1 OTTOBRE 2022
SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA
Gb 42,1-3.5-6.12-16; Salmo Responsoriale dal Salmo 118 (119); Lc 10,17-24
Colletta
O Dio, che apri le porte del tuo regno agli umili e ai piccoli,
fa’ che seguiamo con fiducia
la via tracciata da santa Teresa [di Gesù Bambino],
perché, per sua intercessione, ci sia rivelata la tua gloria eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Francesco (Udienza Generale 18 Maggio 2022): Il brano biblico che abbiamo ascoltato chiude il Libro di Giobbe, un vertice della letteratura universale. Noi incontriamo Giobbe nel nostro cammino di catechesi sulla vecchiaia: lo incontriamo come testimone della fede che non accetta una “caricatura” di Dio, ma grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto. E Dio alla fine risponde, come sempre in modo sorprendente: mostra a Giobbe la sua gloria ma senza schiacciarlo, anzi, con sovrana tenerezza, come fa Dio, sempre, con tenerezza. Bisogna leggere bene le pagine di questo libro, senza pregiudizi, senza luoghi comuni, per cogliere la forza del grido di Giobbe. Ci farà bene metterci alla sua scuola, per vincere la tentazione del moralismo davanti all’esasperazione e all’avvilimento per il dolore di aver perso tutto.
In questo passaggio conclusivo del libro – noi ricordiamo la storia, Giobbe che perde tutto nella vita, perde le ricchezze, perde la famiglia, perde il figlio e perde anche la salute e rimane lì, piagato, in dialogo con tre amici, poi un quarto, che vengono a salutarlo: questa è la storia – e in questo passaggio di oggi, il passaggio conclusivo del libro, quando Dio finalmente prende la parola (e questo dialogo di Giobbe con i suoi amici è come una strada per arrivare al momento che Dio dia la sua parola) Giobbe viene lodato perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio. Dio rimprovera gli amici di Giobbe che presumevano di sapere tutto, sapere di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti. Dio ci preservi da questo pietismo ipocrita e presuntuoso! Dio ci preservi da quella religiosità moralistica e quella religiosità di precetti che ci dà una certa presunzione e porta al fariseismo e all’ipocrisia.
Ecco come si esprime il Signore nei loro confronti. Così dice il Signore: «La mia ira si è accesa contro di [voi][…], perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. […]»: questo è quello che dice il Signore agli amici di Giobbe. «Il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe» (42,7-8). La dichiarazione di Dio ci sorprende, perché abbiamo letto le pagine infuocate della protesta di Giobbe, che ci hanno lasciato sgomenti. Eppure – dice il Signore – Giobbe ha parlato bene, anche quando era arrabbiato e anche arrabbiato contro Dio, ma ha parlato bene, perché ha rifiutato di accettare che Dio sia un “Persecutore”, Dio è un’altra cosa. E in premio Dio restituisce a Giobbe il doppio di tutti i suoi beni, dopo avergli chiesto di pregare per quei suoi cattivi amici.
Il punto di svolta della conversione della fede avviene proprio al culmine dello sfogo di Giobbe, là dove dice: «Io so che il mio redentore è vivo / e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! / Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, / senza la mia carne, vedrò Dio. / Io lo vedrò, io stesso, / i miei occhi lo contempleranno e non un altro». (19,25-27). Questo passaggio è bellissimo. A me viene in mente la fine di quell’oratorio geniale di Haendel, il Messia, dopo quella festa dell’Alleluja lentamente il soprano canta questo passaggio: “Io so che il mio Redentore vive”, con pace. E così, dopo tutta questa cosa di dolore e di gioia di Giobbe, la voce del Signore è un’altra cosa. “Io so che il mio Redentore vive”: è una cosa bellissima. Possiamo interpretarlo così: “Mio Dio, io so che Tu non sei il Persecutore. Il mio Dio verrà e mi renderà giustizia”. È la fede semplice nella risurrezione di Dio, la fede semplice in Gesù Cristo, la fede semplice che il Signore sempre ci aspetta e verrà.
I Lettura: Giobbe, confessando e riconoscendo che tutto è guidato dalla sapienza e dalla onnipotenza di Dio, ritratta le accuse che aveva precedentemente mosso contro i disegni e la provvidenza di Dio. In conclusione, Giobbe ha saputo con la sua fede dare al lettore la soluzione al problema del giusto che soffre, e al problema del male che nonostante tutto, per permissione di Dio, impera nel mondo.
