1 MARZO 2022
 
MARTEDÌ DELLA VIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
1Pt 1,10-16; Sal 97 (98); Mc 10,28-31
 
Il Santo del Giorno - 1 Marzo 2022 - San Suitberto di Kaiserswerth Vescovo (1 marzo 647 c. - Dusseldorf, Germania, 1 marzo 713): L’evangelizzatore della Frisia (una Regione che si colloca tra Paesi Bassi e Germania), delle Fiandre e del Lussemburgo, il missionario san Villibrordo, nella sua opera fu sostenuto da undici compagni, tra i quali c’era anche Suitberto, monaco della Northumbria. Anch’egli, intorno al 690, andò in Frisia e predicò con successo nel Brabante, Gelderland e Kleve. Nel 693 fu inviato in Inghilterra per ricevere la consacrazione episcopale da san Vilfrido nella Mercia. Dalla Frisia, poi, spostò la sua attività nella Westfalia del Sud. Ma dopo l’invasione della regione da parte dei pagani sassoni, Suitberto si ritirò nel territorio dei Franchi. Il re Pipino e sua moglie Plectudre gli donarono l’isola di Kaiserswerth vicino Düsseldorf dove fondò un monastero, morendovi il 1 marzo dell’anno 713. (Avvenire)
 
Colletta
Concedi, o Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Perciò, cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà - Papa Francesco: Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del seme: si è fatto piccolo piccolo, come un chicco di grano; ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi: è “caduto in terra”. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento - che è anche il punto più alto dell’amore - è germogliata la speranza. Se qualcuno di voi domanda: “Come nasce la speranza”? “Dalla croce. Guarda la croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna”. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché l’amore che «tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7), l’amore che è la vita di Dio ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. Così, a Pasqua, Gesù ha trasformato, prendendolo su di sé, il nostro peccato in perdono. Ma sentite bene come è la trasformazione che fa la Pasqua: Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, la nostra morte in risurrezione, la nostra paura in fiducia. Ecco perché lì, sulla croce, è nata e rinasce sempre la nostra speranza; ecco perché con Gesù ogni nostra oscurità può essere trasformata in luce, ogni sconfitta in vittoria, ogni delusione in speranza. Ogni: sì, ogni. La speranza supera tutto, perché nasce dall’amore di Gesù che si è fatto come il chicco di grano in terra ed è morto per dare vita e da quella vita piena di amore viene la speranza.
Quando scegliamo la speranza di Gesù, a poco a poco scopriamo che il modo di vivere vincente è quello del seme, quello dell’amore umile. Non c’è altra via per vincere il male e dare speranza al mondo.
 
I Lettura: Il brano della lettera petrina si può dividere in due parti, nella prima parte viene messa in evidenza la rivelazione profetica dello Spirito, nella seconda parte vengono indicate le esigenze della nuova vita.
Da evidenziare i versetti 14-16: Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. L’uomo “deve imitare la santità di Dio (Lv 19,2). Amando gli altri (cf. Lv 19,15), precisa Gesù, il cristiano imita Dio, si distingue dai pagani e diventa figlio di Dio (Mt 5.43-48p). Ma dove attingere la forza necessaria? Invertendo i termini del problema, la tradizione apostolica afferma che proprio per il fatto di essere figli (Pt 1,23+) noi possiamo imitare Dio (lPt 1.14-16: 1Gv 3,2-10; Ef 5,1s), poiché il Dio-amore (lGv 4,8) diventa principio del nostro agire. Paolo vede in questa irritazione divina la restaurazione dell’opera creatrice (Col 3,10-13; Ef 4,24)” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo: Pietro vuole essere assicurato sulla ricompensa. Lui ha lasciato tutto e adesso vuole sapere cosa gli toccherà come compenso.
Gesù rispondendo - in verità vi dico - si impegna solennemente nelle sue parole. La ricompensa, solo per coloro che lasciano tutto per il Vangelo, è già donata al presente. Quindi, il centuplo promesso non è solo per la vita futura. È già per adesso. La nuova famiglia è la Chiesa dove i discepoli del Cristo si trovano uniti da un mutuo aiuto e dalla carità. A questi beni si assommano le persecuzioni.
Non verranno mai meno i beni e non cesseranno le ostilità: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Soltanto nel futuro sarà donata la vita eterna. È solo a questo punto che Gesù risponde al giovane ricco.
È il percorso tracciato per ogni discepolo che vuole avere la vita eterna. Altre strade, o peggio ancora scorciatoie, non esistono. Ancora una volta nel messaggio evangelico si impone la radicalità.
 
