7 Luglio 2025
 
Lunedì XIV Settimana T. O.
 
Gen 28,10-22a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 90 (91); Mt 9,18-26
 
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica 1007La morte è il termine della vita terrena. Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare come la fine normale della vita. Questo aspetto della morte comporta un’urgenza per le nostre vite: infatti il far memoria della nostra mortalità serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza.
« Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza [...] prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato » (Qo 12,1.7).
1008 La morte è conseguenza del peccato. Interprete autentico delle affermazioni della Sacra Scrittura e della Tradizione, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo. Sebbene l’uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato. « La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato », è pertanto « l’ultimo nemico » (1 Cor 15,26) dell’uomo a dover essere vinto.
1009 La morte è trasformata da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subìto la morte, propria della condizione umana. Ma, malgrado la sua angoscia di fronte ad essa, egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. L’obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della morte in benedizione
 
I Lettura: “In questo racconto si uniscono una tradizione sacerdotale e un’altra jahvista. La prima riferisce: il sogno della scala o scalinata che conduce al cielo (una idea mesopotamica simboleggiata dalle torri a piani, o ziqqurat, vv 12 e 17), il voto di Giacobbe e la fondazione del santuario di Betel (vv 18.20.21a.22); alla tradizione jahvista appartiene invece il racconto dell’apparizione di Jahve che rinnova le promesse fatte ad Abramo e Isacco, Jahve che anche Giacobbe riconosce per suo Dio (vv. 13-16.19.21b). Tutte e due queste tradizioni rialzavano il prestigio del santuario di Betel (1Re 12,29-30+). Parecchi Padri, seguendo Filone di Alessandria, hanno visto nella scala di Giacobbe l’immagine della Provvidenza che Dio esercita sulla terra per il ministero degli angeli. Per altri, essa prefigurava l’incarnazione del Verbo, ponte gettato tra cielo e terra. Il v 17 è utilizzato dalla liturgia nell’ufficio e la messa della dedicazione delle chiese” (Bibbia di Gerusalemme). 
 
Vangelo
Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni ed ella vivrà.
 
La risurrezione della figlia di “uno dei capi”, e la guarigione della emorroissa sono due miracoli che mettono in luce la potenza salvifica di Gesù e anche la sua compassione per gli ammalati i sofferenti.
Le prolungate perdite di sangue della donna “erano dovute con tutta probabilità a menorragia (eccesso di flusso mestruale). Come nell’episodio del lebbroso (8,3), Gesù supera i vincoli imposti dal giudaismo e non si rivolge in malo modo alla donna che, pur essendo mestruata (quindi impura), gli tocca una delle frange poste ai quattro angoli del mantello, per ricordare - come prescritto dalla legge - i comandamenti del Signore (cfr. Nm 15,37-39; Dt 22,12)” (Il Nuovo Testamento).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,18-26
 
In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.
Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata.
Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.

Parola del Signore.
 
Dal Vangelo di Marco apprendiamo che il nome di “uno dei capi” che si prostra dinanzi a Gesù è Giairo (Mc 5,22). Mia figlia è morta proprio ora: il caso si presenta ormai senza soluzioni, ma il padre non si arrende, custodisce nel cuore la certezza che Gesù può riportarla in vita.
Quando Gesù arriva presso la casa di Giairo la folla è in agitazione. Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai flautisti e ai piagnoni: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme».
Le parole di Gesù non devono far credere che si tratta di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della fanciulla, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giairo, il presente stato della fanciulla è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.
Riecheggiano le parole che Gesù dirà quando gli portano la notizia della morte di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
Questo linguaggio eufemistico è stato adottato dalla Chiesa che lo ha esteso a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» (At 7,60; 13,36; 1Cor 7,39; 11,30), in attesa della risurrezione finale (1Ts 4,13-16; 1Cor 15,20-21.51-52).
Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore.
La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, entra dove era la bambina.
Gesù le prese la mano: il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), e, come ci suggerisce Marco, pronuncia le parole ‘Talità kum’ (Mc 5,41). Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica: “Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!»” (Mc 5,41).
La guarigione è istantanea.
La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mt 8,23-27), la liberazione degli indemoniati di Gàdara (Mt 8,27-34), la guarigione di un paralitico (Mt 9,1-9). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio.
Oggi, Gesù, pur sedendo alla destra del Padre (Rom 8,34; Ef 1,20), continua ad essere presente nella sua Chiesa: per questa Presenza, i credenti fruiscono della potenza salvifica del Cristo celata misteriosamente nei sacramenti fino a che arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
 