Giobbe ebbe anche sette figli e tre figlie. Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea: I nomi “intendono mettere in luce la bellezza delle tre figlie e si riferiscono al triplice regno: animale, vegetale e minerale. Colomba è l’appellativo che lo sposo, affascinato e innamorato, dà alla sua donna [Ct 2,14; 5,2; 6,9]. Cassia, essenza aromatica derivata da una pianta orientale, è uno dei tre profumi citati dal Sal 45 nel descrivere le vesti di nozze del re [Sal 45,9]. Argentea vorrebbe rendere, per un lettore moderno, il significato di un’espressione ebraica piuttosto oscura, tradotta talvolta con “Fiala di stibio”; lo stibio [o antimonio], minerale dal colore argenteo, veniva usato dalle donne del Vicino oriente per rendere più splendente il loro volto.” (Bibbia di Gerusalemme, nota a Gb 42,14).
Vangelo
Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
Il vero motivo della gioia dei missionari non va cercato nel loro potere sulle forze infernali, ma nel fatto che Dio ha scritto i loro nomi nel libro della vita. Pieno di gioia per la venuta del regno testimoniata dalla sconfitta di Satana, Gesù eleva allora un rendimento di grazie al Padre, che si rivela ai piccoli. I sapienti e i dotti sono i rabbini e farisei che per il loro orgoglio religioso restano ciechi di fronte all’annuncio di Gesù, i piccoli, invece, sono gli uomini senza cultura, senza competenza religiosa, i poveri delle beatitudini che per la loro umiltà sanno aprirsi alla novità del Vangelo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,17-24
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Parola del Signore.
Il Vangelo di Luca trasuda di gioia. La prima pagina è foriera di gioia, la nascita del Verbo, così l’ultima pagina, la risurrezione e l’Ascensione di Gesù, figlio di Maria, concepito per opera dello Spirito Santo, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato. I discepoli sono colmi di gioia perché hanno visto Satana sottomettersi alla potenza del Cristo, Gesù è contento perché il Padre ha nascosto i misteri del regno ai sapienti e ai dotti e li ha rivelati ai piccoli. Mai stanco di mettere in evidenza la gioia evangelica, Luca suggerisce quale è la vera gioia: per i discepoli sta nel fatto che i loro nomi sono scritti nei cieli, per Gesù perché finalmente le porte della sua eterna dimora sono state spalancate agli uomini, e in modo particolare ai piccoli, cioè ai suoi discepoli, a tutti coloro che si porranno alla sua sequela. Ma c’è da aggiungere che alla gioia si assomma la beatitudine. Gioia e beatitudine sono sinonimi, ma gioia è sinonimo anche di allegria, felicità, contentezza, e beatitudine di esultanza, appagamento, ed è davvero molto bello che per i piccoli gioia e beatitudine, al di là delle sfumature, inizino quaggiù su questa terra, inzuppata di lacrime e di sangue, per continuare in Cielo quando vedranno Dio faccia a faccia (1Cor 13,12), così come Egli è (1Gv 3,2). E sarà grande festa. Ma è gioia e festa grande anche per Gesù perché la sua missione terrena, che non è finita su una Croce, ma in una tomba vuota, ha raggiunto il suo obiettivo, quello di aver aperto all’uomo le porte del Paradiso e quello di aver rivelato “il volto del Padre suo e Padre nostro. In fondo, per questo Egli è venuto nel mondo: per parlarci del Padre; per farlo conoscere a noi, figli smarriti, e risuscitare nei nostri cuori la gioia di appartenergli, la speranza di essere perdonati e restituiti alla nostra piena dignità, il desiderio di abitare per sempre nella sua casa, che è anche la nostra casa.” (Benedetto XVI, Angelus, 16 Settembre 2007). Abitare per sempre nella sua casa, questa è la più grande gioia, quella gioia che Dio ha riservato ai suoi piccoli.
Gianfranco Ravasi (Giobbe in Schede Bibliche Pastorali - Vol. IV): «Io ti conoscevo per sentito dire: ora i miei occhi ti hanno veduto!» (42,5). Questa è la vera finale del libro, questo è il vero scopo dell’itinerario di Giobbe, al di là della conclusione consolatoria dell’antica leggenda citata nelle ultime righe del volume (42,7ss).
Giobbe è anche il centro di una ininterrotta catena di interrogativi che si levano dall’umanità tutte le volte che essa si scontra col mistero dell’esistenza e soprattutto del male. Si usa perciò parlare di una tradizione-Giobbe che ha secoli di vita prima della stessa opera biblica ma che prosegue fino ai nostri giorni e che prende il nome proprio dal suo massimo rappresentante, il Giobbe biblico. Questo «figlio dell’oriente» appare col suo grido di protesta e con la sua speranza già nel citato e lontano Dialogo di un suicida con la sua anima, nato nel mondo egiziano, appare a Sumer, a Babilonia, in Arabia, persino col Prometeo greco. Ma continua a pervadere anche la nostra ricerca: è velato nel Re Lear shakespeariano, è l’anima della riflessione di Kierkegaard, è il destinatario della famosa e discussa Risposta a Giobbe di Jung, uno dei padri della psicanalisi. Giobbe e il suo male si compendiano nel simbolo mostruoso del Moby Dick di Melville o nell’atmosfera sognante eppur tragica del ghetto polacco di J. Roth e di LB. Singer, il Nobel 1978 della letteratura. Giobbe diventa ateo nella Peste di Camus, è ribelle nel «filo rosso» dell’Ateismo nel Cristianesimo del filosofo marxista eterodosso E. Bloch. È il
Giobbe del già citato Morselli, è il nostalgico Giobbe del Coccio di terracotta di Bacchelli, è il Giobbe ironizzato da alcuni testi teatrali dell’americana Broadway, è il Giobbe interrogato dai «nouveaux philosophes» francesi Nemo e Lévy.
Giobbe, attraverso la conoscenza paziente ed esaltante delle sue pagine e attraverso lo scavo nel mondo dei suoi «fratelli» letterari ed umani, deve trasformarsi veramente nella nostra biografia, in quella di nostro padre e di nostro figlio, in quella di ogni uomo posto davanti al mistero del vivere, del credere e del soffrire.
Santa Teresa del Bambino Gesù, Dottore della Chiesa: Giovanni Paolo II (Omelia, 19 Ottobre 1997): Santa Teresa di Lisieux non ha potuto frequentare una Università e neppure studi sistematici. Morì in giovane età: e tuttavia da oggi in poi sarà onorata come Dottore della Chiesa, qualificato riconoscimento che la innalza nella considerazione dell’intera comunità cristiana ben al di là di quanto possa farlo un “titolo accademico”. Quando, infatti, il Magistero proclama qualcuno Dottore della Chiesa, intende segnalare a tutti i fedeli, e in modo speciale a quanti rendono nella Chiesa il fondamentale servizio della predicazione o svolgono il delicato compito della ricerca e dell’insegnamento teologico, che la dottrina professata e proclamata da una certa persona può essere un punto di riferimento, non solo perché conforme alla verità rivelata, ma anche perché porta nuova luce sui misteri della fede, una più profonda comprensione del mistero di Cristo. Il Concilio ci ha ricordato che, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, cresce continuamente nella Chiesa la comprensione del “depositum fidei”, e a tale processo di crescita contribuisce non solo lo studio ricco di contemplazione cui sono chiamati i teologi, né solo il Magistero dei Pastori, dotati del “carisma certo di verità”, ma anche quella “profonda intelligenza delle cose spirituali” che è data per via di esperienza, con ricchezza e diversità di doni, a quanti si lasciano guidare docilmente dallo Spirito di Dio (cfr. Dei Verbum, 8). La Lumen gentium, da parte sua, insegna che nei Santi “Dio stesso ci parla” (n. 50). È per questo che, al fine dell’approfondimento dei divini misteri, che rimangono sempre più grandi dei nostri pensieri, va attribuito speciale valore all’esperienza spirituale dei Santi, e non a caso la Chiesa sceglie unicamente tra essi quanti intende insignire del titolo di “Dottore”. Tra i “Dottori della Chiesa” Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo è la più giovane, ma il suo cammino spirituale è così maturo ed ardito, le intuizioni di fede presenti nei suoi scritti sono così vaste e profonde, da meritarle un posto tra i grandi maestri dello spirito.
I discepoli non si devono rallegrare per gli onori apostolici - Cirillo di Alessandria, Commento a Luca, omelia 64: Rallegrarsi solo del fatto che erano in grado di operare miracoli e di sconfiggere le mandrie dei demoni verosimilmente avrebbe potuto produrre in loro il desiderio dell’arroganza. Il vicino e il parente di questa passione è regolarmente l’orgoglio. È stato utilissimo che il Salvatore di tutti respingesse il primo vantarsi e tagliasse rapidamente la radice che era spuntata in loro, il vergognoso amore della gloria. Egli stava imitando i buoni agricoltori che quando vedono un’erbaccia che spunta nei loro parchi e nei loro giardini immediatamente la tolgono con la lama della loro zappa, prima che spinga in profondità la sua radice.
Il Santo del giorno - 1 Ottobre 2022 - Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa (Alençon (Francia), 2 gennaio 1873 - Lisieux, 30 settembre 1897): Martirologio Romano: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni.
Il sacramento che abbiamo ricevuto, o Signore,
accenda in noi la forza di quell’amore
che spinse santa Teresa [di Gesù Bambino] ad affidarsi
interamente a te e a invocare per tutti la tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore.