1 Marzo 2021
 
Lunedì II Settimana di Quaresima
 
Dn 9,4b-10; Sal 78 (79); Lc 6,36-38
 
Il Santo del Giorno - Martirologio Romano: Nella città di Xilinxian nella provincia del Guangxi in Cina, sant’Agnese Cao Kuiying, martire, che, già sposata con un marito violento, dopo la morte di questi si dedicò per mandato del vescovo all’insegnamento della dottrina cristiana e, messa per questo in carcere e patiti crudelissimi tormenti, confidando sempre in Dio migrò al banchetto eterno.  
 
Colletta: O Dio, che hai ordinato la penitenza del corpo come medicina dell’anima, fa’ che ci asteniamo da ogni peccato per avere la forza di osservare i comandamenti del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Dives in Misericordia 15: La Chiesa proclama la verità della misericordia di Dio rivelata in Cristo crocifisso e risorto, e la professa in vari modi. Inoltre, essa cerca di attuare la misericordia verso gli uomini attraverso gli uomini, vedendo in ciò un’indispensabile condizione della sollecitudine per un mondo migliore e «più umano», oggi e domani. Tuttavia, in nessun momento e in nessun periodo storico - specialmente in un’epoca così critica come la nostra - la Chiesa può dimenticare la preghiera che è grido alla misericordia di Dio dinanzi alle molteplici forme di male che gravano sull’umanità e la minacciano. Proprio questo è il fondamentale diritto-dovere della Chiesa, in Cristo Gesù: è il diritto dovere della Chiesa verso Dio e verso gli uomini. Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola «misericordia», quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha il diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia «con forti grida». Queste «forti grida» debbono essere proprie della Chiesa dei nostri tempi, rivolte a Dio per implorare la sua misericordia, la cui certa manifestazione essa professa e proclama come avvenuta in Gesù crocifisso e risorto, cioè nel mistero pasquale. È questo mistero che porta in sé la più completa rivelazione della misericordia, cioè di quell’amore che è più potente della morte, più potente del peccato e di ogni male, dell’amore che solleva l’uomo dalle abissali cadute e lo libera dalle più grandi minacce.
L’uomo contemporaneo sente queste minacce. Ciò che a tale riguardo è stato detto sopra è soltanto un semplice abbozzo. L’uomo contemporaneo si interroga spesso, con profonda ansia, circa la soluzione delle terribili tensioni che si sono accumulate sul mondo e si intrecciano in mezzo agli uomini. E se talvolta non ha il coraggio di pronunciare la parola «misericordia», oppure nella sua coscienza, priva di contenuto religioso, non ne trova l’equivalente, tanto più bisogna che la Chiesa pronunci questa parola, non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei.
 
I Lettura: Israele, per bocca di Daniele, confessa il suo peccato. Una accorata e umile preghiera, sincera e appassionata, ma venata di certa speranza: Dio è misericordioso e largamente perdona. La gioia ritornerà a splendere sul volto degli esiliati, i passi di uomini liberi si muoveranno nuovamente verso Gerusalemme, la città santa. Un ritorno ritmato dalla danza e dal canto gioioso di chi ha ritrovato la libertà.
 
Vangelo: Sembra che Gesù voglia sovvertire le regole che noi riteniamo giuste, le uniche capaci di costruire la convivenza. Non è questa l’intenzione del Maestro divino, con il suo insegnamento Gesù vuol suggerire semplicemente che la legge dell’amore esce da ogni schema di reciprocità e tende alla gratuità, al dono. Il criterio della giustizia per Gesù è molto diverso dal nostro, per Gesù il metro per misurare è il comportamento del Padre, il cui amore per l’uomo è gratuito e universale, benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi (Lc 6,35). Tutto il discorso sulla nuova giustizia viene riassunto con l’espressione: Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36). La misericordia è l’amore ostinato, che non conosce l’usura del tempo e rimane immutato e saldo anche se non corrisposto, addirittura anche se tradito. È quando si condividono gli stessi comportamenti del Padre che si dimostra - prima a se stessi che agli altri - di essere veramente figli di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Luca 6,36-38: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». 

Perché l’uomo possa affrancarsi dal giogo del peccato, Gesù indica esplicitamente due strade. Innanzi tutto, guardare al Padre, - Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre -; guardare a Lui, fissare gli occhi sul suo cuore: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Poi, offrire il proprio corpo marcio alla incisione del divino chirurgo perché il pietoso medico possa incidere la carne in putrefazione e fare sprizzare il pus che avvelena il cuore e la mente dell’uomo. Perché nulla resti nel campo della teoria, Gesù chiede praticamente che l’uomo, vincendo se stesso, ami i suoi nemici; domanda di fare del bene e prestare senza sperare nulla in contraccambio; di essere misericordioso, di non giudicare, di non condannare, di perdonare, di dare abbondantemente: proposte tutte terribilmente concrete, opere che attraversano il quotidiano dell’uomo: «Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo» (Rom 10,8). Cristo non chiede cose spirituali o straordinarie, come la penitenza o la mortificazione, ma atteggiamenti concreti: la capacità nobile di relazionarsi con il prossimo; una vittoria totale sull’io e, infine, aprire il cuore, la mente, l’anima alla potente, vivificante azione dello Spirito Santo. In tal modo, Luca, con questa impareggiabile pagina, educa i missionari di tutti i tempi: coloro che portano la Parola non stiano a fantasticare, ma annuncino la vera, Buona Notizia che vuole sanare globalmente l’uomo: il Vangelo che promette il Paradiso e la beatitudine della pace già in questa terra, pace con se stessi, pace con il mondo circostante, pace con Dio (Lc 1,79; 2,14).
Il servo della Parola, colui che è mandato ad annunciare la Parola di Dio sino agli estremi confini della terra, se vuole assolvere fedelmente il suo mandato deve essere un uomo riconciliato con se stesso, con i fratelli e con Dio. E la riconciliazione ha unicamente il fragrante sapore dell’amore.
 
J. Cambier e X. Léon-Dufour: I. LA SOVRABBONDANZA DELLA MISERICORDIA - Dio è il «padre delle misericordie» (2Cor 1,3; Giac 5,11), che accordò la sua misericordia a Paolo (1Cor 7,25; 2Cor 4,1; 1Tim 1,13) e la promette a tutti i credenti (Mt 5,7; 1Tim 1,2; 2Tim 1,2; Tito 1,4; 2Gv 3). Del compimento del disegno di misericordia nella salvezza e nella pace, quale era annunziato dai Cantici all’aurora del vangelo (Lc 1,50.54.72.78), Paolo manifesta chiaramente l’ampiezza e la sovrabbondanza. Il culmine della lettera ai Romani sta in questa rivelazione. Mentre i Giudei finivano per disconoscere la misericordia divina, in quanto pensavano di procurarsi la giustizia con le loro opere, con la loro pratica della legge, Paolo dichiara che anch’essi sono peccatori, e quindi anch’essi hanno bisogno della misericordia mediante la giustizia della fede. Di fronte ad essi i pagani, ai quali Dio non aveva promesso nulla, sono a loro volta attratti nell’orbita immensa della misericordia. Tutti devono quindi riconoscersi peccatori per beneficiare tutti della misericordia: «Dio ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza per fare a tutti misericordia» (Rom 11,32).
II. «SIATE MISERICORDIOSI...»: La «perfezione» che, secondo Mt 5, 48, Gesù esige dai suoi discepoli, secondo Lc 6,36 consiste nel dovere di essere misericordiosi «com’è misericordioso il Padre vostro». È una condizione essenziale per entrare nel regno dei cieli (Mt 5,7), che Gesù riprende sull’esempio del profeta Osea (Mt 9,13; 12,7). Questa tenerezza deve rendermi prossimo al misero che incontro sulla mia strada, come il buon Samaritano (Lc 10,30-37), pieno di pietà nei confronti di colui che mi ha offeso (Mt 18,23-35), perché Dio ha avuto pietà di me (18,32s). Saremo quindi giudicati in base alla misericordia che avremo esercitata, forse inconsciamente, nei confronti di Gesù in persona (Mt 25,31-46). Mentre la mancanza di misericordia nei pagani scatena l’ira divina (Rom 1,31), il cristiano deve amare e «simpatizzare» (Fil 2,1), avere in cuore una buona compassione (Ef 4,32; 1Piet 3,8); non può «chiudere le sue viscere» dinanzi ad un fratello che si trova nella necessità: l’amore di Dio non rimane che in coloro che esercitano la misericordia (1Gv 3,17).
 