La morte - Emanuele Ghini: L’evento della morte, considerato realisticamente dalla rivelazione biblica come il totale venir meno della vita, non è visto in sé, ma sempre in stretta relazione con Iahvé, il Dio vivo: la morte la cui forza di estinzione è rappresentata dallo Sheól, si oppone alla vita come situazione di distacco da Dio nei confronti della pienezza dell’unica «fonte della vita».
Dall’assoluto monoteismo di Israele, legato al Dio unico, deriva la proibizione di ogni culto dei morti, peraltro sepolti con cura e pietà.
L’alleanza, che stabilisce un rapporto non personale ma nazionale fra Israele e Iahvé, fa sì che il problema della morte non assuma carattere drammatico, nella certezza della continuità del popolo, nonostante il venir meno dei singoli. Nel contesto vivo e in rapida evoluzione dell’alleanza, la morte è un problema poco essenziale: sia che si riconosca ai morti una sopravvivenza d’ombra nello Sheol, sia che si attribuisca loro un sonno eterno nel sepolcro di famiglia, il tema della morte non mette in crisi la fede di Israele. Da qui la rassegnazione con cui la morte è generalmente considerata e la pace con cui è accolta in tarda vecchiaia. Solo la morte precoce pone all’uomo la domanda che trova risposta nella potenza distruttiva del peccato delle origini. Ma poiché al peccato Dio ha sovvenuto con l’alleanza, la morte è superabile attraverso l’obbedienza alle «dieci parole» perché l’obbedienza, come assenso alla consacrazione operata dalla alleanza, è vita.
Israele ha lentamente intravvisto un superamento della morte sia nella conversione sollecitata dai profeti, sia nel personale rapporto con Iahvé che risolve anche, come per i salmisti e i sapienti, il problema della retribuzione. È l’apocalittica però che supera definitivamente la morte, annunciando la risurrezione dei giusti e dei peccatori nel regno escatologico.
Nel NT è soprattutto l’apostolo Paolo che, riprendendo la meditazione di Gen. 3, attribuisce la morte al peccato di Adamo. Col peccato e la legge, la morte è la principale potenza cosmica che domina sul mondo schiavo di Satana. Con l’avvento di Cristo, la morte è distrutta. Giovanni vede la morte di Cristo come passaggio da questo mondo al Padre, per un disegno di salvezza; Paolo, come atto di obbedienza che annulla il peccato e la morte nella risurrezione. La morte di Cristo per amore degli uomini è così creazione e nascita.
Per il cristiano, morto con Cristo, la fine della vita è ingresso nella vita stessa di Dio. Ciò esige l’adesione della fede, che già in sé è vita e comunica l’immortalità, mentre la sua mancanza è morte e conduce alla morte seconda della perdizione.
Morendo con Cristo il cristiano rinasce, per l’opera dello Spirito, alla vita nuova che lo rende partecipe dello stesso dinamismo trinitario, compiendo così la trasformazione definitiva nella viva immagine di Dio che, già iniziata nell’economia della figura, sarà completa alla parusia, quando i morti risorgeranno fruendo della vita stessa di Dio.
 
Cristo è toccato dalla fede - Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59: Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.
Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede ...
Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.
Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall’altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?
 
Il Santo del Giorno - 7 Luglio 2025 - Sant’Antonino Fantosati. Il Vangelo porta la pace, ma subisce la violenza:  Vangelo è incontro, ma è anche rischio, è apertura ma si trova spesso davanti a chiusure, è portatore di pace, ma subisce ancora troppe volte la violenza del mondo. C’è tutto questo nella vicenda esistenziale di sant’Antonino Fantosati, francescano missionario in Cina. Era nato a Trevi il 16 ottobre 1842 e a 16 anni vestì l’abito religioso francescano a Todi. Nel 1865 fu ordinato prete e nel 1867 partì missionario per la Cina, unendosi a Marsiglia a un gruppo di altri otto francescani, fra cui padre Elia Facchini, che morì martire due giorni dopo di lui, e alcune suore canossiane. A Uccian, capitale del Hu-pè e residenza principale della Missione, dovette vestire abiti cinesi e prese il nome in lingua locale di Fan-hoae-te. Nel 1868 era nell’Alto Hu-pè, meta del suo apostolato, dove rimase per sette anni. Nel 1878 venne nominato amministratore apostolico dell’Alto Hu-pè e nel 1889 vicario apostolico dell’Hu-nan Meridionale: mise in piedi un orfanotrofio, assistette i malati di peste e s’impegnò in un apostolato che portò molte conversioni. Il 7 luglio 1900 venne ucciso dalla folla aizzata dai «boxers», nel contesta dell’aspra persecuzione che in pochi mesi fece migliaia di vittime tra vescovi, preti, religiosi, religiose, catechisti e semplici cristiani. Beatificato nel 1946, è santo dal 2000. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.