1 MAGGIO 2022
III DOMENICA DI PASQUA – ANNO C
At 5,27b-32.40b-41; Dal Salmo 29 (30); Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Colletta: O Padre, che hai risuscitato il tuo Cristo e lo hai costituito capo e salvatore, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo la presenza del Signore risorto che continua a manifestarsi ai suoi discepoli. Egli è Dio, e vive e regna con te.
Lumen gentium 22: Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro. Già l’antichissima disciplina, in virtù della quale i vescovi di tutto il mondo vivevano in comunione tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell’unità, della carità e della pace e parimenti la convocazione dei Concili per decidere in comune di tutte le questioni più importanti mediante una decisione che l’opinione dell’insieme permetteva di equilibrare significano il carattere e la natura collegiale dell’ordine episcopale, che risulta manifestamente confermata dal fatto dei Concili ecumenici tenuti lungo i secoli. La stessa è pure suggerita dall’antico uso di convocare più vescovi per partecipare alla elevazione del nuovo eletto al ministero del sommo sacerdozio. Uno è costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con le sue membra.
Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli.
Infatti il Romano Pontefice, in forza del suo Ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D’altra parte, l’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cfr. Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge (cfr. Gv 21,15ss); ma l’ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18; 28,16-20).
Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l’azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.
I Lettura: Il Sinedrio non vuol sentire ragione, ha paura della nuova fede e perseguita gli Apostoli nel tentativo di farli tacere. Pietro ripercorre le vicende del Cristo senza tema di annunziare la sua risurrezione e di accusare il Sinedrio di aver ucciso l’Autore della Vita. La Risurrezione di Gesù è l’evento capitale al quale tutto deve essere subordinato e orientato. Gli Apostoli sono lieti «di subire oltraggi per il nome di Gesù» perché a loro è data «la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Solo lo Spirito Santo può donare questa gioia.
II Lettura:; Il 5° capitolo del libro dell’Apocalisse può essere considerato l’introduzione alle diverse sezioni che si susseguono nel libro: la sezione dei «sette sigilli» (6,1-8,1); la sezione delle «sette trombe» (8,2-11,19); la sezione delle «sette coppe» (15,1-16,21). L’Agnello è Gesù: è il Crocifisso e il Risorto; il Vivente, degno di «ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». L’aggettivo degno «non deve trarre in inganno: esso non si riferisce a valori morali, bensì alla capacità, da lui detenuta, di ricevere da Dio la potenza di agire, la ricchezza delle risorse divine, la sapienza nel condurre la storia e la forza di vincere il male, e dagli uomini l’onore, cioè la riconoscenza della sua azione di salvezza, insieme alla gloria e alla benedizione nella preghiera e nella liturgia» (Gaetano Di Palma).
Vangelo
Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce.
Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Il vangelo ci mette dinanzi un episodio che rivela le straordinarie capacità divine del Risorto. È la retata prodigiosa dei pesci. Essa è certo un fatto di carattere puramente materiale, anche se miracoloso, ma è destinato, non solo a documentare solidamente la concretezza dell’apparizione di chi ne fu l’autore, ma anche a simboleggiare la sua forza di conquista spirituale sul genere umano (At 2, 9-11; cfr. Mt 4, 19; 13,47-50; Mc 1, 17; Lc 5, 10; è questa anche l’interpretazione dei Padri). Gli apostoli, in forza del comando di Cristo, hanno avuto un successo tale da riempire la rete fino all’estremo delle sue possibilità. La Chiesa, dotata del mandato e delle risorse del suo fondatore, incide in modo così efficace sui popoli da condizionare, in ordine alla salvezza, il destino di tutta intera l’umanità, nonostante certe apparenze e qualche esterna discontinuità. Non solo è cattolica per destinazione, ma ha potuto camminare costantemente sulla via del suo universalismo. È il simbolo della retata prodigiosa che trova in ciò la sua attuazione.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,1-19
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? - Henri van den Bussche (Giovanni): Quando Gesù domanda a Pietro se lo ama più degli altri, la sua domanda riguarda più l’avvenire che non il passato. Pietro non è eletto perché ha amato di più, cosa che è stata d’altronde smentita dai fatti, ma perché, eletto, dovrà ormai amare più degli altri.
Pietro è divenuto più umile: egli ama Gesù senza presumere di superare gli altri. Il Signore lo sa molto bene, lui che penetra i cuori. Il discepolo-redattore, più dell’evangelista, usa una terminologia varia. Senza distinzione di significato, usa verbi diversi per «amare» (come Giovanni in 11,3. 5) e per «pascere», e più avanti parla prima di agnelli, poi di pecore. Conosce meglio dell’evangelista la sfumatura che distingue oida (sapere in modo assoluto) da ginôskein (sapere per esperienza). Gesù affida il suo gregge a Pietro. L’immagine ricorda Gv. 10, ma Pietro non potrebbe tenere il posto dell’unico pastore: Gesù è insostituibile. D’altronde questo genere di linguaggio è comune in oriente: così l’immagine si applica qui spontaneamente al primato di Pietro. Pietro diventa il capo responsabile del nuovo popolo di Dio.
Diventa il rappresentante di Gesù nel periodo intermedio tra la sua partenza verso il Padre e il suo ritorno nella gloria. Voler contestare il primato di Pietro sulla base di questo testo, è fatica sprecata. Non si distinguano pecore e agnelli, semplici fedeli e gerarchia; infatti Pietro ha la preminenza su tutti, anche sul discepolo prediletto. Poiché Pietro è la guida e il capo, seguendo Gesù, deve precedere il gregge (13,36). Sopravvalutando le sue forze, egli aveva proclamato un giorno che avrebbe seguito Gesù fino alla morte. L’occasione verrà! Citando un detto popolare, Gesù annuncia a Pietro che un giorno subirà il martirio. Da giovane un uomo può vestirsi da solo, allacciarsi la cintura. Pietro l’ha dimostrato poco fa (21,7).
Ma la giovinezza passa; viene la vecchiaia e altri vi impongono la loro volontà. Così Pietro stenderà le mani per lasciarsi cingere. Questa immagine indica la perdita della libertà, non la forma concreta del martirio di Pietro; la tradizione della Chiesa riferisce che egli fu crocifisso con la testa in giù.
L’enigma proposto da Gesù fu interpretato dalla Chiesa come una profezia del martirio di Pietro. L’autore stesso ha suggerito tale interpretazione (12, 33; 18, 32). Con questo martirio Pietro avrebbe glorificato Dio. Il termine glorificare non ha qui lo stesso significato che nel contesto della morte di Gesù (13,31; 17,1). Con la sua morte Gesù rivela dinanzi a tutti la gloria del Padre e diventa in un certo senso il prisma della gloria divina. Col suo martirio Pietro confessa la gloria, ossia la divinità di Dio, aderendo alla sua volontà (1 Pt. 4, 16). Frattanto Pietro non ha che da seguire Gesù (10,4; 12,26). Questa via lo condurrà necessariamente al martirio (12,26; 13, 6).
Pasci le mie pecore: Benedetto XVI (Omelia, 24 aprile 2005): Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui servizio si trova. “Pasci le mie pecore”, dice Cristo a Pietro, ed a me, in questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento.
M. Eckhart (Ex p. ev. Jo., XXI):… mi ami più di costoro?: la domanda può avere un duplice senso. Col primo, Cristo intende sottolineare che il discepolo cui è affidata la cura degli altri, non solo deve amare Dio come i sottoposti, ma più di essi ... Il secondo senso è: “Mi ami più di quanto ami costoro?”, secondo il passo di Mt. 10,37: Chi ama il padre e la madre più di Me, non è degno di Me. Certamente vi sono molti che in modo erroneo temono ben più di offendere il padre che Dio, e per amore dei loro cari non temono di offendere Dio col peccato. Contro questi è quel che qui è scritto, nel secondo senso della frase suddetta: “Mi ami più di costoro?”, ovvero più di quanto tu ami costoro. Perciò Mt. 19,29 dice: Chi avrà rinunciato a casa, o fratelli o sorelle, o padre o madre, o moglie o figli, o campi, per amor Mio, riceverà il centuplo e possiederà la Vita eterna.
Il Santo del Giorno - 1 Maggio 2022: San Riccardo (Erminio Filippo) Pampuri Religioso fatebenefratelli (Trivolzio, Pavia, 2 agosto 1897 - Milano, 1 maggio 1930): Erminio Filippo Pampuri, nella vita religiosa, frà Riccardo, nacque (decimo di undici figli) il 2 agosto 1897 a Trivolzio (Pavia) da Innocenzo e Angela Campari, e fu battezzato il giorno seguente. Orfano di madre a tre anni, venne accolto dagli zii materni a Torrino, frazione di Trivolzio. Nel 1907 gli morì a Milano il padre. Compiute le scuole elementari in due paesi vicini, e la prima ginnasiale a Milano, fu alunno interno nel Collegio Sant’Agostino di Pavia. Dopo gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di medicina nell’Università di Pavia, laureandosi con il massimo dei voti, il 6 luglio 1921.
Nel 1927 entrò a Brescia nel noviziato dei Fatebenefratelli e vi emise la professione religiosa il 24 ottobre 1928. Gli venne affidato il gabinetto dentistico. Purtroppo nella primavera del 1929 la sua salute peggiorò per la tubercolosi. Il 18 aprile 1930 fu trasferito nell’Ospedale del Fatebenefratelli di Milano dove morì il primo maggio. Proclamato beato da Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981, è stato canonizzato nella festività di Tutti i Santi, 1° novembre 1989. (Avvenire)
Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo
che ti sei degnato di rinnovare con questi sacramenti di vita eterna,
e donagli di giungere alla risurrezione incorruttibile del corpo,
destinato alla gloria.
Per Cristo nostro Signore.