Con la misura… - Evangelii gaudium 179: La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (Mt 7,2); e risponde alla misericordia divina verso di noi: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato […] Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,36-38). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’«uscita da sé verso il fratello» come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio.
 
Abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi - L’Antico Testamento e il Nuovo Testamento non hanno elaborato una dottrina sistematica sul peccato, ma ne parlano in vari modi. Secondo Gn 2-3, il peccato si presenta come la disobbedienza ad un comando divino. Esso produce la divisione tra Dio e la sua creazione come pure la morte, ed impedisce la perfezione della creazione. Il peccato diventa un potere. Il male nel mondo non è l’opera di una divinità, ma è prodotto dall’uomo stesso. La storia delle origini dell’uomo si ripete nella vita di ognuno. Questa esperienza viene riferita nell’Antico Testamento in certo modo in Is 59,2 (il peccato come muro che separa l’uomo da Dio); 2Sam 12,7.9.10 (il peccato come ingratitudine e disprezzo di Dio). I vangeli sinottici mantengono la concezione dell’Antico Testamento; essi parlano del peccato solo in vista della conversione dell’uomo a Dio (Lc 5,8; Mr 10,18); secondo Mc 8,38, gli uomini sono una razza cattiva ed adultera; a causa del peccato essi sono soggetti alla morte (Lc 13,3.5). Una visione ancora più elaborata si trova in Giovanni. Il peccato riempie il mondo con le tenebre (Gv 1,5); il mondo diventa cattivo in quanto respinge la parola di Dio (Gv 1,11; 8,23; 9,39); il mondo vive nel peccato, però per questo non ha nessuna scusa (Gv 15,22s); il peccato fondamentale è l’incredulità (Gv 16,9). Per Paolo, in riferimento a Gn 2-3, considera il peccato come una potenza sovrapersonale ed antecedente storia (Rm 5,12-21). Per la caduta di Adamo il peccato fa ingresso nella creazione, e con il peccato la morte. Entrambi vengono avvertiti come il male fondamentale che causa la rovina dell’uomo (Rm 6,23).
 
Antonio da Padova (Sermones IV domenica dopo Pentecoste): una misura buona, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata in seno: la misura di cui si parla in questo passo del Vangelo è il corpo di gloria, che ha quattro qualità: luminosità, immaterialità, sottigliezza e incorruttibilità; esso infatti è più luminoso del sole, più immateriale del vento, più sottile delle scintille e non può essere corrotto da lesione alcuna. Il Signore assunse la luminosità sul monte Tabor; l’immaterialità camminando sul mare; la sottigliezza quando se ne andò passando in mezzo agli Apostoli; l’incorrutibilità quando era assunto dai discepoli sotto la specie del pane, senza patire tuttavia alcunché di male. Altra spiegazione: vi sarà versata una misura buona: gioia senza dolore; pigiata: pienezza senza vacuità; scossa: saldezza senza dissoluzione (ciò che si scuote diventa solido); traboccante: amore senza simulazione (uno godrà del premio dell’altro, e così l’amore sovrabbonderà). Il seno in cui sarà data questa misura rappresenta la quiete e la gloria della Vita eterna.
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Signore, non trattarci secondo i nostri peccati. (Salmo responsoriale)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Ci purifichi da ogni colpa, o Signore,
questa comunione al tuo sacramento
e ci renda partecipi della gioia eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
1 Marzo 2021
 
San Felice III, Papa
 
Ad essere precisi si dovrebbe chiamare Felice II, perché il precedente pontefice con questo nome (355-365) fu in realtà un antipapa imposto dall’imperatore Costanzo II e come si sa gli antipapa non vengono considerati nella cronologia numerica dei papi, ma questo antipapa Felice II fu un martire e la Chiesa lo commemora comunque il 29 luglio come santo, per questo motivo il successore pontefice con il nome Felice è diventato III e non II.
Ritornando al papa s. Felice III, egli era di Roma e il suo prenome era Coelius; si era nel tempo in cui il celibato per gli ecclesiastici non era stato ancora reso obbligatorio, si cominciò a disciplinarlo con papa san Siricio (384-399) e perciò non bisogna meravigliarsi se era figlio di un prete di nome Felice, anzi Coelius era sposato ed aveva avuto tre figli, morti poi durante il suo pontificato (483-492), uno di loro fu padre del futuro papa s. Gregorio Magno (590-604).
S. Felice III succedendo a papa s. Simplicio (468-483) venne eletto nel marzo del 483 e dovette occuparsi subito e soprattutto dello scisma che susciterà il patriarca di Costantinopoli Acacio († 489), si era al tempo dell’eresia monofisita (eresia cristologica del V secolo, che sosteneva l’esistenza in Cristo di una sola natura) e al nuovo papa giunse la notizia della pubblicazione dell’“Enotico”, da parte dell’imperatore d’Oriente Zenone, (l’Enotico era una formula promulgata appunto dall’imperatore nel 482 dietro suggerimento di Acacio, per porre fine alle controversie tra cattolici e monofisiti e ristabilire l’unità religiosa, ma come spesso accade non soddisfece nessuno).
Inoltre il papa fu informato dei sotterfugi imperiali per negare la sede vescovile di Alessandria al vescovo cattolico Giovanni Talaia, per concederla al monofisita Pietro Mongo. Allora papa Felice III inviò in Oriente una delegazione, composta da due vescovi Vitale e Miseno e il ‘defensor’ romano Felice, perché portassero le sue lettere ed argomentazioni all’imperatore e al patriarca Acacio, invitando quest’ultimo a dare spiegazioni sul suo comportamento contro Giovanni Talaia.
Ma i Legati pontifici si lasciarono invece corrompere, anzi furono presenti alla solenne celebrazione in cui il patriarca Acacio consacrò Pietro Mongo come vescovo di Alessandria.
Il papa fu informato di ciò dai monaci Acemeti (Comunità di monaci bizantini fondati all’inizio del V secolo da sant’Alessandro l’Acemeta, sulla riva asiatica del Bosforo; il loro nome significava “quelli che non dormono” per la continua preghiera fatta a turno giorno e notte) e al ritorno della sua delegazione si mostrò sdegnato e convocò un Concilio di 77 vescovi e il 28 luglio 484 scomunicò Acacio e lo depose dalla carica, perché non si era presentato a dare conto del suo operato.
Questa sentenza fu portata poi in Oriente dal ‘defensor’ Tuto, il quale non potendola pubblicare in alcun modo, con l’aiuto dei monaci, fedeli a Roma, attaccò il documento al pallio patriarcale di Acacio, mentre celebrava con solennità in S. Sofia.
La reazione di Acacio fu che cancellò il nome del papa dai dittici (forma di registro con tavolette, poggiato sull’altare contenente i nomi dei vescovi e benefattori) e castigò i monaci, mentre ancora una volta, Tuto come i precedenti, si fece corrompere dai doni bizantini e così rientrato a Roma, fu a sua volta scomunicato dal papa nel 485.
La lotta che vide contrapposte le Chiese d’Oriente ed Occidente durò 35 anni, e che portò tante divisioni anche nei secoli successivi per altre eresie e scismi, continuò perché Felice III impose al clero e fedeli di Costantinopoli ed Alessandria di disconoscere come loro vescovi Acacio e Pietro Mongo e pur essendo stati sostituiti, richiese ripetutamente all’imperatore Zenone e agli altri vescovi, che essi fossero condannati.
Fu impegnato a sostenere inoltre i vescovi dell’Africa, aggrediti dalle invasioni dei Vandali; approvò il Concilio africano del 467 ed emanò norme per ammettere alla Chiesa Cattolica tutti quelli che erano stati battezzati dagli eretici.
Morì il 1° marzo 492 e fu sepolto nella Basilica di S. Paolo a Roma, perché lì vi era la tomba di famiglia. Alcuni affreschi lo ritraggono in vari luoghi, riportando a volte l’errore di chiamarlo Felice II; che solo successivi studi storici, hanno poi riportato come III, secondo quanto detto all’inizio di questa scheda.                Autore: Antonio Borrelli
 
 
Pratica:  Sarò obbediente al magistero della Chiesa.
 
Preghiera: Dio grande e misericordioso, che hai scelto il papa san Felice III a presiedere il tuo popolo per edificarlo con il magistero e la santità della vita, custodisci i pastori della tua Chiesa e guidali sulla via della salvezza eterna. Per il nostro Signore.

 

 28 Febbraio 2021
 
II Domenica di Quaresima
 
Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115 (116); Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10
 
Il Santo del Giorno - La Trasfigurazione del Signore - La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]:  Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e suo fratello Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,1). Gesù, Dio da Dio, Luce da Luce, della stessa sostanza del Padre, manifesta ai discepoli la gloria che egli ha presso il Padre. I discepoli caddero con la faccia a terra vedendo la gloria del Figlio di Dio. Gesù, nella sua divina sapienza, li prepara a sostenere lo scandalo della Croce. Poi capiranno che, per arrivare alla gloria che hanno visto, bisogna percorrere la via della croce, come il Signore. Guardando «Cristo trasfigurato», la Chiesa si rende conto che è diretta verso la gloria in cui è avvolto Cristo. Vuole capire, che prima di partecipare alla gloria del Signore, deve prima aver parte alla sua Croce. Così impara a vedere il senso di tutto ciò che sperimenta nel suo cammino attraverso la storia. Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, disse il Signore (Mt 16,24). Nella festa della Trasfigurazione, noi prendiamo di nuovo la nostra croce, ci rafforziamo nella nostra personale via della croce, siamo disponibili ad accettare tutto, rinnoviamo la fede nelle parole di Cristo. Ci rivolgiamo un’altra volta al Signore, gli stiamo vicini.
 
Colletta: O Dio, Padre buono, che hai tanto amato il mondo da dare il tuo Figlio, rendici saldi nella fede, perché, seguendo in tutto le sue orme, siamo con lui trasfigurati nello splendore della tua luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 16 Marzo 2014): Oggi il Vangelo ci presenta l’evento della Trasfigurazione. È la seconda tappa del cammino quaresimale: la prima, le tentazioni nel deserto, domenica scorsa; la seconda: la Trasfigurazione. Gesù «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1). La montagna nella Bibbia rappresenta il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore. Lassù sul monte, Gesù si mostra ai tre discepoli trasfigurato, luminoso, bellissimo; e poi appaiono Mosè ed Elia, che conversano con Lui. Il suo volto è così splendente e le sue vesti così candide, che Pietro ne rimane folgorato, tanto che vorrebbe rimanere lì, quasi fermare quel momento. Subito risuona dall’alto la voce del Padre che proclama Gesù suo Figlio prediletto, dicendo: «Ascoltatelo» (v. 5). Questa parola è importante! Il nostro Padre che ha detto a questi apostoli, e dice anche a noi: “Ascoltate Gesù, perché è il mio Figlio prediletto”. Teniamo, questa settimana, questa parola nella testa e nel cuore: “Ascoltate Gesù!”. E questo non lo dice il Papa, lo dice Dio Padre, a tutti: a me, a voi, a tutti, tutti! È come un aiuto per andare avanti nella strada della Quaresima. “Ascoltate Gesù!”. Non dimenticare.
È molto importante questo invito del Padre. Noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole. Per ascoltare Gesù, bisogna essere vicino a Lui, seguirlo, come facevano le folle del Vangelo che lo rincorrevano per le strade della Palestina. Gesù non aveva una cattedra o un pulpito fissi, ma era un maestro itinerante, che proponeva i suoi insegnamenti, che erano gli insegnamenti che gli aveva dato il Padre, lungo le strade, percorrendo tragitti non sempre prevedibili e a volte poco agevoli. Seguire Gesù per ascoltarlo. Ma anche ascoltiamo Gesù nella sua Parola scritta, nel Vangelo.
 
I lettura: Abramo avrà paventato il crollo di tutte le promesse: l’alleanza, la promessa, il dono della terra, il dono della discendenza. Ma è solo una prova e Abramo, con la sua fede, la supera diventando modello di obbedienza per tutti i credenti.
 
II lettura: Per Paolo i fatti, i personaggi, gli avvenimenti dell’Antico Testamento sono solo figura di quanto è avvenuto nel Nuovo Testamento. Solo Cristo è la realtà e la pienezza di tutte le promesse: solo in Lui è possibile al credente la giustificazione, la grazia, la redenzione, la primogenitura che non verrà mai tolta.
 
Vangelo: Con la venuta di Gesù, il credente non ha più bisogno della mediazione della Legge e di Elia. Oramai in Cristo Gesù tutto si è compiuto: lo Sposo è in mezzo al suo popolo e «va ascoltato» e il suo Vangelo «va seguito e vissuto».
 
Dal Vangelo secondo Mc 9,2-10: In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
 
Fu trasfigurato... - La mitologia greca con il termine trasfigurazione indica il mutare aspetto o forma degli dèi; nei Vangeli il termine non ha nessuna relazione con il suo uso mitologico, perché «questa scena di gloria, per quanto passeggera, manifesta ciò che è realmente e ciò che sarà presto in modo definitivo colui che deve conoscere per un certo periodo l’abbassamento del servo sofferente» (Bibbia di Gerusalemme).
Gesù, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, sale sopra un «alto monte, in disparte, loro soli»: la tradizione è unanime nell’indentificare l’alto monte con il Tabor. Fu trasfigurato (metemorfode): il verbo greco «indica propriamente il passaggio da una forma ad un’altra, cioè ad un modo diverso di essere, in cui la persona, pur restando se stessa, si manifesta diversa» (Adalberto Sisti, Marco). Sul Tabor, i tre Apostoli, anche se per breve tempo, contemplano il fulgore della divinità del Cristo: il Figlio della Vergine, con il candido splendore delle sue vesti (il bianco è il colore degli esseri celesti: Cf. Mc 16,5; At 1,10; Ap 1,13; 3,4-5; 4,4; 7,9), svela la sua natura celeste e ai testimoni, sbigottiti e stupefatti, manifesta di essere il «figlio dell’uomo» (Dan 7,13-14) atteso dai profeti.
Elia con Mosè: rappresentano rispettivamente i Profeti e la Legge. Appaiono come testimoni dell’adempimento della Legge e dei Profeti in Gesù, nella sua gloria.
Rabbì, è bello... facciamo tre capanne: è un riferimento alla festa delle capanne che si celebrava per ricordare il soggiorno degli israeliti nelle tende durante l’esodo dall’Egitto (Cf. Lev 23,33-43).
L’evangelista Marco, a differenza di Matteo e di Luca, vede nell’evento soprattutto una epifania gloriosa del Messia nascosto, in conformità al tema dominante del suo vangelo. Ma se si tiene conto che la rivelazione dell’identità di Gesù di Nazaret come Figlio di Dio, nelle intenzioni di Marco, è fondata nel precedente annuncio della passione (Cf. Mc 8,31) e che gli stessi Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, qualche tempo dopo, saranno compagni del Cristo nel giardino del Getsemani (Cf. Mt 26,36-46), sembra allora che Gesù intenzionalmente abbia voluto rivelare la sua gloria a coloro che avrebbero assistito più direttamente al suo annichilimento. La Trasfigurazione quindi, al dire di san Leone Magno, «mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della Passione volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta di Cristo».
Da una lettura attenta del brano marciano, emerge abbastanza chiaramente anche l’intenzione di affermare che Gesù è la Parola di Dio - «Ascoltatelo» (Cf. Dt 18,15) -, che riunisce in sé la Legge e i Profeti e li porta a compimento. La Parola di Gesù è parola divina e ascoltare lui significa ascoltare il Padre celeste: questa corrispondenza «è tipica anche del profeta dell’Antico Testamento; Gesù però non è riducibile a dimensioni puramente profetiche, essendo il Figlio di Dio. La sua parola è definitiva, propria dei tempi ultimi» (G. B.).
Non ascoltarla avrebbe effetti catastrofici per l’uomo, sarebbe per sempre perduto (Cf. Ap 21,8).
La Parola di Gesù è fonte di vita eterna per chi la accoglie (Cf. Gv 5,24); costui non «vedrà la morte in eterno» (Gv 8,51-52). Cristo, infatti, Verbo di Dio, ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68); le sue parole sono «spirito e vita» (Gv 6,63). Per questo occorre che l’uomo, deposta «ogni impurità e ogni eccesso di malizia», accolga con docilità la parola di Gesù che è stata seminata in lui e che può salvare la sua anima (Cf. Gc 1,21). Imperiosamente la osservi, la custodisca (Cf. Gv 14,24; 15,20; Ap 3,8), la metta in pratica (Cf. Gc 1,22) e perseveri in essa (Cf. Gv 8,31; 15,7). La voce del Padre, come avvenne per il Battesimo (Cf. Mc 1,11), conferma la filiazione divina di Gesù.
I tre discepoli, poi, «guardandosi attorno, non videro più nessuno», questo perché basta lui come dottore della legge perfetta e definitiva.
Il chiedersi «che cosa volesse dire risorgere dai morti», non «verteva circa la possibilità della risurrezione dei morti, allora ammessa comunemente da tutti nel mondo giudaico, ad eccezione dei sadducei [Cf. 12,18], ma circa l’indicazione concreta fornita dallo stesso Gesù, le cui parole “fino a quando il Figlio dell’uomo non fosse risuscitato dai morti” supponevano che il Messia dovesse soffrire e morire. E ciò per loro era ancora inconcepibile [Cf. Mc 8,32]» (Adalberto Sisti, Marco).
Nella 2Pt si fa riferimento alla Trasfigurazione, ma con intenzioni che vanno al di là del semplice ricordo; infatti, è inteso «a scalzare le obiezioni mosse contro la parusia, mostrando, sulla testimonianza dei testi oculari apostolici, che Gesù possiede già le qualità essenziali che saranno manifestate alla sua parusia: maestà, onore e gloria dal Padre, figliolanza messianica e divina» (T. W. Leaby).
 
Bellezza e liturgia - Sacramentum Caritatis 35: Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore. Già nella creazione Dio si lascia intravedere nella bellezza e nell’armonia del cosmo (cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20). Nell’Antico Testamento poi troviamo ampi segni del fulgore della potenza di Dio, che si manifesta con la sua gloria attraverso i prodigi operati in mezzo al popolo eletto (cfr Es 14; 16,10; 24,12-18; Nm 14,20-23). Nel Nuovo Testamento si compie definitivamente questa epifania di bellezza nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo: Egli è la piena manifestazione della gloria divina. Nella glorificazione del Figlio risplende e si comunica la gloria del Padre (cfr Gv 1,14; 8,54; 12,28; 17,1). Tuttavia, questa bellezza non è una semplice armonia di forme; « il più bello tra i figli dell’uomo » (Sal 45 [44],3) è anche misteriosamente colui che « non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi » (Is 53,2). Gesù Cristo ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale.
La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. Il memoriale del sacrificio redentore porta in se stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pietro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonianza, quando il Maestro, in cammino verso Gerusalemme, volle trasfigurarsi davanti a loro (cfr Mc 9,2). La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria.
 
Agostino (Sermo 791): “Questo è il mio figlio diletto; ascoltatelo” (Mt 17,1-8). Elia parla, ma “ascoltate questo”. Parla Mosè, “ma ascoltate questo”. Parlano i Profeti, parla la Legge, ma “ascoltate questo”, voce della Legge e lingua dei Profeti. Era lui che parlava in loro, poi parlò da se stesso, quando si degnò di farsi vedere. “Ascoltate questo”; ascoltiamolo. Quando parlava il Vangelo, sappiate ch’era la voce della nube; di là è giunta fino a noi. Sentiamo lui; facciamo ciò che ci dice, speriamo quanto ci promette.
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo. (Mt 17,5)  
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
 
Per la partecipazione ai tuoi gloriosi misteri
vogliamo renderti grazie, o Signore,
perché a noi ancora pellegrini sulla terra
fai pregustare i beni del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 
28 Febbraio 2021
 
Sant’Augusto Chapdelaine, Martire
 
La storia dell’evangelizzazione della Cina è costellata da innumerevoli martiri, missionari europei, clero locale, catechisti cinesi, fedeli convertiti, che donarono la loro vita, durante le ricorrenti persecuzioni, che si alternarono a periodi di pace e di proficua evangelizzazione, scatenate o sobillate da bonzi invidiosi, fanatici ‘boxer’, crudeli mandarini e imperatori, soldataglia avida di sangue e saccheggi. In questa eroica schiera di martiri caduti negli ultimi quattro secoli, è compreso s. Augusto Chapdelaine, missionario dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi.
Nacque a La Rochelle (diocesi di Coutances) in Francia, il 6 gennaio 1814; coltivò con i fratelli, fino ai 20 anni, gli ampi poderi agricoli presi in affitto dalla famiglia; ma dopo la morte di due di essi e la riduzione della superficie dei terreni, lasciò l’azienda e si dedicò alla desiderata carriera ecclesiastica.
Frequentò il Seminario diocesano e fu ordinato sacerdote nel 1843; ebbe il compito, prima di vicario e poi di parroco del villaggio di Boucey. Ma il suo desiderio era quello di essere missionario, quindi nel 1851 passò al seminario - noviziato dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi e il 29 aprile 1852 s’imbarcò ad Anversa, diretto alla missione cinese del Kuang-Si; ma si fermò a Ta-Chan vicino alla frontiera, per ambientarsi, imparare la lingua e aspettare il momento propizio, perché il Kuang-Si era stato per più di un secolo senza la presenza di un missionario e quindi non si era più certi dell’accoglienza dei suoi abitanti. Trascorsero quasi tre anni, poi nel 1855 poté entrare nello Kuang-Si, dove si mise subito a fare apostolato, percorrendo il territorio in lungo e in largo; in breve tempo i neofiti divennero circa duecento e ulteriori conversioni erano prossime, quando un certo Pé-San, uomo di costumi corrotti, avendo saputo che una donna da lui sedotta, si era convertita al cristianesimo, denunciò la presenza del missionario al mandarino di Sy-Lin-Hien, acerrimo nemico dei cristiani, accusandolo di sobillare il popolo, fomentando disordini. Il mandarino allora inviò le sue guardie a Yan-Chan, dov’era padre Augusto Chapdelaine per arrestarlo, ma questi avvertito in tempo, sfuggì alla cattura rifugiandosi in casa di un letterato cristiano a Sy-Lin-Hien. Il 25 febbraio 1856, la casa venne circondata dalle guardie e perquisita; padre Chapdelaine fu fatto prigioniero insieme a quattro fedeli cristiani che l’avevano accompagnato e il secondo figlio dell’ospite. La retata di cristiani produsse a sera 25 prigionieri, che furono bastonati a colpi di bambù, incatenati e con la ‘ganga’ al collo (tipica gogna dei Paese asiatici).
Il 26 febbraio il missionario fu interrogato e accusato; ricevé per punizione centinaia di colpi di bambù che lo resero tutto una piaga. Il giorno dopo fu incatenato con le ginocchia piegate e strette sopra delle catene di ferro e così rimase in quella dolorosissima posizione fino al 28, in attesa di un ingente riscatto da parte dei cristiani, che comunque erano nascosti ed impauriti.
Fu condannato a morire nella gabbia e il 29 febbraio 1856, con il collo entro un foro del coperchio superiore e il corpo, tolto il fondo della gabbia, sospeso, il missionario morì come fosse impiccato.
Padre Augusto Chapdelaine fu beatificato il 27 maggio 1900 da papa Leone XIII e proclamato santo il 1° ottobre 2000, da papa Giovanni Paolo II.                 Autore: Antonio Borrelli
 
Giovanni Paolo II (Omelia 1 Ottobre 2000):
I precetti del Signore danno gioia” (Sal. resp.) Queste parole del Salmo responsoriale ben rispecchiano l’esperienza di Agostino Zhao Rong e dei 119 compagni, Martiri in Cina. Le testimonianze che ci sono giunte lasciano intravedere in loro uno stato d’animo improntato a profonda serenità e gioia.
La Chiesa è oggi grata al suo Signore, che la benedice e la inonda di luce con il fulgore della santità di questi figli e figlie della Cina. Non è forse l’Anno Santo il momento più opportuno per far risplendere la loro eroica testimonianza? La giovinetta Anna Wang, quattordicenne, resiste alle minacce del carnefice che la invita ad apostatare e, disponendosi alla decapitazione, con il viso raggiante, dichiara: “La porta del Cielo è aperta a tutti” e mormora per tre volte “Gesù”. E il diciottenne Chi Zhuzi, a coloro che gli hanno appena tagliato il braccio destro e si preparano a scorticarlo vivo, grida impavido: “Ogni pezzo della mia carne, ogni goccia del mio sangue vi ripeteranno che io sono cristiano”.
Uguale convinzione e gioia hanno testimoniato gli altri 85 cinesi, uomini e donne di ogni età e condizione, sacerdoti, religiose e laici, che hanno suggellato la propria indefettibile fedeltà a Cristo e alla Chiesa con il dono della vita. Ciò è avvenuto nell’arco di vari secoli e in complesse e difficili epoche della storia della Cina. La presente celebrazione non è il momento opportuno per formulare giudizi su quei periodi storici: lo si potrà e lo si dovrà fare in altra sede. Oggi, con questa solenne proclamazione di santità, la Chiesa intende soltanto riconoscere che quei Martiri sono un esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e fanno onore al nobile popolo cinese.
In questa schiera di Martiri risplendono anche 33 missionari e missionarie, che lasciarono la loro terra e cercarono di introdursi nella realtà cinese, assumendone con amore le caratteristiche, nel desiderio di annunciare Cristo e di servire quel popolo. Le loro tombe sono là, quasi a significare la loro definitiva appartenenza alla Cina, che essi, pur con i loro limiti umani, hanno sinceramente amato, spendendo per essa le loro energie. “Noi non abbiamo mai fatto del male a nessuno - risponde il vescovo Francesco Fogolla al governatore che si appresta a colpirlo con la propria spada -. Al contrario, abbiamo fatto del bene a molti”.
 
Pratica: Pregherò per i missionari perché la loro opera sia feconda.
 
Preghiera: Dio onnipotente e misericordioso, che hai dato a Sant’Augusto Chapdelaine un’invitta costanza fra i tormenti del martirio, rendici sereni nelle prove della vita e salvaci dalle insidie del maligno. Per il nostro Signore

 

 

27 FEBBRAIO 2021
 
SABATO DELLA I SETTIMANA DI QUARESIMA
 
Dt 26,16-19; Salmo 118 (119); Mt 5,43-48
 
Il Santo del Giorno - San Gabriele dellAddolorata - La santità di una gioventù vissuta a pieno rinunciando agli agi e affidandosi a Maria - Matteo Liut: Un santo giovane che ha trasformato la sua vita in un canto alla bellezza dell’umanità e della sua vocazione all’amore autentico: san Gabriele dell’Addolorata oggi ci propone l’esempio di come anche la giovane età può essere illuminata dal Vangelo. Si chiamava Francesco Possenti ed era nato ad Assisi nel 1838; all’età di 4 anni rimase orfano di madre, ma crebbe ugualmente da innamorato della vita e coltivando la fede cristiana. Il padre era un funzionario dello Stato Pontificio e progettava una vita agiata per il futuro del figlio, ma lui a 18 anni, nel 1856, scelse di diventare religioso tra i Passionisti, entrando nel noviziato di Morrovalle (Macerata). Nel 1855 era rimasto segnato dalla morte della sorella ma il lutto lo aveva spinto a cercare la gioia nella devozione per la Madre di Dio, che coltivava da sempre. Iniziò il suo cammino verso la consacrazione a Loreto e poi continuò, dal 1859, a Isola del Gran Sasso. Tre anni, dopo, però, morì a causa della tubercolosi.
 
Colletta: Padre di eterna misericordia, converti a te i nostri cuori, perché nella ricerca dell’unico bene necessario e nelle opere di carità fraterna siamo sempre consacrati alla tua lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gaudium et spes 28: Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo. Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l’amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose. Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque. La dottrina del Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie e il precetto dell’amore si estende a tutti i nemici; questo è il comandamento della nuova legge: «Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori» (Mt 5,43).
 
I Lettura: La cornice del brano veterotestamentario è il secondo discorso di Mosè che giungerà al suo termine al 28mo capitolo (v. 68). Il “codice deuteronomico, che precede, è il documento dell’alleanza presentata come un contratto; Jahve sarà il Dio di Israele e Israele sarà il suo popolo, a condizione che osservi i comandi. Le benedizioni e le maledizioni [c 28] saranno la sanzione dell’osservanza di questo contratto” (Bibbia di Gerusalemme).  
 
Vangelo: Gesù «non viene né a distruggere la legge [Dt 4,8] e tutta l’economia antica né a consacrarla come intangibile, ma a darle, con il suo comportamento, forma nuova e definitiva, dove si realizza nella pienezza ciò verso cui la legge stessa era avviata» (Bibbia di Gerusalemme). Ciò si applica in particolare alla legge dell’amore. Le sfumature dell’amore cristiano sono la non violenza, il ripudio della vendetta e l’attenzione amorevole e disinteressata alla indigenza e alle necessità del prossimo. Inoltre, il cristiano, imitando il Padre che è nei cieli, il quale fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, deve amare i nemici e pregare per i persecutori. «L’amore, in cui già si riassumeva la legge antica [Mt 7,12; 22,34-40p], diviene il comandamento nuovo di Gesù [Gv 13,34] e compie tutta la legge [Rm 13,8-10; Gal 5,14; cfr. Col 3,14]» (Bibbia di Gerusalemme).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 5,43-48: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
 
Amare i nemici e pregare per i persecutori, porgere l’altra guancia, sono delle postazioni di osservazione dalle quali il credente osserva ogni situazione, anche la più drammatica, con gli occhi di Dio e la interpreta con misericordia, imitando la misericordia di Dio: Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste (Lc 6,36). Una cabina di regia per leggere fatti, avvenimenti con il cuore in mano, un cuore che si fa carne pietosa rifiutando di aprirsi alla vendetta o dimenticando di chiedere gli interessi o slanciandosi in soccorso caritatevole verso i più bisognosi, i più indigenti, i più poveri. Una scelta di campo che spezza la spirale della violenza, che annichilisce ogni interpretazione farisaica della Legge di Dio, che stempera lo zelo divenuto eccessivo, che soffoca quell’estremismo religioso che ama brandire la spada. San Paolo esprime benissimo tutto ciò: «La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene... Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto… Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti... se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rom 12,9-21). Il modello di queste norme etiche si trova in Gesù, autore e perfezionatore della fede (cfr. Eb 12,2), soprattutto nei diversi episodi della sua terrificante passione: quando reagisce con imperturbabilità e fermezza alle percosse durante il processo ebraico (Gv 18,23), quando non fugge dinanzi alla marmaglia che era venuta per arrestarlo e impedisce a Pietro di usare la spada per difenderlo (Gv 18,4-10), quando perdona i carnefici (Lc 23,34) e accoglie nel suo Regno il buon ladrone (Lc 23,40). E sappiamo che a tenerlo confitto in Croce fu l’amore per gli uomini (Gv 13,1; 15,13). San Tommaso d’Aquino ci dice appunto che la passione di Cristo è sufficiente per orientare tutta la nostra vita. Infatti, chiunque «vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù è assente dalla croce». Dunque, la via da battere per vivere la Legge nuova è quella del Calvario, difatti se «cerchi un esempio di carità... Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce... Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso... Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene... Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele...» (San Tommaso d’Aquino). Solo chi si fa inchiodare sulla Croce del Cristo può vivere la sua Parola, altrimenti tutto è pura follia.
 
Voi, dunque, siate perfetti... Questo «loghion non si riferisce soltanto all’ultima antitesi, concernente l’amore dei nemici, ma ricapitola l’insegnamento globale di Gesù circa la “giustizia superiore” [Mt 5,21-47]» (Angelico Poppi). La perfezione che viene qui richiesta è la somma di sfumature diverse che si colgono a secondo della traduzione del testo: téilos, in greco, sta a significare perfetto, compiuto, senza difetti, completo, in questo caso nella carità; tamìn, in ebraico, ha una valenza cultuale di integrità e di santità. Una santità quindi che coinvolge tutta la persona del credente: anima, corpo e spirito (cfr. 1Tess 5,23). Il nuovo comandamento di Gesù ha un corrispondente nel Libro del Levitico: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (19,2). Sembra una meta impossibile da raggiungere, e infatti «è impossibile che la creatura abbia la perfezione di Dio. Pertanto il Signore vuol dire che la perfezione divina costituisce il modello cui deve aspirare il cristiano, consapevole della distanza infinita che lo separa dal suo Creatore. Ma ciò nulla toglie alla forza di questo imperativo, anzi ne riceve luce» (Bibbia di Navarra). Siate santi come il Padre vostro celeste, una sfida, un invito che la Chiesa non si stanca di rinnovare lungo i secoli.
 
La santità un germe da sviluppare - Catechismo degli Adulti 838-839: Nel battesimo è già dato oggettivamente ciò che costituisce la vita cristiana: lo Spirito Santo, la configurazione a Cristo morto e risorto, l’inabitazione della Trinità, la grazia santificante, le virtù teologali. Ma tutto è dato come una caparra, come un germe e una capacità da sviluppare con l’ascolto della Parola, la grazia dell’eucaristia e degli altri sacramenti, le mozioni dello Spirito Santo e la libera cooperazione personale. «Tutti i cristiani, cioè i discepoli di Gesù Cristo, in qualunque stato e condizione si trovino, sono chiamati alla perfezione: perché tutti sono chiamati al vangelo, che è legge di perfezione». A tutti Gesù dice: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). L’apostolo Paolo gli fa eco: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3). Il concilio Vaticano II commenta: «I seguaci di Cristo... col battesimo della fede sono stati fatti veri figli di Dio, resi partecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Con l’aiuto di Dio essi devono quindi mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta».
 
Benedetto XVI (Angelus 20 Febbraio 2011): «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà. San Cipriano scriveva che «alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo» (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).
In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità. L’apostolo Paolo aggiunge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16). Se siamo veramente consapevoli di questa realtà, e la nostra vita ne viene profondamente plasmata, allora la nostra testimonianza diventa chiara, eloquente ed efficace. Un autore medievale ha scritto: «Quando l’intero essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore» (Giovanni Climaco, Scala Paradisi, XXX: PG 88, 1157 B), nella totalità della vita. «Grande cosa è l’amore - leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo -, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3).
 
Cassiano Giovanni (Conferenze, 21,33): Chi ha raggiunto la vetta della perfezione evangelica sta al di sopra di tutta la legge per il merito di sì grande virtù. Guardando dall’alto in basso come cosa di poco conto tutto ciò che Mosè ha ordinato, egli riconosce di vivere sotto la grazia del redentore, per il cui aiuto, lo sa bene, egli è giunto a questo stato eccelso. Non regna perciò in lui il peccato, perché l’amore di Dio, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo [Rm 5,5) che ci è stato donato, esclude ogni inclinazione a qualsiasi altra cosa. Egli perciò non può desiderare quel che è proibito né disprezzare ciò che è comandato, perché tutta la sua tensione, tutti i suoi desideri sono rivolti all’amore di Dio ed egli è così poco preso dal piacere delle cose terrene, che non se ne serve neppure se permesse» ().
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Non manchi mai la tua benevolenza, o Signore,
a coloro che nutri con questi divini misteri,
e poiché ci hai accolti alla scuola della tua sapienza,
continua ad assisterci con il tuo paterno aiuto.
Per Cristo nostro Signore.
 
27 Febbraio 2021
 
San Gabriele dell’Addolorata, Religioso
 
1) San Gabriele nasce da famiglia aristocratica ad Assisi (Perugia) il 1° marzo 1838. È l’undicesimo di tredici figli di Sante Possenti, sindaco della città, e Agnese Frisciotti. Lo battezzano lo stesso giorno con il nome dell’illustre concittadino, Francesco. In casa però sarà sempre chiamato Checchino. Nel 1841 Sante è nominato assessore al tribunale di Spoleto (Perugia), dove si trasferisce con tutta la famiglia. Qui, a meno di 42 anni, muore mamma Agnese. Prima di spirare, vuole vicino a sé Checchino per l’ultimo addio. D’ora in poi sarà papà Sante ad educare i figli, aiutato dalla figlia maggiore Maria Luisa e dalla fidata governante Pacifica. Nel 1844 Checchino inizia le elementari. Nel 1846 riceve la cresima e nel 1851 la prima comunione. A tredici anni affronta gli studi liceali nel collegio dei gesuiti. E’ intelligente, esuberante, vivace, gli piace studiare, riesce ottimamente soprattutto nelle materie letterarie. Compone poesie in latino, le recite scolastiche lo vedono sempre protagonista. Vince numerosi premi scolastici. Elegante, vivace, spigliato, diventa un punto di attrazione per la sua allegria. Gli piace seguire la moda, veste sempre a puntino. Vuole primeggiare in tutto, “la bella vita non gli dispiace”.
2) Organizza partite di caccia, partecipa a passeggiate e scampagnate, va volentieri a teatro col padre e le sorelle, va a ballare (in città è anche conosciuto come “il ballerino”), anima le serate nei salotti di Spoleto, legge i romanzi e lo attirano gli autori del tempo, il Manzoni, il Grossi, il Tommaseo. Ma è anche di animo buono, generoso sensibile alle sofferenze dei poveri, ama la preghiera. Sprizza vita da tutti i pori. Niente di strano se qualche ragazza fa sogni su di lui. Lui si presenta sempre più ricercato nei vestiti e sempre più raffinato nelle sale da ballo e nei salotti. È un bel ragazzo e ne è consapevole. Alto, snello, moro, viso rotondo fragile, occhi neri vividi, labbra ondulate con finezza sempre in sorriso, capelli castano scuri dal ciuffo ribelle. Checchino della vita è innamoratissimo, ma sul futuro sembra ancora indeciso. I ripetuti lutti familiari e alcune brutte malattie in cui è incappato gli hanno fatto apparire le gioie umane brevi ed inconsistenti; come l’ultimo dramma, la morte dell’amatissima sorella Maria Luisa, il 17 giugno 1855. Segue un anno tribolato senza riuscire a fare una scelta. Le cose non sono più quelle di prima, l’idea del convento torna con più insistenza. Il 22 agosto 1856, durante la processione, quando l’immagine della Madonna del duomo passa davanti a lui, gli risuonano nel cuore chiare parole: “Francesco, cosa stai a fare nel mondo? Segui la tua vocazione! . Questa volta non riesce a resistere, è la madre che chiama. Il 6 settembre parte da Spoleto; la sera del 7 è a Loreto; nella santa casa trascorre l’intera giornata dell’8 settembre, festa della Madonna. Il 10 è già a Morrovalle (Macerata) per iniziare il noviziato. Lui, il ballerino elegante, il brillante animatore dei salotti di Spoleto, ha scelto di entrare nell’istituto austero dei passionisti, fondato nel 1720 da San Paolo della Croce con lo scopo di annunciare, attraverso la vita contemplativa e l’apostolato, l’amore di Dio rivelato nella Passione di Cristo.
3) A 18 anni dunque Francesco volta pagina e cambia anche nome: d’ora in poi si chiamerà Gabriele dell’Addolorata, perché sia chiaro che il passato non esiste più. La scelta della vita religiosa è radicale fin dall’inizio: si butta anima e corpo, da innamorato. Ha trovato finalmente la pace del cuore e la felicità. Non gli fanno certo paura le lunghe ore di preghiera, le penitenze e i digiuni, perché ha trovato quello che cercava: Dio che gli riempie il cuore di gioia. Lo scrive subito al papà: “La mia vita è una continua gioia. La contentezza che io provo è quasi indicibile. Non cambierei un quarto d’ora di questa vita”. Il 22 settembre 1857 emette la professione religiosa. Nel giugno 1858 si trasferisce a Pievetorina (Macerata) per gli studi filosofici sotto la guida di padre Norberto Cassinelli che lo seguirà fino alla morte. Il 10 luglio 1859 arriva nel conventino dei passionisti a Isola del Gran Sasso (Teramo) per prepararsi al sacerdozio con lo studio della teologia. Il 25 maggio 1861, nella cattedrale di Penne (Pescara), riceve la tonsura e gli ordini minori. A fine 1861 si ammala di tubercolosi; ogni cura risulta vana. Non riesce a diventare sacerdote anche perché difficoltà politiche impediscono nuove ordinazioni. Gabriele si rende conto che non c’è niente da fare. Il viaggio è già finito. Ma non si sconvolge. È proprio quello che aveva chiesto qualche anno prima. Quel che conta è solo la volontà di Dio. “Così vuole Dio, così voglio anch’io”, scrive. La mattina del 27 febbraio 1862 “al sorgere del sole” Gabriele saluta tutti, promette di ricordare in paradiso, chiede perdono e preghiere. Poi muore confortato dalla visione della Madonna che invoca per l’ultima volta: “Maria, mamma mia, fa’ presto”.  La sua è ritenuta da tutti la morte di un santo. Tutti ricordano i suoi brevi giorni, all’apparenza comuni. Il quotidiano è stato il suo pane, la semplicità il suo eroismo. Le piccole fragili cose di ogni giorno che diventavano grandi per lo spirito con cui le compiva. Lo ripeteva spesso: “Dio non guarda il quanto ma il come; la nostra perfezione non consiste nel fare le cose straordinarie ma nel fare bene le ordinarie”. Tutti ricordano la sua vita trascorsa all’ombra del Crocifisso e di Maria Addolorata, che è stata la ragione della sua vita.
4) Il suo direttore, padre Norberto Cassinelli, rivela a tutti il segreto della sua santità: Gabriele ha lavorato con il cuore. “Il mio Gabriele, dice padre Norberto, aveva un carattere molto vivace, soave, insinuante e insieme risoluto e generoso. Aveva un cuore sensibilissimo, pieno di affetto, un mondo di fare sommamente attraente, piacevole, naturalmente gentile. Era gioviale e festoso, di parola pronta, arguta, facile, piena di grazia. Di forme avvenenti, era agile e composto in ogni movimento della persona. Aveva occhi tondi, neri, assai vivaci e belli: sembravano due stelle. Riuniva tante doti che difficilmente si possono trovare in una sola persona. Era veramente bello nell’anima e nel corpo. 
E parla di quella volta che, chiamato da Gabriele nella sua cameretta, si sentì chiedere: “Padre, mi dica se nel mio cuore c’è qualcosa che non piace a Dio, perché la voglio strappare”. Due mesi dopo la morte di Gabriele è già pronta la prima biografia sistematica (“Cenni della vita e virtù di Gabriele”), scritta da padre Norberto per Sante Possenti. Nel 1866 la comunità passionista di Isola è costretta ad abbandonare il conventino ai piedi del Gran Sasso, in forza del decreto di soppressione dei religiosi. I religiosi riparano a Manduria (Taranto). La tomba di Gabriele sembra abbandonata per sempre, ma non è così. Qui si chiude solo la prima fase della storia del giovane passionista.
5) La seconda fase inizia nel 1892, a trent’anni dalla morte di Gabriele, quando sulla sua tomba accadono i primi strepitosi prodigi. Il 17 e 18 ottobre 1892 si procede alla riesumazione sotto stretta sorveglianza della gente che non vuole sentire parlare di trasferimento delle ossa nel convento della Madonna della Stella, vicino a Spoleto (come era l’ordine dei superiori). La chiesa e i dintorni del convento, con tutte le vie di accesso, sono controllati dal popolo che impedisce così lo spostamento delle ossa. Il postulatore della causa di beatificazione di Gabriele, padre Germano Ruoppolo, telegrafa a Roma per dire che è impossibile trasportare le spoglie altrove. Un fatto imprevisto è subito interpretato come una conferma dall’alto. Durante la ricognizione, una nuvoletta parte “dalla cima occidentale del Gran Sasso” e rovescia una “pioggia fitta” sulla zona. Sono presenti dalle quattro alle settemila persone. In quella stessa giornata si parla di “almeno sette prodigi di rilievo”, anche se il primo miracolo di Gabriele è considerato la guarigione della signorina Maria Mazzarelli, avvenuta il 23 ottobre con enorme risonanza. Così Gabriele resta definitivamente in Abruzzo e da allora ha inizio una catena ininterrotta di prodigi, grazie e miracoli operati per sua intercessione.
