30 APRILE 2024
MARTEDÌ DELLA V SETTIMANA DI PASQUA
At 14,19-28; Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145); Gv 14,27-31a
Colletta
O Padre, che nella risurrezione di Cristo tuo Figlio
ci rendi creature nuove per la vita eterna,
dona a noi, tuo popolo, di perseverare nella fede e nella speranza,
perché non dubitiamo che si compiano le tue promesse.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Compito immenso - Pacem in Terris 87. A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio.
88. Certo, coloro che prestano la loro opera alla ricomposizione dei rapporti della vita sociale secondo i criteri sopra accennati non sono molti; ad essi vada il nostro paterno apprezzamento, il nostro pressante invito a perseverare nella loro opera con slancio sempre rinnovato. E ci conforta la speranza che il loro numero aumenti, soprattutto fra i credenti. È un imperativo del dovere; è un’esigenza dell’amore. Ogni credente, in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa: e tanto più lo sarà, quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con Dio.
Infatti non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi, se cioè ognuno non instaura in se stesso l’ordine voluto da Dio. “Vuole l’anima tua - si domanda sant’ Agostino - vincere le tue passioni? Sia sottomessa a chi è in alto e vincerà ciò che è in basso. E sarà in te la pace: vera, sicura, ordinatissima. Qual è l’ordine di questa pace? Dio comanda all’anima, l’anima al corpo; niente di più ordinato”.
Prima Lettura: Gli Apostoli sono entrati nella piena comprensione della misteriosa fecondità della Croce: «Esortando [i discepoli] a restare saldi nella fede, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio». Questa affermazione non soltanto denuncia un tempo di persecuzione, ma anche l’accettazione di quella logica, tutta divina, del chicco di grano che deve cadere in terra per morire e così portare frutto (cfr. Gv 12,24). Il buon esito della missione è comunque da addebitare sempre al Risorto che «confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16,20).
Tra i prodigi quello di aprire la porta della fede anche ai pagani. Per grazia di Dio, cadeva così ogni muro frammezzo (politico, sociale, religioso) che divideva i popoli (Ef 2,14). I frutti della Pasqua e dello Spirito nelle prime comunità, «quasi sorprendono gli stessi apostoli. L’esperienza abbraccia anche “le tribolazioni”, che segnano inevitabilmente l’itinerario della missione ma ne costituiscono anche il segreto della fecondità [...]. Ciò che è toccato a Cristo e ai primi evangelizzatori, tocca ora a tutti i credenti [...]. Annuncio e testimonianza di fede vera e fattuale, comportano contrasti e persecuzioni per tutti. È la Pasqua vissuta a livello personale e comunitario» (Valerio Mannucci).
Vangelo
Vi do la mia pace.
Gesù dona ai suoi discepoli la sua pace che è la salvezza escatologica (Cf. Is 52,7): «Gesù fa dono ai suoi discepoli della pace degli ultimi tempi per tutta la durata della storia, quali ne siano le prove» (Alain Marchadour). La pace che Gesù dona ai suoi amici (Cf. Gv 15,15) non è la pace del mondo.
La pace che Gesù dona agli Apostoli è sinonimo di gioia, di felicità perfetta, di liberazione: in una parola, è la salvezza; per questo la pace donata da Gesù mette in fuga da ogni cuore turbamenti e inquietudini. In questa prospettiva i credenti non possono cedere allo scoramento o alla paura. La pace di Gesù ha profonde radici nella sua risurrezione: nasce dalla certezza che Gesù ha già vinto il mondo (Cf. Gv 16,33) e con la sua morte ha vinto la morte e «colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,14).
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,27-31a
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».
Parola del Signore.
Credere all’amore 14,27-31 - Marida Nicolaci (Vangelo secondo Giovanni): La differenza tra Gesù e il mondo, tra l’identità amante di Dio rivelata da Gesù e la modalità violenta e abusiva del mondo, è ciò che conduce Gesù alla passione e alla morte. Gesù non viene condannato a morte perché ha agito nel mondo secondo le logiche di potere del mondo: chi lo governa, e dalla sua morte sarà giudicato e detronizzato, non può trovare in Gesù motivo alcuno di accusa e di condanna (cf 8,46; 12,31). Se Gesù si lascia consegnare e accetta di morire è perché il mondo possa comprendere e riconoscere in lui la differenza tra il regno di Dio e il mondo, tra l’amore del Padre e la violenza. Sullo sfondo della sofferenza ormai imminente e della separazione non più procrastinabile a lungo (vv. 30-31), le parole che sigillano il discorso sull’«andarsene» di Gesù sono, quindi, di nuovo parole di incoraggiamento, rassicurazione e conforto. La morte di Gesù, come la morte del Servo, è strumento di «pace» per i credenti (Is 53,5; 54,10.13): non una pace costruita mediante il dominio violento degli uni sugli altri, ma la pienezza di vita, di comunione e di bene prodotta dal risanamento profondo delle ferite che il mondo infligge. Fondati sulla parola sicura di Gesù i discepoli possono ancora amarlo e credere al suo amore scoprendo nella sua morte non la fine di tutto ma la via al Padre, via della vita che porterà loro gioia e pace senza fine (cf 16,20-23).
La pace, felicità perfetta - Xavier Leon Dufour (Dizionario di Teologia Biblica): Per apprezzare nel suo pieno valore la realtà indicata dalla parola, occorre sentire il sapore locale che sussiste nell’espressione semitica sin nella sua concezione più spirituale, e nella Bibbia sin nell’ultimo libro del NT.
1. Pace e benessere. - La parola ebraica šalôm deriva da una radice che, secondo i suoi usi, designa il fatto di essere intatto, completo (Giob 9, 4), ad es. terminare una casa (1 Re 9, 25), o l’atto di ristabilire le cose nel loro stato primitivo, nella loro integrità, ad es. «pacificare» un creditore (Es 21, 34), compiere un voto (Sal 50, 14). Perciò la pace biblica non è soltanto il «patto» che permette una vita tranquilla, né il «tempo della pace» in opposizione al «tempo della guerra» (Eccle 3, 8; Apoc 6, 4); designa il benessere dell’esistenza quotidiana, lo stato dell’uomo che vive in armonia con la natura, con se stesso, con Dio; in concreto è benedizione, riposo, gloria, ricchezza, salvezza, vita.
2. Pace e felicità. - «Essere in buona salute» ed «essere in pace» sono due espressioni parallele (Sal 38, 4); per domandare come sta uno, se sta bene, si dice: «È in pace?» (2Sam 18, 32; Gen 43, 27); Abramo che morì in una vecchiaia felice e sazio di giorni (Gen 25, 8) se ne andò in pace (Gen 15, 15; cfr. Lc 2, 29). In senso più largo, la pace è la sicurezza. Gedeone non deve più temere la morte dinanzi alla apparizione celeste (Giud 6, 23; cfr. Dan 10, 19); Israele non ha più da temere i nemici, grazie a Giosuè vincitore (Gios 21, 44; 23, 1), a David (2 Sam 7, 1), a Salomone (1 Re 5, 4; 1 Cron 22, 9; Eccli 47, 13). Infine la pace è concordia in una vita fraterna: il mio familiare, il mio amico, è «l’uomo della mia pace» (Sal 41, 10; Ger 20, 10); è mutua fiducia sanzionata sovente da una alleanza (Num 25, 12; Eccli 45, 24) o da un trattato di buona vicinanza (Gios 9, 15; Giud 4, 17; 1 Re 5, 26; Lc 14, 32; Atti 12, 20).
3. Pace e salvezza. - Tutti questi beni materiali e spirituali sono compresi nel saluto, nell’augurio di pace (in arabo, il salamelecco) mediante il quale, nel VT e nel NT, si dice «buon giorno», ed «addio», sia nella conversazione (Gen 26, 29; 2 Sam 18, 29), sia nelle lettere (ad es. Dan 3, 98; Filem 3). Ora, se è conveniente augurare la pace o porsi la domanda circa le disposizioni pacifiche del visitatore (2 Re 9, 18), si è perché la pace è uno stato da conquistare o da difendere; è vittoria su un qualche nemico. Gedeone od Achab sperano di ritornare in pace, cioè vincitori della guerra (Giud 8, 9; 1 Re 22, 27 s); allo stesso modo si augura il successo di una esplorazione (Giud 18, 5 s), il trionfo sulla sterilità di Anna (1 Sam 1, 17), la guarigione delle ferite (Ger 6, 14; Is 57, 18 s); infine si offrono «sacrifici pacifici» (salutaris hostia) che significano la comunione tra Dio e l’uomo (Lev 3, 1).
4. Pace e giustizia. - Infine la pace è ciò che è bene in opposizione a ciò che è male (Prov 12, 20; Sal 28, 3; cfr. Sal 34, 15). «Non c’è pace per i malvagi» (Is 48, 22), viceversa, «guardare l’uomo giusto: c’è una posterità per l’uomo di pace» (Sal 37, 37); «gli umili possederanno la terra e gusteranno le delizie di una pace senza fine» (Sal 37, 11; cfr. Prov 3, 2). La pace è la somma dei beni accordati alla giustizia: avere una terra fertile, mangiare a sazietà, abitare in sicurezza, dormire senza timore, trionfare dei propri nemici, moltiplicarsi, e tutto questo in definitiva perché Dio è con noi (Lev 26, 1-13). Lungi, quindi, dall’essere soltanto una assenza di guerra, la pace è pienezza della felicità.
