1 AGOSTO 2021

 XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 Es 16,2-4.12-15 ; Sal 77 (78); Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35

Il Santo del Giorno - 1 Agosto 2021 -  Sant’Alfonso Maria de Liguori: Nel cuore dei semplici l’incontro con il Signore -  Dio s’incontra nello sguardo dei semplici e nelle profondità del cuore dell’uomo ed è lì che lo cercò sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa. Fulcro della sua missione fu la cura degli ultimi e degli emarginati, che si prese a cuore dopo l’incontro con i pastori delle montagne sopra Amalfi. Era nato a Napoli il 27 settembre 1696 da una famiglia nobile e, dopo gli studi di filosofia e diritto, decise di diventare sacerdote. Ordinato nel 1726, quattro anni dopo incontrò i pastori durante un momento di forzato riposo; si convinse così della necessità di farsi apostolo in mezzo a loro e a tutti i poveri. Per questo scopo, guidato dal vescovo di Castellammare di Stabia, fondò la Congregazione del Santissimo Redentore (i Redentoristi). Nel 1760 divenne vescovo di Sant’Agata dei Goti. Morì nel 1787. (Autore: Matteo Liut)

Colletta: Mostra la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce creatore e guida; rinnova l’opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Benedetto XVI (Angelus 12 Agosto 2012): La lettura del 6° capitolo del Vangelo di Giovanni, che ci accompagna in queste Domeniche nella Liturgia, ci ha condotti a riflettere sulla moltiplicazione del pane, con il quale il Signore ha sfamato una folla di cinquemila uomini, e sull’invito che Gesù rivolge a quanti aveva saziato di darsi da fare per un cibo che rimane per la vita eterna. Gesù vuole aiutarli a comprendere il significato profondo del prodigio che ha operato: nel saziare in modo miracoloso la loro fame fisica, li dispone ad accogliere l’annuncio che Egli è il pane disceso dal cielo (cfr Gv 6,41), che sazia in modo definitivo. Anche il popolo ebraico, durante il lungo cammino nel deserto, aveva sperimentato un pane disceso dal cielo, la manna, che lo aveva mantenuto in vita, fino all’arrivo nella terra promessa. Ora, Gesù parla di sé come del vero pane disceso dal cielo, capace di mantenere in vita non per un momento o per un tratto di cammino, ma per sempre. Lui è il cibo che dà la vita eterna, perché è il Figlio unigenito di Dio, che sta nel seno del Padre, venuto per dare all’uomo la vita in pienezza, per introdurre l’uomo nella stessa vita di Dio.
Nel pensiero ebraico era chiaro che il vero pane del cielo, che nutriva Israele, era la Legge, la parola di Dio. Il popolo di Israele riconosceva con chiarezza che la Torah era il dono fondamentale e duraturo di Mosè e che l’elemento basilare che lo distingueva rispetto agli altri popoli consisteva nel conoscere la volontà di Dio e dunque la giusta via della vita. Ora Gesù, nel manifestarsi come il pane del cielo, testimonia di essere Lui la Parola di Dio in Persona, la Parola incarnata, attraverso cui l’uomo può fare della volontà di Dio il suo cibo (cfr Gv 4,34), che orienta e sostiene l’esistenza.

I Lettura: L’episodio raccontato nella prima lettura conserva alcuni elementi di tradizione jahvista in un insieme di tradizione sacerdotale. La manna e le quaglie, riunite nello stesso racconto, pongono però alcune difficoltà. La manna, raccolta nei mesi di maggio-giugno, è una secrezione di insetti che vivono su certe tamerici, ma solo nella regione centrale del Sinai. Le quaglie, sfinite dalla traversata del Mediterraneo di ritorno dalla loro migrazione in Europa, verso settembre, si abbattono in grande quantità sulla costa, a nord della penisola, spinte dal vento di ovest (Cf. Num 11,31). Questo racconto può quindi aver combinato i ricordi di due gruppi che hanno lasciato separatamente l’Egitto e i cui itinerari furono diversi (Cf. Es 7,8; 11,1; 13,17). Difficoltà che in ogni caso servono a mettere in evidenza la Provvidenza squisitamente paterna di Dio per il suo popolo. La manna diventerà, per la tradizione cristiana, la figura dell’eucaristia, nutrimento spirituale della Chiesa, il vero Israele, durante il suo esodo terrestre.

II lettura: Paolo invita i cristiani di Efeso a rinnovarsi nello spirito della loro mente e a rivestire l’«uomo nuovo», Cristo Gesù (Cf. Ef 2,15), per essere ricreati in lui  (Cf. Gal 3,27; Rom 13,14 ).

Vangelo: Alla folla, affamata di pane e di «segni» analoghi a quello della manna (6,30-31), Gesù ha manifestato il suo potere divino con la moltiplicazione dei pani (6,1-15), ai discepoli camminando sul mare (6,16-21), ora, con il discorso del pane della vita, rivela la sua identità (6,22-59). Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a darsi da fare a credere in Lui, pane vero disceso del cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (Cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Gesù, Sapienza increata, invita la folla a porsi alla sua sequela: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Solo Gesù può dare un cibo e una bevanda veramente capaci di donare la vita eterna, in quanto superano la fragilità temporale e creaturale.

