schiavizza la creazione buona”.
Ciò si manifesta, secondo il modo di vedere di quel tempo, anche nelle catastrofi naturali, cosicché i miracoli sulla natura di Gesù traggono da qui il loro significato. Gesù vuole riportare la creazione allo stato iniziale di bontà. La salvezza abbraccia l’uomo intero visto nel suo mondo, quindi anche la corporeità. Agli occhi di Gesù ogni uomo è un malato in cerca di guarigione. Il potere di Gesù di cacciare i demòni è uno dei più importanti punti di partenza prepasquali per il titolo “Figlio di Dio”. La lotta di Gesù contro i demoni viene continuata dai discepoli (Mc 6,7) e dalla comunità (At 19,11-17). La potenza universale della superstizione e della falsa sapienza, la degenerazione della potenza politica e la sua trasfigurazione cultuale (cf. At 13,lss) sono segni escatologici dell’impotente furore di Satana, il quale sa “che gli resta poco tempo” (Ap 12,12). La cacciata dei demòni a spettro universale è necessaria. La chiesa è forte soltanto nel nome di Gesù.
 
Il potere temporaneo per provare la fede - Tertulliano, La fuga durante la persecuzione 2, 6-7:  La legione dei demoni non avrebbe avuto potere neanche sul gregge dei porci (cf. Mc 5,11-13), se Dio non lo avesse permesso: tanto è lontano il demonio da avere alcun potere sul gregge di Dio. Posso affermare che le setole dei porci sono stati numerati da Dio, e tanto più i capelli dei santi (cf. Mt 10, 30, Lc 12, 7). Il diavolo sembra, semmai, affermare il suo potere su quelli che non appartengono al Signore, e le nazioni sono stimate da Dio come goccia in un vaso e come la polvere in un campo e come la saliva (cf. Is 40, 15), e per questo sono lasciate al diavolo, in un certo qual modo, come una vuota possessione. Inoltre il diavolo non può avere alcun potere sui domestici di Dio, poiché, quando è possibile, è per qualche motivo, come dimostrano gli esempi segnalati nelle Scritture (cf. Gv 1, 12). Oppure è concesso a quello a motivo di prova il diritto della tentazione per il provocato o per il provocatore, come nel caso dei superiori, oppure a motivo di condanna il peccatore è affidato a quello, quasi come ad un carnefice per ricevere la pena, come nel caso di Saul (cf. l Sam 16, 14).

La partecipazione a questo banchetto del cielo,
Dio onnipotente,
rinvigorisca e accresca in tutti noi la grazia che da te proviene,
perché, celebrando la memoria di san Giovanni Bosco,
custodiamo integro il dono della fede
e camminiamo sulla via della salvezza da lui indicata.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 

 

 30 Gennaio 2022
 
IV Domenica T. O.
 
Ger 1,4-5.17-19; Sal 70 (71); 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
 
Il Santo del giorno: 30 Gennaio 2022 - Santa Batilde Regina dei Franchi: Di origine anglosassone, Batilde durante un viaggio fu catturata da alcuni pirati e venduta in Francia, nel 641, ad Erchinoaldo, dignitario di corte di Neustria, che, dopo essere rimasta vedovo, voleva sposarla. L’ex schiava si rifiutò, accettando poi di sposare Clodoveo II re di Neustria e di Borgogna. Ebbe tre figli, Clotario III, Tierrico III e Childerico II. Nel 657 Batilde divenne vedova e quindi reggente del regno in nome del figlio Clotario; con la guida dell’abate Genesio, si diede alle opere di carità, aiutando i poveri e i monasteri. Lottò strenuamente contro la simonia e contro la schiavitù, che fu interdetta per i cristiani, mentre con proprio denaro restituì la libertà a moltissimi schiavi. Quando il figlio Clotario III raggiunse la maggiore età, Batilde si ritirò nel monastero di Chelles, nella diocesi di Parigi, che lei stessa nel 662, aveva fatto restaurare. Vi morì nel 680. Fu sepolta a Chelles, accanto al figlio Clotario III, morto nel 670. (Avvenire)
 
Colletta
Signore Dio nostro,
che hai ispirato i profeti
perché annunciassero senza timore
la tua parola di giustizia,
fa’ che i credenti in te non arrossiscano del Vangelo,
ma lo annuncino con coraggio
senza temere l’inimicizia del mondo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.   
 
Papa Francesco (Angelus 8 Luglio 2018): Ci domandiamo: come mai i compaesani di Gesù passano dalla meraviglia all’incredulità? Essi fanno un confronto tra l’umile origine di Gesù e le sue capacità attuali: è un falegname, non ha fatto studi, eppure predica meglio degli scribi e opera miracoli. E invece di aprirsi alla realtà, si scandalizzano. Secondo gli abitanti di Nazaret, Dio è troppo grande per abbassarsi a parlare attraverso un uomo così semplice! È lo scandalo dell’incarnazione: l’evento sconcertante di un Dio fatto carne, che pensa con mente d’uomo, lavora e agisce con mani d’uomo, ama con cuore d’uomo, un Dio che fatica, mangia e dorme come uno di noi. Il Figlio di Dio capovolge ogni schema umano: non sono i discepoli che hanno lavato i piedi al Signore, ma è il Signore che ha lavato i piedi ai discepoli (cfr Gv 13,1-20). Questo è un motivo di scandalo e di incredulità non solo in quell’epoca, in ogni epoca, anche oggi.
Il capovolgimento operato da Gesù impegna i suoi discepoli di ieri e di oggi a una verifica personale e comunitaria. Anche ai nostri giorni infatti può accadere di nutrire pregiudizi che impediscono di cogliere la realtà. Ma il Signore ci invita ad assumere un atteggiamento di ascolto umile e di attesa docile, perché la grazia di Dio spesso si presenta a noi in modi sorprendenti, che non corrispondono alle nostre aspettative. Pensiamo insieme a Madre Teresa di Calcutta, per esempio. Una suorina piccolina - nessuno dava dieci lire per lei – che andava per le strade per prendere i moribondi affinché avessero una morte degna. Questa piccola suorina con la preghiera e con il suo operato ha fatto delle meraviglie! La piccolezza di una donna ha rivoluzionato l’operato della carità nella Chiesa. È un esempio dei nostri giorni. Dio non si conforma ai pregiudizi. Dobbiamo sforzarci di aprire il cuore e la mente, per accogliere la realtà divina che ci viene incontro. Si tratta di avere fede: la mancanza di fede è un ostacolo alla grazia di Dio. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse: si ripetono i gesti e i segni della fede, ma ad essi non corrisponde una reale adesione alla persona di Gesù e al suo Vangelo. Ogni cristiano  - tutti noi, ognuno di noi - è chiamato ad approfondire questa appartenenza fondamentale, cercando di testimoniarla con una coerente condotta di vita, il cui filo conduttore sempre sarà la carità.
 
I Lettura: Sono tratteggiati alcuni aspetti del tutto particolari della vocazione di Geremia. L’espressione ti ho conosciuto equivale a scegliere e predestinare (Am 3,2; Rom 8,29). Il profeta dovrà sostenere aspre guerre ma non sarà vinto, purché ponga ogni fiducia in Dio. Il Signore sarà sempre al suo fianco per liberarlo da qualsiasi attacco da parte dei suoi oppositori. Un elemento distintivo della attività profetica e missionaria di Geremia sarà l’universalità: egli sarà stabilito profeta delle nazioni.

II Lettura: Ai cristiani di Corinto, affamati di carismi, Paolo indica il primato della carità. Questa virtù, tutta cristiana, deve informare tutti i carismi per cui deve essere posta al di sopra di tutte le manifestazioni carismatiche. I doni straordinari se non sono esercitati con amore sono come corpi senza anima. La carità sopravvivrà anche alla fine della vita terrena: solo l’uomo che ha amato potrà contemplare il volto dell’Amore.
 
Vangelo: Rifiutato dai nazaretani, Gesù volta le spalle alla sua città. Lo sdegno concepisce progetti omicidi, ma anche se ben determinati, i nazaretani non riescono ad uccidere Gesù: falliscono nel loro tentativo perché non era giunta la sua ora. Respinto e rifiutato dai suoi compatrioti, Gesù si mette in cammino per portare altrove l’annuncio della salvezza. Ha inizio così l’opposizione al ministero di Gesù, una opposizione che con il passare i giorni si farà sempre più cieca: l’acme sarà raggiunto quando gli oppositori decideranno di lordarsi le mani del sangue di un innocente.
 
Dal Vangelo secondo Luca 4,21-30: In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Missione e povertà - Tre vocazioni e un identico destino: il rifiuto, la più cieca opposizione e la morte cruenta. Geremia verrà lapidato in Egitto dai suoi compatrioti, Gesù sarà crocifisso nella città santa, Paolo verrà decapitato a Roma. Tre uomini, tre profeti, tre missionari del Padre che si consegnano inermi alla loro missione e al loro destino di morte: saranno come agnelli mansueti condotti al macello (cfr. Ger 11,19). Nella loro vita c’è un unico filo conduttore: il tradimento, gli stratagemmi per eliminarli, usati da coloro che essi stimavano loro intimi. Gli uomini tenteranno persino di cancellare il loro nome dalla faccia della terra: «Abbattiamo l’albero nel suo rigoglio, strappiamolo dalla terra dei viventi; il suo nome non sia più ricordato» (Ger 11,19). Avranno come compagne la solitudine e l’incomprensione. Geremia e Gesù avranno in comune il «Getsemani», l’apostolo Paolo si lamenterà di essere stato abbandonato da tutti (cfr. 2Tm 4,16). Eppure, nonostante il sonante fallimento, la loro vita è stata feconda. Un esempio, quindi, per gli apostoli di tutte le epoche, sopra tutto per noi che viviamo in un’epoca che esalta la potenza, la forza, la prepotenza e l’autosufficienza.  La forza e la fecondità stanno proprio nel segno del fallimento, nel considerarsi «servi inutili» (Lc 17,10), semplici esecutori di un mandato divino. Le inevitabili disfatte (cfr. Gv 15,18-16,4), alla luce della fede e con le inesauribili risorse dello Spirito, si trasformeranno, per potenza divina (cfr. Gv 15,5), in realizzazioni considerevoli per tutta la Chiesa. Saranno un processo di maturazione e di fecondità spirituale. Il granello seminato in terra marcisce e si disfa, ma produce la spiga e il frumento (cfr. Gv 12,24). La pietra scartata diviene un grande edificio (cfr. Mt 21,42). In questa logica solo i sassi usati come arma per uccidere, il ceppo sul quale verrà mozzata la testa o la croce sono gli unici segni di credibilità per l’apostolo. Non vi sono altre strade per raggiungere il cuore degli uomini!
 
Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato - La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Le parole del versetto 21 attestano l’autorità con la quale Cristo parlava e commentava le Scritture: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi». Gesù insegna che questa profezia, al pari di quelle più importanti dell’Antico Testamento, si riferisce a lui e in lui trova compimento (Lc 24,44 ss.). Perciò il Vecchio Testamento può essere rettamente inteso solo alla luce del Nuovo: in ciò consiste l’intelligenza per capire le Scritture che Cristo risorto conferì agli apostoli (cfr Lc 24,45), e che lo Spirito Santo rese completa il giorno di Pentecoste (cfr Al 2,4).
 
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi - Giuseppe Barbaglio (Carismi in Schede Bibliche Pastorali): Contro la sopravvalutazione dei carismi, propria dei suoi interlocutori, Paolo fa valere anzitutto l’amore come fattore determinante dell’autentica esistenza cristiana: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla» (vv. 1-2). Paolo vuole qui presentare il ritratto del carismatico più dotato in possesso dei doni della glossolalia, del carisma profetico, dell’illimitata penetrazione dei misteri di Dio e del mondo (sophia), di ogni conoscenza ispirata (gnósis), della fede taumaturgica capace di compiere l’impossibile. Ebbene, si domanda, che cosa sarebbe il credente carismatico più sublime privo però di amore? La risposta è che il glossolalo equivarrebbe a un gong o a un tamburo che emette suoni assordanti, mentre il sapiente e il taumaturgo sarebbero semplicemente dei nulla. In chiusura del capitolo poi Paolo paragona l’agape ai carismi. Questi cesseranno di esistere nel mondo futuro, mentre quella non verrà mai meno. Il motivo: i carismi sono realtà parziali, limitate e imperfette, mentre l’agape costituisce semplicemente la perfezione cristiana. Paolo aggiunge quindi che la realtà perfetta abolisce quanto è imperfetto. Ed esemplifica con l’età infantile e l’età adulta. «La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato» (vv. 8-11). Paolo ha così ridimensionato l’importanza dei carismi, anche di quelli più utili all’edificazione della comunità. Ogni loro massimalistica sopravvalutazione è ingiustificata. La perfezione non sta nelle manifestazioni carismatiche, ma nell’agape. Allo stesso modo, non sono le esperienze mistiche che anticipano il mondo futuro nel nostro attuale, ma l’agire di chi ama. Anzi, i carismi sono l’espressione caratteristica della storicità dell’esistenza del credente. E come tali cesseranno di esistere con la fine di questo mondo.
 
Gesù Cristo è venuto, come Elia per la vedova: «In verità vi dico: C’erano molte vedove al tempo di Elia in Israele, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, quando venne una gran fame su tutta la terra; e a nessuna di loro fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone” (Lc 4,25). Non sono stato mandato a voi, dice; non son venuto per guarire voi, perché non a tutte le vedove fu mandato Elia. Questo significava la sua condotta; lui era un segno, io sono la realtà. Io son venuto a curare, a saziare di cibo spirituale, a strappare dalla fame e dall’indigenza quella vedova di cui è scritto: “Benedirò la sua vedova, sazierò di pane i suoi poveri” (Sal 131,15). Questa vedova è la santa Chiesa ma può essere anche qualunque anima dei fedeli. Il Signore, infatti, venne per chiamare tutti e a liberare tutti dalla fame. Se non fosse venuto e non avesse parlato, non avrebbero commesso peccato; ma ora non hanno una giustificazione per i loro peccati» (Bruno di Segni, In Luc., 1,5)
 
Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 Gennaio 2022
 
Sabato III Settimana T. O.
 
2Sam 12,1-7a.10-17;  Sal 50 (51); Mc 4,35-41
 
Il Santo del Giorno - 29 Gennaio 2022 - Sant’Aquilino, Sacerdote e Martire: Nacque a Würzburg, in Germania, da una famiglia nobile. Presto si avvicinò alla fede cattolica compiendo gli studi teologici a Colonia, dove diventò prete. Rifiutò, però, la carica di vescovo che gli fu proposta, perché desiderava dedicarsi interamente al ministero e alla preghiera. Per questo fuggì a Parigi, dove curò gli ammalati di colera, guarendoli miracolosamente e, anche qui, gli fu offerto l’incarico di vescovo, che rifiutò nuovamente scappando a Pavia. La città, però, era in mano a seguaci dell’arianesimo e del catarismo, eresie contro cui Aquilino predicava e che gli costarono la vita nel momento in cui si recò a Milano, dove, in una notte del 1015, venne accoltellato da un gruppo di eretici. Il suo cadavere fu tratto da una fogna, nei pressi di Porta Ticinese da alcuni facchini, che lo portarono nell’oratorio della vicina basilica di San Lorenzo. Il suo corpo fu poi sepolto nella Cappella della Regina, che fu subito intitolata al santo. In questa cappella, a tutt’oggi, si può vedere l’urna che ne conserva le reliquie. (Avvenire)
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guida le nostre azioni secondo la tua volontà,
perché nel nome del tuo diletto Figlio
portiamo frutti generosi di opere buone.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ecclesia in Europa nn. 26-27: L’intera Chiesa in Europa senta rivolto a sé il comando e l’invito del Signore: ravvediti, convertiti, « svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire » (Ap 3, 2). È un’esigenza che nasce anche dalla considerazione del tempo attuale: « La grave situazione di indifferenza religiosa di tanti europei, la presenza di molti che anche nel nostro Continente non conoscono ancora Gesù Cristo e la sua Chiesa e che ancora non sono battezzati, il secolarismo che contagia una larga fascia di cristiani che abitualmente pensano, decidono e vivono “come se Cristo non esistesse”, lungi dallo spegnere la nostra speranza, la rendono più umile e più capace di affidarsi solo a Dio. Dalla sua misericordia riceviamo la grazia e l’impegno della conversione ».
Nonostante a volte, come nell’episodio evangelico della tempesta sedata (cfr Mc 4, 35-41; Lc 8, 22-25), possa sembrare che Cristo dorma e lasci la sua barca in balia delle onde agitate, alla Chiesa in Europa è chiesto di coltivare la certezza che il Signore, attraverso il dono del suo Spirito, è sempre presente e operante in essa e nella storia dell’umanità. Egli prolunga nel tempo la sua missione, costituendo la Chiesa come flusso di vita nuova, che scorre entro la vita dell’umanità quale segno di speranza per tutti.
In un contesto nel quale è facile la tentazione dell’attivismo anche a livello pastorale, ai cristiani in Europa è chiesto di continuare ad essere reale trasparenza del Risorto, vivendo in intima comunione con lui. C’è bisogno di comunità che, contemplando e imitando la Vergine Maria, figura e modello della Chiesa nella fede e nella santità, custodiscano il senso della vita liturgica e della vita interiore. Prima di tutto e sopra tutto, esse dovranno lodare il Signore, pregarlo, adorarlo e ascoltarne la Parola. Solo così potranno assimilarne il mistero, vivendo totalmente relative a lui, come membra della sua Sposa fedele.
 
I Lettura: Davide si invaghisce di Betsabea e per possederla non esita ad ammazzare il marito di lei, Uria l’Hittìta. Ma poiché non v’è creatura che possa nascondersi davanti a Dio (cfr. Eb 4,13), il re Davide, dal profeta Natan, viene messo dinanzi al suo peccato e alle sue responsabilità. La «gravità della colpa del re non viene misurata dalle ripercussioni sociali o comunitarie, ma dalla sua portata teologica, dalla ingratitudine mostrata dal sovrano verso Dio che l’ha colmato di tanti benefici. Se c’era uno che non aveva motivo di “desiderare la donna d’altri” era proprio David a cui Dio aveva persino accordato l’harem del precedente» (Ortensio Da Spinetoli). Dio perdona il re, egli vivrà nonostante tutto, ma dovrà pagare fino all’ultimo spicciolo (cfr. Mt 5,26): il castigo divino non è vendetta, ma salutare medicina (cfr. Eb 12,5-13) perché Davide ritorni al vero amore per il suo Signore.
 
Vangelo: Gesù, comandando con autorità al vento e alla tempesta, rivela di essere Dio. Nella sua Persona si manifesta la potente sovranità di Dio sugli elementi cosmici. Il timore, che l’intervento miracoloso di Cristo suscita nei discepoli, è il timore riverenziale dell’uomo di fronte alla presenza di Dio: la paura in questo modo lascia il posto alla preghiera e alla fede.
 
Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41: In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
 
Maestro, non t’importa che siamo perduti? - Lo scenario della tempesta sedata è il lago di Genesaret, che gli Ebrei chiamavano anche mare, a motivo della sua grandezza. La divisione del racconto è assai semplice: a una introduzione segue il racconto del prodigio e a questo la conclusione.
La tempesta sedata, da Marco è posta al termine di una lunga e faticosa giornata nella quale Gesù si era manifestato alla folla e ai suoi discepoli come Maestro. Infatti, si era speso con alacrità e gioia nell’insegnare «molte cose in parabole» alla «folla enorme» che si era riunita attorno a lui (Mc 4,1-2).
Dunque, alla fine di questa giornata sfibrante, verso sera, Gesù palesa l’intenzione di passare dalla riva occidentale alla riva orientale. Salito sulla barca, a motivo della stanchezza, Gesù si abbandona al sonno.
Come succede spesso nei laghi, e sopra tutto nel lago di Genesaret, all’improvviso si solleva una grande tempesta di vento che mette a repentaglio l’incolumità dei marinai. L’evangelista Marco non lesina particolari nel descrivere l’insorgere della improvvisa tempesta (Cf. Mc 4,37). E così non è difficile scoprire tra le righe della descrizione minuziosa la testimonianza di Pietro, testimone oculare del prodigio.
Nella narrazione si possono cogliere le contrastanti reazioni dei personaggi che animano il racconto: mentre la tempesta infuria, Gesù dorme; i discepoli, svegli, hanno gli occhi sbarrati per la paura; e mentre quest’ultimi sono atterriti, Gesù si presenta calmissimo. Altri particolari, che non sono ornamentali, ma essenziali al racconto, suggeriscono come tutto è spinto all’estremo: una grande tempesta di vento, una grande bonaccia, un grande timore. In questa estrema situazione, ridotti a mal partito, i discepoli svegliano Gesù rimproverandolo di non interessarsi della sorte dei suoi amici. Questa lamentela provoca l’immediato intervento di Gesù che è autoritario: egli non prega il Padre, ma agisce di persona. La tempesta si seda e il Maestro rimprovera i discepoli: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
Qui si tratta di quella «elementare fiducia che predispone l’uomo ad accettare Gesù, fiducia che Egli richiede come condizione per il compimento dei suoi miracoli: sarà elogiata nell’emorroissa [Mc 5,36], richiesta al capo della sinagoga [Mc 5,36], d’altra parte, la mancanza di tale disposizione negli abitanti di Nazaret sarà il motivo per cui Gesù non vi compirà alcun prodigio [Mc 6,5]» (P. Rosario Scognamiglio o.p.).
Al cessare del vento, la reazione da parte dei discepoli è immediata e Marco, che vuole portare il lettore alla conoscenza sempre più profonda di Gesù, riporta l’interrogativo dei discepoli: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Questa domanda, che non esprime altro se non ammirazione, è strumentale in quanto obbliga il lettore a porsi alcune domande: nell’Antico Testamento chi è il creatore del mondo? Chi è il dominatore della creazione? Chi esercita sovrana autorità sugli elementi naturali?
La risposta è immediata e spontanea: è il Signore Dio. Egli è il creatore dei cieli, del sole, della luna, delle stelle, della luce, delle acque... è lui che dispone a suo piacimento dei venti e della pioggia, è lui che ha posto un limite al mare e alla sua potenza... è lui che chiama per nome le stelle ed esse rispondono (Cf. Bar 3,35).
Il lettore, dopo aver risposto a queste domande, è  obbligato a porsi altre domande: se l’onnipotenza è prerogativa di Dio, perché i discepoli si rivolgono a Gesù e non a Dio? come mai Gesù non prega il Padre ma agisce con autorità di persona? come mai Gesù si comporta da dominatore assoluto degli elementi della natura?
Domande importanti, perché l’identità di Gesù costituisce il nucleo della questione fondamentale di tutto il vangelo marciano. A questo punto, Marco interviene e per aiutare il suo lettore a dare una risposta gli indica l’itinerario che deve percorrere per arrivare alla perfetta conoscenza del Maestro: questo itinerario è la fede in Colui che è morto e risorto ed è presente nella sua Chiesa fino alla fine dei giorni (Cf. Mt 28,20).
 
Paolo VI (Udienza Generale 28 Giugno 1972): Pietro pescatore ci fa pensare ad un altro segno che lo caratterizza: la sua barca; quella barca sulla quale salì Gesù come sopra una cattedra, ed ivi seduto ammaestrava le turbe «raccolte sulla riva del lago di Genezareth» (Lc 5,3); quella barca donde Gesù ordinò di lanciare le reti, e furono piene di pesci a tal punto che un’altra barca fu chiamata al soccorso, ma non senza temere che entrambe facessero naufragio, così che Pietro, uomo del mestiere, notò subito il carattere miracoloso del fatto e proruppe in uno stupendo atto di umiltà, cadendo in ginocchio davanti a Gesù ed esclamando: «Via da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Ibid. Lc 5,8); quella barca, su cui Gesù, sedendo a poppa (v’era, osserva Marco forse informato da Pietro, anche un cuscino), misteriosamente s’addormentò; e infuriando un’improvvisa tempesta, i discepoli atterriti lo svegliarono, e Gesù alzatosi intimò al vento furioso di calmarsi e al mare fremente di tacere; e subito fu grande calma (Mc 4,35-41); quella barca, che sembra simboleggiare l’aspetto mobile e relativo della Chiesa, che naviga sulle onde del tempo e della storia, e che ancora figura come stemma di Pietro nel sigillo adoperato tuttora per dare autenticità ai documenti più gravi della Chiesa, segnati dall’«anello del Pescatore».
 
Giovanni Paolo II (Udienza Generale 2 Dicembre 1987): Non vi è dubbio sul fatto che nei Vangeli i miracoli di Cristo vengono presentati come segni del regno di Dio, che è entrato nella storia dell’uomo e del mondo. “Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto tra voi il regno di Dio”, dice Gesù (Mt 12, 28). Per quante discussioni si vogliano fare e si siano fatte sul tema del miracolo (alle quali del resto hanno risposto gli apologisti cristiani), è certo che non è possibile staccare i “miracoli, i prodigi e segni” attribuiti a Gesù, e persino ai suoi apostoli e discepoli operanti “in suo nome”, dal contesto autentico del Vangelo. Nella predicazione degli apostoli, dalla quale principalmente hanno origine i Vangeli, i primi cristiani sentivano narrare da testimoni oculari quei fatti straordinari, accaduti in tempi vicini e quindi controllabili sotto l’aspetto che possiamo dire critico-storico, sicché non erano sorpresi dal loro inserimento nei vangeli. Qualunque siano state le contestazioni dei tempi successivi, da quelle fonti genuine della vita e dell’insegnamento di Cristo emerge una prima cosa certa: gli apostoli, gli evangelisti e tutta la Chiesa primitiva vedevano in ciascuno di quei miracoli il supremo potere di Cristo sulla natura e sulle sue leggi. Colui che rivela Dio come Padre, Creatore e Signore del creato, quando compie quei miracoli con il proprio potere, rivela se stesso come Figlio consostanziale al Padre e uguale a lui nella signoria sul creato.
 
Simbologia della Chiesa - Ippolito di Roma, De Christ. et antichr., 59: Il mare è il mondo, in cui la Chiesa, come una nave nelle onde del mare, è sbattuta dai flutti, ma non fa naufragio; perché ha con sé Cristo, il suo accorto timoniere. Ha anche nel centro il trofeo eretto contro la morte, la croce del Signore. La sua prora è Oriente, la poppa Occidente, la carena Mezzogiorno, i chiodi i due Testamenti, le corde son la Carità di Cristo che tiene stretta la Chiesa, il lino rappresenta il lavacro di rigenerazione che rinnova i fedeli. Il vento è lo Spirito che vien dal cielo, per il quale i fedeli son condotti a Dio. Con lo Spirito ha anche ancore di ferro nei precetti di Cristo. Né le mancano marinai a destra e a sinistra, poiché i santi angeli la circondano e difendono. La scala, che sale sull’antenna, è immagine della salutare passione di Cristo, che porta i fedeli fino al cielo. Le segnalazioni in cima all’antenna son le luci dei Profeti, dei Martiri, degli Apostoli, che riposano nel regno di Cristo.
 
O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.
 
28 Gennaio 2022
 
San Tommaso d’Aquino, Presbitero e Dottore della Chiesa
 
2Sam 11,1-4a.5-10a.13-17; Sal 50 (51); Mc 4,26-34
 
Il Santo del Giorno - 7 Gennaio 2022 -  San Tommaso d’Aquino - Nelle sue parole la ricerca dell’Infinito: Non ci è dato sapere che cosa vide la mattina del 6 dicembre 1273 san Tommaso d’Aquino durante l’Eucaristia: dopo quella visione (che non fu la sua unica esperienza mistica) il “dottore angelico” non scrisse più nulla, reputando “come paglia” tutto il lavoro svolto fino allora. Segnato nel fisico, stremato dal continuo sforzo di definire l’infinito con parole umane, san Tommaso non volle nemmeno finire la “Summa theologiae”: così, forse, egli ci ha voluto testimoniare l’enorme distanza tra i nostri mezzi e la vita divina. Distanza che non può essere definita ma solo contemplata e accolta. L’autore di inni eucaristici come !”Pange lingua” o “Adoro te devote”, era nato nel 1224 a Roccasecca (Frosinone); entrato tra i Domenicani, si formò presso le scuole teologiche europee più importanti del suo tempo, avviando un’enorme opera di sintesi tra l’eredità di Aristotele e la tradizione cristiana. Tra il 1248 e il 1252 fu discepolo di sant’Alberto Magno a Colonia. A Parigi cominciò anche l’impegno dell’insegnamento che dal 1259 continuò in Italia. Morì a Fossanova nel 1274.  (Matteo Liut)
 