Dal Vangelo secondo Marco 10,28-31: In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 28 L’episodio narrato da Marco in questo passo (verss. 28-31) è strettamente connesso con le due sezioni precedenti. Pietro prende la parola per dichiarare che l’atteggiamento degli apostoli è stato ben diverso da quello del ricco che si era poco prima allontanato da Gesù con l’animo amareggiato. Noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito; le parole del primo apostolo non sono un autoelogio, ma la constatazione di un fatto; i Dodici avevano abbandonato tutto, averi e famiglia, per mettersi al seguito del Maestro. L’evangelista omette le parole di Matteo: «che avremo noi dunque?» (Mt. 19, 27).
29-30 Marco, seguito in ciò da Luca, ci ha conservato la risposta del Salvatore in una forma chiara e distinta. Per causa mia e per quella del vangelo; il Maestro pone in particolare rilievo la sua persona ed il vangelo. Luca ha invece: «per causa del regno di Dio», poiché dà all’espressione un senso più universale, che abbraccia tutti i seguaci di Cristo. Marco predilige la formula: «a causa del vangelo», che ricorre otto volte nel suo scritto, mentre Matteo l’usa soltanto quattro volte e Luca mai. L’evangelista distingue chiaramente tra: in questo tempo e nell’èra futura. La ricompensa consiste nel promettere ai discepoli il centuplo in questa vita; evidentemente l’espressione non va presa in senso quantitativo o matematico, ma in quello qualitativo e spirituale. Il Salvatore non fa una transazione commerciale tra ciò che si dà e ciò che si deve avere. Chi entra nella società di Cristo gode di tutto quello che hanno portato con sé coloro che già vi appartengono. Nel regno di Dio, cioè nella Chiesa, che è la società dei credenti vi è una comunicazione di beni e di aiuti. Il seguace di Cristo è sicuro di trovare nella Chiesa il regno della carità per cui quello che hanno gli altri può essere considerato come proprio. Nella Chiesa primitiva questo era un fatto assai frequente e visibile perché le comunità cristiane erano ristrette ed i suoi membri, vivendo in centri pagani o ebraici, si sentivano molto più vicini e solidali. Gli Atti (2, 44; 4, 22) ricordano che molti cristiani mettevano i propri beni in comune; testimonianze antiche elogiano la carità che regnava nei seguaci della nuova religione predicata da Cristo. Le parole del Maestro accentuano l’aspetto spirituale della ricompensa; esse quindi vanno considerate e spiegate in questa prospettiva. Si osservino due fatti: Cristo non promette come ricompensa delle mogli, eppure parla di fratelli, sorelle, madri e figli, né una vita umanamente tranquilla e beata. Il seguace di Cristo non avrà il centuplo in mogli, perché il termine non si presta per una prospettiva spirituale (Luca nel passo parallelo accenna alla moglie abbandonata a causa del regno di Dio, cf. Lc., 18, 29), né vivrà pacifico e beato perché dovrà sostenere delle persecuzioni. L’allusione alle persecuzioni (insieme con persecuzioni) indica chiaramente che il discepolo subirà nell’esistenza terrena delle prove nelle quali dovrà mostrare il suo spirito evangelico.
Questa promessa quindi non prospetta una felicità terrena, né l’instaurazione di un regno beato, quasi nuovo paradiso terrestre, come pensavano i Millenaristi.
31 Non sembra che il versetto contenga un monito rivolto ai discepoli, come se Gesù avesse detto loro: ora voi siete ai primi posti, ma state attenti a non perdere questa posizione privilegiata presumendo di voi stessi o decadendo dal vostro spirito di distacco. Le parole del versetto vanno riferite agli Ebrei del tempo e possono essere così parafrasate: le guide spirituali del popolo ebraico (scribi, farisei sacerdoti), che sono chiamati «primi», perché occupano gli alti ranghi della società, diverranno ultimi; gli apostoli invece, che sono considerati ultimi, perché si trovano in una posizione umile e comune, diverranno primi.
 
Dio non accetta la nostra pianificazione morale - (J. M. GONZALES, Evangelo secondo Marco): L’uomo ricco, pur onesto e sincero, parte da una morale a livello d’uomo; egli pensa possibile far combaciare il possesso dei beni con l’adempimento dei comandamenti divini. Quando invece Gesù, che qui agisce chiaramente come Dio, gli chiede qualcosa che non rientra in una già prestabilita pianificazione morale, al ricco sfugge come i comandamenti derivino da una iniziativa divina e non rientrino in una codificazione umana.
L’uomo ricco, abituato a garantire e garantirsi tutto con la sua ricchezza, in buona fede credeva che anche l’eredità della vita eterna gli sarebbe stata garantita soltanto attraverso l’adempimento scrupoloso delle regole del patto.
Ma ecco che Dio rovescia di colpo il preciso ragionamento dell’uomo e stabilisce nuove regole, oppure introduce una inattesa eccezione. La salvezza dipenderà dunque soltanto dal suo arbitrio.
In certi casi Dio vorrà che un uomo ricco possa combinare la sua ricchezza con la salvezza; ma sarà un «miracolo», un’iniziativa divina. Di solito la ricchezza inclina l’uomo a credere nella propria autosufficienza anche nei confronti della vita eterna. Ecco perché è così difficile Che un ricco entri nel regno di Dio
Saziati dal dono di salvezza, invochiamo la tua misericordia, o Signore: questo sacramento, che ci nutre nel tempo, ci renda partecipi della vita eterna.
 
Che non riceva già al presente cento volte tanto - Le benedizioni nella nuova famiglia di Dio - Giovanni Cassiano, Conferenze ai monaci 24, 26: Riceverà una quantità maggiore cento volte quanto a fratelli e genitori chiunque, avendo superato l’amore del padre, della madre e del figlio per il nome di Cristo, passa all’amore sincerissimo di tutti coloro che servono Cristo, in quanto, al posto di uno, egli ha cominciato ad avere tanti padri e fratelli, a lui legati con affetto anche più caldo e più elevato (cf. Mt 19, 29; Mc 10, 29-30; Lc 18, 29-30). In più sarà arricchito del possesso moltiplicato di case e di campi chiunque, dopo aver rinunciato al possesso di una sola casa, per amore di Cristo, avrà come proprietà personale una sua dimora in monasteri senza numero, potendo entrare, come in casa propria, in qualunque parte del mondo egli venga a trovarsi.
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 

 28 FEBBRAIO 2022
 
LUNEDÌ DELLA VIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO PARI
 
1Pt 1,3-9; Sal 110 (111); Mc 10,17-27

Il Santo del Giorno 28 Febbraio 2022 - Beato Timoteo (Stanislaw) Trojanowski Religioso e martire: Stanislaw Antoni Trojanowski nacque nel 1908 nel villaggio di Sadlowo, nella diocesi di Plock, in Polonia. Lavorò per aiutare la precaria economia della famiglia. A 22 anni entrò nel convento dei Frati Minori Conventuali a Niepokalanów, prendendo il nome di Tymoteusz. Vi lavorò al reparto spedizioni della rivista “Rycerz Niepokalanej” (Cavaliere dell’Immacolata) - fondata dal superiore del convento, il futuro martire padre Massimiliano Kolbe - nel magazzino e nell’infermeria. Nell’ottobre del 1941 fu arrestato dalla Gestapo insieme ad altri sei frati e rinchiuso nella prigione di via Pawiak, a Varsavia. Deportato ad Auschwitz, fu messo ai lavori forzati. Cercò di infondere ai prigionieri - in quelle condizioni tremende - la fiducia in Dio. Ammalatosi di polmonite, morì il 28 febbraio 1942. È stato proclamato beato da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 a Varsavia nel gruppo di 108 martiri polacchi del nazismo.
 
