IL PENSIERO DEL GIORNO

1 Settembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,36; cfr. Canto al Vangelo).

Se la parabola è un’allegoria delle nozze di Cristo-Sposo con la Chiesa, sua diletta Sposa, è anche un pressante invito alla vigilanza. Stolti e saggi, tutti sono invitati a partecipare alle nozze, tutti vanno incontro al Signore, ma occorre l’olio della vigilanza per non essere colti dal sonno colpevole della infedeltà.


Poiché lo sposo tardava... - Presso gli Ebrei le nozze venivano celebrate di notte. Il buio della notte era rischiarato da torce e da lampade ad olio portate dagli invitati. La sposa, nella casa del padre, in compagnia di giovani non maritate, attendeva la venuta dello sposo. Nel racconto di Gesù lo sposo arrivò in ritardo, per cui l’olio delle lampade incominciò a scarseggiare. Solo coloro che avevano portato olio in abbondanza furono in grado di rifornire le lampade e di accogliere lo sposo.
Le dieci vergini sono presentate con un aggettivo, cinque sono dette stolte, insensate, moraì; e cinque sagge, accorte, frónimoi.
L’aggettivo moròs, nella terminologia biblica, non indica soltanto lo sciocco, ma anche l’empio che è così insensato da opporsi alla legge di Dio e giunge fino a negare l’esistenza di Dio. Ecco perché nella sacra Scrittura, il «concetto di stolto acquista il significato di empio, bestemmiatore [passi tipici sono: Sal 14,1 e 53,2; però anche Sal 74,18.22; Gb 2,10; Is 32,5s; cf. Sir 50,26]. Lo stolto si ribella a Dio, distrugge in pari tempo la comunità umana: fa mancare il necessario agli affamati [Is 32,6], accumula ricchezze ingiuste [Ger 17,11] e calunnia il suo prossimo [Sal 39,9]. Anche nella letteratura sapienziale posteriore, dove il concetto è meno duro, rimane il senso della colpevolezza» (J. Goetzmann). Se accettiamo anche questa sfumatura, allora le cinque vergini stolte della parabola non sono soltanto delle sempliciotte, o ragazzotte sprovvedute, ma veri e propri oppositori della legge divina; sono coloro che non entrano nel Regno di Dio a motivo della loro empietà e così l’accusa contro i farisei si fa più pesante: essi sono religiosi nelle parole, ma empi perché di fatto ribelli alla volontà divina, «dicono e non fanno» (Mt 23,3), e tanto stolti da respingere la proposta di salvezza che Dio fa loro nella persona del suo Figlio unigenito.
La parabola nel mettere in evidenza l’incertezza del tempo della venuta gloriosa del Cristo, vuole instillare nei cuori degli uomini la necessità della vigilanza, senza fidarsi di calcoli in base ai segni dei tempi: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo e né il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36).
Questa venuta improvvisa deve indurre gli uomini ad assumere un serio atteggiamento di vigilanza e un comportamento saggio al quale nessuno può sottrarsi se non vuole essere escluso dal regno di Dio. Poi, alla vigilanza e al comportamento saggio va aggiunto il timore: «Comportatevi con timore nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,17-19). Se Cristo Gesù, «nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero» (Credo), per salvarci si è annichilito nel mistero dell’Incarnazione, se è morto su una croce come un volgare malfattore, «è segno che la nostra anima è assai preziosa e dobbiamo perciò affaticarci “con timore e tremore per la nostra salvezza”, per non distruggere in noi l’opera della grazia di Dio. Tutto infatti viene dalla “grazia”: la redenzione di Cristo è opera di grazia e anche l’accettazione della redenzione da parte nostra è opera di grazia, poiché è Dio stesso colui “che opera in noi il volere e l’agire” secondo i suoi disegni di benevolenza e di amore» (Settimio Cipriani).
Le vergini, le stolte e le sagge, non sopportando il tedio dell’attesa vengono colte dal sonno al quale cedono ben volentieri. Questo particolare suggerisce che il progetto di Dio, «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10), andrà a buon fine, lo voglia o non lo voglia l’uomo e sarà svelato all’intelligenza degli uomini quando Dio vorrà, anche senza il loro apporto. Gesù aveva suggerito la stessa cosa nella parabola del seme che spunta da solo anche mentre il contadino dorme (Mc 4,26): c’è, quindi, nella crescita e nella diffusione del Regno di Dio una componente che non dipende dall’uomo. Il regno di Dio porta in sé un principio di sviluppo, una forza segreta che lo condurrà al pieno compimento.


