1 Aprile 2021

 Giovedì Santo - «Cena del Signore»
 
Es 12,1-8.11-14; Sal 115 (116); 1Cor 11,23–26; Gv 13,1-15
 
Giovedì Santo - «Cena del Signore» - La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi): «Egli, venuta l’ora di essere glorificato da te, Padre Santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine; e mentre cenava con loro, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo, offerto in sacrificio per voi”. Allo stesso modo, prese il calice del vino e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: “Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”».
Niente renderà meglio il mistero del giorno di oggi, la natura della Messa serale che raduna attorno all’altare tutta la comunità se non quelle parole della Preghiera eucaristica IV. Cristo dà se stesso per la salvezza del mondo, ma prima affida alla Chiesa il Sacrificio vivo e santo, il segno dell’eterna Alleanza con gli uomini. Fedele alle parole del Signore: «Fate questo in memoria di me», la Chiesa incessantemente celebra l’Eucaristia ed invoca: «Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione». Questo Sacrificio della nostra riconciliazione con Dio porta continuamente pace e salvezza al mondo intero. La Chiesa, radunata attorno alla mensa eucaristica, oggi più che mai, sperimenta la presenza del Signore. Rimarrà accanto a lui nella preghiera notturna per non sentire come una volta i discepoli nel Giardino degli Olivi: «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?».
 
Colletta: O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ecclesia de Eucharistia 11: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito» (1Cor 11,23), istituì il Sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell’apostolo Paolo ci riportano alla circostanza drammatica in cui nacque l’Eucaristia. Essa porta indelebilmente inscritto l’evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l’evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale. È il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli. Bene esprimono questa verità le parole con cui il popolo, nel rito latino, risponde alla proclamazione del «mistero della fede» fatta dal sacerdote: «Annunziamo la tua morte, Signore!». 
La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. Questa non rimane confinata nel passato, giacché «tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi». 
Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e «si effettua l’opera della nostra redenzione». Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente. Questa è la fede, di cui le generazioni cristiane hanno vissuto lungo i secoli. Questa fede il Magistero della Chiesa ha continuamente ribadito con gioiosa gratitudine per l’inestimabile dono. Desidero ancora una volta richiamare questa verità, ponendomi con voi, miei carissimi fratelli e sorelle, in adorazione davanti a questo Mistero: Mistero grande, Mistero di misericordia. Che cosa Gesù poteva fare di più per noi? Davvero, nell’Eucaristia, ci mostra un amore che va fino «all’estremo» (cfr Gv 13,1), un amore che non conosce misura. 
 
I Lettura: La Pasqua è festa dell’uomo perché Dio rinnova la sua alleanza, e manifesta il suo grande amore per il mondo intero, è gioia perché l’uomo passa dalla morte alla vita. La pasqua è festa del Signore, è rito perenne che colma di incommensurabile gioia il cuore del popolo amato da Dio.
 
II Lettura: L’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto evoca gli istanti dell’ultima cena. Gesù, nella notte in cui veniva tradito, sul pane pronuncia mirabili parole: Questo è il mio corpo. Sul calice Gesù pronuncia parole ancora più sconvolgenti: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. La profezia di Geremia (cfr. 31,31-34) sulla nuova alleanza si compie pienamente con la Pasqua del Cristo.
 
Salmo: Il calice della salvezza: Baldovino di Ford: Questo calice è un filtro d’amore, che il Cristo ci ha preparato secondo un’arte da lui solo conosciuta. Col suo sangue versato sulla croce ha versato il suo amore; col suo sangue che ci fa bere, ci fa bere anche il suo amore, lavandoci dai nostri peccati nel suo sangue.
 
Vangelo: Questo intenso brano giovanneo mette in evidenza tre luminosi messaggi: innanzi tutto, Gesù dona la sua vita perché ama l’umanità, infatti, per la prima volta, l’evangelista Giovanni mette esplicitamente la vita e la morte di Gesù sotto il segno del suo amore per gli uomini; poi, la passione e la morte di Gesù in croce è un dramma in cui si trova impegnato il mondo invisibile: dietro gli uomini agisce la potenza diabolica, infine, il precetto dell’amore: dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri, cioè rendendoci i servizi di un’umile carità.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 13,1-15: Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
 
Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): La lavanda dei piedi è un atto d’amore di Gesù per i suoi: per essi egli è capace di prestarsi anche agli uffici più umili. Come atto d’amore, la lavanda dei piedi diviene un’azione esemplare: così devono comportarsi i suoi gli uni verso gli altri. In più è un atto di purificazione.
Cerchiamo di penetrare più esplicitamente nel significato dell’atto di Gesù. Il primo punto di riferimento lo abbiamo nelle parole che egli stesso rivolge ai suoi discepoli dopo aver lavato loro i piedi: vi ho dato un esempio che dovete imitare. Ognuno deve intendere la vita come un servizio all’altro, esattamente come Gesù ha «servito» i suoi discepoli.
Ma lavare i piedi suggerisce qualcosa di più d’un semplice servizio al prossimo. Lavare vuol dire purificare.
Al cristiano deve ricordare necessariamente il battesimo: il battesimo significa entrare nella partecipazione alla morte e alla risurrezione di Gesù. Qui, come nel c. 6, dove si parla dell’eucaristia, si afferma che il significato profondo del battesimo è inseparabile dall’atto storico della redenzione, che è sempre soggiacente e dà senso ed efficacia all ‘atto sacramentale. Il «lavare» è sinonimo di tutta la missione di Gesù.
Avremo quindi qui una specie di parabola in azione. La missione di Gesù ha come scopo di unire a sé un popolo di seguaci, di discepoli; ma questo non dev’essere inteso al livello d’un maestro che mira a formare una scuola. La costituzione di questo popolo nasce dall’iniziativa di Gesù, che ha come punto di partenza una purificazione che egli deve compiere. Questo è il significato delle parole che egli rivolge a Pietro quando questo discepolo non vuole che il maestro gli lavi i piedi: se non sarai lavato, non avrai parte con me, cioè non puoi appartenere al popolo che io sono venuto a riunire (vv. 6-10).
D’altra parte, né la morte né la risurrezione, delle quali la lavanda è simbolo, saranno efficaci e avranno effetto senza la fede e l’amore da parte dei discepoli. È il contrappunto della scena che è personificata in Giuda: è presente, è lavato. ma continua a essere macchiato (vv. 10-11) .
II molteplice significato del segno compiuto da Gesù abbraccia tutti questi aspetti. E ognuno degli aspetti ricordati è rivolto verso l’altro, lo conferma e lo sostiene.
 