Colletta
O Dio, che hai reso grande san Tommaso [d’Aquino]
per la ricerca della santità di vita
e la passione per la sacra dottrina,
donaci di comprendere i suoi insegnamenti
e di imitare i suoi esempi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
San Tommaso d’Aquino: Benedetto XVI (Udienza Generale, 16 giugno 2010): Tommaso ci propone un concetto della ragione umana largo e fiducioso: largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; e fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le ispirazioni della fede cristiana, è promotrice di una civiltà che riconosce la dignità della persona, l’intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri. Non sorprende che la dottrina circa la dignità della persona, fondamentale per il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo, sia maturata in ambienti di pensiero che hanno raccolto l’eredità di san Tommaso d’Aquino, il quale aveva un concetto altissimo della creatura umana. La definì, con il suo linguaggio rigorosamente filosofico, come “ciò che di più perfetto si trova in tutta la natura, cioè un soggetto sussistente in una natura razionale” (Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3). La profondità del pensiero di san Tommaso d’Aquino sgorga - non dimentichiamolo mai - dalla sua fede viva e dalla sua pietà fervorosa, che esprimeva in preghiere ispirate, come questa in cui chiede a Dio: “Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti”.
 
I Lettura: Israele è sui campi di battaglia, e Davide, il re di Israele, se ne sta nell’ozio e cade nel peccato. Il peccato di Davide è molto grave per tre motivi: il primo perché non osserva la continenza che era una norma religiosa del tempo di guerra (cfr. 1Sam 21,6; Dt 23,1-12); secondo, perché per il peccato di adulterio si fa reo di morte secondo la Legge di Mosè (cfr. Lv 201,10); terzo, perché per nascondere l’adulterio, Betsabea era rimasta incinta, uccide Urìa, il marito di lei. L’agiografia fregia il re Davide del titolo di “santo”, se così è si può ben dire che anche la santità conosce le strade che conducono al peccato.
 
Vangelo: Il regno dei cieli non si manifesta nella potenza, ma porta i segni della piccolezza e della debolezza. Il Figlio dell’uomo ha seminato nel mondo un regno apparentemente piccolo, ma che finirà per svelare il suo progetto di salvezza universale: un albero «più grande di tutte le piane dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Niente panico dunque e soprattutto bando alla tentazione di isolarsi per paura di sporcarsi. Gesù ha fondato la Chiesa e l’ha voluta incarnata nella storia dell’uomo, l’ha voluta lievito impastato nella farina del mondo. La Chiesa, Madre e Maestra (Giovanni XXIII), per mandato divino ha la vocazione di animare il mondo: «la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico» (LG 5). Il cristiano è un uomo impastato con il dolore e la gioia del mondo. Lievita le incertezze degli uomini con la sua speranza e dona ad esse la luce del Vangelo. Per Gesù, la pazienza, l’attesa, la tolleranza, la comprensione... sono tutti frutti della carità e lo devono essere per i suoi discepoli. Non si possono erigere steccati o muri: siamo tutti, buoni e cattivi, dentro lo stesso recinto e dentro il recinto del nostro cuore mescoliamo bontà a cattiveria.
 
Dal Vangelo secondo Marco 4,26-34: In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 
La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il senso peculiare di questa parabola è dato dal contrasto tra ciò che è piccolo e ciò che è grande. II. seme del regno di Dio in terra è qualcosa di molto piccolo all’inizio (Lc 12,32; Al 1,15); più tardi diventerà un grosso albero. Si può infatti storicamente costatare come l’esiguo gruppo iniziale dei discepoli sia venuto crescendo ai primordi della Chiesa (cfr At 2,47; 6,7; 12,34), diventando sempre più numeroso nei secoli fino a costituire una moltitudine immensa “che nessuno potrà contare” (Ap 7,9).
Anche in ogni anima opera questo mistero di crescita cui si riferiscono le parole del Signore: «II regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); un mistero che possiamo vedere annunziato in queste parole del salmista: «Il giusto crescerà come cedro del Libano» (Sal 91,13). Perché la misericordia del Signore, che ci innalza e ci fa grandi, possa pienamente rifulgere, è indispensabile che egli ci trovi piccoli, umili (Ez 17,22-24; Lc 18,9-14).
 
La dottrina di san Tommaso «si regge sul primato dell’intelletto, che è la condizione stessa dell’amore. Solo un essere intelligente è capace di amore. «Quello che vi è di più perfetto nell’uomo è l’operazione dell’intelligenza – dice Tommaso nel primo trattato della sua Summa Theologiae (il suo capolavoro, ma tutto è capolavoro in Tommaso) – per cui la beatitudine di un essere dotato di intelligenza consiste nell’intelligenza stessa, nel conoscere».
Dante ha espresso questa affermazione di Tommaso nei suoi mirabili versi «Luce intellettuale piena d’amore; / amore di vero bene pieno di letizia; / letizia che trascende ogni dolore». La chiave di tutta la Summa – ossia la costruzione più mirabilmente pensata e connessa –, è proprio in questa intelligenza che è letizia, perché è la gioia di ogni essere dotato di intelligenza.
Così le controversie, le discussioni, le insidie quasi non hanno lasciato traccia nella Summa. Anzi, ogni controversia, ogni discussione, ogni insidia è diventata come il materiale da costruzione, nel sillogismo tomistico. Ne risulta che la Summa è come un poema, con un ritmo costante e tranquillo. Ogni verità è discussa, messa in dubbio, provata e infine definita attraverso quelle luminose strofe dei “videtur” (sembra), dei “sed contra” (in contrario), infine dei “respondeo” (rispondo) e delle “soluzioni”.
Proprio questo “poema”, dove l’intelligenza è illuminata dalla fede e dalla grazia, depose in favore della sua santità. Giunto alla morte non ancora cinquantenne, il 7 marzo 1274, egli aveva dichiarato che “a confronto di quanto aveva visto [= il mondo di Dio], le sue opere gli sembravano solo vile paglia”. Ma quali non potevano essere le sue virtù eroiche? Il Crocifisso stesso aveva elogiato la sua opera dicendogli: «Hai scritto bene di me». Nessuno negava la sua umiltà, la sua angelica purezza, la sua obbedienza, la sua povertà, il suo spirito di semplicità, di infanzia nello spirito. Era stato un eccellente cattolico, un ottimo religioso, ma questo non appariva sufficiente a decretargli gli onori degli altari. Si diceva che “il bue muto” era rimasto muto anche dopo la sua morte, astenendosi dal fare strepitosi miracoli.
Ma il papa Giovanni XXII, volendolo canonizzare, alle obiezioni canoniche rispose: «Tommaso ha illuminato la Chiesa più di tutti gli altri Dottori e un uomo fa più profitto sui suoi libri in un solo anno, che non sulle dottrine degli altri per tutto il tempo della sua vita».
Anche oggi la luce da cui può partire una nuova primavera della Chiesa, non viene dalla cosiddetta “aria fresca” del pensiero moderno, che subito si rivela gelida e distruttiva di ogni verità e di ogni frutto, ma solo dal Cristo accolto dalla filosofia e dalla teologia perenne di Maestro Tommaso. Così insegna il Magistero della Chiesa: citiamo tra tutti quelli che gli hanno reso omaggio, i Pontefici Leone XIII, san Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, che lo hanno definito “garante della Fede cattolica”» (Paolo Risso)
 
Dal Salmo 50 (51) - Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto - Reconciliatio et Paenitentia 13: Riconoscere il proprio peccato, anzi - andando ancora più a fondo nella considerazione della propria personalità - riconoscersi peccatore, capace di peccato e portato al peccato, è il principio indispensabile del ritorno a Dio. È l’esperienza esemplare di Davide, che dopo “aver fatto male agli occhi del Signore”, rimproverato dal profeta Natan (cfr. 2Sam 11-12), esclama: “Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato; quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto” (Sal 51s.). Del resto, Gesù mette sulla bocca e nel cuore del figlio prodigo quelle significative parole: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te” (Lc 15,18.21). In realtà, riconciliarsi con Dio suppone e include il distaccarsi con lucidità e determinazione dal peccato, in cui si è caduti. Suppone e include, dunque, il fare penitenza nel senso più completo del termine: pentirsi, manifestare il pentimento, assumere l’atteggiamento concreto del pentito, che è quello di chi si mette sulla via del ritorno al Padre. Questa è una legge generale, che ciascuno deve seguire nella situazione particolare in cui si trova. Il discorso sul peccato e sulla conversione, infatti, non può essere svolto solo in termini astratti.
 
I chicchi sminuzzati - Ambrogio, Esposizione del Vangelo seconde Luca 7,178-179: I suoi chicchi sono, in realtà, cosa semplice e di poco valore: ma se si comincia a sminuzzarli, mandano fuori tutta la loro energia. Anche la fede, in primo luogo, è semplice, ma se vien macerata dalle avversità, essa effonde l’incanto della sua forza, talché riempie col suo aroma anche coloro che ne odono parlare o leggono a suo riguardo. Un chicco di senapa sono i nostri martiri Felice, Nabore e Vittore: essi avevano il profumo della fede, ma nessuno li conosceva.
Venne la persecuzione, deposero le armi, piegarono il capo, e fatti a pezzi dalla spada sparsero per i confini di tutto il mondo il fascino del loro martirio ... Anche il Signore è un chicco di senapa. Egli era immune da ogni offesa, ma il popolo lo ignorava, come un chicco di senapa, perché non lo aveva ancora mai toccato.
Preferì di esser sfatto, perché noi potessimo dire: Noi siamo per Dio il profumo di Cristo (2Cor 2, 15).
 
O Signore, che ci hai nutriti di Cristo, pane vivo,
nella memoria di san Tommaso,
formaci alla scuola del Vangelo,
perché conosciamo la tua verità
e la viviamo nella carità fraterna.
Per Cristo nostro Signore.