Le dieci vergini - Ilario di Poitiers (Commento al Vangelo di Matteo): “Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini” (Mt 25,1)... questo brano... si riferisce interamente al gran giorno del Signore, in cui i segreti dei pensieri degli uomini saranno rivelati dall’indagine del giudizio divino... Lo sposo e la sposa sono Dio nostro Signore in un corpo, poiché la carne è per lo Spirito una sposa, come lo Spirito è uno sposo per la carne.
Quando, alla fine, la tromba suona la sveglia, si va incontro allo sposo soltanto, perché i due erano ormai uno, per il fatto che l’umiltà della carne aveva attinto una gloria spirituale. Ma dopo una prima tappa, noi, adempiendo i doveri di questa vita, ci prepariamo ad andare incontro alla risurrezione dai morti. Le lampade sono la luce delle anime risplendenti che il sacramento del Battesimo ha fatto brillare. L’olio (Cf. Mt 25,3) è il frutto delle opere buone. I piccoli vasi (Cf. Mt 25,4) sono i corpi umani, nelle cui viscere dev’essere riposto il tesoro di una coscienza retta. I venditori (Cf. Mt 25,9) sono coloro che, avendo bisogno della pietà dei credenti, danno in cambio la mercanzia che è loro richiesta, cioè che stanchi della loro miseria, ci vendono la coscienza di una buona azione.
È essa che alimenta a profusione una luce inestinguibile e che occorre comprare e riporre mediante i frutti della misericordia. Le nozze (Cf. Mt 25,10) sono l’assunzione dell’immortalità e l’unione della corruzione e dell’incorruttibilità secondo un’alleanza inaudita. Il ritardo dello sposo (Cf. Mt 25,5) è il tempo della penitenza. Il sonno di quelle che attendono è il riposo dei credenti e la morte temporale di tutto il mondo al tempo della penitenza. Il grido in mezzo alla notte (Cf. Mt 25,6) è, in mezzo all’ignoranza generale, il suono della tromba che precede la venuta del Signore (Cf. 1Ts 4,16) e che sveglia tutti perché si esca incontro allo sposo. Le lampade che vengono prese (Cf. Mt 25,7) sono il ritorno delle anime nei corpi e la loro luce è la coscienza risplendente di una buona azione, coscienza che è racchiusa nei piccoli vasi dei corpi.


La verginità dei cristiani - IGNACE DE LA POTTERIE: È stato Gesù, rimasto vergine come Giovanni Battista e Maria, a rivelare il vero senso ed il carattere soprannaturale della verginità. Essa non è un precetto (1Cor 7,25), ma una chiamata personale di Dio, un carisma (7,7). «Oltre agli eunuchi che sono nati tali dal seno materno ed a quelli che sono diventati tali per opera degli uomini, ce ne sono pure di quelli che si sono resi tali per il regno dei Cieli» (Mt 19,12). Soltanto il regno dei cieli giustifica la verginità cristiana; comprendono questo linguaggio soltanto coloro ai quali è dato (19,11). Secondo Paolo, la verginità è superiore al matrimonio, perché consente una consacrazione integrale al Signore (1Cor 7,32-35): l’uomo sposato è diviso; coloro che restano vergini non hanno il cuore diviso, possono consacrarsi interamente a Cristo, avere come preoccupazione le cose del Signore e non lasciarsi distrarre da questa attenzione costante. La frase di Cristo in Mt 19,12 («per il regno dei cieli») conferisce alla verginità la sua vera dimensione escatologica. Paolo ritiene che lo stato di verginità convenga «a motivo delle angustie presenti» (1Cor 7,26) e del tempo che diventa breve (7,29). La condizione del matrimonio è legata al tempo presente, ma la figura di questo mondo passa (7,31). Coloro che rimangono vergini sono distaccati da questo secolo. Come nella parabola (Mt 25,l-13), essi attendono lo sposo ed il regno dei cieli. Rivelazione costante della verginità della Chiesa, la loro vita è anche una testimonianza della non appartenenza dei Cristiani a questo mondo, un «segno» permanente della tensione escatologica della Chiesa, un’anticipazione dello stato di risurrezione in cui coloro che saranno stati giudicati degni di partecipare al mondo futuro saranno simili agli angeli, ai figli di Dio (Lc 20,34ss par.). Lo stato di verginità fa quindi conoscere in modo eccellente il vero volto della Chiesa. Come le vergini prudenti, i cristiani vanno incontro a Cristo, loro sposo, per partecipare con lui al banchetto delle nozze (Mt 25,1-13). Nella Gerusalemme celeste, tutti gli eletti sono chiamati vergini (Ap 14,4), perché hanno rifiutato la prostituzione dell’idolatria, ma soprattutto perché ora sono interamente dediti a Cristo: con una docilità totale, «seguono l’agnello dovunque vada » (cfr. Gv 10, 4. 27). Appartengono ormai alla città celeste, la sposa dell’agnello (Ap 19,7.9; 21,9).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Stolti e saggi, tutti sono invitati a partecipare alle nozze, tutti vanno incontro al Signore, ma occorre l’olio della vigilanza per non essere colti dal sonno colpevole della infedeltà.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

31 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Vegliate e tenetevi pronti, perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24,42a.44).

Ortensio Da Spinetoli (Matteo): Il discorso sulla vigilanza è la definitiva risposta che Gesù dà ai suoi sul tempo della syntéleia-parusia. Poiché non è possibile conoscere in anticipo la data, né graduarne la venuta non vi è che tenersi desti per qualsiasi momento.
Il discorso non è rivolto ai giudei ma ai discepoli. Il comportamento del popolo giudaico è ridato nella similitudine precedente. Come ai tempi del diluvio gli uomini vivevano nella spensieratezza e nella dimenticanza del creatore, la stessa cosa si ripeterà al sopraggiungere della catastrofe giudaica. Gli abitanti della città santa saranno sorpresi e stretti irreparabilmente dai nemici. I cristiani fidandosi della parola del Signore, al primo allarme di guerra, debbono cercare riparo nella fuga. La nuova parabola ribadisce la repentinità del castigo e la necessità della vigilanza. Gesù annuncia la sua parusia come un’incursione ladresca, allo stesso modo che al v. 28 e 37 l’ha paragonata alla «folgore» e alle acque del diluvio. Si tratta di una visita in collera, di un intervento punitivo e non di un incontro amichevole.


Catechismo della Chiesa Cattolica

La morte

CCC 1021 La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo (2Tm 1,9-10). Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro (Lc 16,22) e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone (Lc 23,43) così come altri testi del Nuovo Testamento (2 Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23) parlano di una sorte ultima dell’anima (Mt 16,26) che può essere diversa per le une e per le altre.


Catechismo degli Adulti

La morte nella nostra cultura

1185 Da sempre la morte è guardata con rispetto e timore, perché radicalmente contraria all’istinto di conservazione. Oggi, come fenomeno generale, è oggetto di attenzione e di curiosità; a volte la si banalizza, mostrandola crudamente per televisione. Si evita invece come un tabù il discorso sulla propria morte e quindi anche la domanda sul senso della propria vita. Come se non ci riguardasse da vicino!
Quanto all’aldilà, circolano molti dubbi. Nel nostro paese numerose persone, pur credendo in Dio, dichiarano di non credere nella sopravvivenza, nella risurrezione, nel paradiso, nell’inferno. Ci si preoccupa più della sofferenza, che di solito precede la morte, che non delle realtà che vengono dopo di essa. Si considera addirittura preferibile una morte improvvisa, non consapevole. Invece il vero cristiano desidera innanzitutto rendere preziosa la propria morte.

372 Il male ci investe da ogni parte, in molte forme: disgrazie, violenze, malattie, miseria, oppressione, ingiustizia, solitudine, morte. Non possiamo evitare la domanda: da che cosa dipende questa infelice situazione? perché l’uomo è soggetto alla sofferenza?
Molti mali derivano senz’altro dai limiti naturali, dall’inserimento nel mondo. Partecipando a un processo evolutivo globale, l’uomo nasce, si trasforma e muore come gli altri esseri della natura. Può ricevere la vita solo a frammenti. La precarietà della condizione creaturale viene poi aggravata da innumerevoli colpe personali, che procurano più o meno direttamente una infinità di guai, a sé e agli altri: basti ricordare i danni recati alla salute, le storture della convivenza sociale, le guerre. A sua volta la propensione dell’uomo a peccare, secondo la concezione biblica, dipende sia dall’influsso di Satana e dei demòni, sia da una misteriosa solidarietà nel peccato, che coinvolge tutta l’umanità fin dalle origini della sua storia.

373 Questa solidarietà negativa non solo inclina a commettere i peccati personali, che causano molte sofferenze, ma impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura. Molte volte, più che il soffrire pesa il soffrire inutilmente, senza un significato. L’universale alienazione da Dio priva l’animo della forza e della gioia, che deriverebbero da un’intensa comunione con lui e sarebbero capaci di riempire e trasfigurare le stesse esperienze dolorose.

374 Secondo l’intenzione del Creatore, l’uomo dovrebbe vivere in un paradiso terrestre, in una condizione di perfetta armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. L’offerta originaria della grazia includeva i doni dell’integrità e dell’immortalità. L’amicizia con Dio sarebbe stata così intima e tangibile da orientare con facilità al bene tutte le energie e le tendenze spontanee e da preservare dalla sofferenza e dalla morte angosciosa, come noi attualmente la sperimentiamo. Purtroppo questa condizione è stata perduta a causa del peccato.

La morte del cristiano

1189 Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini.
Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.


Lumen gentium

Morte senza Dio e disperazione finale

16 Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch’essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. In primo luogo quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio non e neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr. At 1,7,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: «Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), mette ogni cura nell’incoraggiare e sostenere le missioni.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Gli uomini vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

30 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Voi colmate la misura dei vostri padri» (Mt 23,32).

Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): Settima invettiva: uccisori degli inviati di Dio. Con un’ironia penetrante e con una logica avvolgente Gesù prova che gli Scribi ed i Farisei sono i discendenti di coloro i quali hanno perseguitato ed ucciso gli inviati di Jahweh (cfr. 21,35-36).
Essi continuano ancora nella linea tracciata dai loro padri. anzi ne colmano la misura. Gli Ebrei non sono condannati perché erigono sepolcri ai profeti ed ai giusti, ma per i loro intenti omicidi e sanguinari che non rimangono nascosti alla loro coscienza, né allo sguardo di Cristo. I Farisei ammettono di essere discendenti di coloro che hanno ucciso dei profeti e dei giusti, ma vogliono allontanare da sé ogni responsabilità. Questo sforzo di scagionarsi è inutile, perché essi appaiono degni dei loro padri. Voi colmate la misura … altri codici leggono: colmerete; avete colmato. Le parole del Maestro lasciano profondamente impressionato il lettore: gli antenati dei Farisei hanno ucciso gli inviati di Jahweh (cfr. Mt 21,35-36), gli Ebrei della presente generazione colmano la misura dei padri uccidendo il Figlio di Dio.


Ilario di Poitiers (Commento al Vangelo di Matteo): Guai a voi scribi e Farisei ipocriti che edificate i sepolcri dei profeti ecc… La forma del giudizio è chiara e a ciascuno di noi è concesso dalla natura un senso e un’opinione di equità, perché l’opera di iniquità sia meno perdonabile in proporzione di quanto è stata riconosciuta l’equità. Il popolo della legge infatti ha ucciso tutti i profeti· egli si è infiammato contro di essi a causa dell’asprezza delle loro rampogne; infatti pubblicamente riprendevano i furti, le stragi, gli adulteri e i sacrilegi. E poiché lo ritenevano indegno del regno dei cieli per queste opere e predicevano come eredi del testamento di Dio i pagani che si sarebbero convertiti, furono ritenuti degni di vario genere di pena. Ma i discendenti detestarono talmente le azioni dei loro antenati, da venerare i libri dei profeti, da ornarli di memorie, da restaurare i loro sepolcri da attestare di essere fuori della colpa dei delitti paterni con tale comportamento.
Coloro quindi che riconoscono che fu un sacrilegio gravissimo aver ucciso i profeti, quale perdono avranno per aver ucciso il Cristo, che è la realizzazione dei profeti, dal momento che essi raddoppiano il loro delitto compiendo ciò che essi detestano?
E per questo sono anche chiamati serpenti e razza di vipere perché completeranno la misura della volontà dei padri. E come potranno sfuggire il giudizio, detestando il massacro dei profeti e mandando il Signore alla morte di croce? Sopra di essi per causa degli apostoli uccisi, lapidati, crocifissi ed esiliati e che sono stati profeti per la rivelazione del futuro, saggi per la conoscenza del Cristo, scribi per l’intelligenza della legge, è ricaduto tutto il sangue di questi, da Abele a Zaccaria. Se si fosse obbedito ad essi si sarebbe ottenuto il perdono dei propri crimini. Dal giorno in cui sono stati uccisi perciò sopra coloro che li hanno uccisi si sarebbero accumulati anche i crimini dei loro padri.