Colletta
Concedi, o Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La scoperta del progetto di vita  - Benedetto XVI  (Messaggio per XXV Giornata Mondiale della Gioventù - 28 Marzo 2010): Nel giovane del Vangelo, possiamo scorgere una condizione molto simile a quella di ciascuno di voi. Anche voi siete ricchi di qualità, di energie, di sogni, di speranze: risorse che possedete in abbondanza! La stessa vostra età costituisce una grande ricchezza non soltanto per voi, ma anche per gli altri, per la Chiesa e per il mondo.
Il giovane ricco chiede a Gesù: “Che cosa devo fare?”. La stagione della vita in cui siete immersi è tempo di scoperta: dei doni che Dio vi ha elargito e delle vostre responsabilità. E’, altresì, tempo di scelte fondamentali per costruire il vostro progetto di vita. E’ il momento, quindi, di interrogarvi sul senso autentico dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C’è qualcosa che manca?”.
Come il giovane del Vangelo, forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in che consiste una vita riuscita? Che cosa devo fare? Quale potrebbe essere il mio progetto di vita? “Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno valore e pieno senso?” (Ibid., n. 3).
Non abbiate paura di affrontare queste domande! Lontano dal sopraffarvi, esse esprimono le grandi aspirazioni, che sono presenti nel vostro cuore. Pertanto, vanno ascoltate. Esse attendono risposte non superficiali, ma capaci di soddisfare le vostre autentiche attese di vita e di felicità.
Per scoprire il progetto di vita che può rendervi pienamente felici, mettetevi in ascolto di Dio, che ha un suo disegno di amore su ciascuno di voi. Con fiducia, chiedetegli: “Signore, qual è il tuo disegno di Creatore e Padre sulla mia vita? Qual è la tua volontà? Io desidero compierla”. Siate certi che vi risponderà. Non abbiate paura della sua risposta! “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,20)!
 
I Lettura: Anche se sono state avanzate dagli studiosi alcune ragioni contro l’autenticità petrina, l’autore si presenta come “Pietro, apostolo di Gesù Cristo! (1,1), “testimone delle sofferenze di Cristo” (5,1). L’autore della lettera “esorta a riflettere sulla natura della vita cristiana, iniziata con il battesimo, e vuole aiutare a superare la prova della persecuzione. Fa riferimento alla morte e risurrezione di Cristo, Agnello innocente e Servo sofferente. Il suo esempio rivela ai credenti il senso del martirio e indica, nei patimenti accettati con amore, la strada sicura per rompere con il peccato e conseguire la gioia promessa ai perseguitati per la giustizia. Fra i suoi temi principali sono: il sacerdozio regale di tutti i credenti (2,9), la condizione del cristiano nel mondo (2,11-17), la vita familiare (3,1-2), l’esortazione ai capi delle comunità (5,1-4)” (Bibbia di Gerusalemme).
Probabilmente scritta nei primi anni 60, è indirizzata a cristiani delle cinque province romane dell’Asia Minore. Da mettere in evidenza il tema “della speranza cristiana, fondata sulla risurrezione di Gesù. Questa virtù sostiene i credenti nella prova e li rende certi dell’eredità che li attende” (Bibbia di Gerusalemme).

Vangelo: Il brano evangelico si divide in due parti: la prima descrive l’incontro di Gesù con un giovane ricco desideroso di ottenere la vita eterna; la seconda riporta una amara riflessione del Maestro a proposito delle ricchezze. L’avvertimento di Gesù è teso a far riflettere sulla difficoltà di mettere insieme giustizia (secondo il senso biblico) e le ricchezze (cfr. Sir 31,5-14; Ez 7,19-20).
 
Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27: In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
 
Il giovane notabile ricco - Per Matteo il “tale” che si accosta a Gesù è un giovane (Mt 19,20.22) e per Luca un notabile, quindi una persona importante (Lc 18,18). Il giovane, agiato, molto ricco, osservante della Legge, cresciuto in un ambiente familiare molto religioso, certamente doveva nutrire buoni propositi. Lo suggeriscono la fretta con la quale va incontro a Gesù e il suo gettarsi in ginocchio davanti al giovane Rabbi di Nazaret.
A sentirsi chiamare ‘Maestro buono’, Gesù sembra reagire bruscamente rispondendo che solo Dio è buono. Con questa risposta Gesù non nega la sua divinità. Affatto, perché la conferma. Per san Beda significa che «la stessa unica e indivisibile Trinità ... è il solo unico Dio buono. Il Signore dunque non nega di essere buono, ma afferma di essere Dio; non dichiara di non essere il buon Maestro, ma testimonia che al di fuori di Dio nessun maestro è buono» (Comm. in Marci ev., III).
La domanda posta dal giovane ricco riflette la mentalità farisaica. Per salvarsi bastava ubbidire alla Legge di Mosè e alle tante, infinite prescrizioni legali, liturgiche, morali ad essa direttamente o indirettamente legate. Forse temeva che nel computo mancasse qualcosa. L’uomo è schietto, ma ha una mentalità legalista che lo tiene inevitabilmente lontano dalla fede. È deciso a tutto pur di arrivare al beato possesso, però, confrontandosi con il ‘Maestro buono’, non sa di giuocare su un campo minato.
La risposta di Gesù può sembrare ovvia, ma in verità vuol far uscire allo scoperto l’anonimo interlocutore. Il giovane nel rispondere è indubbiamente sincero, e lo sguardo di Gesù lo sottolinea (Marco ama soffermarsi sullo sguardo di Gesù: cf. 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11). Il giovane non mente perché «se fosse stato colpevole del reato di menzogna o di simulazione, certamente non si sarebbe detto di lui che Gesù lo amava dopo averlo guardato nell’intimo del cuore» (San Beda, ibidem).
Gesù, ottenuta la risposta che aveva sollecitato, indica al giovane quello che gli manca per raggiungere la vita eterna: la sequela cristiana perché solo in essa può trovare quello che cerca. E pone una condizione: abbandonare tutte le ricchezze. È facile sentirsi a posto perché si osservano i comandamenti di Dio. Ma questo modo di ragionare apre l’uomo all’autosufficienza, alla tentazione di catturare Dio, di imporgli delle regole di comportamento: significa voler costringere Dio ad essere buono perché si osserva la Legge. Formalmente, senza mettere amore nei giudizi, carità nelle parole, misericordia nelle relazioni (cf. Mt 9,13). È il peccato originale dei farisei. Ragionando così il giovane notabile ricco sbaglia di molto.
Gesù non impone l’indigenza, ma l’abbandono fiducioso all’agire di Dio. La proposta addolora il giovane che sconcertato lascia il campo triste perché spudoratamente attaccato ai suoi beni. Ma rimangono sconcertati anche i discepoli. Per il loro modo di pensare la ricchezza era una benedizione di Dio. Più si era buoni, più si era giusti e più Dio moltiplicava la ricchezza in figli, campi, servi, bestiame, denaro ... e sono ancora più sbigottiti quando le loro orecchie sentono che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
In ebraico il termine ricchezza ha la stessa radice del termine fede che significa appoggiarsi, dare fiducia. Quindi, Gesù ha spostato il problema su un piano diverso: il dilemma della scelta del giovane non è fra ricchezza e povertà, ma fra ricchezza e Cristo stesso. La sacra Scrittura non condanna la ricchezza in se stessa, ma i ricchi disonesti (cf. Lc 6,24), né tanto meno considera la povertà di mezzi economici un bene in sé. Il vero problema sta nel fatto che la ricchezza, quando diventa un fine, quando diventa “un appoggio”, si sostituisce a Dio facendo precipitare nell’idolatria. La contrapposizione fra Dio e il denaro è quindi sul piano religioso e non sociale! È sul piano religioso in quanto si giunge a credere che la felicità derivi dal possesso delle cose e quindi dalle cose stesse. Il regno di Dio non si conquista assommando la Legge al conto corrente, ma seguendo risolutamente Gesù povero, casto, umiliato e obbediente alla volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2,8).
 
Giovanni Paolo II (Udienza Generale 28 Ottobre 1987): Seguire Gesù significa spesso lasciare non solo le occupazioni e recidere i legami che si hanno nel mondo, ma anche staccarsi dalla condizione di agiatezza in cui ci si trova, e anzi dare i propri beni ai poveri. Non tutti si sentono di fare questo strappo radicale: non se la sentì il giovane ricco, che pure fin dalla fanciullezza aveva osservato la Legge e forse cercato seriamente una via di perfezione. Ma “udito questo (cioè l’invito di Gesù), se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze” (Mt 19, 22; cf. Mc 10, 22). Altri, invece, non solo accettano quel “Seguimi”, ma, come Filippo di Betsaida, sentono il bisogno di comunicare ad altri la loro convinzione di aver trovato il Messia (Gv 1, 43ss.). Lo stesso Simone si sente dire fin dal primo incontro: “Tu ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1, 42). L’evangelista Giovanni annota che Gesù “fissò lo sguardo su di lui”: in quello sguardo intenso vi era il “Seguimi” più forte e accattivante che mai. Ma sembra che Gesù, data la vocazione tutta speciale di Pietro (e forse anche il suo naturale temperamento) voglia far maturare gradualmente la sua capacità di valutare e accettare quell’invito. Il “Seguimi” letterale per Pietro verrà infatti dopo la lavanda dei piedi in occasione dell’ultima cena (cf. Gv 13, 36), e poi, in modo definitivo, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade (Gv 21, 19).
 
… un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi… - (Benedikt Schwank, Prima Lettera di Pietro): La nuova vita di figli di Dio ci è stata donata in vista di un’eredità che deve avere in sé qualcosa di meraviglioso, se viene ora descritta con aggettivi così speciali. Nel Vecchio Testamento ogni tribù d’Israele ricevette la sua parte di eredità nella terra promessa: un territorio assegnato mediante sorteggio. Anche a noi spetta, al termine del nostro viaggio, alla fine di questa vita, una «terra» santa, glorificata, appunto come ricompensa.
Se pensiamo, a proposito di questa nuova «terra», al corpo dei risorti, comprendiamo meglio come mai si parli di qual a di incorruttibile, di immacolato, di inalterabile, che ci attende e ci è conservato non in magazzini a in forzieri, ma nel cuore amoroso di Dio. Questo corpo, attraverso l’incorruttibilità, sarà più vicino a Dio, libero dalle rovine del peccato. Brillerà immacolato, puro, non più affetto da alcuna imperfezione terrena. E questo dono di Dio non appassirà, ma sarà raggiante di un’eterna giovanile bellezza.
 
L’insegnamento della Legge - Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 12, 5: La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che g]i chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: « “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”. Quegli chiese: “Quali?”, e il Signore soggiunse: “Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso” » (Mt 19,17ss). Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: “Ho fatto tutto ciò” - e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi” (ib.). Con queste parole prometteva l’eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall’inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all’inizio, a liberarsi dall’antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: “Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo” (Lc 19,8).
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 27 FEBBRAIO 2022
 
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
 
Sir 27,4-7, NV 27,5-8M; Sal 91 (92); 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45
 
Il Santo del Giorno 27 Febbraio 2022 - S. Gabriele dell’Addolorata, Religioso: Nasce ad Assisi il 1 marzo del 1838 da un funzionario dello stato pontificio, e a 18 anni decide di farsi religioso nell’Ordine dei Passionisti. Niente di straordinario nella sua vita, ma un grande amore a Cristo e una grande devozione alla Madonna. Frequenta le scuole elementari a Spoleto, dai Fratelli delle Scuole Cristiane e il ginnasio dai Gesuiti. Terminato il Noviziato presso i Passionisti di Morrovalle, emette i voti religiosi assumendo il nome di Gabriele dell’Addolorata. Una scelta che equivale a un programma di vita. Di lui rimangono alcune poesie scritte duranti gli anni del liceo e una quarantina di lettere, dalle quali traspare tutta la sua tenerezza verso la Vergine Maria. Muore di tubercolosi il 27 febbraio del 1862 a Isola del Gran Sasso. Viene canonizzato nel 1920. Pio XI lo proclama compatrono dell’Azione Cattolica e Giovanni XXIII patrono dell’Abruzzo.
 
Colletta
Dio nostro Padre,
che hai inviato nel mondo la Parola di verità,
risana i nostri cuori divisi,
perché dalla nostra bocca non escano parole malvagie
ma parole di carità e di sapienza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Papa Francesco (Udienza Generale 3 Novembre 2021): Percorrere la via dello Spirito richiede in primo luogo di dare spazio alla grazia e alla carità. Fare spazio alla grazia di Dio, non avere paura. Paolo, dopo aver fatto sentire in modo severo la sua voce, invita i Galati a farsi carico ognuno delle difficoltà dell’altro e, se qualcuno dovesse sbagliare, a usare mitezza (cfr 5,22). Ascoltiamo le sue parole: «Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri» (6,1-2). Un atteggiamento ben differente dal chiacchiericcio; no, questo non è secondo lo Spirito. Secondo lo Spirito è avere questa dolcezza con il fratello nel correggerlo e vigilare su noi stessi con umiltà per non cadere noi in quei peccati.
In effetti, quando siamo tentati di giudicare male gli altri, come spesso avviene, dobbiamo anzitutto riflettere sulla nostra fragilità. Quanto facile è criticare gli altri! Ma c’è gente che sembra di essere laureata in chiacchiericcio. Tutti i giorni criticano gli altri. Ma guarda te stesso! È bene domandarci che cosa ci spinge a correggere un fratello o una sorella, e se non siamo in qualche modo corresponsabili del suo sbaglio. Lo Spirito Santo, oltre a farci dono della mitezza, ci invita alla solidarietà, a portare i pesi degli altri. Quanti pesi sono presenti nella vita di una persona: la malattia, la mancanza di lavoro, la solitudine, il dolore…! E quante altre prove che richiedono la vicinanza e l’amore dei fratelli! Ci possono aiutare anche le parole di Sant’Agostino quando commenta questo stesso brano: «Perciò, fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, […] correggetelo in questa maniera, con mitezza. E se tu alzi la voce, ama interiormente. Sia che incoraggi, che ti mostri paterno, che rimproveri, che sia severo, ama» (Discorsi 163/B 3). Ama sempre. La regola suprema della correzione fraterna è l’amore: volere il bene dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Si tratta di tollerare i problemi degli altri, i difetti degli altri in silenzio nella preghiera, per poi trovare la strada giusta per aiutarlo a correggersi. E questo non è facile. La strada più facile è il chiacchiericcio. “Spellare” l’altro come se io fossi perfetto. E questo non si deve fare. Mitezza. Pazienza. Preghiera. Vicinanza.
 
I Lettura: I vasi del ceramista li mette alla prova la fornace … -  Settimio Cipriani (Nutriti dalla Parola - Anno C): Il riferimento alla «fornace», che «prova» e «tempera» gli oggetti elaborati dal «vasaio», rimanda ad un processo di «discernimento» e di valutazione di quello che vien detto, o insegnato da qualcuno che, in qualche maniera, si propone come persona autorevole e, comunque, credibile. E questo non per erigere a sistema un atteggiamento di «sospetto» verso chiunque, ma per non cadere in forme di infantile credulità, a di vero e proprio inganno. Questo rischio, suggerisce il Siracide, sarà più facilmente evitabile, se colui che ascolta, avrà l’accortezza di valutare «coerenza» delle cose dette con la testimonianza di «vita» dell’interlocutore; infatti, come dal frutto si dimostra la bontà dell’albero, così la parola rivela il sentimento dell’uomo» (Sir 27,7).
 
II Lettura: Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): La seconda lettura enuncia una dottrina assai importante. La vittoria piena sulla morte ( «La morte è stata inghiottita per la vittoria»), predetta da Isaia (25, 8: «Eliminerà la morte per sempre») e da Osea (13, 14: «Dov’è, a morte, la tua vittoria?»), si avrà nella risurrezione gloriosa e nella nuova condizione di immortalità.
La morte morale (vista qui quasi come una persona) si affermava mediante il peccato, e il peccato era occasionato dalla legge antica. Questa, infatti vietando e non dando la forza e la capacità di osservare il divieto, era causa i trasgressioni e di peccati. Se non avesse fatto proibizioni, non ci sarebbero stati la trasgressione e il peccato. Quest’ultima affermazione sembra lapalissiana. Ma l’Apostolo non è tanto su questo aspetto ovvio che vuole attirare l’attenzione, ma sul fatto che solo la legge nuova ha la prerogativa di comandare e nello stesso tempo di creare la personalità umana capace di conformare ad essa la sua esistenza. La nuova legge non è solo un precetto estrinseco puramente giuridico e legale, non è una fredda norma che dice ciò che si deve fare od evitare, ma una forza creatrice e trasformatrice, segna un itinerario e pone sulla strada; guida, muove, sollecita, dà gambe e respiro per batterla fino in fondo.
 
Vangelo - La prassi cristiana basata sul comandamento dell’amore (6,39-49) - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Il v. 39 segna una cesura nel discorso della pianura. Si ha un cambiamento di stile: dal genere didattico-profetico e sapienziale del brano precedente (vv, 27-38) si passa allo stile narrativo in forma parabolica. Infatti la pericope si articola intorno a tre unità letterarie che includono altrettanti paragoni, della pagliuzza (vv. 41-42), dellalbero conosciuto dai frutti (vv. 43-45), della casa costruita sulla roccia (vv. 46-49). Qualche esegeta interpreta la pericope dei vv. 39-49 in chiave escatologica, come emerge in modo più accentuato in Mt, soprattutto a partire da 7,21.
Comunque, anche in Luca non va esclusa una dimensione escatologica, ma secondo una prospettiva individuale del giudizio divino, che avrà come alternativa la salvezza o la dannazione eterna.
Tuttavia, Luca accentua la valenza parenetica dell’insegnamento di Gesù: si tratta di una esortazione all’impegno per una condotta cristiana, ispirata al comandamento fondamentale dell’amore. Il discorso della pianura è senza dubbio una proclamazione di felicità, di benedizione e di salvezza per i poveri, per gli afflitti e perseguitati, ma è anche appello alla decisione per il regno, invito alla coerenza di vita, all’azione e all’impegno concreto, secondo l’insegnamento molto e ingente e radicale di Cristo, incentrato sul comandamento dell’amore.
 
Dal Vangelo secondo Luca 6,39-45: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?
Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
 
Il brano lucano è composto da diversi elementi: la parabola del cieco (v. 39: Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?). Il discorso sul discepolo (v. 40: Un discepolo non è più del maestro. È come dire che ognuno deve imparare a stare al suo posto. Cf. Mt 16,23). La parabola della pagliuzza e della trave (vv. 41s: Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?). Queste parole di Gesù non ammettono deroghe, ed invitano a guardarci dentro. Chi trancia giudizi, chi condanna, chi arriva superficialmente e frettolosamente a conclusioni che poi si manifestano inevitabilmente errate, non ha fatto un cammino umano, che in definitiva è il cammino necessario per approdare ad essere discepolo di Cristo. Con queste parole Gesù «ci fornisce un’utile indicazione, che potremmo dire “pastorale”. La tentazione spesso è, purtroppo, quella di condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Come allora rendersi conto se il proprio occhio è libero o se è impedito da una trave? Gesù risponde: “Ogni albero si riconosce dal suo frutto” (Lc 6,44). Tale sano discernimento è dono del Signore, e va implorato con preghiera incessante. È al tempo stesso conquista personale che domanda umiltà e pazienza, capacità di ascolto e sforzo di comprensione degli altri. Queste caratteristiche debbono essere di ogni vero discepolo e comportano impegno nonché spirito di sacrificio. Se talora può sembrare arduo seguire il Signore su questo cammino, ricorriamo al sostegno e all’intercessione di Maria» (Giovanni Paolo II, Omelia 25 Febbraio 2001). Alla parabola della pagliuzza e della trave segue la parabola dell’albero e dell’albero cattivo (vv 43-45). E infine, il detto sull’uomo buono e dell’uomo cattivo (v. 46. Cf. Lc 13,6-9; Mt 7,15,20; 12,31-37; Mc 3,28). Con questo detto Gesù vuol suggerire ai suoi discepoli che tutto dipende dal cuore. Secondo la mentalità ebraica il cuore è “la sede, la fonte ultima di tutti i pensieri-parole-gesti dell’uomo. Gesù insegna chiaramente: un cristiano autentico lo si riconosce dalle opere che fa, ma il suo vero valore lo si verifica nel più profondo del cuore. È Dio, che legge nei cuori degli uomini [At 1,24; 15,8], è l’unico vero giudice!” (Carlo Ghidelli, Luca).
 
Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio… - L’ipocrita è un cieco che inganna se stesso - Xavier Léon-Dufour (Ipocrita in Dizionario di Teologia Biblica): Il formalismo può essere guarito, ma l’ipocrisia è vicina all’indurimento. I «sepolcri imbiancati » finiscono per prendere come verità ciò che vogliono far credere agli altri: si credono giusti (cfr. Le 18,9; 20,20) e diventano sordi ad ogni appello alla conversione.
Come un attore di teatro (in gr. hypocritès), l’ipocrita continua a recitare la sua parte, tanto più che occupa un posto elevato e si obbedisce alla sua parola (Mt 23,2s). La correzione fraterna è sana, ma come potrebbe l’ipocrita strappare la trave che gli impedisce la vista, quando pensa soltanto a togliere la pagliuzza che è nell’occhio del vicino (7,4s; 23,3s)? Le guide spirituali sono necessarie in terra, ma non prendono il posto stesso di Dio quando alla legge divina sostituiscono tradizioni umane? Sono ciechi che pretendono di guidare gli altri (15,3-14), e la loro dottrina non è che un cattivo lievito (Lc 12,1). Ciechi, essi sono incapaci di riconoscere i segni del tempo, cioè di scoprire in Gesù l’inviato di Dio, ed esigono un «segno dal cielo» (Lc 12,56; Mt 16,1ss); accecati dalla loro stessa malizia, non sanno che farsene della bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene (Lc 13,15); se osano immaginare che Beelzebul è all’origine dei miracoli di Gesù, si è perché da un cuore malvagio non può uscire un buon linguaggio (Mt 12,24.34).
Per infrangere le porte del loro cuore, Gesù fa loro perdere la faccia dinanzi agli altri (Mt 23,1ss), denunziando il loro peccato fondamentale, il loro marciume segreto (23,27s): ciò è meglio che lasciarli condividere la sorte degli empi (24,51; Lc 12,46). Qui Gesù si serviva indubbiamente del termine aramaico hanefa, che nel VT significa ordinariamente «perverso, empio»: l’ipocrita può diventare un empio. Il quarto vangelo cambia l’appellativo di ipocrita in quello di cieco: il peccato dei Giudei consiste nel dire: «Noi vediamo», mentre sono ciechi (Gv 9,40).
 
La disposizione del cuore determina la natura del frutto - L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore, e l’uomo cattivo il male dal suo cuore cattivo - Beda, Omelie sul Vangelo 2, 25: Il tesoro del cuore è l’intenzione del cuore, dalla quale il giudice interiore valuta il provento dell’opera buona. […]. Ciò il testo spiega subito dopo affermando chiaramente che le buone parole non giovano senza la testimonianza delle opere.
Perché mi chiamate Signore, Signore, e non fate quello che dico? Invocare il Signore è dono del buon tesoro, frutto dell’ albero buono. Infatti ognuno che invocherà il nome del Signore sarà salvo (cf. Rm l0,13). Ma se colui che invoca il nome del Signore contrasta coi precetti del Signore perché si comporta in m do cattivo, allora è chiaro che ciò che di bene ha fatto risuonare la lingua non è stato tirato fuori dal buon tesoro del cuore: il frutto di tale professione non l’ha prodotto la radice del fico, ma la pianta spinosa, cioè la coscienza deturpata dai vizi e non ricolma della dolcezza dell’ amore del Signore.
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 

26 FEBBRAIO 2022
 
SABATO DELLA VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
Gc 5,13-20; Sal 140 (141); Mc 10,13-16
 
Il Santo del Giorno 26 Febbraio 2022 - Paola Montal y Fornes. Dalle sue scuole futuro per le ragazze: Preghiera e studio, ovvero “piedad y letras”: il motto di santa Paola Montal y Fornes oggi conserva tutta la sua profezia e ci ricorda l’importanza di curare sempre la vita interiore, nella forma della conoscenza intellettuale ma anche aprendoci alla vita dello spirito. Nata nel 1799 ad Arenys de Mar (Barcellona), prima di cinque figli, a 10 anni rimase orfana del padre e dovette aiutare con il lavoro la madre. Capì che le donne avevano poche possibilità a causa soprattutto della mancanza di un’adeguata istruzione. Decise così di dedicarsi a quest’opera fondamentale a favore delle ragazze arrivando a fondare la sua prima scuola a Figueras nel 1829. Nel 1837 si avvicinò al carisma dei Padri Scolopi: dieci anni dopo a Sabadell fece la professione religiosa dando avvio così alle sue Figlie di Maria delle Scuole Pie e assumendo il nome di Paola di San Giuseppe Calasanzio. Dal 1859 si trasferì a Olesa de Montserrat dove si trovava l’ultima scuola da lei fondata: per 30 lavorò senza sosta alla crescita della congregazione. Morì nel 1889. (Autore Matteo Liut)
 
Papa Francesco (Angelus (10 Ottobre 2021): Nel Vangelo della Liturgia di oggi vediamo una reazione di Gesù piuttosto insolita: si indigna. E quello che più sorprende è che la sua indignazione non è causata dai farisei che lo mettono alla prova con domande sulla liceità del divorzio, ma dai suoi discepoli che, per proteggerlo dalla ressa della gente, rimproverano alcuni bambini che vengono portati da Gesù. In altre parole, il Signore non si sdegna con chi discute con Lui, ma con chi, per sollevarlo dalla fatica, allontana da Lui i bambini. Perché? È una bella domanda: perché il Signore fa questo?
Ci ricordiamo - era il Vangelo di due domeniche fa - che Gesù, compiendo il gesto di abbracciare un bambino, si era identificato con i piccoli: aveva insegnato che proprio i piccoli, cioè coloro che dipendono dagli altri, che hanno bisogno e non possono restituire, vanno serviti per primi (cfr Mc 9,35-37). Chi cerca Dio lo trova lì, nei piccoli, nei bisognosi: bisognosi non solo di beni, ma di cura e di conforto, come i malati, gli umiliati, i prigionieri, gli immigrati, i carcerati. Lì c’è Lui: nei piccoli. Ecco perché Gesù si indigna: ogni affronto fatto a un piccolo, a un povero, a un bambino, a un indifeso, è fatto a Lui.
Oggi il Signore riprende questo insegnamento e lo completa. Infatti aggiunge: «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). Ecco la novità: il discepolo non deve solo servire i piccoli, ma riconoscersi lui stesso piccolo. E ognuno di noi, si riconosce piccolo davanti a Dio? Pensiamoci, ci aiuterà. Sapersi piccoli, sapersi bisognosi di salvezza, è indispensabile per accogliere il Signore. È il primo passo per aprirci a Lui. Spesso, però, ce ne dimentichiamo. Nella prosperità, nel benessere, abbiamo l’illusione di essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di non aver bisogno di Dio. Fratelli e sorelle, questo è un inganno, perché ognuno di noi è un essere bisognoso, un piccolo. Dobbiamo cercare la nostra propria piccolezza e riconoscerla. E lì troveremo Gesù.
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
I lettura: Ortensio da Spinetoli (Lettera di Giacomo, Il Nuovo Testamento): L’attenzione di Giacomo si ferma a un caso particolare dello star  male: la malattia fisica. Il malato, veramente tale mandi a chiamare gli anziani della comunità: coloro cioè che nell’ambito della vita propria della comunità hanno una funzione di responsabilità direttiva, reale, anche se difficilmente precisabile nei suoi elementi concreti. Tale funzione risulta anche da altri brani del NT (cf At 11,110; 1,21; 15.4.6.22.23.; 1Tm 5,1.2.17; Tt 1,5; 2Gv l; 3Gv l). Gli anziani della comunità non si limitano a una visita di cortesia: essi svolgono un rituale dettagliato composto di preghiere particolari e di unzioni, compiute in nome, con l’autorità e con la forza propria del Signore. Gli eletti di questo rito superano di gran lunga quelli descritti nelle unzioni giudaiche: la preghiera della fede, accompagnata da una fede corrispondente, salverà spiritualmente l’infermo: cioè il Signore lo solleverà, come ha fatto già nella sua vita terrena (cf Mc 1,31; 9,27; in tutte e due i casi viene usato lo stesso verbo ricorrente qui, che, di per sé, significa anche risuscitare), dandogli una nuova energia, fisica e morale, in vista della salvezza concreta che si avrà con la risurrezione finale. Un’azione del genere è insinuata nell’unzione che i discepoli fanno per ordine di Gesù (Mc 6 13) Se poi - è un’eventualità - il malato ha dei peccati, come effetto di questa salvezza, di questo sollievo, gli saranno rimessi. Questo brano ha una rilevanza dogmatica particolare: la chiesa lo ha esplicitato sulla linea del sacramento dell’unzione degli infermi (cf Conc. Trid., Sesso XIV, cap. I; Vat. II, se, n. 73-75).
 
Vangelo: Gesù, nonostante l’ostruzionismo degli Apostoli, accoglie dei bambini che gli vengono presentati «perché li accarezzasse». Gesù acconsente e «prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva». Un gesto di tenerezza che rivela i sentimenti di Gesù verso i più piccoli, gli indifesi, verso coloro che nella società giudaica non contavano affatto.
Ma anche in questo secondo atto c’è una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Se per l’ambiente giudaico solo l’adulto poteva raggiungere il regno di Dio perché capace di porre atti coscienti, nel magistero di Gesù invece lo si può solo ricevere, come dono gratuito, facendosi appunto bambini.
 
Dal Vangelo secondo Marco 10,13-16: In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 13 E gli presentavano dei fanciulli; è facile immaginare che non poche madri, spinte dal loro naturale affetto per i figli, desideravano che Gesù li toccasse con un gesto carezzevole e compiacente. Esse erano orgogliose di poter presentare i propri piccoli ad un Rabbi, tanto famoso per dottrina e bontà, perché avesse per loro un sorriso, un complimento ed una benedizione […].
14 Gesù... s’indignò; soltanto Marco osserva che il Maestro risentito disapprovò la condotta dei discepoli. Probabilmente essi volevano allontanare da Cristo le madri ed i bimbi, perché desideravano che egli non fosse distratto nel suo insegnamento dalla presenza di questa folla chiassosa e vivace.
15 Il Salvatore, per altra via, viene incontro allo zelo intemperante dimostrato dai discepoli desiderosi di rimanere soli con lui per ascoltarlo; egli infatti approfitta della presenza di quei piccoli per indicare quali condizioni spirituali sono necessarie per accogliere il regno e per entrarvi. Egli considera due aspetti del regno: il primo è il regno-annunzio che è offerto in dono all’uomo con la predicazione (chi non riceverà il regno come un fanciullo); il secondo è il regno-società realizzata in terra, nella quale occorre entrare per salvarsi.
16 E, presili in braccio, li benediva; le mamme ottennero quello che desideravano. Marco soltanto segnala questi particolari che danno alla scena un colorito umano e suggestivo.
 
I fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa: Christifideles laici 47: I bambini sono certamente il termine dell’amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,13-15 Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me” (Mt 18,3-5; cfr. Lc 9,48). I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l’intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell’età dell’infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l’edificazione della Chiesa che per l’umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all’interno della famiglia “Chiesa domestica”: “I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori” (GS 48), dev’essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale “i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa”.

Sia Gesù la vostra vita: Paolo VI (Udienza Generale, 9 settembre 1964): Gesù che, come ai tempi della sua vita terrena, vi guarda con particolare predilezione, e, come allora, vuole accarezzarvi, abbracciarvi, stringervi al cuore, dicendo ai grandi: «Lasciate che i fanciulli vengano a me!» (Mc 10,14). Per meglio conoscere Lui avete studiato così bene il catechismo; per vivere di Lui e in Lui siete incominciati a entrare nel regno suggestivo e ricchissimo della Liturgia e della vita della Chiesa; per portare a Lui i vostri compagni di scuola e di giuochi vi aprite alle prime conquiste entusiasmanti dell’apostolato. Sia Gesù la vostra vita, il vostro cibo, la vostra luce, il vostro amico: oggi, negli anni preziosi e fuggevoli dell’infanzia, domani negli impegni della adolescenza, e poi sempre, sempre, per tutta la vita!
 
E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva - La benedizione dei fanciulli -  Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 8,63: Quando comanda che i piccoli gli vengano vicino (cf. Lc 18,16), per benedirli sia col tesserne l’elogio sia con l’imporre loro le mani (cf. Mt 19, 13; Mc 10,16), egli li chiama fanciulli; quando però comanda di non scandalizzarli, li chiama piccini (cf. Mc 9,42); infatti non si scandalizzano coloro che sono toccati da Cristo, non cadono coloro che si avvicinano a Cristo, ma cadono quanti ha reso meschini non l’esiguità dell’età, bensì la piccolezza della virtù. Al tempo stesso insegna che non bisogna esporre a tentazione i deboli, per evitare che le loro mancanze ricadano sopra di noi, dal momento che le loro preghiere, sebbene deboli quanto ai meriti delle virtù, sono portate in alto, fino al Signore, con l’aiuto degli angeli.
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.