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,24-35: In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Io sono il pane della vita - La folla sazia del pane miracoloso (Cf. Gv 6,1ss), affascinata dalla parola del Maestro (Cf. Lc 19,48), conquistata dalla dolcezza di Gesù (Cf. Mt 11,28-30), si mette alla ricerca del giovane Rabbi. Un entusiasmo non gradito, così invece di accoglienza trova un rimprovero: «Gesù rimprovera al popolo, che lo cerca, la incomprensione del miracolo come segno in cui leggere mediante la fede la rivelazione della sua persona. La loro comprensione è ancora solo naturale, materiale» (Giuseppe Segalla).
Al rimprovero segue una esortazione: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna. Queste parole allargano gli angusti spazi spirituali del giudaismo: il pane, alimento che perisce, dà soltanto una vita che muore, il pane che il Figlio dell’uomo darà agli uomini spalanca le porte dell’eternità. L’eternità insegnata da Cristo era certamente una categoria religiosa assai lontana dalla teologia dei sadducei e dei farisei, anche se quest’ultimi, a differenza dei primi, credevano nella risurrezione.
Il Figlio dell’uomo darà questo pane perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Forse è un riferimento al Battesimo ricevuto da Giovanni nel fiume Giordano: potrebbe riferirsi alla voce del Padre che rivela al mondo Gesù come Figlio suo prediletto (Cf. Mt 3,17), oppure allo Spirito Santo disceso su di lui appena battezzato (Cf. Mt 3,16;  Rom 4,11), potenza di Dio per effettuare i «segni» (Cf. Mt 12,28; At 10,38; Ef 1,13.30; 2Cor 1,22).
Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? I giudei ammettono la loro ignoranza: comprendono la necessità di lavorare per avere il pane terreno, comprendono che devono darsi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna, ma non conoscono le condizioni che Dio pone per concederlo. Qui gioca molto la loro mentalità legalista, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni e credono di poterlo pagare osservando qualche regola o precetto. Praticamente, una sorta di baratto, così come erano avvezzi a credere e a insegnare a motivo di una imperfetta educazione religiosa.
La correzione non tarda ad arrivare. L’amore di Dio e i suoi doni sono gratuiti. L’opera che Gesù vuole è unica: credere in lui.
Ma chi è Gesù perché possano credere in lui? Per i giudei non basta la moltiplicazione dei pani, ed è poca cosa che in un convito nuziale abbia mutato l’acqua in vino, per credere in lui ora vogliono qualcosa di più. Se vuole accreditarsi come Messia rinnovi i prodigi dell’esodo. Come Mosè, Gesù dia al popolo da mangiare un pane dal cielo. Questo è il segno tangibile che i giudei chiedono, perché vedano e possano credere in lui.
«La risposta di Gesù è tagliente: la loro fede [dei giudei] è illusoria. Soltanto suo Padre dà il vero pane del cielo. La manna è cosa del passato; il pane di Dio è presente, una comunicazione permanente di vita che egli dona al  mondo. Questo pane scende dal cielo, come la manna pioveva dall’alto, ma senza cessare; e non si limita a dar vita a un popolo, ma all’umanità intera. Dato che è Gesù a dare questo pane [Gv 6,27], si afferma qui la comunicazione continua della vita di Dio all’uomo attraverso Gesù» (J. Mateos - J. Barreto).
Gesù sottolinea che il datore del pane del cielo è Dio e non Mosé e chiamandolo Padre mio si prepara ad identificarsi con il pane di Dio.
A queste parole, i giudei mostrano allegrezza, felici di aver trovato un tesoro senza la necessità di lavorare, e così chiedono di ricevere il pane del cielo. Poiché hanno omesso la condizione posta dal giovane Rabbi, e siccome Gesù non accetta le scorciatoie, ribadisce che soltanto lui è il pane della vita e per riceverlo bisogna credere in lui. Questa è l’unica condizione posta dal Padre e dal Figlio perché l’uomo non abbia più a soffrire la fame e la sete. La risposta di Gesù si oppone nettamente a quanto dice di se stessa la Sapienza: «Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete» (Sir 24,21).
Solo Gesù, pane della vita, può soddisfare pienamente l’uomo, nell’anima e nel corpo: risuscitandolo certamente dalla morte e aprendolo alla contemplazione della luce della Trinità.

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà - Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): «Datevi da fare (letteralmente: «operate, lavorate») non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, quello che il Figlio dell’uomo vi darà» (6,27). Gesù ha messo a confronto due cibi: uno che perisce, uno che è sorgente di vita eterna. E la gente, sentendo che bisogna «darsi da fare» per ottenerlo, subito pensa alle molte opere che la Legge prescriveva per avere la vita (Dt 30,15-16). La domanda che fanno a Gesù sembra ovvia: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere che Dio esige da noi?» (6,28). Com’è difficile buttare giù una mentalità legalista, una concezione della vita che impedisce all’uomo di aprirsi al «dono»! Ebbene, Gesù tenta di farlo e indica la condizione per entrare nel definitivo disegno salvifico di Dio. L’opera che Dio, oggi, esige è una sola: credere in colui che egli ha mandato (6,29). La gente capisce che Gesù sta parlando di sé e che non è possibile compiere l’opera di Dio e avere il nutrimento di vita eterna senza una totale adesione a lui per qualcosa che non può dare ora, ma che darà più tardi, quale Figlio dell’uomo (6,27). Per ora debbono credere che la darà e i segni miracolosi da lui compiuti sono più che sufficienti per dire che Dio Padre ha messo su di lui il suo sigillo (6,27). A questo punto la gente non ci sta. La posta in gioco è troppo alta. Ci vuole ben altro per credere, e glielo dicono: «Quale segno prodigioso fai tu? Puoi forse ripetere il miracolo della manna, secondo quanto c’è scritto: Diede loro da mangiare pane dal cielo?». Nel testo biblico (Es 16,15) il verbo «diede» ha come soggetto Dio. Gesù, invece, suppone «Mose» come soggetto. Se Gesù corregge, significa che la gente lo sta mettendo a confronto con Mose, mentre egli vuole parlare loro dell’agire di Dio (Gesù lo chiama: il Padre mio) che «vi darà il vero pane dal cielo». Potrebbe aggiungere «ve lo dà, perché Dio ha tanto amato il mondo» (Gv 3,16).

Essere disposti a perdere tutto per guadagnare Cristo - Guerric d’Igny, Sermo de resurrect., 2, 3: Uomini avidi! Perché restate avvinti al desiderio di guadagno? Perché non apprendere l’arte? Perché non disprezzate ciò che è privo di valore, o meglio, svantaggio e sozzura, per guadagnare Cristo? “Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il vostro patrimonio per ciò che non sazia?” (Is 55,2). A me sembra che ai vostri occhi “il pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo” (Gv 6,33) abbia meno valore del vostro denaro!... Se l’avaro stimasse almeno la propria persona più preziosa della propria fortuna! Se potesse non mettere in vendita la propria anima per amore del denaro, e fintanto che resta in vita, non strapparsi le viscere (cf. Sir 10,10)! È per contro un commerciante avveduto, un esperto attento al valore delle cose, colui che - parlo evidentemente di Paolo - stimava che la propria anima - ovvero la vita animale e sensibile - non valesse più di lui (cf. At 20,24), e cioè del suo spirito, con il quale costituiva un tutt’uno e per il quale aderiva a Cristo. Era pronto a perdere la sua anima, al fine di poterla conservare per la vita eterna (cf. Gv 12,25).

Accompagna con la tua continua protezione, o Signore,
i tuoi fedeli che nutri con il pane del cielo,
e rendi degni della salvezza eterna
coloro che non privi del tuo aiuto.
Per Cristo nostro Signore.

 

 31 Luglio 2021
 
Sant’Ignazio di Loyola, Presbitero - Memoria
 
Lv 25,1.8-17; Sal  66 (67); Mt 14,1-12
 
Il Santo del Giorno 31 Luglio 2021 - Sant’Ignazio di Loyola, in rigoroso ascolto della fantasia dello Spirito: Saper mettersi in ascolto della vita dello Spirito per esprimerne nel mondo tutta la fantasia attraverso una rigorosa disciplina spirituale: è questo il messaggio profetico che sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ha messo al cuore della sua famiglia religiosa. Un’eredità che oggi parla al mondo intero. Era di origine basca ed era nato nel 1491, crescendo convinto di voler diventare un cavaliere. Ferito a una gamba a 30 anni durante un assedio ebbe l’occasione di leggere alcuni scritti spirituali che fecero crescere dentro di lui un altro ideale: il servizio a Cristo e al suo Vangelo. Iniziò così il cammino interiore che lo portò a scrivere alcune regole – poi confluite negli Esercizi spirituali - e a creare nel 1534 a Parigi il primo nucleo di quelli che sarebbero poi diventati i Gesuiti. Ignazio, morì nel 1556 a Roma, 16 anni dopo l’approvazione della sua Compagnia. (Autore: Matteo Liut)
 
Colletta: O Dio, che hai chiamato sant’Ignazio [di Loyola] a operare nella Chiesa per la maggior gloria del tuo nome, concedi anche a noi, con il suo aiuto e il suo esempio, di combattere in terra la buona battaglia della fede per ricevere con lui in cielo la corona dei santi. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Messaggio a p. Kolvenbach, 31 luglio 1990): Sant’Ignazio non fu soltanto uomo di orazione, ma maestro di orazione allo scopo di iniziare anche gli altri ad “essere contemplativi nell’azione”. L’itinerario da percorrere è quello descritto nei suoi “Esercizi spirituali”, che riflettono la sua personale esperienza e di cui si serviva per formare gli altri, cominciando dai suoi primi compagni. Volle pertanto che il primo esperimento, per chi chiedeva di entrare in Compagnia, consistesse negli esercizi spirituali di un mese, al fine di porre un solido fondamento alla spiritualità di ciascuno.
Durante tutto il corso della vita religiosa il gesuita è chiamato, quindi, a consacrare ogni giorno un tempo adeguato all’orazione personale e alla partecipazione all’Eucaristia, che costituisce, come già per sant’Ignazio, il nutrimento quotidiano indispensabile per la crescita spirituale.
Sant’Ignazio non prescrisse lunghe orazioni; piuttosto insisteva, come negli “Esercizi spirituali”, sulla mortificazione, che è doveroso cercare per quanto possibile in ogni circostanza, perché il dominio delle proprie passioni facilita l’unione con Dio nell’orazione. Di qui proviene l’importanza che attribuiva all’esame di coscienza, da farsi due volte al giorno, per ottenere una sempre maggiore purezza d’animo, la quale predispone all’unione con Dio.
I figli di sant’Ignazio sono chiamati a questo ideale non solo per il proprio profitto spirituale, ma anche per diventare essi stessi maestri di orazione a vantaggio degli altri.
 
I Lettura: “Oltre al sabato e alle feste, ci sono altri due tempi importanti: l’anno sabbatico [l’espressione, oggi usata correntemente, ricorre nel v. 5] e il giubileo. Le due istituzioni sono in stretta relazione fra loro e si basano sul concetto della sovranità assoluta di Dio sulla terra” (Rita Torti Mazzi).
 
Vangelo: Erode Antipa, figlio di Erode il Grande  e della sua quarta moglie, la samaritana Maltace, governava la Galilea e Perea come tetrarca, titolo di ciascuno dei re che, sotto il controllo di Roma, governavano una delle quattro sezioni in cui era divisa la provincia di Siria. Erode Antipa infrangendo la Legge (Lv 20,21) aveva sposato Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Per poterla sposare, Erode Antipa aveva ripudiato la moglie, figlia del re nabateo Areta IV. Giovanni il Battista non ebbe paura di condannare pubblicamente Erode Antipa accusandolo di incesto e di adulterio (Es 20,14). Il Vangelo suggerisce che il martirio di Giovanni il Battista scaturì da questa accusa pubblica, ma secondo lo storico Giuseppe Flavio, Erode Antipa temeva l’influenza di Giovanni il Battista sul popolo, che poteva portare a una ribellione. Per questo lo aveva fatto imprigionare nella fortezza di Macheronte, e qui, molto probabilmente, lo aveva fatto decapitare. Plausibilmente le due versioni si intrecciano mettendo in rilievo la crudeltà di Erode Antipa, al pari di quella di Erode il Grande, suo padre.
 
Dal vangelo secondo Matteo 14,1-12: In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!». Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta. Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.
 