Catechismo degli Adulti

1199  Il giudizio opera già in questo mondo, ma va verso un momento supremo: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2Cor 5,10). È il giudizio definitivo, che per le singole persone avviene al termine della vita terrena (“giudizio particolare”) e per il genere umano, nel suo insieme, al termine della storia (“giudizio universale”).

Salvezza totale e perdizione totale

1215 Nel corso dei secoli il magistero della Chiesa ha proclamato molte volte la fede nella risurrezione dei morti e nel giudizio universale. Così si esprime il concilio Lateranense IV: «Gesù Cristo... verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le proprie opere, sia ai reprobi che agli eletti. Tutti risorgeranno con i propri corpi, gli stessi di adesso, per ricevere ciascuno secondo le loro opere, cattive o buone, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri con Cristo la gloria eterna».
1216 A ben riflettere, risurrezione di vita e risurrezione di condanna sembrano coincidere con il giudizio universale, in quanto significano la salvezza e la perdizione dell’uomo nella sua totalità, comprese le dimensioni comunitaria e cosmica. Si tratta di un solo avvenimento, conclusivo della storia umana, l’ora della messe. Il corpo è capacità di presenza agli altri e al mondo; risurrezione dei morti nel proprio corpo significa dunque suprema attuazione di questa capacità di presenza, per i giusti a loro maggiore perfezione e felicità, per i reprobi a loro maggiore umiliazione. Questi si sentiranno lacerati e oppressi in tutta la loro personalità; quelli, nella comunione con Dio e tra loro, dispiegheranno una mirabile creatività, senza più ansia, fatica e lotta. La vittoria di Dio sarà la completa attuazione del suo disegno di amore.


Catechismo della Chiesa Cattolica

Il Giudizio finale

1038 La risurrezione di tutti i morti, “dei giusti e degli ingiusti” (At 24,15), precederà il Giudizio finale. Sarà “l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’Uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29). Allora Cristo “verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli... E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,31-33.46).

1039 Davanti a Cristo che è la Verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il Giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena:
«Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3)... egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: “Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me».

1040 Il Giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il Giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte.

1041 Il messaggio del Giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini “il momento favorevole, il giorno della salvezza” (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del Regno di Dio. Annunzia la “beata speranza” (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale “verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto” (2Ts 1,10).


 Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Il messaggio del Giudizio finale chiama alla conversione… Ispira il santo timor di Dio.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

29 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10).


Il martirio di san Giovanni Battista: Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): L’episodio è un buon esempio di composizione drammatica. In un primo quadro (vv. 17-20) vengono presentati i personaggi in scena e l’azione si avvia. Il primo attore del dramma è Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande: all’epoca di Gesù, egli regna sulla Galilea. Il secondo è Filippo, fratello dello stesso Antipa. E il terzo - ma non il meno importante, come vedremo - è Erodiade: nipote di Erode il Grande, essa ha dapprima sposato Filippo, suo zio, poi ha sedotto Erode Antipa, suo cognato. Giovanni Battista è imprigionato per aver rimproverato al re il suo adulterio. Era un’audacia incredibile da parte del profeta, che si era così attirato l’odio omicida della donna infedele (vv. 19-20). Ma nella sua furiosa invidia criminale, Erodiade urta contro l’ammirazione timorata che il sovrano porta al profeta.
Un secondo quadro - divenuto celebre (vv. 21-28)­ districherà questa situazione che assomiglia a un vicolo cieco. L’episodio avrà come protagonista la stessa figlia di Erodiade (v. 22a). Dallo storico giudaico dell’epoca, Giuseppe Flavio, sappiamo che la fanciulla si chiamava Salomè. La promessa di Erode (v. 23), questo giuramento così sconsiderato, è in perfetta linea con le usanze dei sovrani orientali. I giochi sono fatti (vv. 24-26). La richiesta di Salomè getta il re in piena tragedia: egli è profondamente lacerato tra la sua folle promessa, fatta di fronte a un pubblico scelto (i grandi dignitari della corte), e la sua considerazione personale per il profeta. La decapitazione di Giovanni Battista, la sua testa offerta su un piatto all’istigatrice dell’assassinio, sigilla in modo macabro un crimine odioso (vv. 27-28). I discepoli di Giovanni provvedono poi alla sepoltura del loro venerato maestro (v. 29).
Questo racconto, nella sua cinica crudeltà e nella sua brutale eloquenza, ha una reale suggestiva potenza; senza mai fare allusione a Gesù, lo riguarda chiaramente.
Il profeta gettato in prigione, poi brutalmente ucciso e seppellito dai suoi amici, fa pensare al destino che attende lo stesso Gesù: la sua passione, morte e sepoltura sono qui prefigurate.


Catechismo della Chiesa Cattolica

522 La venuta del Figlio di Dio sulla terra è un avvenimento di tale portata che Dio lo ha voluto preparare nel corso dei secoli. Riti e sacrifici, figure e simboli della “Prima Alleanza” (Eb 9,15), li fa convergere tutti verso Cristo; lo annunzia per bocca dei profeti che si succedono in Israele; risveglia inoltre nel cuore dei pagani l’oscura attesa di tale venuta.

523 San Giovanni Battista è l’immediato precursore del Signore, mandato a preparargli la via. “Profeta dell’Altissimo” (Lc 1,76), di tutti i profeti è il più grande e l’ultimo; egli inaugura il Vangelo; saluta la venuta di Cristo fin dal seno di sua madre e trova la sua gioia nell’essere “l’amico dello sposo” (Gv 3,29), che designa come “l’Agnello di Dio... che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Precedendo Gesù “con lo spirito e la forza di Elia” (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio.

524 La Chiesa, celebrando ogni anno la Liturgia dell’Avvento, attualizza questa attesa del Messia: mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta del Salvatore, i fedeli ravvivano l’ardente desiderio della sua seconda venuta. Con la celebrazione della nascita e del martirio del Precursore, la Chiesa si unisce al suo desiderio: “egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30).


Benedetto XVI (Udienza Generale 29 Agosto 2012)

San Giovanni Battista

Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo [di Giovanni il Battista ndr] in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3,4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1,29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).
Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che a Cristo tuo Figlio hai dato come precursore, nella nascita e nella morte, san Giovanni Battista, concedi anche a noi di impegnarci generosamente nella testimonianza del tuo Vangelo, come egli immolò la sua vita per la verità e la giustizia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

28 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla» (Mt 23,116).

Ilario di Poitiers, Commento al Vangelo di Matteo (cap. 24,6)

Guai a voi ciechi...

Guai a voi ciechi che dite: Chiunque avrà giurato per il tempio, non è nulla. Egli rimprovera il rispetto delle osservanze umane e il disprezzo dell’insegnamento profetico, perché davano importanza a cose vane e disprezzavano cose rispettabili. Egli stesso infatti aveva dato la Legge e la legge non conteneva la realtà, ma preparava la realizzazione. Infatti non è dal culto che la decorazione dell’altare e del tempio prendevano il loro prestigio, ma la loro bellezza derivava dalle cose future. Infatti c’è un contenuto proprio nell’oro, nell’argento, nel bronzo. nell’oro lavorato, nelle perle, nel cristallo, secondo la natura di ciascun cristallo. L’accusa quindi di venerare l’oro del tempio e i doni fatti all’altare come un culto reso a degli oggetti rituali, quando l’omaggio dovuto all’altare e al tempio avrebbe maggior valore, si spiega perché l’oro non era dedicato al tempio e il dono era dato all’altare come immagine delle cose future; e perciò venendo Cristo, era inutile la fiducia nella legge, perché il Cristo non è nella legge, ma la legge sarebbe stata santificata nel Cristo che si era costruito in essa come una sede e un trono. Colui poi che è ritenuto consacrato è necessario che in lui sia una disposizione che accetti un carattere dall’alto. Cosi essi sono ciechi e stolti, per venerare degli oggetti santificati disprezzando colui che li santifica (cfr. Mt 23,17-19)


Ortensio Da Spinetoli, Matteo

Le invettive

Tutto il rammarico e l’indignazione di Gesù ... contro gli scribi e i farisei sono racchiusi in questi sette (il numero preferito dall’evangelista) capi di accusa, dove sono raccolte le più notorie contraddizioni del giudaismo ufficiale al tempo di Cristo.
La colpa imperdonabile degli scribi e dei farisei è quella di aver impedito ai propri connazionali l’accesso al regno (v. 13). Quali capi spirituali della nazione spettava ad essi preparare gli animi alla venuta del messia e condurvi il popolo. Invece non vi sono entrati e hanno distolto gli altri dall’entrarvi (vv. 13-14). Zelanti ricercatori di proseliti dal mondo pagano non si accorgono, una volta che li hanno trovati e catechizzati, di renderli il doppio peggiori di loro (v. 15). Il fanatismo dei neofiti e in genere dei convertiti può essere più ostinato e più pericoloso di quello dei veterani. Ignorano il valore delle prescrizioni che impongono agli altri o le accomodano per loro interesse. Non hanno neanche le disposizioni della più elementare religiosità (v. 16-22): osservano scrupolosamente la legge delle decime e la estendono anche ai minimi prodotti e trascurano i gravi comandamenti della giustizia (vv. 23-24); cercano di apparire più che essere giusti, sono come i piatti puliti al di fuori, ma dentro conservano ancora i rifiuti (vv. 25-26); o addirittura sono come i monumenti sepolcrali, splendidi e ornati all’esterno, dentro pieni di immondezze (vv. 27-28). Custodiscono pietosamente le tombe dei profeti morti e perseguitano ingiustamente quelli vivi (vv. 29-31). Per questo hanno colmato la misura della propria colpa, già traboccante a motivo delle infedeltà dei loro padri.


Catechismo degli Adulti

Gli avversari

225 I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto, erano in genere sempre più ostili verso di lui e consideravano religiosamente deviante la sua attività, anche se egli frequentava le sinagoghe e il tempio, e si comportava ordinariamente come un giudeo devoto.
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione. Secondo costoro, Gesù sovvertiva la Legge, violava il sabato, praticava la magia con la forza del demonio per sviare il popolo. Per questi reati era prevista la pena di morte, mediante lapidazione.
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.


Basilio Caballero, La parola per ogni giorno (Commento al Lezionario feriale)

2. II nuovo atteggiamento farisaico

L’atteggiamento farisaico e ritualistico, che falsifica l’immagine di Dio e la religione, non muore tanto facilmente. Vediamo ancora oggi persone che vivono una religione mercificata, senza entusiasmo né generosità, senza gioia né apertura. Questo è il culto vuoto che onora Dio con le labbra mentre il cuore è lontano; che si aggrappa alla sicurezza di «ciò che si è sempre fatto» e non dà ascolto alla voce dei tempi per paura dei venti nuovi; che preferisce il tradizionalismo a oltranza e chiude la finestra alla brezza fresca che arieggia vestiti e mobili vecchi.
Se vogliamo essere discepoli di Gesù e cristiani maturi, non possiamo intendere la fede come semplice assenso intellettuale ad alcune verità rivelate da Dio, né come un semplice modo di pensare, e tanto meno come un’ideologia alienante. La fede è una forza attiva e dinamica che, lungi dal limitarsi alla sfera soprannaturale, ha una proiezione terrena e s’incarna nella prosaica realtà di ogni giorno. Per essere fedeli alla parola di Dio, la risposta dell’uomo, cioè la fede, deve farsi azione. Fede e amore verso Dio e verso il prossimo devono andare insieme.
Sfortunatamente, molti considerano il cristianesimo come mera ideologia, quando in realtà è prassi. Questa concezione dà origine alla forma più abituale di ipocrisia religiosa, il divorzio tra la fede e la vita, tra ciò che si crede e ciò che si fa, tra il pensare, il dire e il fare.
Il concilio II lamentò questo fatto deleterio, fonte di testimonianza evangelica negativa e causa di ateismo e incredulità, per le critiche, le accuse e il rifiuto che tale atteggiamento ipocrita genera. È terribile questa affermazione del concilio: spesso i credenti nascondono, invece di manifestare, il genuino volto di Dio (GS 9,3). Esaminiamoci a fondo, oggi, sulla nostra realtà e sulla nostra immagine.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Spesso i credenti nascondono, invece di manifestare, il genuino volto di Dio.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Suscita sempre nella tua Chiesa, Signore,  lo spirito che animò il tuo vescovo Agostino, perché anche noi, assetati della vera sapienza, non ci stanchiamo di cercare te, fonte viva dell’eterno amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo.