1 MAGGIO 2022
 
III DOMENICA DI PASQUA – ANNO C
 
At 5,27b-32.40b-41; Dal Salmo 29 (30); Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
 
Colletta: O Padre, che hai risuscitato il tuo Cristo e lo hai costituito capo e salvatore, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo la presenza del Signore risorto che continua a manifestarsi ai suoi discepoli. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Lumen gentium 22: Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro. Già l’antichissima disciplina, in virtù della quale i vescovi di tutto il mondo vivevano in comunione tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell’unità, della carità e della pace  e parimenti la convocazione dei Concili per decidere in comune di tutte le questioni più importanti mediante una decisione che l’opinione dell’insieme permetteva di equilibrare significano il carattere e la natura collegiale dell’ordine episcopale, che risulta manifestamente confermata dal fatto dei Concili ecumenici tenuti lungo i secoli. La stessa è pure suggerita dall’antico uso di convocare più vescovi per partecipare alla elevazione del nuovo eletto al ministero del sommo sacerdozio. Uno è costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con le sue membra.
Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli.
Infatti il Romano Pontefice, in forza del suo Ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D’altra parte, l’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cfr. Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge (cfr. Gv 21,15ss); ma l’ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18; 28,16-20).
Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l’azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.
 
I Lettura: Il Sinedrio non vuol sentire ragione, ha paura della nuova fede e perseguita gli Apostoli nel tentativo di farli tacere. Pietro ripercorre le vicende del Cristo senza tema di annunziare la sua risurrezione e di accusare il Sinedrio di aver ucciso l’Autore della Vita. La Risurrezione di Gesù è l’evento capitale al quale tutto deve essere subordinato e orientato. Gli Apostoli sono lieti «di subire oltraggi per il nome di Gesù» perché a loro è data «la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Solo lo Spirito Santo può donare questa gioia.
 
II Lettura:; Il 5° capitolo del libro dell’Apocalisse può essere considerato l’introduzione alle diverse sezioni che si susseguono nel libro: la sezione dei «sette sigilli» (6,1-8,1); la sezione delle «sette trombe» (8,2-11,19); la sezione delle «sette coppe» (15,1-16,21). L’Agnello è Gesù: è il Crocifisso e il Risorto; il Vivente, degno di «ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». L’aggettivo degno «non deve trarre in inganno: esso non si riferisce a valori morali, bensì alla capacità, da lui detenuta, di ricevere da Dio la potenza di agire, la ricchezza delle risorse divine, la sapienza nel condurre la storia e la forza di vincere il male, e dagli uomini l’onore, cioè la riconoscenza della sua azione di salvezza, insieme alla gloria e alla benedizione nella preghiera e nella liturgia» (Gaetano Di Palma).

Vangelo
Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce.
 
Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Il vangelo ci mette dinanzi un episodio che rivela le straordinarie capacità divine del Risorto. È la retata prodigiosa dei pesci. Essa è certo un fatto di carattere puramente materiale, anche se miracoloso, ma è destinato, non solo a documentare solidamente la concretezza dell’apparizione di chi ne fu l’autore, ma anche a simboleggiare la sua forza di conquista spirituale sul genere umano (At 2, 9-11; cfr. Mt 4, 19; 13,47-50; Mc 1, 17; Lc 5, 10; è questa anche l’interpretazione dei Padri). Gli apostoli, in forza del comando di Cristo, hanno avuto un successo tale da riempire la rete fino all’estremo delle sue possibilità. La Chiesa, dotata del mandato e delle risorse del suo fondatore, incide in modo così efficace sui popoli da condizionare, in ordine alla salvezza, il destino di tutta intera l’umanità, nonostante certe apparenze e qualche esterna discontinuità. Non solo è cattolica per destinazione, ma ha potuto camminare costantemente sulla via del suo universalismo. È il simbolo della retata prodigiosa che trova in ciò la sua attuazione.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,1-19
 
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
 
Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? - Henri van den Bussche (Giovanni): Quando Gesù domanda a Pietro se lo ama più degli altri, la sua domanda riguarda più l’avvenire che non il passato. Pietro non è eletto perché ha amato di più, cosa che è stata d’altronde smentita dai fatti, ma perché, eletto, dovrà ormai amare più degli altri.
Pietro è divenuto più umile: egli ama Gesù senza presumere di superare gli altri. Il Signore lo sa molto bene, lui che penetra i cuori. Il discepolo-redattore, più dell’evangelista, usa una terminologia varia. Senza distinzione di significato, usa verbi diversi per «amare» (come Giovanni in 11,3. 5) e per «pascere», e più avanti parla prima di agnelli, poi di pecore. Conosce meglio dell’evangelista la sfumatura che distingue oida (sapere in modo assoluto) da ginôskein (sapere per esperienza). Gesù affida il suo gregge a Pietro. L’immagine ricorda Gv. 10, ma Pietro non potrebbe tenere il posto dell’unico pastore: Gesù è insostituibile. D’altronde questo genere di linguaggio è comune in oriente: così l’immagine si applica qui spontaneamente al primato di Pietro. Pietro diventa il capo responsabile del nuovo popolo di Dio.
Diventa il rappresentante di Gesù nel periodo intermedio tra la sua partenza verso il Padre e il suo ritorno nella gloria. Voler contestare il primato di Pietro sulla base di questo testo, è fatica sprecata. Non si distinguano pecore e agnelli, semplici fedeli e gerarchia; infatti Pietro ha la preminenza su tutti, anche sul discepolo prediletto. Poiché Pietro è la guida e il capo, seguendo Gesù, deve precedere il gregge (13,36). Sopravvalutando le sue forze, egli aveva proclamato un giorno che avrebbe seguito Gesù fino alla morte. L’occasione verrà! Citando un detto popolare, Gesù annuncia a Pietro che un giorno subirà il martirio. Da giovane un uomo può vestirsi da solo, allacciarsi la cintura. Pietro l’ha dimostrato poco fa (21,7).
Ma la giovinezza passa; viene la vecchiaia e altri vi impongono la loro volontà. Così Pietro stenderà le mani per lasciarsi cingere. Questa immagine indica la perdita della libertà, non la forma concreta del martirio di Pietro; la tradizione della Chiesa riferisce che egli fu crocifisso con la testa in giù.
L’enigma proposto da Gesù fu interpretato dalla Chiesa come una profezia del martirio di Pietro. L’autore stesso ha suggerito tale interpretazione (12, 33; 18, 32). Con questo martirio Pietro avrebbe glorificato Dio. Il termine glorificare non ha qui lo stesso significato che nel contesto della morte di Gesù (13,31; 17,1). Con la sua morte Gesù rivela dinanzi a tutti la gloria del Padre e diventa in un certo senso il prisma della gloria divina. Col suo martirio Pietro confessa la gloria, ossia la divinità di Dio, aderendo alla sua volontà (1 Pt. 4, 16). Frattanto Pietro non ha che da seguire Gesù (10,4; 12,26). Questa via lo condurrà necessariamente al martirio (12,26; 13, 6).
 
Pasci le mie pecore: Benedetto XVI (Omelia, 24 aprile 2005): Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui servizio si trova. “Pasci le mie pecore”, dice Cristo a Pietro, ed a me, in questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento.
 
M. Eckhart (Ex p. ev. Jo., XXI):… mi ami più di costoro?: la domanda può avere un duplice senso. Col primo, Cristo intende sottolineare che il discepolo cui è affidata la cura degli altri, non solo deve amare Dio come i sottoposti, ma più di essi ... Il secondo senso è: “Mi ami più di quanto ami costoro?”, secondo il passo di Mt. 10,37: Chi ama il padre e la madre più di Me, non è degno di Me. Certamente vi sono molti che in modo erroneo temono ben più di offendere il padre che Dio, e per amore dei loro cari non temono di offendere Dio col peccato. Contro questi è quel che qui è scritto, nel secondo senso della frase suddetta: “Mi ami più di costoro?”, ovvero più di quanto tu ami costoro. Perciò Mt. 19,29 dice: Chi avrà rinunciato a casa, o fratelli o sorelle, o padre o madre, o moglie o figli, o campi, per amor Mio, riceverà il centuplo e possiederà la Vita eterna.
 
Il Santo del Giorno - 1 Maggio 2022: San Riccardo (Erminio Filippo) Pampuri Religioso fatebenefratelli (Trivolzio, Pavia, 2 agosto 1897 - Milano, 1 maggio 1930): Erminio Filippo Pampuri, nella vita religiosa, frà Riccardo, nacque (decimo di undici figli) il 2 agosto 1897 a Trivolzio (Pavia) da Innocenzo e Angela Campari, e fu battezzato il giorno seguente. Orfano di madre a tre anni, venne accolto dagli zii materni a Torrino, frazione di Trivolzio. Nel 1907 gli morì a Milano il padre. Compiute le scuole elementari in due paesi vicini, e la prima ginnasiale a Milano, fu alunno interno nel Collegio Sant’Agostino di Pavia. Dopo gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di medicina nell’Università di Pavia, laureandosi con il massimo dei voti, il 6 luglio 1921.
Nel 1927 entrò a Brescia nel noviziato dei Fatebenefratelli e vi emise la professione religiosa il 24 ottobre 1928. Gli venne affidato il gabinetto dentistico. Purtroppo nella primavera del 1929 la sua salute peggiorò per la tubercolosi. Il 18 aprile 1930 fu trasferito nell’Ospedale del Fatebenefratelli di Milano dove morì il primo maggio. Proclamato beato da Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981, è stato canonizzato nella festività di Tutti i Santi, 1° novembre 1989. (Avvenire)
 
Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo
che ti sei degnato di rinnovare con questi sacramenti di vita eterna,
e donagli di giungere alla risurrezione incorruttibile del corpo,
destinato alla gloria.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Aprile 2022
 
Sabato II Settimana di Pasqua
 
At 6,1-7; Salmo Responsoriale dal Salmo 32 (33); Gv 6,16-21
 
Colletta
Cancella, o Padre,
il documento scritto contro di noi per la legge del peccato,
già revocato nel mistero pasquale
con la risurrezione del Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Il diacono - Catechismo degli Adulti [524]:  I diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio», cioè per offrire a nome di Cristo il sacrificio eucaristico, «ma per servire», sia nella liturgia che nella predicazione e nella pastorale della carità. Sono gli «incaricati della diaconìa di Gesù Cristo». In concreto possono svolgere molte funzioni: leggere la Sacra Scrittura, istruire il popolo, dare il battesimo, distribuire l’eucaristia, benedire il matrimonio, celebrare il rito funebre, guidare assemblee di preghiera, promuovere iniziative di carità, animare settori di pastorale o piccole comunità ecclesiali, gestire l’amministrazione economica. Al di là delle attività concrete, la loro stessa presenza è un dono, in quanto costituisce un segno sacramentale di Cristo servo e promuove la vocazione a servire, comune a tutto il popolo di Dio. In nome di Cristo e con la grazia del suo Spirito, servono e provocano a servire. Ricordano anche agli altri due gradi dell’ordine sacro che la loro missione è un servizio. È significativo che, per diventare presbìteri e vescovi, secondo la disciplina della Chiesa, si debba ricevere prima il diaconato. Il concilio Vaticano II ha dato nuovo rilievo a questo ministero, ripristinando il diaconato permanente, al quale possono accedere uomini celibi e sposati.
 
I Lettura: Per superare alcune frizioni, sorte a motivo di una cattiva gestione dei beni destinati ai poveri e alle vedove, gli Apostoli decidono di consacrare sette diaconi. Nel nome dei Dodici presiederanno, con equità e senza discriminazioni, al servizio delle mense e ai bisogni degli indigenti della comunità. Diacono significa servo e servizio significa mettersi a disposizione della missione della Chiesa con tutte le proprie forze e con le proprie doti. Tutto l’operare del cristiano, nella Chiesa e nel mondo, l’annuncio della parola, la cura dei poveri, dei malati o la più modesta delle attività professionali è servizio.
 
Vangelo
Videro Gesù che camminava sul mare.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,16-21
 
Il racconto evangelico ha una cornice veterotestamentaria e si trova anche nei vangeli sinottici. Un dettaglio da sottolineare: i discepoli “videro Gesù camminare sul mare ed ebbero paura”, segno che hanno percepito nel camminare sul mare un qualcosa che superava il “semplice naturale”, e avvertendo un intervento di Dio ebbero paura. Ma Gesù li tranquillizza cominciando col dire “Sono io”, c’è qui un chiaro riferimento alla rivelazione del Sinai. In questo modo Giovanni invita il lettore ad andare in profondità e trovare nella lettura reconditi significati spirituali.
La tradizione cristiana, meditando questo episodio, ha ravvisato nella barca “una figura della Chiesa, che incontrerà molti ostacoli, ma che il Signore ha promesso di assistere durante tutti i secoli (cfr Mt 28,20); per questa ragione, la Chiesa serberà saldezza e infallibilità in ogni tempo. Commenta san Tommaso d’Aquino: «Quel vento è tipo delle tentazioni e delle persecuzioni che la Chiesa subirà per mancanza di amore. Infatti, come dice sant’Agostino, quando l’amore diventa tiepido crescono le ondate e la nave corre il rischio di andare a picco. Tuttavia il vento, la burrasca, le onde e le tenebre non riusciranno a far sì che la nave si allontani dalla rotta e naufraghi» (In Evang. Joannis expositio et lectura. in loc.).
 
Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli) vv. 16-17: Il nuovo racconto della deambulazione di Gesù sulle acque del lago è introdotto con due versetti che indicano il tempo e le circostanze dell’episodio. Fattasi sera; rilievo cronologico che stabilisce soltanto un nesso narrativo con il racconto precedente. I suoi discepoli scesero [sulla rivadel mare; il particolare fa supporre che il miracolo avvenne in un luogo elevato (cf. vers. 3). Partirono per l’altra riva del mare; i discepoli da soli se ne partono per raggiungere l’altra riva del lago, verso Cafarnao. Non è possibile stabilire i motivi per i quali i discepoli non attesero il ritorno di Gesù e se ne partirono da soli verso l’altra sponda. Giovanni infatti segue una sua linea narrativa; Matteo e Marco (cf; Mt., 14, 22; Mc., 6, 45) osservano che Gesù non partì con i discepoli perché doveva congedare la folla. Non è necessario tuttavia vedere in queste notizie delle indicazioni esatte intorno ai tempi, luoghi e circostanze, poiché l’interesse dello storico non consisteva nel fissare le circostanze, bensì nel porre una premessa al nuovo racconto. Si era già fatto buio; altra indicazione cronologica che riprende la precedente («fattasi sera»). E Gesù non li aveva ancora raggiunti; non è detto come il Maestro doveva raggiungerli; l’indeterminazione lascia sospeso il lettore, il quale dall’intero racconto della deambulazione sulle acque trae una profonda impressione di mistero.
v. 18 Particolare descrittivo pieno di effetto; il testo greco ha una formulazione linguistica accurata; si noti il genitivo assoluto (letteral.: «soffiando un vento gagliardo»). Matteo e Marco rilevano che il vento era contrario.
v. 19 Per circa venticinque o trenta stadi; una distanza che si aggira tra 14-5 km. Secondo i sinottici, la navigazione fu assai faticosa a motivo delle onde. Quando videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca; la descrizione, estremamente semplice e disadorna, si limita a ricordare gli elementi essenziali del fatto; la prima impressione è che Gesù cammina sull’acqua e la seconda che egli si dirige verso la barca dei discepoli. Essi ebbero paura; sentimento naturale davanti ad un fatto inatteso e soprannaturale. Secondo Matteo e Marco gli apostoli ebbero paura perché credevano che si trattasse di un fantasma (cf. Mt., 14, 26; Mc., 6,49).
v. 20 Sono io; Gesù li rassicura facendosi conoscere. Non abbiate paura; l’espressione è omessa dalla versione siriaca-curetoniana; si può ritenere che queste parole si trovino nei presente testo di Giovanni per un fatto di armonizzazione con il racconto sinottico (cf. Mt.,14, 25; Mc., 6, 49). Se si accetta l’omissione il passo diventa molto più efficace, perché più conciso.
v. 21 Volevano quindi prenderlo nella barca; vari commentatori pensano con San Giovanni Crisostomo che l’imperfetto «volevano» sia un imperfetto di conato; essi quindi ritengono che nel momento in cui i discepoli vogliono far salire in barca il Maestro, questi scompare e la barca in pochi istanti tocca prodigiosamente la sponda di approdo. Non si può negare che il racconto presenti lo svolgimento dei fatti in modo assai conciso e misterioso. Tuttavia, prendendo in considerazione i dati dei sinottici, si può spiegare il fatto nel modo seguente: passato il primo momento di stupore e di sorpresa, i discepoli pensano di prendere Gesù in barca; infatti essi compiono quanto hanno divisato di fare. Gesù sale quindi in barca con loro e la barca rapidamente raggiunge la riva. Secondo Mt., 14, 32 e Mc., 6, 51, appena il Maestro si trovò sulla barca, il vento si acquetò; siccome poi la barca non era molto lontana dalla riva, fu facile raggiungerla in breve tempo. L’avverbio εὐθέως qui non significa: all’istante, ma: celermente, subito.
 
Gesù Cristo è vero Dio: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 9 Settembre 1987): È Dio-Figlio consustanziale al Padre (e allo Spirito Santo), nell’espressione “Io Sono”, che Gesù Cristo utilizza nei riguardi della propria persona, troviamo un’eco del nome con il quale Dio ha manifestato se stesso parlando a Mosè (cf. Es 3,14). Poiché Cristo applica a se medesimo lo stesso “Io Sono” (cfr. Gv 13,19), occorre ricordare che questo nome definisce Dio non soltanto quale Assoluto (esistenza in sé dell’Essere per se stesso), ma colui che ha stipulato l’alleanza con Abramo e con la sua discendenza e che, in forza dell’alleanza, manda Mosè a liberare Israele (cioè i discendenti di Abramo) dalla schiavitù di Egitto. Così dunque quell’“Io Sono” contiene in sé anche un significato soteriologico, parla del Dio dell’alleanza che è con l’uomo (come con Israele) per salvarlo. Indirettamente parla dell’Emmanuele (cfr. Is 7,14), il “Dio con noi”. L’“Io Sono” di Cristo (soprattutto nel Vangelo di Giovanni) deve essere inteso nello stesso modo. Senza dubbio esso indica la preesistenza divina del Verbo-Figlio (se ne è parlato nella catechesi precedente), ma, nello stesso tempo, richiama il compimento della profezia d’Isaia circa l’Emmanuele, il “Dio con noi”. “Io Sono” significa quindi - sia nel Vangelo di Giovanni sia nei Vangeli sinottici - anche “io sono con voi” (cfr. Mt 28,20). “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo” (Gv 16,28) “... a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). La verità circa la salvezza (la soteriologia), già presente nell’Antico Testamento nella rivelazione del nome di Dio, viene riconfermata ed espressa fino in fondo dall’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo. Proprio in tale senso “il Figlio dell’uomo” è vero Dio: Figlio della stessa sostanza del Padre, che ha voluto essere “con noi” per salvarci.
 
Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Dal racconto degli altri Vangeli sappiamo il carattere drammatico della traversata del lago agitato: come le onde facessero dondolare la barca da una parte all’altra, e i discepoli, che Gesù aveva esortato a precederlo dall’altra parte del lago, temessero per la loro vita. Il Vangelo di san Giovanni non racconta niente di tutto questo. Certamente si può immaginare il comportamento dei discepoli, ma non viene menzionato. Chiaramente, l’evangelista non vuole che ci soffermiamo sull’atteggiamento dei discepoli; perché, in fondo, ciò non ha importanza per il racconto. Solo Gesù è importante.
I discepoli se ne sono resi conto: bisogna che Gesù salga sulla loro barca, altrimenti questa non raggiungerà la riva. Ma i discepoli hanno sottovalutato Gesù: la barca raggiunge sempre il suo scopo, se Gesù lo vuole; questo non dipende assolutamente dalla sua presenza fisica sulla barca. Gesù rimane sempre il padrone della sua Chiesa. Senza restrizioni.
Ed è per questo che egli può dire di se stesso: sono io. Nell’Antico Testamento, è in questo modo che Dio parlava al suo popolo.
 
Tommaso d’Aquino (In Io. ev. exp., VI): ... i discepoli videro Gesù camminare sulle acque ... : l’apparizione di Cristo non avviene subito all’inizio della tempesta, ma dopo un certo tempo ... questo per far capire che il Signore permette che noi per un certo tempo siamo colpiti dalla sofferenza allo scopo di mettere alla prova la nostra virtù; però poi non ci abbandona nella difficoltà, come si legge nella Scrittura ( lCor. 10,13).
 
O Padre, che ci hai nutriti con questo sacramento,
ascolta la nostra umile preghiera: il memoriale della Pasqua,
che Cristo tuo Figlio ci ha comandato di celebrare,
ci edifichi sempre nel vincolo della tua carità.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 APRILE 2022
 
SANTA CATERINA DA SIENA, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA,
 
PATRONA D’ITALIA E D’EUROPA – FESTA
 
1Gv 1,5-2,2; Salmo Responsoriale Dal Salmo102 (103); Mt 11,25-30
 
Colletta
O Dio, che in santa Caterina [da Siena],
ardente del tuo Spirito di amore,
hai unito la contemplazione di Cristo crocifisso
e il servizio della Chiesa,
per sua intercessione concedi al tuo popolo
di essere partecipe del mistero di Cristo,
per esultare quando si manifesterà nella sua gloria.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me … - Catechismo della Chiesa Cattolica 459 Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: « Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me ...» (Mt 11,29). «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). E il Padre, sul monte della trasfigurazione, comanda: «Ascoltatelo» (Mc 9,7). In realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della Legge nuova: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore implica l’effettiva offerta di se stessi alla sua sequela.
520 Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: è «l’uomo perfetto » che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, con la sua preghiera, attira alla preghiera, con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni.
521 Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi c in tutta la sua Chiesa. [ ... ] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi».
 
I Lettura: L’unione con Dio, che è luce, amore e verità, si riconosce dalla fede e dall’amore fraterno. Il peccato che assedia l’uomo non deve essere una forza destabilizzante: il cuore dell’uomo deve aprirsi alla certezza che Dio è fedele e giusto tanto da perdonargli i peccati e purificarlo da ogni iniquità. Giovanni parla qui di mancanze passeggere, sebbene la comunione con Dio comporti di per sé una vita santa e senza peccato.
 
Vangelo
Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.
 
Bibbia di Gerusalemme: 11,25 Poiché questo brano (vv 25:27) è senza un chiaro nesso con il contesto in cui Matteo l’ha inserito (cf. il suo posto diverso in Luca), queste cose non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei «misteri del regno» in generale (13,10, rivelati ai piccoli, i discepoli (cf. 10,42), ma tenuti nascosti ai «sapienti», i farisei e i loro dottori.
11,27 La professione di relazioni intime con Dio (vv 26-27) e l’invito a diventare discepoli (vv 28-30) evocano parecchi passi dei libri sapienziali (Pr 8,22-36: Sir 24,3-9.19-20; Sap 8,3-4: 9,9-18: ecc.). Gesù si attribuisce anche il ruolo della sapienza (cf. 11,19+), ma in una maniera eminente, non più come una personificazione, ma come una persona; il «Figlio» per eccellenza del «Padre» (cf. 4.3+), Questo passo, di tono giovanneo (cf. Gv 1,18; 3,11.35; 6,46; 10,15; ecc.), esprime nel fondo più primitive della tradizione sinottica, come in Giovanni, la coscienza chiara che Gesù aveva della sua filiazione divina. La struttura di questo passo potrebbe essere stata influenzata da Sir 51 sul tema delle relazioni privilegiate con Dio (cf. anche Es 33,12-23).
11,28 stanchi e oppresse allusione alla Legge, il cui «fardello» è talvolta appesantito da alcune osservanze aggiunte successivamente (soprattutto dai farisei). Il «giogo della Legge»  è una metafora frequente presso i rabbini (cf. già Sof 3,9 LXX; Lam 3,27; Ger 2,20; 5,5; Is 14,251; Sir 6,24-30; 51,26-27) l’utilizza già in un contesto di sapienze. con l’idea di lavoro facile e riposante.
11,29 mite e umile di cuore: epiteti classici dei «poveri» dell’AT (cf. Sof 2,3+; On 3,87). Gesù rivendica per sé il loro atteggiamento religioso e se ne avvale per farsi loro maestro di sapienza, come era annunciato del «servo» (Is 61,1-2: Lc 4,18: cf. ancora Mt 12,18-21; 21,5), Per essi infatti egli ha pronunciato le beatitudini (5,3+) e molte altre istruzioni della buona novella.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
 
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno conosce il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... nessuno conosce il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Venite a me... Gesù nell’offrire ai suoi discepoli il suo giogo dolce fa emergere la «nuova giustizia» evangelica in netta contrapposizione con la giustizia farisaica fatta di leggi e precetti meramente umani (Mt 15,9); una giustizia ipocrita, ma strisciante da sempre in tutte le religioni. Il ristoro che Gesù dona a coloro che sono stanchi e oppressi, in ogni caso, non esime chi si mette seriamente al suo seguito di accogliere, senza tentennamenti, le condizioni che la sequela esige: rinnegare se stessi e portare la croce dietro di lui, ogni giorno, senza infingimenti o accomodamenti: «Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”» (Lc 9,23). È la croce che diventa, per il Cristo come per il suo discepolo, motivo discriminante della vera sapienza, quella sapienza che agli occhi del mondo è considerata sempre stoltezza o scandalo (1Cor 1,17-31). Un carico, la croce di Cristo, che non soverchia le forze umane, non annienta l’uomo nelle sue aspettative, non lo umilia nella sua dignità di creatura, anzi lo esalta, lo promuove, lo avvia, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito Santo» (2Cor 3,18) ad un traguardo di felicità e di beatitudine eterna. La croce va quindi piantata al centro del cuore e della vita del credente.
Invece, molti, anche cristiani, tendono a porre al centro di tutta la loro vita, spesso disordinata, le loro scelte, non sempre in sintonia con la morale; o avvinti dai loro gusti e programmi, tentano di far ruotare attorno a questo centro anche l’intero messaggio evangelico, accettandolo in parte o corrompendolo o assoggettandolo ai propri capricci; da qui la necessità capricciosa di imporre alla Bibbia, distinguo, precetti o nuove leggi, frutto della tradizione umana; paletti issati come muri di protezione per contenere la devastante e benefica azione esplosiva della Parola di Dio (Cf. Mc 7,8-9).
Gesù è mite e umile di cuore: è la via maestra per tutti i discepoli, è la via dell’annichilimento (Cf. Fil 2,5ss), dell’incarnarsi nel tempo, nella storia, nel quotidiano dei fratelli, non come maestri arroganti o petulanti, ma come servi (Cf. 1Cor 9,22).
 
Il dono delle lacrime: Un tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. “Esse esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si tace). Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363). Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa” (Benedetto XVI (Udienza Generale, 24 Novembre 2010).
 
Cirillo di Alessandria (Frammento 148): Chi vede il Figlio, che ha in sé l’immagine del Padre, vede proprio il Padre. Infatti il Figlio rivela il Padre in quanto si mostra a lui con la sua prima rappresentazione e insieme fa vedere nella propria forma il modello archetipo. Tali concetti devono essere intesi in modo degno di Dio.
Quanto poi a dire: Ogni cosa mi è stata data, affinché non sembri di essere di altro genere e inferiore rispetto al Padre, ha aggiunto tale affermazione, per mostrare che la sua natura è nascosta e incomprensibile come quella del Padre.
Solo la natura divina della Trinità conosce se stessa. Solo il Padre conosce il Figlio, frutto della sua stessa natura. Solo colui che è stato divinamente generato conosce colui dal quale è stato generato, solo lo Spirito Santo conosce «la profondità di Dio», cioè il pensiero del Padre e del Figlio.
 
Il Santo del giorno: 29 Aprile 2022: Santa Caterina da Siena: Nata nel 1347 Caterina non va a scuola, non ha maestri. I suoi avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua “cella” di terziaria domenicana. La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. Li chiameranno “Caterinati”. Lei impara a leggere e a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a donne di casa e a regine, e pure ai detenuti. Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni.
 
 
O Signore,
questo cibo spirituale,
che fu nutrimento e sostegno di santa Caterina nella vita terrena,
comunichi a noi la tua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.
 

  28 Aprile 2022
 
GIOVEDÌ DELLA II SETTIMANA DI PASQUA
 
At 5,27-33; Sal 33 (34); Gv 3,31-36
 
Colletta
O Dio, che hai compiuto il sacrificio della Pasqua
per la salvezza del mondo,
ascolta le preghiere del tuo popolo:
Cristo, Sommo Sacerdote che intercede per noi,
come vero uomo ci doni la riconciliazione
e come vero Dio ci liberi dal peccato.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA - ARTICOLO 12 - «CREDO LA VITA ETERNA» 1020 Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l’ultima volta, le parole di perdono dell’assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l’ha segnato, per l’ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:
« Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno ».
V. Il giudizio finale 1038 La risurrezione di tutti i morti, « dei giusti e degli ingiusti » (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà « l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna » (Gv 5,28-29). Allora Cristo « verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli [...]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46).
 
I Lettura: Pietro dinanzi al sommo sacerdote ripercorre le vicende del Cristo senza tema di annunziare la sua risurrezione e di accusare il sinedrio di aver ucciso l’Autore della Vita. La Risurrezione di Gesù è l’evento capitale al quale tutto deve essere subordinato e orientato. A queste parole i sinedriti si infuriano e vogliono mettere a morte gli Apostoli, la Verità ha trovato ancora una volta cuori colmi di pregiudizi umani, praticamente impenetrabili.
 
Vangelo
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.
 
Per volontà del Padre, ogni cosa è in mano del Figlio, cioè tutto è in suo potere (Gv 3,35; 10,28.29; 13,3; 17,2; cfr. Gv 6,37-39; Mt 11,27; 28,18). Da qui il fondamento della sua regalità (Gv 12,13-15; 18,36-37) che egli inaugurerà il giorno della sua esaltazione (Gv 12,32; 19,19; At 2,33; Ef 4,8), quando il regno del principe di questo mondo avrà fine (Gv 12,31). Il brano evangelico è «un’esaltazione della figura di Gesù: solo colui che “viene dal cielo”, può rivelare il mistero di Dio, perché a lui il Padre ha concesso lo Spirito senza misura (i profeti dell’antica alleanza e Giovanni Battista disponevano dello Spirito di Dio, ma la pienezza della rivelazione di Dio si ebbe soltanto in Cristo, cfr. 3,16; 10,17; 15,9). L’opera di Cristo è sotto ogni aspetto l’opera di Dio perché il Padre ha rimesso tutto nella mano del Figlio. La scelta di fede nei suoi confronti genera nell’uomo “la vita eterna”, cioè la stessa vita divina; la scelta del rifiuto è, invece, radice di perdizione” (Don Antonio Schena).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,31-36
 
Chi viene dall’alto, è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): I verss. 31-36 costituiscono una sezione a parte che non presenta dei legami logici con quanto è stato detto precedentemente (verss. 25-30). Numerosi esegeti ritengono che in questi verss. siano contenute delle riflessioni dell’evangelista, aggiunte dopo che egli ha riferito la testimonianza del Precursore. Come si è già accennato, vari studiosi pensano che la presente sezione (verss. 31-36) vada congiunta con i verss. 16-21 e che formi con essi un unico blocco letterario. In tal modo si otterrebbe il seguente ordine di fatti: a) l’incontro di Gesù con Nicodemo (3,1-15); b) il commento dell’evangelista sul mistero dell’incarnazione (3,16-21,31-36); c) la disputa dei discepoli di Giovanni con il giudeo (3,22-30); d) la partenza di Gesù per la Galilea (4,1-4).
Non si può negare che i verss. 31-36 tocchino un argomento differente da quello sviluppato nei versetti precedenti (verss. 27-30), ma è difficile imporre dei rigidi criteri di logica ad uno scrittore come Giovanni, che ha un suo genio letterario e segue un proprio metodo personale e indipendente; egli infatti ama ripetersi ritornando su quanto ha detto, così come ama compiere delle digressioni.
Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; l’espressione indica chiaramente Gesù, colui che viene dall’alto (ἄνωθεν) e dal cielo (ἐκ τοῦ οὐρανοῦ)
Chi è dalla terra appartiene alla terra...; abbiamo tradotto fedelmente il testo greco che ripete tre volte l’espressione ἐκ τῆς γῆς (resa in italiano differentemente: dalla terra; alla terra; della terra). Gli esegeti non sono concordi nell’indicare la persona o le persone a qui alludono le parole: «chi è dalla terra». Molti ritengono che l’espressione designi il Battista, che è considerato come un semplice uomo; sembra tuttavia poco verosimile che il quarto evangelista si esprima in tal modo per indicare il Precursore, di cui riconosce la posizione privilegiata di inviato di Dio e di testimonio del Messia. Altri pensano che l’autore voglia accennare ai discepoli di Giovanni, i quali hanno mostrato di essere «della terra», perché non hanno afferrato il senso della testimonianza del loro maestro. Probabilmente l’espressione va intesa come una formula indeterminata con la quale l’evangelista designa gli uomini in generale; in tal modo si distingue nettamente l’origine celeste di Gesù e l’origine terrestre di tutti gli uomini.
Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; la seconda parte della proposizione manca in alcuni manoscritti; alcuni critici la omettono e traducono: «Chi viene dal cielo attesta ciò che ha veduto ed ascoltato» (così traduce la Bible de Jérusalem). Altri critici, al contrario, accolgono la ripetizione «è al di sopra di tutti», perché è dello stile del quarto evangelista ripetersi ed amare le ridondanze espressive.
 
L’ira di Dio - Liselotte Mattern: L’Antico Testamento parla molto spesso dell’ira, poiché essa caratterizza proprio il Dio santo e ardente. L’ira non è, tuttavia, un ribollimento iracondo; è ben lontana anche da una passione o un’eccitazione. È piuttosto la reazione alla disubbidienza dell’uomo. Essa non è in contraddizione con la giustizia, ma designa il giusto giudizio di Dio. L’ira è rivolta soprattutto contro Israele. L’elezione del popolo e l’alleanza di Dio con esso non garantiscono a Israele la sicurezza della salvezza, ma lo impegnano alla fedeltà, all’alleanza e all’obbedienza. I profeti mettono continuamente in guardia dalla mormorazione contro la guida di Dio, soprattutto da una caduta nell’idolatria, dalla disubbidienza verso i comandamenti, la quale può esprimersi anche come comportamento ingiusto in campo sociale, economico e politico. Il giorno di JHWH atteso da molti israeliti come giorno di gioia si rivolterà altrimenti, come giorno dell’i., contro il proprio popolo disubbidiente. [...] Per il Nuovo Testamento l’idea dell’ira, è ovvia; essa è la definizione del futuro giudizio di Dio. Non si tratta certo del fatto che nel Nuovo Testamento al posto dell’ira, subentri un amore di Dio “a buon mercato”. Nei Vangeli, tuttavia, il concetto di ira si trova solo raramente. Secondo Giovanni Battista soltanto la conversione può ormai salvare dall’ira imminente. In bocca a Gesù la parola “ira” si trova solo nell’allusione alla distruzione di Gerusalemme in Lc21,23. Paolo invece parla molto spesso dell’ira. Anche per Paolo ira esprime il giudizio universale. Alla fine del tempo, il giorno dell’ira porta con sé il giusto giudizio su tutti i popoli. Tutta l’umanità vive nell’empietà e nell’ingiustizia e pertanto è sottoposta già oggi al giudizio che viene Soltanto la  fede giustifica e può salvare il cristiano dall’incombente giudizio dell’ira e della distruzione. Secondo Gv 3,36 il non-credente sottostà all’ira, il credente invece possiede già oggi la vita. L’Apocalisse parla con colori sfavillanti della futura ira. Nel giorno della grande ira si berrà dalla coppa del vino dell’ira; sarà il giorno dell’ira dell’agnello (Ap 14,10; 6,16).
 
Chi crede nel Figlio ha la vita eterna - Benedetto XVI (Udienza Generale, 2 novembre 2011): L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr. Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.
 
Chi crede nel Figlio ... - Alberto Magno (In ev. Jo. ex p ., III): Mediante la virtù della fede formata e dell’amore che ne deriva, e tende a Lui, ha ora nella speranza e nella causa, poi nella realtà e nell’effetto, la Vita eterna; chi invece non ha fede nel Figlio, così che non tende, per mezzo della fede a Lui, che è Vita e Luce degli uomini, non vedrà la Vita, poiché vivere significa vedere la Vita per mezzo dell’intelletto, e la condanna di Dio, cioè il peccato che è la causa della condanna di Dio, incombe su di lui, schiacciandolo come un peso.
 
Il Santo del giorno: 28 Aprile 2022: Santa Gianna Beretta Molla: Limpida e graziosa. Così appare la dottoressa Gianna Beretta all’ingegnere Pietro Molla nei primi incontri. Si conoscono nel 1954 e si sposano a Magenta il 24 settembre 1955. Gianna, la penultima degli otto figli sopravvissuti della famiglia Beretta, nata a Magenta, è medico chirurgo nel 1949 e specialista in pediatria nel 1952. Continua però a curare tutti, specialmente chi è vecchio e solo. «Chi tocca il corpo di un paziente - diceva - tocca il corpo di Cristo». Gianna ama lo sport (sci) e la musica; dipinge, porta a teatro e ai concerti il marito, grande dirigente industriale sempre occupato. Vivono a Ponte Nuovo di Magenta, e lei arricchisce di novità gioiose anche la vita della locale Azione cattolica femminile. Nascono i figli: Pierluigi nel 1956, Maria Rita (Mariolina) nel 1957, Laura nel 1959. Settembre 1961, quarta gravidanza, ed ecco la scoperta di un fibroma all’utero, con la prospettiva di rinuncia alla maternità per non morire. Mettendo al primo posto il diritto alla vita, Gianna decide di far nascere Gianna Emanuela. La mamma morirà il 28 aprile 1962. (Avvenire )
 
Guarda, o Padre, i tuoi fedeli
che hai nutrito di Cristo, pane vivo,
perché, con la luce della fede e con la forza della carità,
costruiscano e allietino la tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.