Morte di Giovanni Battista - Angelico Poppi (Sinossi e Commento): Anche Matteo narra questo avvenimento in forma retrospettiva, per indicare il pericolo che incombeva pure su Gesù da parte dell’impudico tetrarca. L’evangelista attribuisce a Erode Antipa l’intenzione di uccidere il Battista (v. 5). Invece Marco addossa la responsabilità dell’omicidio alla moglie Erodiade, che odiava mortalmente il Precursore. Si noti però come anche Matteo presenti il tetrarca “rattristato” (v. 9) per l’imbroglio in cui si era cacciato con la promessa di donare alla figlia di Erodiade quello che avesse richiesto (v. 7).
Matteo ha semplificato il racconto di Marco, molto più dettagliato, per sottolineare la valenza cristologica dell’ avvenimento.
Lo redige come un resoconto di martirio, la sorte comune riservata ai profeti.
v. 5 È interessante questa notazione: Erode aveva timore di uccidere il Battista, perché le folle “lo consideravano come un profeta”. È evidente il richiamo al detto pronunciato da Gesù a Nazaret, con il quale si attribuiva il titolo di “profeta disprezzato” nella sua patria (l3,57c). Matteo stabilisce uno stretto parallelismo tra Gesù e il Battista, entrambi “profeti” perseguitati.
v. 12 I discepoli di Giovanni, dopo avergli data sepoltura, andarono a “riferirlo a Gesù”. Questa aggiunta in Matteo è significativa. Le vicende del Battista assumono il significato simbolico di profezie in azione, in riferimento alla persona e all’opera di Gesù. Tutta la vita del Precursore appare così intrecciata con quella del Cristo e orientata a prefigurare il significato della sua missione e della sua morte. Inoltre, tale annotazione indica il buon rapporto esistente tra i cristiani e i giovanniti, anche se costoro restavano ancora legati al passato, non aderendo pienamente al Vangelo (cf. At 18,24-19,7).
 
Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista - Benedetto XVI (Udienza Generale 29 Giugno 2012): Nel Calendario Romano, Giovanni il Battista) è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio. Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.
Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3, 4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio [...] Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita.
 
Martirio / Martiri: Alfonso Colzani (Enciclopedia del Cristianesimo): Nella storia cristiana, soprattutto dei primi secoli, i due termini designano la testimonianza e i testimoni della fede. II termine martirio deriva dal greco martyrion: testimonianza resa sotto giuramento con valore di prova.
Con questo significato di documento probatorio (dell’Alleanza o della Torà ) il termine ricorre frequentemente nella versione greca dell’Antìco Testamento e  in alcuni luoghi del Nuovo Testamento, caratterizzato dal riferimento a Cristo.
L’evangelista Luca introduce un nuovo significato: negli Atti degli apostoli martirio significa rendere testimonianza. inteso come predicare Cristo, compito caratteristico degli apostoli che “con grande forza rendevano testimonianza” (At 4,33). Martiri a partire da Luca 24,48, sono designati i testimoni del Risorto, i quali sono incaricati di essere testimoni fra le genti. Questo compito è chiaramente marcato dalla sofferenza e dal rischio della morte (Stefano, il primo martire cristiano è chiamato in Atti degli Apostoli 22,20 “il testimone fedele”), ma non è caratterizzato dalla concezione più tardiva di martirio come testimonianza del sangue, quanto dall’inalterata c completa proclamazione del messaggio di Cristo.
Per l’evangelista Giovanni martyrion è per definizione testimonianza di Cristo, anticipata da Giovanni Battista, testimonianza che lo stesso Cristo rende a se stesso c che i discepoli proclamano c confermano. Giovanni usa il vocabolario dell’esperienza (della fede) c della testimonianza, che ha il senso di conferma della verità di Dio: i discepoli che hanno visto rendono testimonianza e annunciano la vita eterna resasi visibile (1Gv 1,2). Tale processo si realizza con l’aiuto dello Spirito Paraclito, che è colui che rendo testimonianza a Gesù (Gv 15,26), ma non sostituisce la testimonianza dei discepoli: “e anche voi mi renderete testimonianza” (v. 27)-
 
Origene (In Matth., X , 22): Il re ... a causa del giuramento ... mandò a decapitare Giovanni nel carcere: rifiutando di credere in Gesù, i giudei rifiutano di credere anche ai profeti che lo avevano preannunciato, e cosi decapitano, dopo averla chiusa in una prigione, “la Parola profetica”, non conservando più che una parola-cadavere, mutilàta, che non ha più alcuna parte sana, perché essi non la comprendono più . Noi, al contrario, possediamo Gesù intatto, poiché si è realizzata la profezia che diceva di Lui: No n gli sarà spezzato neppure un osso (Gv. 19,36; Ez. 12.46; Sal. 33,21).
 
Il sacrificio di lode
che ti abbiamo offerto, o Signore, in rendimento di grazie
nella memoria di sant’Ignazio,
orienti la nostra vita alla lode perenne del tuo nome.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Luglio 2021
 
Venerdì XVII Settimana T. O.
 
Lv 23,1.4-11.15-16.27.34b-37; Sal 80 (81); Mt 13,54-58
 
Il Santo del Giorno - 30 Luglio 2021 - Sant’Angelina despota di Serbia: Figlia di Giorgio Arianita e cognata del principe Ivan-i Cronojevic, al quale Eugenio IV aveva affidato il vessillo della Chiesa nella lotta contro i Turchi, Angelina sposò Stefano il Cieco, fratello di Lazaro II Greblanovic. Quando il 21 gennaio 1458 Lazaro morì senza discendenti maschi, Stefano divenne despota di Serbia, ma nel 1467 fu costretto a fuggire con la famiglia per sottrarsi alla pressione turca e si recò in Italia, dove, dieci anni dopo, nel 1477, si spegneva. Angelina si stabilì a Kupinovo (Srem), dove fece traslare il corpo del marito, e, riavuto il titolo di despota alla morte di Zmaj Vuk (1485 o 1486), coniò monete d’argento e d’oro che recavano su una faccia la sua immagine e sull’altra quella dei figli Djurdje e Ivan. Costruì un monastero femminile a Krusedol (Srem) e morì nel 1516. Fu sepolta a Krusedol insieme con il marito e i figli. La Chiesa serba la venera con il nome di “Majka Angelina” il 30 luglio, mentre Stefano il Cieco è celebrato l’11 ottobre, Ivan il 10 dicembre e Djurdje, che si era fatto monaco prendendo il nome di Massimo, il 18 gennaio. (Autore: Augusto Moreschini)
 
Colletta: O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga - Cristo docente - Catechesi tradendae 7: Trasmettere la dottrina di Cristo: Questa non è un corpo di verità astratte: essa è comunicazione del mistero vivente di Dio. La qualità di colui che l’insegna nel vangelo e la natura del suo insegnamento sorpassano del tutto quelle dei «maestri» in Israele, grazie al legame unico che passa tra ciò che egli dice, ciò che fa e ciò che è. Resta il fatto, tuttavia, che i vangeli riferiscono chiaramente alcuni momenti in cui Gesù insegna. «Gesù fece e insegnò»: in questi due verbi che aprono il libro degli Atti, san Luca unisce ed insieme distingue due poli nella missione di Cristo.
Gesù ha insegnato: è, questa, la testimonianza che dà di se stesso: «Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare». È l’osservazione ammirata degli evangelisti, sorpresi di vederlo sempre e in ogni luogo nell’atto di insegnare, in un modo e con un’autorità fino ad allora sconosciuti. «Di nuovo le folle si radunavano intorno a lui, ed egli, come era solito, di nuovo le ammaestrava»; «ed essi erano colpiti dal suo insegnamento, perché insegnava, come avendo autorità». È quanto rilevano anche i suoi nemici, per ricavarne un motivo di accusa, di condanna: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui».
 
I Lettura: Il brano veterotestamentario del Libro del Levitico è inquadrato nella «legge di santità ». In questo contesto, “la festa è vista come assemblea dei santi, nel luogo santo, alla presenza del Dio santo: è il calendario che fu in vigore dopo l’esilio, il quale indica con precisione la data e la durata di ogni festa nel corso dell’anno, cominciando con la Pasqua nell’equinozio di primavera e terminando con le capanne in autunno.
Due fattori sono messi in rilievo come costitutivi della festa: la convocazione del popolo o assemblea e il riposo dal lavoro. La convocazione fa sì che l’individuo esca dalla sua individualità e riviva la dimensione della sua realtà comunitaria. La festa è una presa di coscienza dell’appartenenza al popolo e, per mezzo del popolo, a Dio; è una espressione del popolo come tale, ma anche creatrice del popolo” (Angel González).
 
Vangelo: Chi è costui? (Mc 4,41), da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? L’episodio di Nazaret non è un episodio isolato, né la reazione di un piccolo paese: è invece il simbolo del comportamento dell’intero popolo d’Israele nei confronti di Gesù. Ed era per loro motivo di scandalo... la ragione dello scandalo è pruriginosa, stupida: i nazarateni dinanzi alla rivelazione del loro connazionale preferiscono usare gli occhi del corpo e non quelli dello spirito con i quali avrebbero superato la cortina della carne. Solo gli occhi dell’anima sanno cogliere il mistero del Figlio di Dio, la sua incarnazione, la sua scelta di un’esistenza umile e povera: Cristo Gesù pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini (Fil 2,6-7). Oggi nella sinagoga di un minuscolo paesino si è avverato quanto più tardi proclamerà san Giovanni nel prologo del suo Vangelo: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto (Gv 1,9-11).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 13,54-58: In quel tempo, Gesù venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
 
Non è costui il figlio del falegname? - Catechismo degli Adulti 213-214: Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: «Chi è dunque costui?» (Mc 4,41). Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11). Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.
 
E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? - Ortensio da Spinetoli (Matteo): I termini “fratelli e sorelle” di Gesù hanno creato e creano tuttora difficoltà di identificazione. Se si tiene conto della lingua greca i termini adelphos (fratello) e adelphè (sorella), eccetto che vengano adoperati in senso figurato (anche i cristiani si chiamano tra di loro “fratelli”) indicano normalmente una parentela stretta (fratello in senso fisico). Il nuovo Testamento adopera synghenis e anepsios per una parentela più larga. Nella Bibbia ebraica invece il termine Tesfratello ‘ah (in aramaico ‘aha) si trova adibito, almeno in alcuni casi anche in senso lato. Se la nomenclatura del Nuovo Testamento ha in questo caso una radice semitica anche il senso  di adelphos si adatta alla fluttuabilità del corrispondente termine ebraico. Forse può essere utile tener presente Mt 27,56-62 dove si ricorda che ai piedi della croce di Gesù c’era anche «Maria madre di Giacomo e di Giuseppe». Se non si tratta di una coincidenza o di una confusione di nomi (Luca infatti li ha omessi in entrambi i casi e nel racconto dell’apparizione pasquale parla di «Maria di Giacomo»: 24, lO) è difficile pensare che Maria, madre di Giacomo e di Giuseppe, sia anche la madre di Gesù senza che l’evangelista lo abbia fatto in qualche modo capire. Anche il fatto che uno dei fratelli si chiami Jose (o Giuseppe) non favorisce l’ipotesi che si tratti di un vero fratello di Gesù, anche se non era insolito che i figli portassero il nome del genitore.
 
Ed era per loro motivo di scandalo: D. M. Turoldo - G. Ravasi (Opere e Giorni del Signore): La reazione di scandalo che gli abitanti di Nazaret provano nei confronti di Gesù esprime la falsa religiosità di chi si rifiuta di riconoscere l’intervento di Dio nella via della semplicità, della quotidianità, della povertà. Per tutti costoro il divino è solo nella potenza, nei segni, nel trionfo. L’incarnazione è, invece, la celebrazione dell’ingresso di Dio nell’umanità fino al limite estremo, attraverso un «carpentiere», una sofferenza e una morte ignominiosa. «Per cogliere il mistero della persona di Gesù, bisogna aprirsi al Gesù reale e non ridurlo al ritratto che ci eravamo fatti di lui. La potenza di Gesù è legata e la sua parola è resa inefficace, quando non incontra un ascolto attento, una disponibilità alla fede» (J. Rader­Makers).
 
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua: Il profeta è perseguitato perché è una voce fuori dal coro; è inviso «perché la sua vita non è come quella degli altri» (Sap 2,15). Non è ascoltato perché «del tutto diverse sono le sue strade» (Sap 2,15). È di imbarazzo (cfr. Sap 2,11) perché di fronte ai legami parentali e di paese, di fronte alla mentalità e al parere comune, al conformismo e alle formalità, al ‘così si fa perché lo fanno tutti’, ha il coraggio di rimproverare le trasgressioni della legge di Dio (cfr. Sap 2,12). Dà fastidio perché dinanzi all’ipocrisia del ‘altrimenti chissà cosa pensa la gente’ e al ‘così si è sempre fatto’ è portatore della Parola di Dio che non ammette deroghe o accomodamenti. Il profeta non è una mummia irrancidita dentro le sue verità scontate. È un uomo venduto all’amore di Dio e da questo legame trae speranze per l’uomo. Il profeta, in quanto possiede «la conoscenza di Dio» (Sap 2,13), sa incoraggiare chi ama la verità e la giustizia; chi ama osare al di là di ogni andazzo umano. Il profeta è un uomo che fa sognare: perché in Cristo «le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove» (1Cor 5,17). Il profeta, come Gesù, è un uomo concreto, con i piedi ben piantati alla terra; sa partire sempre dalle necessità e dai bisogni reali della gente, perché non fa filosofia (cfr. Gc 2,14-17). Il profeta, in quanto è un uomo concreto, riesce a cambiare le norme, le consuetudini e ribaltare le regole; riesce a vincere le tradizioni che ammuffiscono l’uomo e le abitudini che spengono lo spirito e paralizzano ogni iniziativa. Il profeta è l’uomo di Dio che urla l’amore del suo Signore abbandonato dal popolo. Ma grida a squarciagola anche la misericordia infinita di Dio. Anche se l’amore non è corrisposto, l’unica rivincita del Signore Dio sarà quella di continuare ad amare il suo popolo, nonostante le loro infedeltà: gli Israeliti quanto «al vangelo, sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rom 11,1ss). Questa è la misericordia di Dio e il suo amore infinito: anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio (cfr. Sal 68 [67],19).
 
Non fece molti miracoli a causa della loro incredulità - Origene (Commento al Vangelo di Matteo 10,19): Io sono di questo parere: nella sfera dei beni materiali lavorare la terra non basta per realizzare la raccolta dei frutti, se non vi concorre il contenuto della terra, e maggiormente l’ambiente, secondo la qualità progettata da colui che la ordina e crea come vuole, né d’altra parte il contenuto del terreno potrebbe portare alla raccolta senza coltivare la terra; o meglio, colui che provvede non farebbe sorgere dalla terra i suoi prodotti e questa non fosse lavorata: una sola volta lo ha fatto, quando ha detto: La terra produca germoglio; erba di verdura, che produca seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza. Allo stesso modo, senza la fede da parte di quelli che vengono guariti, le energie dei miracoli non rivelano la loro completa efficacia ai fini della guarigione, ma neppure la fede, quale che sia, ottiene la guarigione senza la potenza divina.
 
O Dio, nostro Padre,
che ci hai dato la grazia di partecipare a questo divino sacramento,
memoriale perpetuo della passione del tuo Figlio,
fa’ che il dono del suo ineffabile amore
giovi alla nostra salvezza.
Per Cristo nostro Signore.

 

 

 

 29 LUGLIO 2021

 Santi Marta, Maria e Lazzaro

 1Gv 4,7-16; Sal 33 (34); Gv 11,9-27 oppure Lc 10,38-42

 
Il Santo del Giorno - 29 Luglio 2021 -  Marta è la sorella di Maria e di Lazzaro di Betania. Nella loro casa ospitale Gesù amava sostare durante la predicazione in Giudea. In occasione di una di queste visite conosciamo Marta. Il Vangelo ce la presenta come la donna di casa, sollecita e indaffarata per accogliere degnamente il gradito ospite, mentre la sorella Maria preferisce starsene quieta in ascolto delle parole del Maestro. L’avvilita e incompresa professione di massaia è riscattata da questa santa fattiva di nome Marta, che vuol dire semplicemente «signora». Marta ricompare nel Vangelo nel drammatico episodio della risurrezione di Lazzaro, dove implicitamente domanda il miracolo con una semplice e stupenda professione di fede nella onnipotenza del Salvatore, nella risurrezione dei morti e nella divinità di Cristo, e durante un banchetto al quale partecipa lo stesso Lazzaro, da poco risuscitato, e anche questa volta ci si presenta in veste di donna tuttofare. I primi a dedicare una celebrazione liturgica a S. Marta furono i francescani, nel 1262. (Avvenire)

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, il tuo Figlio ha accettato l’ospitalità nella casa di santa Marta: per sua intercessione concedi a noi di servire fedelmente Cristo nei fratelli, per essere accolti da te nella dimora del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Decreto sulla celebrazione dei Santi Marta, Maria e Lazzaro nel Calendario Romano Generale (26 gennaio 2021): Nella casa di Betania il Signore Gesù ha sperimentato lo spirito di famiglia e l’amicizia di Marta, Maria e Lazzaro, e per questo il Vangelo di Giovanni afferma che egli li amava. Marta gli offrì generosamente ospitalità, Maria ascoltò docilmente le sue parole e Lazzaro uscì prontamente dal sepolcro per comando di Colui che ha umiliato la morte.
La tradizionale incertezza della Chiesa latina circa l’identità di Maria - la Maddalena a cui Cristo apparve dopo la sua resurrezione, la sorella di Marta, la peccatrice a cui il Signore ha rimesso i peccati - che decise l’iscrizione della sola Marta il 29 luglio nel Calendario Romano, ha trovato soluzione in studi e tempi recenti, come attestato dall’odierno Martirologio Romano che commemora in quello stesso giorno anche Maria e Lazzaro. Inoltre, in alcuni Calendari particolari i tre fratelli sono celebrati insieme in tale giorno.
Pertanto, considerando l’importante testimonianza evangelica da essi offerta nell’ospitare in casa il Signore Gesù, nel prestargli ascolto cordiale, nel credere che egli è la risurrezione e la vita, accogliendo la proposta di questo Dicastero, il Sommo Pontefice Francesco ha disposto che il 29 luglio figuri nel Calendario Romano Generale la memoria dei santi Marta, Maria e Lazzaro.

I Lettura: La prima lettera di san Giovanni è costituita da tre grandi sezioni: camminare nella luce (1,5-2,29), vivere da figli di Dio (3,1-4,6) e alle fonti della carità e della fede (4,7-5,4). Il brano odierno, in cui troviamo l’esaltante affermazione «Dio è amore», ci introduce alle sorgenti della carità: Dio ha l’iniziativa della carità e la manifesta inviando e donando il suo Figlio unigenito, «perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16)

Vangelo (Gv 11,19-27): Se tu fossi stato qui..., nella richiesta di Marta c’è qualcosa che va al di là dell’umana speranza, l’insperabile: lei è certa che, nonostante la decomposizione organica del corpo, Gesù può operare un miracolo: Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà, anche quella di risuscitare ora Lazzaro. Gesù comprende appieno la richiesta, ma rimanda la donna alla comune fede nella risurrezione dei morti. Marta, che forse sperava in un qualcosa di straordinario, si acquieta e accetta l’evidenza dei fatti: Lazzaro è morto, so che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno. Di rimando, Gesù, inaspettatamente, spazza via qualsiasi equivoco o dubbio: Io sono la risurrezione e la vita. Gesù è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10): Marta accoglie la rivelazione, crede e professa la sua fede: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo. 

Dal Vangelo secondo Giovanni 11,19-27:  In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Tuo fratello risorgerà - Bruno Maggioni (Il Vangelo di Giovanni)): All’affermazione di Gesù: Tuo fratello risorgerà (v. 23), Marta riafferma la sua fede nella risurrezione, una risurrezione opera di Dio, rimandata però a un lontano futuro. Nella risposta di Gesù vi è una duplice correzione, indispensabile perché la fede di Marta possa dirsi cristiana. Primo: la risurrezione passa attraverso Gesù (Io sono la risurrezione). Secondo: la risurrezione è una realtà presente, non soltanto futura. È una realtà possibile già ora nella fede. Marta è dunque invitata ad approfondire la propria fede nella risurrezione e a renderla cristiana. La risposta di Marta deve essere letta in questa direzione: essa crede che Gesù è il Figlio di Dio che viene nel mondo. Potrebbe sembrare una risposta fuori tema. In realtà va al nocciolo della questione: è perché il Figlio è venuto che la vita, il riscatto dalla morte e il germe della risurrezione sono qui, nel nostro mondo. La vita di Dio non è più al di fuori del nostro mondo perché il Figlio è venuto fra di noi. Sempre per capire la fede a cui Marta è invitata si noti il gioco morte-vita. Si tratta di credere che, al di là delle apparenze, della esperienza della morte, l’unica realtà che sembra vera (e nella parola morte comprendiamo anche le nostre debolezze, le nostre incapacità di amare e i nostri peccati) vi è la vittoria di Cristo, il suo amore che salva. Gesù non dice soltanto Io sono la vita, ma anche la risurrezione. Vi è in questo l’idea del passaggio, del mutamento radicale. È, se vogliamo, l’idea di conversione, ma posta in termini più radicali e precisi: di impotenza assoluta e di cambiamento totale. Soprattutto viene sottolineato il fatto che la vita non è annientata neppure dalla morte, ma anzi si serve addirittura di essa.

Giovanni Unterberger: Il miracolo della risurrezione di Lazzaro è l’ultimo «segno» compiuto da Gesù prima della sua morte. In un contesto di dolore, di profonda commozione, di speranza e di incredulità, la risurrezione di colui che Gesù ama (Gv 11,3.16) è il segno e l’anticipazione della risurrezione stessa di Cristo.
Quando Gesù arriva a Betania, Lazzaro è morto da quattro giorni. Marta sembra rimproverare il Maestro, se tu fossi stato qui ..., ma nella richiesta c’è qualcosa che va al di là dell’umana speranza, l’insperabile: lei è certa che, nonostante la decomposizione organica del corpo, Gesù può operare un miracolo: Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà, anche quella di risuscitare ora Lazzaro.
Gesù comprende appieno la richiesta, ma rimanda la donna alla comune fede nella risurrezione dei morti. Marta, che forse sperava in un qualcosa di straordinario, si acquieta e accetta l’evidenza dei fatti: Lazzaro è morto, so che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno. Di rimando, Gesù, inaspettatamente, spazza via qualsiasi equivoco o dubbio: Io sono la risurrezione e la vita, così come Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,35s), la luce del mondo (Gv 8,12), la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Gesù è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10): Marta accoglie la rivelazione, crede e professa la sua fede: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.
«L’uomo cerca in tutti i modi la vita fisica [...]. Ma la sorgente della sua vita è Cristo. Solo Cristo è colui che gli darà vita dopo questa vita [...]. Ma Cristo è anche la fonte della vita eterna, di quella vita dello spirito senza la quale a nulla varrebbe avere la vita del corpo».
Quando Gesù arriva a Betania, Lazzaro è morto da quattro giorni. Marta sembra rimproverare il Maestro, se tu fossi stato qui ..., ma nella richiesta c’è qualcosa che va al di là dell’umana speranza, l’insperabile: lei è certa che, nonostante la decomposizione organica del corpo, Gesù può operare un miracolo: Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà, anche quella di risuscitare ora Lazzaro.
Gesù comprende appieno la richiesta, ma rimanda la donna alla comune fede nella risurrezione dei morti. Marta, che forse sperava in un qualcosa di straordinario, si acquieta e accetta l’evidenza dei fatti: Lazzaro è morto, so che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno. Di rimando, Gesù, inaspettatamente, spazza via qualsiasi equivoco o dubbio: Io sono la risurrezione e la vita, così come Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,35s), la luce del mondo (Gv 8,12), la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Gesù è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10): Marta accoglie la rivelazione, crede e professa la sua fede: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.
«L’uomo cerca in tutti i modi la vita fisica [...]. Ma la sorgente della sua vita è Cristo. Solo Cristo è colui che gli darà vita dopo questa vita [...]. Ma Cristo è anche la fonte della vita eterna, di quella vita dello spirito senza la quale a nulla varrebbe avere la vita del corpo».

Il vangelo della risurrezione nella predicazione apostolica - J. Radermakers e P. Grelot (Dizionario di Teologia Biblica): Fin dal giorno della Pentecoste, la risurrezione diventa il centro della predicazione apostolica, perché in essa si rivela l’oggetto fondamentale della fede cristiana (Atti 2,22-35). Questo vangelo di Pasqua è innanzitutto la testimonianza resa ad un fatto: Gesù è stato crocifisso ed è morto; ma Dio lo ha risuscitato e per mezzo suo apporta agli uomini la salvezza. Questa è la catechesi dì Pietro ai Giudei (3,14s) e la sua confessione dinanzi al sinedrio (4,10), l’insegnamento di Filippo all’eunuco etiope (8,35), quello di Paolo ai Giudei (13,33; 17,3) ed ai pagani (17,31) e la sua confessione dinanzi ai suoi giudici (23,6...). Non è altro che il contenuto stesso dell’esperienza pasquale. Un punto importante è sempre notato a proposito di questa esperienza: la sua conformità con le Scritture (cfr. 1Cor 15,3s). Da una parte, la risurrezione di Gesù compie le promesse profetiche: promessa dell’esaltazione gloriosa del Messia alla destra di Dio (Atti 2,34; 13,32s), della glorificazione del servo di Jahve (Atti 4,30; Fil 2,7ss), della intronizzazione del figlio dell’uomo (Atti 7,56; cfr. Mt 26,64 par.). Dall’altra parte, per tradurre questo mistero che è fuori dell’esperienza storica comune, i testi della Scrittura forniscono un insieme di espressioni che ne abbozzano i diversi aspetti: Gesù è il santo che Dio strappa alla corruzione dell’Ade (Atti 2,25-32; 13,35ss; cfr. Sal 16,8-11); è il nuovo Adamo sotto i cui piedi Dio ha posto ogni cosa (1Cor 15,27; Ebr 1,5-13; cfr. Sal 8); è la pietra rigettata dai costruttori e diventata pietra angolare (Atti 4,11; cfr. Sal 118,22)... Cristo glorificato appare in tal modo come la chiave di tutta la Scrittura, che lo concerneva in anticipo (cfr. Lc 24,27.44 ss).

Papa Francesco (Angelus 29 Luglio 2019): Nel brano di questa domenica, l’evangelista Luca narra la visita di Gesù a casa di Marta e di Maria, le sorelle di Lazzaro (cfr Lc 10,38-42). Esse lo accolgono, e Maria si siede ai suoi piedi ad ascoltarlo; lascia quello che stava facendo per stare vicina a Gesù: non vuole perdere nessuna delle sue parole. Tutto va messo da parte perché, quando Lui viene a visitarci nella nostra vita, la sua presenza e la sua parola vengono prima di ogni cosa. Il Signore ci sorprende sempre: quando ci mettiamo ad ascoltarlo veramente, le nubi svaniscono, i dubbi cedono il posto alla verità, le paure alla serenità, e le diverse situazioni della vita trovano la giusta collocazione. Il Signore sempre, quando viene, sistema le cose, anche a noi.
In questa scena di Maria di Betania ai piedi di Gesù, san Luca mostra l’atteggiamento orante del credente, che sa stare alla presenza del Maestro per ascoltarlo e mettersi in sintonia con Lui. Si tratta di fare una sosta durante la giornata, di raccogliersi in silenzio, qualche minuto, per fare spazio al Signore che “passa” e trovare il coraggio di rimanere un po’ “in disparte” con Lui, per ritornare poi, con serenità ed efficacia, alle cose di tutti i giorni. Lodando il comportamento di Maria, che «ha scelto la parte migliore» (v. 42), Gesù sembra ripetere a ciascuno di noi: “Non lasciarti travolgere dalle cose da fare, ma ascolta prima di tutto la voce del Signore, per svolgere bene i compiti che la vita ti assegna”.
C’è poi l’altra sorella, Marta. San Luca dice che fu lei a ospitare Gesù (cfr v. 38). Forse Marta era la più grande delle due sorelle, non sappiamo, ma certamente questa donna aveva il carisma dell’ospitalità. Infatti, mentre Maria sta ad ascoltare Gesù, lei è tutta presa dai molti servizi. Perciò Gesù le dice: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose» (v. 41). Con queste parole Egli non intende certo condannare l’atteggiamento del servizio, ma piuttosto l’affanno con cui a volte lo si vive. Anche noi condividiamo la preoccupazione di Santa Marta e, sul suo esempio, ci proponiamo di far sì che, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, si viva il senso dell’accoglienza, della fraternità, perché ciascuno possa sentirsi “a casa”, specialmente i piccoli e i poveri quando bussano alla porta.
Dunque, il Vangelo di oggi ci ricorda che la sapienza del cuore sta proprio nel saper coniugare questi due elementi: la contemplazione e l’azione. Marta e Maria ci indicano la strada. Se vogliamo assaporare la vita con gioia, dobbiamo associare questi due atteggiamenti: da una parte, lo “stare ai piedi” di Gesù, per ascoltarlo mentre ci svela il segreto di ogni cosa; dall’altra, essere premurosi e pronti nell’ospitalità, quando Lui passa e bussa alla nostra porta, con il volto dell’amico che ha bisogno di un momento di ristoro e di fraternità. Ci vuole questa ospitalità.

Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. ex p., Xl.): Sì Signore, io credo ...: questa testimonianza di Marta è perfetta. Essa infatti testimonia qui la dignità di Cristo, la sua natura e la sua missione mediante l’incarnazione. Testimonia la sua dignità di Re e di Sacerdote, col dire: Tu sei il Cristo. Cristo infatti, parola greca, in latino significa unto, o consacrato. Ora, venivano unti i R e e i Sacerdoti: quindi Cristo è re e sacerdote ... Testimonia inoltre la natura divina in Cristo, uguale al Padre, per cui lo dichiara: Figlio del Dio vivo!... Marta testimonia ancora il mistero della Sua missione di salvezza, col dire: ... venuto nel mondo, assumendo cioè la nostra carne. Analoga fu la confessione di Pietro (Mt 16,16): Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù stesso dirà (Gv.16,28): Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo.

La comunione al Corpo e al Sangue del tuo Figlio unigenito
ci liberi, o Signore, dagli affanni delle cose che passano,
perché, sull’esempio di santa Marta,
progrediamo sulla terra in un sincero amore per te
e godiamo senza fine della tua visione nel cielo.
Per Cristo nostro Signore.