6) Gabriele viene dichiarato beato da san Pio X nel 1908 e in suo onore viene innalzata la prima basilica. Nel 1913 nasce la rivista “L’Eco di san Gabriele”, portavoce del messaggio del santo nel mondo. Gabriele è proclamato santo da Benedetto XV nel 1920. Nel 1926 diventa compatrono della gioventù cattolica italiana e nel 1959 Giovanni XXIII lo dichiara patrono d’Abruzzo. Nel 1970 iniziano i lavori di costruzione del nuovo, grandioso santuario per accogliere la sempre crescente massa di pellegrini. Nel giugno del 1975 il santo opera uno dei suoi miracoli più strepitosi. Si tratta della guarigione istantanea di Lorella Colangelo, una bambina di Montesilvano (Pescara), che così racconta il prodigio.
“Fin dalla prima elementare ho cominciato a sentirmi male. Quando avevo 8 anni, la cosa peggiorò e così i miei genitori mi portarono da vari medici. A 10 anni quasi non potevo più camminare, inciampavo sempre. I medici non riuscivano a capirci molto. Fui ricoverata all’ospedale di Ancona, dove scoprirono che avevo la leucoencefalite, una malattia allora incurabile, che impediva appunto l’uso delle gambe. 
Un giorno, eravamo a metà giugno 1975, venne ad Ancona mia zia, per assistermi. Una domenica tutti quelli della mia camerata, compresa la zia, erano andati a messa. Ad un certo punto io vidi una luce intensa, da cui uscì un frate che indossava una tunica nera, un mantello e i sandali ai piedi. Aveva anche uno stemma a forma di cuore. Capii subito che era San Gabriele. Stava davanti a me sorridente, un viso luminosissimo, occhi limpidi e scuri. Con quel sorriso mi disse: Lorella, vieni da me, ti addormenterai sulla mia tomba e tornerai a camminare”. Mi guardò, sorrise, si voltò e sparì. Immediatamente non raccontai niente a mia zia. Ma da quel giorno (era il 16 giugno) per una settimana intera ho rivisto San Gabriele in sogno. Mi accadeva sia di giorno che di notte, bastava che mi addormentassi. Lui mi ripeteva sempre la stessa cosa: “Lorella, vieni, ti addormenterai sulla mia tomba e tornerai a camminare”. Ma dal terzo giorno in poi il santo non mi sorrideva più, cominciava ad essere triste. Finché, la quinta volta mi disse: “Lorella, vieni, perché non vieni? Ti addormenterai sulla mia tomba e tornerai a camminare”. L’ultima volta che sognai San Gabriele, aveva il volto triste e mi disse: “Lorella, vieni, prima che scada il tempo”.
Intanto mia madre era tornata ad Ancona e a lei raccontai tutto. Mi credette subito, tanto che andò dal primario a chiedere il permesso di andare a San Gabriele. Il primario disse che non era il caso, viste le mie condizioni di salute. Mia madre insistette e alla fine il primario diede il permesso, ma prima mi fece scrivere su un foglietto quello che mi era accaduto. Così tornammo a casa a Montesilvano e il 23 giugno ci recammo al santuario di San Gabriele. Arrivati, mia madre chiese ad un frate se poteva mettermi sulla tomba del santo. Il frate acconsentì, io mi addormentai subito e ad un certo punto mi apparve una luce intensa in cui vidi San Gabriele sorridente, con un crocifisso di legno in mano. Mi disse: “Adesso, Lorella, alzati e cammina”. Aprii gli occhi, guardai intorno, vidi tanta gente che prima non c’era. Ero confusa, pensavo che dovessi andare a scuola. Mi alzai come se nulla fosse, scavalcai il piccolo recinto in ferro, mi trovai innanzi mio padre che, appena mi vide, prima restò muto, poi gridò: Reggetela, perché cade” e si mise a piangere e a ridere nello stesso tempo. Gli dissi di non preoccuparsi perché non sarei caduta. Quindi andai nella cappella del santo a ringraziarlo”. Il 30 giugno 1985 Giovanni Paolo II compie una storica visita al santuario durante la quale, in un messaggio ai giovani, trasmetto dalla Rai in mondovisione, addita il santo come modello per le giovani generazioni. Il Papa inaugura la cripta e la cappella della riconciliazione del nuovo santuario. Il 27 agosto 2000, nel corso del Grande Giubileo, il santuario organizza il primo raduno mondiale dei miracolati e di coloro che portano il nome di Gabriele Gabriella. Partecipano oltre 20 mila persone, provenienti da tutta Italia e anche dall’estero. Tra di essi ci sono centinaia di miracolati. Alcuni di loro testimoniano la propria esperienza, come Adele Di Rocco, di Bisenti (Teramo), che è guarita dall’epilessia dopo aver sognato San Gabriele. “Nel 1987 mi è apparso per la prima volta in sogno San Gabriele, che mi diceva di smettere con la terapia , ma io avevo paura e non mi sentivo di prendere una decisione del genere; sette anni dopo, durante un pellegrinaggio a piedi al santuario, sognai di nuovo il santo che mi disse: “Basta con la terapia!”. “Quella volta, senza dire nulla a nessuno, misi da parte le medicine e da allora sto benissimo”.
7) San Gabriele è innanzitutto il santo dei giovani. Sono centinaia di migliaia i giovani che vanno da lui per una sosta di preghiera. Ogni anno, ai primi di marzo, migliaia di studenti delle scuole medie superiori dell’Abruzzo e delle Marche arrivano al santuario per una giornata di spiritualità a “cento giorni dagli esami di maturità”. Nell’ultima settimana di agosto migliaia di giovani da tutta Italia si accampano per quattro giorni al santuario per la Tendopoli-Festa dei giovani. San Gabriele è il santo dei miracoli, invocato in ogni parte del mondo come potente intercessore presso Dio. In particolare sono molti i malati che sostano in preghiera sulla sua tomba per chiedere la guarigione. San Gabriele continua ad operare numerosi prodigi e sono tanti coloro che raccontano grazie da lui ottenute. Si contano a migliaia gli ex voto portati dai devoti al santuario in segno di riconoscenza. San Gabriele è il santo del sorriso. Seppe vivere sempre con gioia ed entusiasmo la sua esistenza. Né le varie sofferenze della sua vita, né la morte in giovane età riuscirono a spegnere il suo sorriso. Vanno da lui tutti perché lui piace a tutti. Esprime i valori che oggi andiamo cercando: voglia di vivere, di riuscire, di realizzarci e di essere felici. Piace ai malati perché è stato sempre debole di salute, ma ha amato la vita come pochi altri. Piace agli studenti perché è stato sempre studente, e studiando imparava nuove ragioni per amare la vita. Piace soprattutto ai giovani perché la sua vicenda in fondo non è altro che la storia di un innamoramento: della famiglia, dello studio, del divertimento, degli amici, del successo. Finché non s’è sentito guardato dalla Madonna che se l’è conquistato rivelandogli il Crocifisso e il dono di sé come risposta totale.
Fonte wwwsangabriele.org
 
Pratica: Mediterò la Passione di Gesù, innamorandomi della Croce come pegno di salvezza.
 
Preghiera: Dio, che con mirabile disegno di amore hai chiamato San Gabriele dell’Addolorata a vivere il mistero della Croce insieme con Maria, la madre di Gesù, guida il nostro spirito verso il tuo Figlio crocifisso perché partecipando alla sua passione e morte conseguiamo la gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore. Amen.
O Signore, che hai insegnato a San Gabriele dell’Addolorata a meditare assiduamente i dolori della tua dolcissima Madre, e per mezzo di lei lo hai elevato alle vette più alte della santità, concedi a noi, per la sua intercessione e il suo esempio, di vivere tanto uniti alla tua Madre addolorata da goderne sempre la materna protezione. Tu sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.