Giovedì Santo: Benedetto XVI (Omelia, 5 Aprile 2012): Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato. Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione. Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita. Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità.     
 
La Messa e l’offerta - Giovanni Crisostomo (In Epist. II ad Timoth., 4,4): L’offerta che vien fatta è la stessa, chiunque sia l’offerente, sia Paolo, sia Pietro; è la stessa, che Cristo diede ai discepoli, e che ora i sacerdoti presentano ai fedeli. Questa, che vien data dai sacerdoti oggi, non è in nessun modo inferiore a quella che fece Cristo allora, perché non sono gli uomini che la consacrano, ma quello stesso Cristo, che consacrò la prima. Come, infatti, le parole, che Dio disse, sono le stesse che dice oggi il sacerdote, così l’offerta è la stessa; come il battesimo nostro di oggi è il medesimo battesimo di Cristo. Cioè, rientra tutto nel campo della fede. Dunque, è corpo di Cristo questo che diamo noi, come era corpo di Cristo quello ch’egli stesso diede ai discepoli; e chi pensa che questo, che diamo noi, sia inferiore in qualche modo a quello, che Cristo diede, dimostra di non capire che anche oggi è ancora Cristo che è presente e agisce.
 
Padre onnipotente,
che nella vita terrena
ci nutri alla Cena del tuo Figlio,
accoglici come tuoi commensali
al banchetto glorioso del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 31 Marzo 2021

 Mercoledì della Settimana Santa

 Is 50,4-9a; Sal 68 (69); Mt 26,14-25

 

Il Santo del Giorno - 31 Marzo 2021 - Santa Balbina di Roma: Di lei non si hanno molte notizie certe. Secondo la tradizione era figlia del tribuno romano e martire Quirino con cui venne uccisa introno al 130 per poi essere seppellita sulla via Appia. Tuttavia il cimitero che vi si trova nonché la chiesa sul piccolo Aventino non avrebbe alcun legame con lei. Balbina era stata battezzata da Papa Alessandro I insieme al padre convertitosi al cristianesimo. Ammalatasi gravemente fu portata dal Pontefice che allora era imprigionato e ne venne guarita. Di estrazione nobile venne chiesta più volte in sposa ma rimase sempre fedele al suo voto di verginità. Arrestata insieme col padre per ordine dell’imperatore Adriano venne decapitata dopo lunghe torture. L’iconografia la raffigura con croce e scettro di gigli; talvolta anche con un angelo che indica il cielo. Altre immagini la rappresentano mentre tiene in mano una catena. Sarebbe infatti guarita dal mal di gola sfiorando le catene che tenevano imprigionato Papa Alessandro I. (Avvenire)   

Colletta: Padre misericordioso, tu hai voluto che il Cristo tuo Figlio subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal potere del nemico: donaci di giungere alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Perché Giuda tradì Gesù? - Benedetto XVI (Udienza Generale, 18 Ottobre 2006): La questione è oggetto di varie ipotesi. Alcuni ricorrono al fattore della sua cupidigia di danaro; altri sostengono una spiegazione di ordine messianico: Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio Paese. In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2); analogamente scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3). In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico (cfr. Mt 26,50), però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana. In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L’unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista. Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui. Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,32-33)! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione. È per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua “Regola”: “Non disperare mai della misericordia divina”. In realtà Dio “è più grande del nostro cuore”, come dice san Giovanni (1Gv 3,20). Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono. Del resto, quando, pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre (cfr. Gal 2,20; Ef 5,2.25). Il Verbo “tradire” è la versione di una parola greca che significa “consegnare”. Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio in persona: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi (cfr. Rm 8,32). Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.

I Lettura: In questo terzo canto, il servo di Iahvé “appare meno come un profeta che come un saggio, discepolo fedele di Jahve [vv 4-5], incaricato di istruire a sua volta coloro che «temono Dio», cioè tutti i pii giudei [v 10], ma anche gli smarriti o gli infedeli «che camminano nelle tenebre». Grazie al suo coraggio e all’aiuto divino [vv 7-9], sopporterà le persecuzioni [vv 5-6], finché Dio gli accorderà un trionfo definitivo [vv 9-11]” (Bibbia di Gerusalemme).

Salmo: Atanasio: Questo salmo contiene la preghiera del Signore offerta a nome dell’umanità, le cause e le circostanze della sua passione, i castighi che saranno mandati ai giudei e infine annuncia il culto in spirito e verità.

Vangelo: Gesù celebra la Pasqua con i suoi amici, e nell’ombra già si staglia imperiosa la croce sulla quale sarà inchiodato per la salvezza del mondo. Giuda ha spalancato irreversibilmente il suo cuore a Satana, in lui non vi resipiscenza, ha deciso di consegnare il Maestro ai sinedriti. Soltanto Matteo precisa la somma che Giuda riceve per la consegna di Gesù. Il tempo è vicino, tutto è compiuto, e la vittima è pronta per essere offerta sull’altare dell’amore, gradita e piacevole a Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo 26,14-25: In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
 
Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): 1 - Il nostro racconto comincia con l’accordo «pecuniario» fra Giuda e i sommi sacerdoti per la consegna di Gesù; un particolare riferito solo da Matteo. Ed egli lo fa appunto per presentare la passione, fin dall’inizio, nella prospettiva del compimento del piano di Dio. Non vi furono imprevisti anche riguardo al prezzo del tradimento: anche questo era già stato preannunziato nella Scrittura (Zc 11,12-13). D’altra parte, il nesso fra il prezzo fissato e il riferimento alla profezia di Zaccaria presenta Gesù come il re mansueto e umile del quale parla lo stesso profeta (Zc 9,9).
2 - L’ultima cena di Gesù fu una cena pasquale. Perciò, come gli israeliti dovevano ricordare il significato di quel pasto singolare circondato di solennità, così Gesù spiega il senso della nuova cena pasquale, nella quale si distinguono i punti seguenti:
a) Gesù rende partecipi della sua dignità e del suo destino i suoi discepoli (il suo regno è il regno del Padre e, in esso, siederà nuovamente a mensa coi suoi discepoli, v. 29);
b) il sangue di Gesù è sparso in remissione dei peccati (il sottolineato è proprio di Matteo). Abbiamo qui un particolare chiaramente indicatore del carattere sacrificale della cena pasquale. Il sacrificio era dono della vita per un’altra vita: così si afferma il potere sostitutivo o vicario del sacrificio di Gesù, come anche il suo valore espiatorio;
c) la cena inaugura la nuova alleanza. Per questo è detta «sangue dell’alleanza». Quello che si attendeva per il futuro: un nuovo ordine di cose nel quale Dio mettesse la sua legge nel cuore e perdonasse i peccati è giunto con questa cena pasquale;
d) l’ultimo punto è messo più chiaramente in evidenza con la contrapposizione intenzionale fra l’antica (Es 24,8; Zc 9,11) e la nuova alleanza. Vi è la corrispondenza fra il tempo di Mosè e quello del Messia (presentato spesso da Matteo come il novello Mose). Le due alleanze furono sigillate col sangue;
e) Gesù in persona è la nuova alleanza, come era stato annunziato del servo di Yahveh (Is 42,6; 49,7-8). Egli è dunque il servo di Yahveh.
Il sangue è sparso per molti. È un semitismo che equivale a tutti. La ragione per cui è scelto l’aggettivo «molti» e non «tutti» è quella di mettere in rilievo l’efficacia di quel sacrificio mediante l’opposizione fra uno che dà la vita e quelli per cui la dà, che sono molti (da questo punto di vista, parlare di «molti» è più efficace che parlare di «tutti», perché «tutti» possono anche essere pochi). L’espressione «il mio corpo», «il mio sangue», nel linguaggio del tempo, era sinonimo di «io stesso». La vita di Gesù messo a morte può essere assimilata attraverso la assunzione del pane e del calice.
 
Abbiamo bisogno del suo perdono: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 31 Marzo 1999): La Settimana Santa ci conduce a meditare sul senso della Croce, in cui “la rivelazione dell’amore misericordioso di Dio raggiunge il suo culmine” (cfr. Dives in Misericordia, 8). In maniera tutta particolare, ci stimola a tale riflessione il tema di questo terzo anno di immediata preparazione al Grande Giubileo del Duemila, dedicato al Padre. Ci ha salvati la sua infinita misericordia. Egli, per redimere l’umanità, ha liberamente donato il suo Figlio Unigenito. Come non ringraziarlo? La storia è illuminata e guidata dall’evento incomparabile della redenzione: Dio, ricco di misericordia, ha effuso su ogni essere umano la sua infinita bontà, per mezzo del sacrificio di Cristo. Come manifestare in modo adeguato la nostra riconoscenza? La liturgia di questi giorni, se da un lato ci fa elevare al Signore, vincitore della morte, un inno di ringraziamento, ci chiede, al tempo stesso, di eliminare dalla nostra vita tutto ciò che ci impedisce di conformarci a lui. Contempliamo Cristo nella fede e ripercorriamo le tappe decisive della salvezza da lui operata. Ci riconosciamo peccatori e confessiamo la nostra ingratitudine, la nostra infedeltà e la nostra indifferenza di fronte al suo amore. Abbiamo bisogno del suo perdono che ci purifichi e ci sostenga nell’impegno di interiore conversione e di perseverante rinnovamento dello spirito.
 
Giovanni Crisostomo (Exp. in Matth., LXXX, 3): Da quel momento cercava l’occasione opportuna per consegnarlo: tu mi chiederai com’è possibile che un uomo chiamato da Gesù Cristo stesso abbia potuto diventare un traditore. Ti rispondo che la chiamata di Dio non costringe, non fa violenza sulla volontà di coloro che non vogliono scegliere la virtù, ma Dio esorta, consiglia e fa di tutto per persuaderei ad essere buoni.
 
Concedi ai tuoi figli, o Padre,
di gustare senza fine i sacramenti pasquali
e di attendere con vivo desiderio i doni promessi,
perché, fedeli ai misteri della loro rinascita,
siano così condotti a una vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 

 30 Marzo 2021

 Martedì della Settimana Santa

 Is 49,1-6; Sal 70 (71); Gv 13,21-33.36-38

Il Santo del Giorno - 30 Marzo 2021 - San Giovanni Climaco, Abate: Climaco in greco significa «quello della scala». Giovanni è così soprannominato perché ha scritto in greco un’opera spirituale la «Scala del Paradiso» («Klimax tou Paradeisou»), che trattasi di una guida spirituale per i monaci. Incerte le date di nascita, sconosciuta la famiglia. Fu monaco prima nel monastero di Raithu, nel sud-ovest della regione, poi abate in un grande e famoso cenobio: quello del Monte Sinai. Sarebbe morto nel 649.

Colletta: Concedi a questa tua famiglia, o Padre, di celebrare con fede i misteri della passione del tuo Figlio per gustare la dolcezza del tuo perdono. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Gesù fu profondamente turbato: Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo (Omelia, 11-04-2006): Il Vangelo di Giovanni, dal capitolo 13 al capitolo 17, riporta una serie di discorsi che manifestano la preoccupazione di Gesù per quel piccolo gruppo di discepoli e per quelli che attraverso la loro parola crederanno in lui (cfr. Gv 17,20). È un’ora segnata dall’inesorabile avvicinarsi della morte. Gesù ha il cuore affollato di sentimenti, anche contraddittori: non vuole morire ma neppure fuggire. È giunta comunque l’ora della sua “partenza”. Ma quel che lo angoscia è il futuro di quel piccolo gruppo a cui ha legato il suo Vangelo. Non è scontato che continueranno a stare insieme. Eppure è a loro che lascia l’eredità del cammino intrapreso. Dice loro: “Un comandamento nuovo vi do: che vi amiate gli uni gli altri”. Non è la prima volta che parla di questo comandamento, ma ora c’è la solennità di un testamento. È evidente la volontà di Gesù di creare una comunità d’amore tra i suoi; una comunità di fratelli, quella che gli uomini da soli non sanno creare. Proprio questi discepoli, infatti, durante la stessa cena, avevano appena discusso su chi fosse tra loro il più grande. Solo Gesù sa creare tra gli uomini un’amicizia nuova, fraterna, profonda e non competitiva.

I Lettura Il servo è presentato come un profeta oggetto di una predestinazione divina e di una missione che supera quella degli altri profeti poiché egli stesso sarà reso «luce delle nazioni» (v. 5). Il vecchio Simeone stringendo tra le braccia il bambino Gesù presentato al tempio, si ispirerà proprio a questo passo per proclamare l’infante «luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,32). Infine, forte della forza di Dio, compirà un’opera di liberazione e di salvezza «fino all’estremità della terra» (v. 6).

Vangelo In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato: il turbamento di Gesù scaturisce dal tradimento Giuda, e sopra tutto dal vedere un’anima sopraffatta dal potere del demonio: uno di voi mi tradirà... «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Anche Pietro rinnegherà il Maestro, ma mentre Giuda tradisce Gesù senza pentimenti; Pietro laverà con lacrime di pentimento il suo peccato. Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui: la glorificazione del Figlio è in pari tempo la glorificazione del Padre: l’una si attua nell’altra. Tale glorificazione sarà realizzata immediatamente con la morte e risurrezione di Cristo, ma avrà la sua pienezza alla Parusìa, alla fine dei tempi.

Dal Vangelo secondo Giovanni 13,21-33.36-38: In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».

Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!: Card. Tarcisio Bertone (Omelia, 3 aprile 2007): Osserviamo l’altro quadro della scena evangelica, quello in cui Simon Pietro, nella sua impulsiva generosità, sembra non accettare l’annuncio della dipartita del Maestro: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!”, e Gesù: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”. Come poté Simon Pietro superare l’amarezza provata dal suo rinnegamento? La forza gliela diede il “credere all’amore”; credere all’amore di Dio fonte di misericordia. Pur nel turbamento fu capace di dire “sì all’amore, perché esso soltanto, proprio con il suo rischio della sofferenza e della perdita di sé, porta l’uomo a se stesso e lo rende ciò che egli deve essere. Penso che questo sia il vero dramma della storia, cioè che essa nella molteplicità dei fronti, gli uni contrapposti agli altri, alla fine è riconducibile alla formula: sì o no all’amore”. Sono parole del Card. Joseph Ratzinger, chiamato da Dio a succedere a Pietro nella guida della Chiesa (cfr. Il sale della terra, p. 320). L’amore acquista forza se vissuto in seno alla comunità dei credenti. Per questo, avvicinandosi i giorni che ricordano l’istituzione dell’Eucaristia, che ci fa Chiesa, comunione dei credenti in Cristo, e del sacerdozio ministeriale che rinnova quotidianamente in maniera sacramentale il sacrificio di Cristo, vorrei esortarvi a perseverare nella partecipazione alla messa domenicale, per attingere forza e per il recupero costante di quelle energie spirituali necessarie per superare le asperità della vita.

... non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte: Paolo VI (Udienza Generale, 28 giugno 1972): [...]. E ancora un altro segno ci narra la storia di Pietro, il gallo. Quel gallo implacabile che cantò nella notte della negazione, la notte del processo di Gesù, come Gesù aveva predetto: «Prima che il gallo canti per la seconda volta, mi rinnegherai» (Matth. 14,72). Pietro uomo ci appare nella sua drammatica complessità psicologica, nella sua fragilità umana; era buono, sincero, era esuberante di sentimenti e di parole; si fidava, così trasportato dal suo entusiasmo, si fidava di sé, Il demonio prevalse su di lui (1Petr. 5,8). E subito la paura l’invase, e negò, e mentì alla fedeltà e all’amore: «Non lo conosco!» (Marc. 14,71). Per fortuna - oh! quale bontà di Cristo per il suo debole e prescelto testimonio! - Gesù, proprio in quel momento, «si voltò e guardò Pietro» (Luc. 22,61); e tanto bastò per sconvolgere nel rimorso e nel pianto il povero apostolo, che fuggì, ma non disperò. Gesù gli aveva anche predetto ch’egli si sarebbe ripreso e che sarebbe stato poi suo compito di «confermare i suoi fratelli» (Ibid. 22,32).

Luce delle nazioni - Isaia rivela nel suo poema che il servo è stato chiamato da Dio prima della nascita (cfr. Is 49,5); la sua missione è rivolta oltre che alla conversione d’Israele, a quella delle nazioni pagane delle quali sarà la luce: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6). Una missione quindi ad ampio respiro, universale: la salvezza di tutte le nazioni e la restaurazione d’Israele. Una missione la cui prospettiva è puramente spirituale. Si tratta «di un ritorno a Dio del resto purificato, dei “superstiti d’Israele”. Il compito del servo è quello di portare alla conversione, alla riconciliazione del popolo eletto con Dio, dopo la grande prova dell’esilio» (A. Poppi). Una missione che sarà violentemente osteggiata. Il servo sarà perseguitato e sembrerà fallire, ma proprio con questa sofferenza e con questo fallimento, Dio realizzerà il suo disegno di salvezza. Il servo risponderà alle ingiurie con la morte vicaria e con la carità della preghiera: «io [...] offro la vita per le pecore ... Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Gv 10,15; Lc 22,34). Il servo è il messaggero ultimo, finale della promessa fatta ad Israele in Abramo, rinnovata nel corso dei secoli attraverso le disfatte militari, le tragedie nazionali, la deportazione, l’apostasia e le infedeltà del popolo eletto. Ma deluderà le aspettative di molti; non sarà il re temporale trionfante sognato dal popolo eletto, ma l’uomo «dei dolori che ben conosce il patire» (Is 53,3). Obbediente alla volontà di Colui che lo ha mandato, accetterà deliberatamente gli insulti, le sofferenze immeritate, atroci, devastanti. La sua innocenza e la sua dolcezza otterranno la riconciliazione del popolo infedele con il suo Dio e insieme il recupero delle nazioni immerse nelle tenebre dell’ignoranza, del peccato e del paganesimo. Una profezia che si realizzerà pienamente in Gesù di Nazaret. Gesù è il Servo che «è stato trafitto per i nostri delitti»: «come agnello condotto al macello» (Is 53,7) ha «consegnato se stesso alla morte» (Is 53,12) per i peccatori. Gesù è il Servo, luce delle nazioni, che ha offerto se stesso perché il mondo creda che il Padre lo ama e ha mandato il Figlio per la sua salvezza.

Tribolazioni per la defezione altrui: «Non lasciatevi smuovere, fratelli carissimi, se in qualcuno, alla fine dei tempi, o la fede vacilla instabile, o il timore di Dio viene meno irriverente, o la concordia non persevera nella pace. Ci è stato preannunciato che tutto ciò sarebbe avvenuto alla fine dei secoli, e la voce del Signore e l’attestazione degli apostoli ci hanno predicato che, venendo meno il mondo e avvicinandosi l’Anticristo, verrà meno anche ogni bene, e il male, invece, e le avversità si moltiplicheranno. Tuttavia, anche in questi ultimi tempi, non è crollato nella Chiesa di Dio il vigore del Vangelo, non si è affievolita la forza della virtù cristiana e della fede, tanto che non ci sia pur sempre una buona parte dell’episcopato che non soccomba affatto tra queste rovine universali e questo naufragio della fede, e non difenda, con forza e costanza, l’onore della divina maestà e la dignità episcopale, nel timore e nell’osservanza . Ricordiamo e teniamo presente che, mentre tutti gli altri cedevano e soccombevano, Mattatia rivendicò con forza la legge di Dio; che mentre i giudei venivano meno e recedevano dal culto di Dio, Elia stette impavido e combatté sublime; che Daniele, non atterrito né dalla solitudine in una nazione straniera, né dal continuo attacco della persecuzione, spesso e con forza diede testimonianze gloriose, e che perfino i tre fanciulli, non piegati né dall’età né dalle minacce, resistettero fedeli contro il fuoco dei babilonesi e vinsero, pur nella loro prigionia, il re vincitore. Anche se impressiona il numero dei prevaricatori, dei traditori che ora, nella Chiesa si levano e hanno cominciato a tradire insieme la fede e la verità, tuttavia tra i più lo spirito resta sincero, la religiosità integra e l’animo devoto solo al Signore Iddio. L’altrui perfidia non travolge la fede cristiana nella rovina, ma la esalta e la eccita alla gloria, come dice, come esorta il beato Apostolo: Che se alcuni di loro caddero dalla fede, forse che la loro infedeltà ha reso vana la fede di Dio? Non sia mai! Infatti Dio è verace, mentre ogni uomo è menzognero [Rm 3,3-4]» (Cipriano di Cartagine, Le lettere, 67,7-8).

La tua misericordia, o Dio,
liberi dalle insidie dell’antico peccato
il popolo a te fedele
e lo renda capace della santità di una vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.

 

 29 Marzo 2021

 Lunedì della Settimana Santa

 Is 42,1-7; Sal 26 (27); Gv 12,1-11

Il Santo del Giorno - 29 Marzo 2021 - Beato Bertoldo (Priore Generale dei Carmelitani): Nativo della Lombardia, fu, ca. il 1230, secondo priore generale dei Carmelitani: morì e fu sepolto sul Monte Carmelo. Gli si attribuisce una visione, durante la quale vide portare in cielo dagli angeli le anime di molti carmelitani uccisi dai saraceni. La sua figura è passata attraverso vari prismi deformanti. Le notizie sopra riferite ci sono state conservate in una raccolta di Legenda abbreviatae, che per molti santi hanno ancora una redazione primitiva. Il domenicano Stefano di Salignac (prima del 1278) che attribuì la composizione della regola carmelitana ad Aimerico di Malefaida da Salignac, patriarca di Antiochia (1142-93), mentre essa è di Alberto, patriarca di Gerusalemme (1206-14), disse che detto Aimerico aveva tra i Carmelitani un nipote, “un uomo santo e famoso”. Costui ricevette un nome ed una qualifica nella cosiddetta Epistola Cyrilli, pubblicata dopo l’anno 1378 dal carmelitano Filippo Riboti, che lo dice fratello, non più nipote, di Aimerico, di nome Bertoldo e primo priore generale dei Carmelitani. Successivamente un altro carmelitano, Giovanni Grossi, nel suo Virldarium (verso il 1400) dette a tale nipote il nome di Brocardo mentre nelle successive redazioni della medesima opera e nel catalogo dei santi carmelitani della stessa epoca, Bertoldo di Malefaida è considerato primo generale e Bertoldo di Lombardia passa al quarto posto. il Papenbroeck pubblicando un testo del monaco greco Phocas che nel 1177 visitò il Carmelo, identificò Bertoldo con un vecchio monaco di Calabria: ma evidentemente Phocas non parla di eremiti latini, bensì di monaci greci, che erano pure sul Carmelo, ma in luogo diverso. Il santo è rappresentato in abito carmelitano, con un libro e una spada, oppure mentre ha la visione dei martiri. Il culto fu ordinato nel capitolo generale dell’ordine del 1564. Il suo nome, tolto dal breviario riformato del 1585, poco dopo, nel 1609, vi fu nuovamente introdotto; le lezioni proprie furono approvate nel 1672. La festa è fissata il 29 marzo. (Autore: Adriano Staring)

Colletta: Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unigenito Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te.