Alessandro Pronzato: Nel discorso d’addio (Vangelo), Gesù assicura la sua presenza attraverso la Parola.
« Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui ».
Ossia, l’osservanza della Parola, come risposta al suo amore, determina la presenza di Gesù e del Padre nel credente.
L’immagine usata (la « dimora ») richiama un contesto familiare, e accentua l’aspetto di comunione di vita.
C’è, comunque, un movimento in due sensi. L’uomo si avvicina a Gesù, Ma Gesù, precedentemente, si è fatto vicino all’uomo,
E sarà bene non dimenticare che l’osservanza della Parola significa, prima di tutto, la pratica del comandamento della carità fraterna.
Ma si rende necessario l’intervento di un terzo Personaggio: « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che vi ho detto ».
Soltanto lo Spirito permette di comprendere totalmente, approfondire e assimilare il messaggio di Gesù. Senza il suo soccorso, il singolo credente e la comunità non potranno mai penetrare la parola di Gesù. Il vero maestro della Chiesa è lo Spirito Santo.
L’azione dello Spirito rende possibile la pienezza di vita nell’amore.
Secondo questo testo, perciò, l’esistenza del credente è partecipazione alla vita stessa di Dio, alla vita della Trinità. È comunione, nell’amore, con ciascuna delle persone divine.
Gesù si accomiata dai suoi con l’augurio tipico degli Israeliti: « Vi lascio la pace, vi dò la mia pace ». Però precisa: « non come la dà il mondo, io la dò a voi ». La sua è una pace diversa.
E anche la sua partenza è diversa. Se ne va. E, tuttavia, non sarà assente.
I discepoli, quindi, non hanno alcun motivo di inquietudine e turbamento.
La pace è la tranquillità dell’ordine: «Perciò, la pace del corpo è l’armonico concatenamento delle sue parti; la pace dell’anima irrazionale è la quiete ben regolata dei suoi appetiti; la pace dell’anima razionale è l’accordo ben ordinato di pensiero e azione; la pace dell’anima e del corpo è la vita e la sanità ben ordinate dell’essere animato; la pace dell’uomo mortale con Dio è l’obbedienza ben ordinata nella fede sotto la legge eterna; la pace degli uomini è la loro ordinata concordia; la pace della casa è la concordia unanime dei suoi abitanti nel comandamento e nell’obbedienza; la pace della città è la concordia ben ordinata dei cittadini nella legge e nell’obbedienza; la pace della città celeste è la comunità perfettamente ordinata e perfettamente armonica nel godimento di Dio e nella mutua gioia in Dio; la pace di tutte le cose è la tranquillità dell’ordine. L’ordine è la disposizione di esseri eguali e ineguali, che stabilisce a ciascuno il posto che gli conviene» (Agostino, De civit. Dei, 19, 13).
Il Santo del giorno - 30 Aprile 2024 - San Pio VI Papa (dal 17/1/1566 al 1/05/1572): Antonio Michele Ghislieri, religioso domenicano, creato vescovo e cardinale, svolse compiti di alta responsabilità nella Chiesa. Divenuto papa col nome di Pio V, operò per la riforma della Chiesa in ogni settore, sulle linee tracciate dal Concilio tridentino. Pubblicò i nuovi testi del Messale (1570), del Breviario (1568) e del catechismo romano. Preoccupato delle mire geopolitiche dei turchi, promosse la «Lega Santa» dei principi cristiani contro la mezzaluna, unendosi in alleanza con Genova, Venezia e Spagna. Le forze navali della Lega si scontrarono, il 7 ottobre 1571, con la flotta ottomana nelle acque al largo di Lepanto, riportando una memorabile vittoria, che si verificò grazie, soprattutto, alla crociata di Rosari che erano stati recitati per ottenere l’aiuto divino. La vittoria venne comunicata “in tempo reale”: Pio V ebbe, infatti, una visione, dove vide cori di Angeli intorno al trono della Beata Vergine che teneva in braccio il Bambino Gesù e in mano la Corona del Rosario. Dopo l’evento prodigioso - era mezzogiorno - il Papa diede ordine che tutte le campane di Roma suonassero a festa e da quel giorno viene recitato l’Angelus a quell’ora. Due giorni dopo un messaggero portò la notizia dell’avvenuto trionfo delle forze cristiane. Il 7 ottobre del 1571 venne celebrato il primo anniversario della vittoria di Lepanto con l’istituzione della «Festa di Santa Maria della Vittoria», successivamente trasformata nella «Festa del Santissimo Rosario». Morì il primo maggio del 1572. La sua salma riposa nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.
Ci riempia di gioia, o Signore,
la partecipazione ai tuoi sacramenti
e nella tua benevolenza concedi che il dono ricevuto
ci spinga a servire con ardente carità la Chiesa e gli uomini.
Per Cristo nostro Signore.