Papa Francesco (Messaggio IV Giornata Mondiale dei Poveri: “Tendi la mano al povero”): 7. Questa pandemia è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto, offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi.
Questo momento che stiamo vivendo ha messo in crisi tante certezze. Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato il senso del limite e la restrizione della libertà. La perdita del lavoro, degli affetti più cari, come la mancanza delle consuete relazioni interpersonali hanno di colpo spalancato orizzonti che non eravamo più abituati a osservare. Le nostre ricchezze spirituali e materiali sono state messe in discussione e abbiamo scoperto di avere paura. Chiusi nel silenzio delle nostre case, abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturato l’esigenza di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima vicendevole. Questo è un tempo favorevole per «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo […]. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà […]. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (Lett. enc. Laudato si’, 229). Insomma, le gravi crisi economiche, finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno deve sentire verso il prossimo ed ogni persona.
8. “Tendi la mano al povero”, dunque, è un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San Paolo: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. […] Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 5,13-14; 6,2). L’Apostolo insegna che la libertà che ci è stata donata con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno di noi una responsabilità per mettersi al servizio degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità della fede che professiamo.

I Lettura Il profeta Isaia illustra magistralmente l’azione apostolica del servo del Signore. Animato dallo Spirito di Dio porterà il diritto alle nazioni; sarà mite e umile di cuore (cfr. Mt 11,29) e adempirà la sua missione con fortezza, senza abbattersi, malgrado le opposizioni e le persecuzioni. Egli stesso sarà alleanza e luce, aprirà gli occhi ai ciechi (cfr. Gv 9) e farà uscire dal carcere i prigionieri (cfr. Lc 4,18.21). Non è difficile intuire che questo oracolo si è realizzato pienamente in Gesù di Nazareth.

Vangelo È giunta l’ora, Gesù sarà consegnato nelle mani dei carnefici. Questa è  l’ultima settimana della vita pubblica di Gesù, “seguita con tanta cura [Gv 12,12; 13,1; 18,28; 19,31] come la prima [Gv 2,1]. L’una e l’altra si concludono con la manifestazione della gloria di Gesù. Ma non si è più come a Cana al tempo dei «segni» [Gv 2,4.11]; «è giunta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo» [Gv 12,23; 13,31s; 17,1.5]” (Bibbia di Gerusalemme).

Dal Vangelo secondo Giovanni 12,1-11: Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

Il racconto dell’unzione di Betania è interpretato dall’evangelista Giovanni come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un po’ come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. Il prezioso profumo di nardo, importato in Israele dall’India, ha il valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante: per Maria l’unzione è un gesto dettato dall’amore, in Giuda invece è disappunto: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Ma sappiamo che è pura ipocrisia perché, come annota Giovanni, Giuda disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello riconoscente, amorevole di Maria e quello avido di Giuda. Maria pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale del profumo al di sopra della persona di Cristo. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo.
 
Benedetto XVI (Omelia 29 Marzo 2010): Maria si pone ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio, come farà lo stesso Maestro nell’Ultima Cena, quando - ci dice il quarto Vangelo - “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli” (Gv 13,4-5), perché - disse - “anche voi facciate come io ho fatto a voi” (v. 15): la regola della comunità di Gesù è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita. E il profumo si spande: “tutta la casa - annota l’Evangelista - si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3). Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce.
“Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11): all’atto di Maria si contrappongono l’atteggiamento e le parole di Giuda, che, sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino. Giuda calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale. E Gesù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene a favore del gesto di Maria: “Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua “ora” si avvicina, l’“ora” in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio, non ha paura di umiliarsi “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). 
Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge a ciascuno di noi, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: “Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore” (In Ioh. evang., 50, 6).

Sant’Agostino (Commento al Vangelo di San Giovanni): Cerchiamo di comprendere le parole seguenti: I poveri li avrete sempre con voi, me invece non mi avrete sempre (Gv 12, 8). Comprendiamo senza dubbio la prima parte: I poveri li avrete sempre. Ciò che ha detto Gesù è vero. Quando mai la Chiesa è stata senza poveri? Ma che significa: non avrete sempre me? Come bisogna intendere queste parole? Non vi spaventate; erano rivolte a Giuda. E perché allora non ha detto: non avrai, ma ha detto: non avrete, al plurale? Perché Giuda non è uno solo. Quest’unico malvagio rappresenta la società dei malvagi; allo stesso modo che Pietro rappresenta la società dei buoni, anzi il corpo della Chiesa, in quanto però composta di buoni. Poiché se in Pietro non fosse stato presente il sacramento della Chiesa, il Signore non gli avrebbe detto: A te darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai sulla terra resterà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra resterà sciolto nei cieli (Mt 16, 19). Se questo fosse stato detto soltanto a Pietro, la Chiesa non potrebbe farlo. Ma dal momento che, nella Chiesa, avviene la stessa cosa: che quanto è legato in terra resta legato in cielo, e che tutto ciò che è sciolto in terra resta sciolto in cielo; quando infatti scomunica la Chiesa, la scomunica è ratificata in cielo, e chi è riconciliato dalla Chiesa è riconciliato in cielo; se dunque questo avviene nella Chiesa, vuol dire che Pietro, quando ricevette le chiavi, rappresentava la Chiesa. Se nella persona di Pietro erano rappresentati i buoni che esistono nella Chiesa, nella persona di Giuda erano rappresentati i malvagi che esistono nella Chiesa: ad essi è stato detto: non sempre avrete me. Perché dice: non sempre? E perché sempre? Se tu sei buono, se appartieni al corpo della Chiesa, rappresentato da Pietro, hai Cristo ora e nel futuro: ora mediante la fede, mediante il segno della croce, mediante il sacramento del battesimo, mediante il cibo e la bevanda dell’altare. Hai Cristo ora e lo avrai sempre nel futuro; perché quando uscirai da questa vita, raggiungerai colui che disse al ladrone: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). Se invece ti comporti male, ti illudi di avere Cristo oggi perché entri in chiesa, ti fai il segno della croce, sei battezzato col battesimo di Cristo, ti mescoli alle membra di Cristo, ti accosti all’altare di Cristo: al presente hai Cristo, ma, vivendo male, non lo avrai sempre.
 
La tua protezione, o Signore, soccorra gli umili
e sostenga sempre coloro che confidano nella tua misericordia,
perché si preparino alla celebrazione delle feste pasquali
non solo con la mortificazione del corpo
ma, ancor di più, con la purezza dello spirito.
Per Cristo nostro Signore.

 

 28 Marzo 2021
 
DOMENICA DELLE PALME: PASSIONE DEL SIGNORE
 
Is 50,4-7; Sal 21 (22); Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
 
DOMENICA DELLE PALME: PASSIONE DEL SIGNORE La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi): Nella domenica di Passione o delle Palme comincia la Settimana, che l’Occidente chiamava Santa e l’Oriente Grande. Gli inizi della processione con le palme bisogna cercarli a Gerusalemme. La domenica pomeriggio, i fedeli si radunavano sul Monte degli Ulivi dove cantavano inni, antifone e si leggeva la Sacra Scrittura. Dopo la lettura del Vangelo sull’ingresso di Cristo a Gerusalemme, la processione si metteva in cammino per raggiungere la città. I bambini, anche i più piccoli tenevano nelle mani i ramoscelli d’olivo o di palma. In Occidente, la processione con le palme venne prima accolta in Spagna e in Gallia (VII-VIII sec.) e in seguito a Roma (la più antica descrizione è del X secolo). Nel Medioevo, si cercava di riprodurre nella liturgia le circostanze dell’ingresso di Gesù. Nella processione, si portava un simbolo di Cristo: il libro del Vangelo oppure il crocifisso (Italia), il Santissimo Sacramento (Inghilterra), la figura di Gesù su un asinello (Baviera, Austria, Cracovia). Durante la Messa, secondo una vecchia usanza romana, si leggeva il racconto della passione di Cristo secondo san Matteo. Nel Medioevo, venne accolto comunemente il costume di interrompere la lettura dopo la parola «spirò» e di rimanere per un po’ di tempo nel silenzio.
Cristo si dirige verso Gerusalemme perché giunse «la Sua ora». E passato il tempo della predicazione e arriva il tempo del sacrificio. Cristo umiliò se stesso assumendo una condizione di servo, adesso viene il tempo dell’umiliazione fino alla morte e alla morte di croce.
Gesù salirà sull’altare della croce pieno di fiducia nel Padre e di amore per gli uomini. Si dirige verso Gerusalemme circondato dalla folla acclamante: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. La folla sta vicino a Gesù nel momento del suo visibile trionfo, ma lo abbandonerà quando verrà «la Sua ora». I pensieri di Dio e i modi di agire di Dio superano l’intelligenza umana.
La Chiesa celebra nella liturgia il ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. I fedeli con le palme nelle mani partecipano alla solenne processione, ascoltano il racconto della Passione del Signore e poi prendono parte all’Eucaristia. Confessano così che sono pronti di partecipare a tutti i misteri di Cristo. Desiderano entrare insieme con Cristo a Gerusalemme, partecipare a tutto ciò che qui avverrà, non fermandosi nemmeno di fronte alla Croce. La processione odierna è anche un’immagine della vita cristiana: con fede e fiducia seguiamo il nostro Redentore diretto verso la Gerusalemme terrestre con la speranza di arrivare alla Gerusalemme celeste dove Gesù è già arrivato.
 
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
«Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2, 8) - Giovanni Paolo II (Omelia 28 Marzo1999): La celebrazione della Settimana Santa inizia con l’«osanna!» di questa Domenica delle Palme e trova il suo momento culminante nel «crucifige!» del Venerdì Santo. Ma questo non è un controsenso; è piuttosto il cuore del mistero che la liturgia vuole proclamare: Gesù si è consegnato volontariamente alla sua passione, non si è trovato schiacciato da forze più grandi di Lui (cfr Gv 10, 18). E’ Lui stesso che, scrutando la volontà del Padre, ha compreso che era giunta la sua ora e l’ha accolta con l’obbedienza libera del Figlio e con infinito amore per gli uomini.
Gesù ha portato i nostri peccati sulla croce e i nostri peccati hanno portato Gesù sulla croce: Egli è stato schiacciato per le nostre iniquità (cfr Is 53, 5). A David che ricercava il responsabile del misfatto raccontatogli da Natan, il profeta rispose: «Tu sei quell’uomo!» (2 Sam 12, 7). La stessa cosa la Parola di Dio risponde a noi che ci chiediamo chi ha fatto morire Gesù: «Tu sei quell’uomo!». Il processo e la passione di Gesù, infatti, continuano nel mondo di oggi e sono rinnovati da ogni persona che, abbandonandosi al peccato, non fa che prolungare il grido: «Non costui, ma Barabba! Crucifige!».
Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità nonché le nostre personali vicende. Cristo, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé ciò che l’uomo non poteva sopportare: l’ingiustizia, il male, il peccato, l’odio, la sofferenza e, infine, la morte. In Cristo, Figlio dell’uomo umiliato e sofferente, Dio ama tutti, perdona tutti e conferisce il significato ultimo all’umana esistenza.
Siamo qui, questa mattina, per raccogliere questo messaggio da questo Padre che ci ama. Ci possiamo chiedere: che cosa Egli vuole da noi? Vuole che, guardando Gesù, accettiamo di seguirLo nella sua passione per condividere con Lui la resurrezione. Tornano alla mente in questo momento le parole che Gesù disse ai discepoli: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete; il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10, 39); «Se qualcuno vuol venire dietro a me..., prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 24-25).
L’«osanna» e il «crucifige» diventano così la misura di un modo di concepire la vita, la fede e la testimonianza cristiana: non ci si deve scoraggiare per le sconfitte né esaltare per le vittorie perché, come per Cristo, l’unica vittoria è la fedeltà alla missione ricevuta dal Padre. «Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2, 9).
 
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco (Forma breve Mc 15, 1-39): - Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei? Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
- Intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo - Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
- Condussero Gesù al luogo del Gòlgota - Costrinsero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
- Con lui crocifissero anche due ladroni - Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
- Ha salvato altri e non può salvare se stesso! - Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
- Gesù, dando un forte grido, spirò - Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Parola del Signore.

Pur essendo nella condizione di Dio - La Lettera ai Filippesi è stata vergata a metà degli anni cinquanta, tra il 53 e il 56 dopo l’era cristiana. Il primo capitolo (gli ultimi versetti), e il secondo capitolo (i primi versetti) mettono bene in evidenza le raccomandazioni dell’Apostolo circa l’unità, la perseveranza e l’umiltà: «... state saldi in un solo spirito... combattete unanimi per la fede del Vangelo... rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire,  con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso». Per perseguire con successo queste mete, Paolo esorta i Filippesi «ad avere lo stesso modo di sentire e uno stile di vita in armonia con la logica paradossale rivelata nel dramma di Gesù [Fil 2,1-5]. Le relazioni tra i cristiani sono definite dal loro “modo di sentire” in sintonia con quello che Cristo ha manifestato nella sua obbedienza solidale fino alla morte di croce. Nella contemplazione di Cristo Gesù i cristiani imparano a vivere l’unità e la comunione per mezzo di un amore umile e disinteressato» (Rinaldo Fabris).
Perché sia messo in pratica questo “stile di vita”, Paolo riprende dalla tradizione liturgica una breve composizione poetica e la ripropone ai cristiani di Filippi come paradigma: un inno a Cristo, uno dei testi più preziosi e sublimi del Nuovo Testamento.
Nella breve composizione in prosa ritmica, vengono scandite le diverse tappe del Mistero di Cristo, marcate da altrettante strofe: la preesistenza divina, l’annichilimento del Verbo nel mistero dell’Incarnazione (letteralmente svuotò se stesso), l’abbassamento ulteriore della morte, la glorificazione celeste, l’adorazione dell’universo, il nuovo titolo di Cristo. È rappresentata, in questo modo, la vicenda divina e umana del Cristo storico, vero Dio e vero Uomo (Cf. Rom 9,5), nell’unità della sua personalità concreta che l’apostolo Paolo non dissocia mai, anche se ne distingue i diversi gradi di esistenza (Cf. Col 1,13ss).
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dioletteralmente il testo greco recita Cristo Gesù... non rapina reputò l’essere uguale a Dio: il termine uguale (come Dio, al pari di Dio) non indica, in questo contesto «l’uguaglianza di natura supposta dalla “natura divina” e di cui il Cristo non potrebbe spogliarsi, ma di un’uguaglianza di trattamento, di dignità manifestata e riconosciuta, che Gesù avrebbe potuto rivendicare, anche nella sua esistenza umana» (Bibbia di Gerusalemme).
Gesù è Dio, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato della stessa sostanza del Padre (così il Credo Cf. Gv 1,1ss): incarnandosi, si è liberamente spogliato, non della natura divina, ma della gloria che gli spettava di diritto, che possedeva nella sua preesistenza (Cf. Gv 17,5) e che avrebbe dovuto trasparire e rifulgere sulla sua umanità (Cf. Mt 17,18). Egli ha preferito privarsene per riceverla solo dal Padre (Cf. Gv 8,50.54), come ricompensa della sua umiliazione e della sua obbedienza «fino alla morte e a una morte di croce». Gesù sarà esaltato con la risurrezione e l’ascensione. San Paolo descrive la glorificazione di Cristo con talune particolari sfumature, analoghe a quelle che Daniele attribuisce al figlio dell’uomo: «gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dan 7,14).
Gesù accetta, solo per mera condiscendenza verso il genere umano, di «rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,17). Non soltanto un vero uomo, ma un uomo come gli altri; con i quali ha condiviso tutte le debolezze della condizione umana; tutto... «escluso il peccato» (Eb 4,15).
Dio gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, questa espressione equivale al conferimento di una qualità reale (Cf. Ef 1,21; Eb 1,4). Il nome è quello di «Signore»: «per significare appunto la sua eccelsa dignità e sovranità su tutti gli esseri dell’universo, finalmente riconosciuta e proclamata davanti al mondo. È chiaro che nel contesto si parla di Cristo in quanto uomo, a cui compete di pieno diritto il titolo di “Signore” [Kurios è il termine greco con cui i Settanta hanno reso costantemente il nome di Iahwèh] e a cui perciò devono chinarsi in adorazione [“si pieghi ogni ginocchio”, espressione ripresa da Is 45,23 a Iahwèh] tutti gli esseri creati» (Settimio Cipriani).
Tutto l’universo (le realtà celesti e terrestri e sotterranee) proclamerà che Gesù è «Signore»: è la professione di fede essenziale per il cristianesimo (Cf. Gv 20,28; At 2,36; Rom 10,9; 1Cor 12,3; Col 2,6; Ap 19,16). Tutto ridonderà a gloria di Dio Padre perché riconoscendo Gesù come Signore si glorifica il Padre (Gv 14,3; 17,1ss).
 
Teofilatto (Catena Aurea): Ma Gesù, emesso un forte grido, spirò: Colui che domina e impera sulla morte, come Signore potente, spira. Quali furono le sue parole ce lo testimonia Luca (23,46): Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito! Infatti Cristo ha voluto così dichiararci che da allora le anime dei santi salgono in mano a Dio, prima invece tutte le anime erano trattenute negli inferi, finché non venne Colui che liberò i prigionieri.
 
Volgi lo sguardo, o Padre, su questa tua famiglia
per la quale il Signore nostro Gesù Cristo
non esitò a consegnarsi nelle mani dei malfattori
e a subire il supplizio della croce.