1 Settembre 2022
 
Giovedì XXII Settimana T. O.
 
1Cor 3,18-23; Salmo Responsoriale dal Salmo 23 [24]; Lc 5,1-11
 
Colletta
Dio onnipotente,
unica fonte di ogni dono perfetto,
infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome,
accresci la nostra dedizione a te,
fa’ maturare ogni germe di bene
e custodiscilo con vigile cura.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La vocazione di Pietro: Giovanni Paolo II (Omelia, 8 Febbraio 1998): “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10). L’odierno brano evangelico ci racconta la vocazione di Simon Pietro e dei primi Apostoli. Dopo aver parlato alla folla dalla barca di Simone, Gesù chiede loro di prendere di nuovo il largo per la pesca. Pietro replica manifestando le difficoltà incontrate nella notte precedente durante la quale, pur avendo faticato molto, non è riuscito a concludere nulla. Tuttavia fa credito al Signore e compie il suo primo atto di fiducia in Lui: “Sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Il successivo prodigio della pesca miracolosa è un segno eloquente della potenza divina di Gesù e, allo stesso tempo, preannuncia la missione che sarà affidata al Pescatore di Galilea, quella di guidare la barca della Chiesa tra i flutti della storia e di raccogliere con la forza del Vangelo una moltitudine sterminata di uomini e di donne provenienti da ogni parte del globo. La chiamata di Pietro e dei primi Apostoli è opera della gratuita iniziativa di Dio, a cui fa riscontro la libera adesione dell’uomo. Questo dialogo d’amore con il Signore aiuta l’essere umano a prendere coscienza del suo limite e, allo stesso tempo, della potenza della grazia di Dio, che purifica e rinnova la mente ed il cuore: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Il successo finale della missione è garantito dall’assistenza divina. È Dio che tutto conduce a pieno compimento. A noi è chiesto di fidarci di Lui e di aderire docilmente alla sua volontà. Non temere! Quante volte il Signore ci ripete quest’invito. Oggi soprattutto, in un’epoca segnata da forti incertezze e paure, questa parola risuona come esortazione a fidarsi di Dio, a rivolgere lo sguardo verso di Lui. Egli, che guida le sorti della storia con la forza del suo Spirito, non ci abbandona nella prova e rende saldi i nostri passi nella fede. Carissimi Fratelli e Sorelle, lasciate che quest’intima consapevolezza permei la vostra esistenza. Dio chiama ogni credente a seguirLo; gli chiede di diventare cooperatore del suo progetto salvifico. Come Simon Pietro, anche noi possiamo proclamare: “Sulla tua parola getterò le reti”. Sulla tua parola! La sua parola è il Vangelo, perenne messaggio di salvezza che, accolto e vissuto, trasforma l’esistenza. Il giorno del nostro Battesimo ci è stato comunicato questo “lieto annuncio”, che dobbiamo approfondire personalmente e testimoniare con coraggio.
 
I Lettura: Il cristiano, in Cristo e con Cristo, ha vinto il mondo e lo domina fermamente, ma deve dargli il suo vero senso: il mondo va orientato verso Dio, e soltanto verso Dio. In tal modo possiamo affermare che “il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto” è stato fatto per i credenti. Compresi da questa verità i cristiani non si fanno assoggettare dal mondo, ma vivono nella piena libertà dei figli di Dio.
 
Vangelo
Lasciarono tutto e lo seguirono.
 
Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono: Luca nel raccontare la vocazione dei primi discepoli, dopo un periodo di insegnamenti e di miracoli, ha voluto sottolineare la loro immediata risposta alla chiamata.
Nella vocazione dei primi discepoli, vediamo sopra tutto l’inaugurazione e il fondamento della missione di Pietro all’interno del gruppo dei suoi compagni. Una missione che forma il nucleo del popolo messianico, nucleo che continua anche oggi a raccogliere una grande quantità di uomini attraverso l’annuncio autorevole della Parola di Dio. Ma è la Parola di Gesù e la sua Presenza che garantisce l’efficacia di quella missione che ha preso avvio dalla sua libera iniziativa sulle rive del lago: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20).

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5,1-11
 
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
 
Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini - Gesù è sempre più assediato dalla folla desiderosa di ascoltare la sua Parola. Gli evangelisti amano sottolineare che le folle restavano stupite dell’insegnamento di Gesù perché «insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi» (Mt 7,28-29). La Parola di Dio «diventa il punto d’incontro tra Gesù e le folle: Gesù per servirla, le folle per ascoltarla [servitore e uditori della Parola]» (Carlo Ghidelli). Da qui l’accalcarsi della folla e il cercare Gesù in ogni luogo.
Per meglio farsi ascoltare Gesù sale sulla barca di Simone. Sedutosi, che è la postura dei maestri, si mette ad ammaestrare le folle. Finito di parlare chiede a Simone di prendere il largo e di calare le reti per la pesca.
L’invito fatto in condizioni sfavorevoli - «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» - mette in evidenza la prescienza di Gesù: «egli infatti sapeva bene quello che stava per fare» (Gv 6,6).
Non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti. La risposta che Simone dà a Gesù marca il carattere di quest’uomo abituato alla fatica: forse rude nei tratti, a volte impulsivo, ma sostanzialmente buono e umile per cui si fida di Gesù e della sua parola. Infatti, da buon pescatore, Simone sa che è assurdo l’invito di Gesù, ma accetta ben volentieri e la sua fede verrà premiata da una pesca abbondante: tanto enorme era la quantità di pesci che «le reti quasi si rompevano» (Questo ultimo particolare avvicina il racconto lucano a quello giovanneo di 21,1ss).
Pietro, denominato con questo soprannome per la prima volta in Luca, percepisce la santità di Gesù e il gettarsi alle sue ginocchia è la conseguenza logica di questa sua comprensione: è la reazione dell’uomo affascinato e terrorizzato all’irrompere del soprannaturale nella sua vita. L’uomo davanti al divino, percepisce la sua miseria, il suo peccato. Simone capisce che tra lui e Gesù c’è una distanza infinita: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore».
Pietro, con il suo stupore e con la sua umile confessione, «si colloca nella schiera dei profeti come Isaia che hanno reagito alla vista della gloria del Signore in maniera analoga [cfr. LXX Is 6,5] e rappresenta inoltre i “peccatori” che nel racconto di Luca rispondono positivamente a Gesù [5,30.32; 7,34.39; 15,1-2.7.10; 18,13; 19,7]» (L. T. Johnson).
A un uomo di tale tempra e di tanta umiltà, Gesù può affidare una meravigliosa impresa, quella di essere pescatore di uomini. Il mare per gli antichi era la sede dei demoni, l’immagine è quindi molto forte: a Simon Pietro toccherà in sorte il nobile impegno di strappare gli uomini dal dominio di satana e liberarli dal giogo del peccato e della morte. In questo senso va il termine greco - zogron - usato per pescatore a cui appunto talvolta viene dato il senso di salvare dalla morte (il testo greco letteralmente ha: da ora [gli] uomini sarai prendente vivi).
Un mandato che Pietro vivrà con intensità fino al dono totale della sua vita.
Luca, infine, sottolinea la prontezza nel seguire Gesù: «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Il termine tutto è proprio di Luca essendo assente negli altri sinottici. Tale «“totalità” nella sequela del Cristo costituisce un elemento caratterizzante di Luca, che accentua molto il radicalismo evangelico [...]. Infatti, secondo l’insegnamento di Luca, per essere autentici discepoli del Cristo, bisogna rinunciare a tutti i propri beni [Lc 14,33]» (Salvatore Panimolle). Una sequela senza sconti: bisogna rinunciare a tutto, anche alla vita.
 
Catechismo degli Adulti - Come i primi discepoli [138] Sulle rive del lago di Tiberìade quattro pescatori, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono intenti al solito lavoro: aggiustano le reti, preparano le barche, sistemano il pesce da vendere. Si avvicina Gesù di Nàzaret, il giovane maestro che da poco ha cominciato a predicare per le strade di Galilea, e li chiama con autorità: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Ed essi lasciano mestiere e famiglia, il loro piccolo mondo; senza indugio vanno con lui, verso un futuro tutto da scoprire, ben lontani dall’immaginare dove andranno ad approdare.
Il carisma di Pietro [531] Il collegio dei vescovi succede a quello degli apostoli; il vescovo di Roma succede a Pietro. Da lui eredita il compito di confermare i fratelli nella fede, il carisma della “roccia”, che dà coesione e stabilità a tutta la Chiesa: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). Durante la vita pubblica, Gesù ha dato a Simone il nuovo nome di Pietro e gli ha promesso uno speciale ruolo di guida con la triplice metafora della pietra, delle chiavi e del legare e sciogliere. Dopo la risurrezione, lo costituisce suo primo testimone: «apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,5). Lo fa pastore di tutto il gregge: «Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,15-16).
Il vescovo di Roma successore di Pietro [532] Pietro, nella prima comunità di Gerusalemme, è sempre in prima fila come protagonista, nel prendere la parola a nome di tutti gli apostoli, nel compiere le guarigioni miracolose, nel punire gli indegni, nel confermare le conversioni, nell’ammettere i pagani, nell’affermare la libertà cristiana di fronte alla legge mosaica. Pietro e Paolo, «le più grandi e le più giuste colonne», portano a compimento la loro testimonianza a Roma, dove versano il sangue per Cristo «insieme a una grande moltitudine di eletti». Per questo la Chiesa di Roma «presiede alla carità», e con essa, «per la sua più alta autorità apostolica, deve accordarsi ogni Chiesa, cioè i fedeli di qualsiasi parte», perché attraverso la successione dei suoi vescovi «la tradizione, che è nella Chiesa a partire dagli apostoli, e la predicazione della verità è giunta fino a noi». «Dalla discesa del Verbo incarnato verso di noi, tutte le Chiese cristiane sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui[a Roma]come unica base e fondamento, perché, secondo la promessa del Salvatore, le porte degli inferi non hanno mai prevalso su di essa»
 
L’umiltà e la dote del predicatore del Vangelo - Ludolfo il Certosino, Vita Dom. Christi, 1, 29: Quando lo stupore e l’ammirazione si impadronirono di Simon Pietro e dei suoi compagni e l’animo tutto si raccolse su quei fatti straordinari, Pietro, comprendendo che ciò non poteva essere opera dell’umana forza, umilmente si gettò ai piedi di Cristo riconoscendo in lui il suo Signore, dicendogli: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5,8s) e non sono degno di stare in tua compagnia. Allontanati da me, poiché sono un comune mortale, mentre tu sei il Dio-uomo; io peccatore, tu santo; io il servo, tu il Padrone. Quante cose mi dividono da te: la debolezza della mia natura, l’abiezione della colpa, il peccato. Si considerò indegno di trovarsi in presenza di una persona così santa. Questo dimostra quanto si debba temere di toccare le cose sante, di stare attorno all’altare e di accostarsi all’Eucaristia.
Cristo, però, confortò Pietro spiegandogli che pescare voleva dire essere pescatori di uomini e questo avrebbe dovuto fare. Gli disse dunque: Non aver paura, non meravigliarti, ma piuttosto rallegrati e credi che sei destinato ad una pesca più grande: avrai un’altra barca e altre reti. Finora hai preso i pesci con le reti, d’ora in poi - cioè in un prossimo futuro - prenderai gli uomini con la parola, e con la dottrina salutifera li condurrai sulla via della salvezza, poiché tu sei chiamato al servizio della Parola.
La Parola di Dio è stata paragonata all’amo, poiché come l’amo non prende il pesce se non viene ingoiato, così anche l’uomo per la vita eterna prende la Parola di Dio solo se custodisce nell’anima la Parola di Dio.
“D’ora in poi sarai pescatore di uomini”, vuol dire che, dopo quanto è accaduto, prenderai gli uomini; cioè, dato che ti sei umiliato, a te spetterà d’ufficio di pescare gli uomini; l’umiltà infatti ha il potere di attirare ed è cosa buona e giusta che coloro i quali, pur avendo autorità, sanno non esaltarsi nell’essere a capo degli altri...
In Pietro - che per tutta la notte nulla aveva preso, ma dopo aver gettato le reti alle parole di Cristo fece una pesca abbondante, eppure nelle parole: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”, non si attribuisce altro che la colpa - abbiamo l’immagine di colui che predica il Vangelo. Quando fa assegnamento soltanto sulla propria forza, non ricava alcun utile, sostenuto però dalla potenza divina ottiene grandi frutti.
Pietro si gettò ai piedi di Gesù dopo aver catturato una enorme quantità di pesci. Questo ci insegna che il predicatore, catturando con la sua eloquenza un gran numero di uomini, deve umiliarsi interamente davanti a Dio e a lui deve riconoscere ogni cosa, a sé invece nulla se non gli errori. Allora troverà forza nel Signore che gli dirà: Non aver paura, avrai in futuro un successo ancora più grande: d’ora in poi catturerai un maggior numero di uomini.
 
Il Santo del giorno - 1 Settembre 2022 - Sant’Egidio Abate: L’epoca in cui visse l’abate Egidio (in francese Gilles) non si conosce con precisione. Alcuni storici lo identificano con l’Egidio inviato a Roma da S. Cesario di Arles all’inizio del secolo VI; altri lo collocano un secolo e mezzo più tardi, e altri ancora datano la sua morte tra il 720 e il 740. La leggenda in questo caso non ci viene in aiuto, poiché tra i vari episodi della vita del santo annovera anche quello che viene illustrato da due vetrate e da una scultura del portale della cattedrale di Chartres, in cui è raffigurato Sant’Egidio mentre celebra la Messa e ottiene il perdono di un peccato che l’imperatore Carlo Magno non aveva osato confessare a nessun sacerdote. La tomba del santo, venerata in un’abbazia della regione di Nimes, risaliva probabilmente all’epoca merovingica, anche se l’iscrizione non era anteriore al secolo X, data in cui fu anche composta la Vita del santo abate, intessuta di prodigi sul tipo delle pie leggende raccontate a scopo di edificazione. Numerose sono le testimonianze del suo culto in Francia, Belgio e Olanda. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 31 Agosto 2022
 
Mercoledì XXII Settimana T. O.
 
1Cor 3,1-9; Salmo Responsoriale dal Salmo 32 [33]; Lc 4,38-44
 
Colletta
Dio onnipotente,
unica fonte di ogni dono perfetto,
infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome,
accresci la nostra dedizione a te,
fa’ maturare ogni germe di bene
e custodiscilo con vigile cura.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo: Benedetto XVI (Angelus, 5 febbraio 2012): Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che guarisce i malati: dapprima la suocera di Simone Pietro, che era a letto con la febbre ed Egli, prendendola per mano, la risanò e la fece alzare; poi tutti i malati di Cafarnao, provati nel corpo, nella mente e nello spirito, ed Egli “guarì molti… e scacciò molti demoni” (Mc 1,34). I quattro Evangelisti sono concordi nell’attestare che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica. In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione.
Un giorno Gesù disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mc 2,17). In quella circostanza si riferiva ai peccatori, che Egli è venuto a chiamare e a salvare. Rimane vero però che la malattia è una condizione tipicamente umana, in cui sperimentiamo fortemente che non siamo autosufficienti, ma abbiamo bisogno degli altri. In questo senso potremmo dire, con un paradosso, che la malattia può essere un momento salutare in cui si può sperimentare l’attenzione degli altri e donare attenzione agli altri! Tuttavia, essa è pur sempre una prova, che può diventare anche lunga e difficile. Quando la guarigione non arriva e le sofferenze si prolungano, possiamo rimanere come schiacciati, isolati, e allora la nostra esistenza si deprime e si disumanizza. Come dobbiamo reagire a questo attacco del Male? Certamente con le cure appropriate - la medicina in questi decenni ha fatto passi da gigante, e ne siamo grati - ma la Parola di Dio ci insegna che c’è un atteggiamento decisivo e di fondo con cui affrontare la malattia ed è quello della fede in Dio, nella sua bontà. Lo ripete sempre Gesù alle persone che guarisce: La tua fede ti ha salvato (cfr Mc 5,34.36). Persino di fronte alla morte, la fede può rendere possibile ciò che umanamente è impossibile. Ma fede in che cosa? Nell’amore di Dio. Ecco la vera risposta, che sconfigge radicalmente il Male. Come Gesù ha affrontato il Maligno con la forza dell’amore che gli veniva dal Padre, così anche noi possiamo affrontare e vincere la prova della malattia tenendo il nostro cuore immerso nell’amore di Dio. Tutti conosciamo persone che hanno sopportato sofferenze terribili perché Dio dava loro una serenità profonda. Penso all’esempio recente della beata Chiara Badano, stroncata nel fiore della giovinezza da un male senza scampo: quanti andavano a farle visita, ricevevano da lei luce e fiducia! Tuttavia, nella malattia, abbiamo tutti bisogno di calore umano: per confortare una persona malata, più che le parole, conta la vicinanza serena e sincera.
 
I Lettura: L’apostolo Paolo muove delle precise accuse ai cristiani di Corinto: sono delle persone immature, carnali e bambini per quanto riguarda la fede; le divisioni, i partiti, lo testimoniano chiaramente. Per tale motivo Paolo non ha potuto parlare loro “come a esseri spirituali”. Infine, chiarisce che gli apostoli sono servi di Dio, loro devono seminare generosamente, ma è Dio che fa crescere. L’attenzione quindi va spostata su Dio e non sui predicatori.
 
Vangelo
È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.
 
Gesù, dopo aver guarito la suocera di Pietro, guarisce molti ammalati e ossessi imponendo ai demoni, come ai miracolati e perfino agli apostoli (cfr. Mc 1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36; 8,26.30; 9,9), una consegna di silenzio sulla sua identità messianica che sarà tolta solo dopo la sua morte (Cf. Mt 10,27). Per la Bibbia di Gerusalemme, poiché «il popolo si faceva una idea nazionalista e guerriera del Messia, molto diversa da quella che Gesù voleva incarnare, gli occorreva usare molta prudenza, almeno in terra d’Israele (cf. Mc 5,19), per evitare spiacevoli equivoci sulla sua missione (cfr. Gv 6,15; Mt 13,13)». Questa consegna del “segreto messianico” è presente sopra tutto nel Vangelo di Marco: non è una tesi artificiosamente inventata dagli evangelisti come alcuni hanno preteso; risponde invece a un atteggiamento storico di Gesù, benché gli evangelisti, e in modo particolare Marco, ne abbiano fatto un tema su cui amano insistere.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,38-44
 
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Il racconto della guarigione della suocera di Simone nel Vangelo di Luca assume un significato che va al di là del puro fatto di cronaca. Il terzo evangelista, infatti, «sottolinea la forza [con il verbo minacciò la febbre, lo stesso usato per indicare la scacciata del demonio] e l’istantaneità [con l’espressione Alzatasi all’istante], oltre alla gravità della malattia [era afflitta da una grande febbre]: egli perciò la considera come un potente esorcismo di Gesù, sempre impegnato nella lotta non solo contro Satana, ma anche contro le conseguenze del peccato [in questo caso contro la malattia]» (Carlo Ghidelli, Luca). La lotta contro Satana è una idea forza che troviamo diffusamente nei Vangeli. San Giovanni, quasi a sintetizzare la missione di Gesù, afferma che Egli è «apparso per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8). Il racconto evangelico è attraversato da un crescendo di emozioni, di entusiasmo e di buoni sentimenti, almeno da parte della folla che non si stanca di ascoltare il Maestro e dei molti ammalati che assediano la casa dove Egli è ospite per ottenere la guarigione fisica. Si passa dalla entusiasta accoglienza nella sinagoga alla guarigione della suocera di Pietro; dalla guarigione di molti ammalati «affetti da varie malattie» alla liberazione di indemoniati e ossessi fino a raggiungere il culmine con il tentativo delle folle di trattenere Gesù “perché non andasse via”. Ma su questo entusiasmo arriva una risposta a dir poco sconcertante e inattesa: Egli deve andar via, deve mettersi in cammino, non può essere ostaggio di pochi: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». Con questa nota sembra che Luca abbia intenzione di mettere in evidenza l’andare di Gesù di villaggio in villaggio. Egli è stato mandato per andare e dedicarsi alla salvezza dei Giudei e dei pagani: «per questo Egli è venuto». Egli è venuto a chiamare i peccatori (cfr. Mc 2,17), a cercare la pecora perduta (cfr. Lc 14,4-6) e a dare «la propria vita in riscatto per molti» (cfr. Mc 10,45). La vita di Gesù è una vita girovaga senza riposo e senza un tetto sotto il quale ripararsi (cfr. Mt 8,20), uno stile di vita che i discepoli devono saper imitare. Sul suo esempio, Egli vuole che i suoi discepoli siano decisi ad abbracciare questo stile di vita intessuto di povertà e di precarietà, pronti nell’abbandonare affetti, case e parentele varie per mettersi al suo seguito (cfr. Mt 8,21-22). Un distacco totale che contrassegna la sequela cristiana.
 
Malattia. Detlev Dormeyer / Anton Grabner: a) Secondo l’AT la malattia è mandata da Dio. Dapprima si crede che Dio la infligga come castigo personale (Is l,5s), ma negli scritti più tardi dell’AT si ricerca un’altra motivazione. Giobbe viene colpito dal Satana con la  malattia, ma col permesso di Dio (Gb 1). Poiché Giobbe ha condotto una vita retta, senza alcuna colpa, non si può non riconoscere che il malvagio può vivere sano e felice, mentre il giusto può venir colpito dalla  malattia. Perciò si evidenziano le ripercussioni sociali del peccato. Le azioni umane non danno e non tolgono nulla a Dio, colpiscono però il proprio simile; il peccato può causare una  malattia propria o quella di altri. Il fatto che la malattia visiti uno anziché l’altro, deriva dalla causalità intramondana, in ultima analisi, però, dall’imperscrutabile volontà di Dio. Come mezzi per guarire la malattia malattia sono perciò indicati, nell’AT, opere di pietà, preghiera, digiuno, voti e sacrifici per implorare la pietà di Dio. Non si rinuncia, tuttavia, all’ausilio di metodi umani in vista della guarigione (Sir 38,1ss).
b) Anche nel AT domina la concezione veterotestamentaria che la malattia  provenga da Dio. Gesù però, come il Libro di Giobbe, rifiuta decisamente l’interpretazione degli scribi per cui la malattia  sarebbe il castigo per una colpa personale o famigliare. Al contrario, egli guarisce la malattia  con i suoi  prodigi, perché questo è un segno che con lui è iniziato il tempo escatologico: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5). Con ciò si adempie la promessa del profeta (Is 35,5s e 61,1). Gesù è venuto per guarire l’uomo. Gesù suscita un mondo risanato, il regno di Dio. Malattia significa per il cristiano partecipazione alla croce di Cristo; la sofferenza di Cristo continua nei suoi (Col 1,24), finché la “nuova creazione” di Dio non sia compiuta.
 
Io sono il Signore che ti guarisco (Is 60,16): «Entrato nella casa di Pietro, il Signore e Salvatore nostro guarì col solo contatto della sua mano la suocera di lui ammalata gravemente, ed in questo prodigio mostrò di essere l’autore di ogni sanità, l’autore della medicina celeste, che nel passato aveva parlato a Mosè dicendo: “Io sono il Signore che ti guarisco” [Is 60,16]. Ma in questo, poiché donò la guarigione col contatto della mano, fu segno non di impotenza ma di grazia. In realtà, anche se precedentemente aveva guarito il paralitico soltanto con una parola, senz’altro facilmente avrebbe potuto anche ora fare scomparire le febbri con una parola, ma attraverso il contatto della sua mano mostrò il dono della sua benevolenza e si manifestò come colui del quale era stato scritto: “Per il contatto della sua mano presto ridona la sanità”, poiché capiamo che è stato adempiuto in questa stessa opera. Immediatamente, infine, per il contatto della mano del Signore, la febbre scomparve, la guarigione ritorna con la fede alla credente, egli che scruta i reni e il cuore [degli uomini] dona i benefici della sanità, e quelle cose di cui bisognava per il servizio altrui, e restituita alla salute precedente, cominciò in persona a servire il Signore. Per queste prodigiose azioni senza dubbio si approva chiaramente la divinità del Cristo.» (Cromazio di Aquileia, In Matth., Tract., 40,1-4).
 
Il Santo del giorno: 31 Agosto 2016: Beato Pere Tarres i Claret, Sacerdote: Nasce in Spagna a Manresa (Barcellona) il 30 maggio del 1905 da genitori credenti. Allievo dei padri Scolopi e dei Gesuiti, studia anche medicina; fonderà la clinica di Nostra Signora della Mercede a Barcellona. Sono gli anni della Guerra Civile Spagnola: nel luglio del 1938 Pere Tarrés i Claret è arruolato nell’esercito repubblicano come medico militare, attività in cui si impegna con esemplare carità. Nel frattempo il beato riesce a dedicarsi agli studi di latino e filosofia, maturando il desiderio di diventare prete; nel ‘39 entra in seminario, quattro anni dopo è ordinato sacerdote. Si laurea in teologia all’Università Pontificia di Salamanca. Rientra a Barcellona, dove ricopre incarichi nell’Azione Cattolica in particolare per la formazione dei giovani, nella pastorale parrocchiale e come cappellano di istituti religiosi femminili. Nel maggio del 1950, sottoposto a biopsia, gli è diagnosticato un linfosarcoma linfoblastico; muore pochi mesi dopo, il 31 agosto, a soli 45 anni, nella clinica da lui fondata. È beatificato da papa Giovanni Paolo II a Loreto il 5 settembre del 2004 durante il raduno dell’Azione Cattolica. (Avvenire)  
 
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Agosto 2022
 
Martedì XXII Settimana T. O.
 
1Cor 2,10b-16; Salmo Responsoriale dal Salmo 144 [145]; Lc 4,31-37
 
Colletta
Dio onnipotente,
unica fonte di ogni dono perfetto,
infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome,
accresci la nostra dedizione a te,
fa’ maturare ogni germe di bene
e custodiscilo con vigile cura.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Rito degli esorcismi (Premesse Generali 6-7): Durante il suo ministero Cristo diede agli Apostoli e agli altri discepoli il potere di scacciare gli spiriti immondi (cfr. Mt l0,1.8; Mc 3,14-15; 6,7.13; Lc 9,1; l0,17.18-20). Promise loro lo Spirito Santo Paraclito, che procede dal Padre attraverso il Figlio, allo scopo di convincere il mondo quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato (cfr. Gv 16,7-11). E nel Vangelo la cacciata dei demoni fa parte dei segni che avrebbero accompagnato quelli che credono (cfr. Mc 16,17). Fin dal tempo degli Apostoli la Chiesa ha esercitato il potere ricevuto da Cristo di scacciare i demoni e di respingere il loro influsso (cfr. At 5,16; 8,7; 16,18; 19,12). Perciò essa prega con fiducia e perseveranza «in nome di Gesù» di essere liberata dal Maligno (cfr. Mt 6,13)e, in quello stesso nome, per la forza dello Spirito Santo, comanda in vari modi ai demoni di non ostacolare l’opera di evangelizzazione (cfr 1 Ts 2,18) e di restituire «al più Forte» (cfr. Lc 11,21-22) il dominio sul creato e su ogni uomo. «Quando la Chiesa comanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo».
 
I Lettura: A uomini avidi di sapienza umana, Paolo rivolge un accorato monito: abbandonare la conoscenza carnale e aprirsi allo Spirito di Dio. L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito: esse sono follia; invece l’uomo mosso dallo Spirito giudica ogni cosa e conosce ciò che Dio gli ha donato. L’eterno dilemma: appoggiarsi alla carne, ma essa conduce alla morte, appoggiarsi allo Spirito di Dio, esso conduce alla vita e alla conoscenza del pensiero dl Signore. È ancora in gioco la libertà dell’uomo, è lui, e soltanto lui, che deve discerne e scegliere.
 
Vangelo
So bene chi tu sei: il santo di Dio!
 
L’esorcismo è teso a strappare l’uomo dal dominio di Satana. Gesù esorcizza un uomo posseduto da uno spirito impuro con autorità e potenza, tanto da lasciare esterrefatti gli astanti. Lo spirito è detto impuro perché è scivolato fuori dalla santità di Dio, e tutto quello che è fuori da questa cornice è impuro. Il demonio sa che è impotente dinanzi a Gesù, tanto da gridare: Basta! Che vuoi da noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio! Quest’ultima affermazione non è una professione di fede, ma il santo di Dio è colui che Dio ha scelto per incaricarlo di una missione particolare. E il Figlio di Dio si è manifestato per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3,8). Una lotta eterna tra l’impuro e il Puro. Chi partecipa all’esorcismo viene preso da timore, una reazione naturale, ma avrebbe dovuto fare un salto di qualità: carpire la presenza di Dio in quell’“uomo” che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,31-37
 
In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male.
Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.
 
Gesù per liberare l’uomo posseduto da Satana non fa uso di preghiere o di complicati rituali: basta la sua Parola, forte e imperiosa, a mettere in fuga lo spirito immondo. La pronta e immediata liberazione dell’uomo, fa intendere che soltanto Gesù, con la sua potenza, può liberare l’uomo dalle forze malvagie che lo assediano minacciandolo da ogni parte. Distruggendo l’impero e le opere del diavolo (cfr. Mt 12,28; Lc 4,6; 10,17-19; Gv 12,31; 1Gv 3,8), Gesù inaugura il regno messianico restituendo all’uomo la sua totale integrità e la sua piena libertà, quella dello spirito e quella del corpo. È da evidenziare che l’opposizione di Satana «appare ogni volta più manifesta: è subdola e dissimulata nel deserto; aperta e violenta negli indemoniati; assoluta e radicale durante la passione, che è l’ora e l’impero delle tenebre [cfr. Lc 22,53]. Anche la vittoria di Gesù è ogni volta più luminosa, fino al trionfo totale della Risurrezione» (Bibbia di Navarra). Singolare poi l’uscita dello spirito immondo dall’uomo: lo fa «gettandolo a terra in mezzo alla gente». Quasi un moto di stizza e di rabbia. Vinto e umiliato il diavolo sfoga tutta la sua rabbia sull’uomo. Con i deboli si fa arrogante e temerario, con il Forte si fa vile, debole (cfr. Lc 11,21-22). Il potere di Gesù, con il quale comanda agli spiriti immondi, riempie di ammirazione e di timore coloro che lo ascoltano. Che così non possono non ammettere che sono uditori di «un insegnamento nuovo, dato con autorità». Un’ammissione esatta perché giustamente ricollegata «al miracolo, che ne è il segno dimostrativo. [L’insegnamento] è nuovo soprattutto riguardo al contenuto, in quanto annuncia un regno spirituale di Dio, ed è autoritario per il modo in cui viene impartito» (A. Sisti). La fama di Gesù si «diffondeva in ogni luogo della regione circostante», forse più per la sua autorità sugli spiriti immondi e per la sua potenza taumaturgica che per la sua dottrina. Di questi fraintendimenti i Vangeli sono pieni (cfr. Mt 16,6.12; Gv 6,26). Fraintendimenti che purtroppo soro arrivati fino ai giorni nostri!
 
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro: Padre Royo Marin (Teologia della perfezione cristiana): La possessione diabolica è un fenomeno sorprendente in virtù del quale il demonio invade il corpo di un uomo vivo e ne muove gli organi secondo il suo arbitrio come se si trattasse di una cosa propria. Il demonio si introduce e risiede realmente nell’interno del corpo della sua vittima e in esso opera e parla. Coloro che soffrono questa invasione dispotica prendono il nome di possessi, indemoniati o energumeni. La possessione suppone e comporta due elementi essenziali: la presenza del demonio nel corpo della vittima; il suo impero dispotico su di esso.
Senza dubbio, non c’è un’informazione intrinseca (come l’anima è forma sostanziale del corpo), ma soltanto una penetrazione o presa di possesso del corpo. L’impero su di esso è dispotico, però non come principio intrinseco dei suoi atti o movimenti, ma soltanto per un dominio violento ed esterno alla sostanza dell’atto. Si potrebbe paragonare all’azione dell’autista che maneggia il volante dell’automobile e ne dirige l’energia del motore dove vuole. In ogni caso, la presenza intima del demonio rimane circoscritta al solo corpo. L’anima resta libera e se per l’invasione degli organi corporei l’esercizio della sua vita cosciente è sospeso, non ne resta invasa ella stessa. Solo Dio ha il potere di penetrare nella sua essenza con la sua virtù creatrice e di stabilirvi la sua dimora con l’unione speciale della grazia. Il fine perseguito dal demonio con le sue violenze è di perturbare l’anima e di trascinarla al peccato. Ma l’anima rimane sempre padrona di sé e, se si conserva fedele alla grazia, trova nella sua libera volontà un asilo inviolabile. Nella possessione possiamo distinguere due momenti: lo stato di crisi e lo stato di calma. I periodi di crisi si manifestano con esplosioni violente del male e la loro stessa violenza ne impediscono la continuità e la durata. È il momento nel quale il demonio si rivela apertamente con atti, parole, convulsioni, scatti di ira e di empietà, oscenità e bestemmie innominabili. Nella maggior parte dei casi, i pazienti perdono la nozione di quello che avviene in essi, come capita nei momenti acuti di certe malattie e di certi dolori; e rientrando in sé non conservano nessun ricordo di quello che hanno detto o fatto, o meglio di quello che il demonio ha detto o fatto per mezzo loro. Qualche volta avvertono la presenza dello spirito infernale all’inizio della crisi, quando comincia ad usare dispoticamente delle loro membra. In certi casi, tuttavia, lo spirito del possesso rimane libero e cosciente di sé durante il periodo in cui l’azione diabolica si fa più violenta ed assiste con trepidazione a questa dispotica usurpazione dei suoi organi da parte del male.
 
Preferirono servire la creatura piuttosto il Creatore - Gaudium et spes 13: Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l’uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini «non gli hanno reso l’onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente»... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore.
Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l’uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono.
Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l’armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l’uomo si trova diviso in se stesso.
Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato.
Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo e scacciando fuori « il principe di questo mondo » (Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato.
Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l’esperienza.
 
Il peccato degli angeli: «Tra le angeliche virtù il primo angelo dell’ordine terrestre, cui era stata affidata la cura della terra, pur essendo buono per natura e causa di bene e creato senza nessuna impronta di malizia, non tollerando più lo splendore che aveva ricevuto per libera donazione del Creatore, da ciò che era in armonia con la sua natura, si rivolse a ciò che era contro la sua natura, e si oppose al suo Creatore; così per primo si allontanò dal bene e da buono divenne cattivo. Poiché il male non è altro se non la mancanza di un bene, come le tenebre non sono altro che la mancanza di luce. Il bene è una luce spirituale e il male è un buio spirituale. Lui ch’era stato fatto luce dal Creatore e buono - Dio “guardò tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone” [Gen 1,31] - di sua spontanea volontà si fece tenebre. Con lui si ribellò tutta la moltitudine innumerevole di angeli ch’era sotto di lui. Pur essendo, dunque, della stessa natura di tutti gli altri angeli, per propria scelta, divennero cattivi e di loro spontanea volontà si piegarono al male.» (Giovanni Damasceno, De fide orthod., 2,4).
 
Il Santo del giorno - 30 Agosto 2022 - Beato Alfredo Idelfonso Schuster, vescovo: Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, divenne monaco esemplare e, il 19 marzo 1904, venne ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione cassinese, poi priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura. L’amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di san Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l’archeologia, l’arte sacra, la storia monastica e liturgica. Il 15 luglio 1929 fu creato cardinale da papa Pio XI e il 21 luglio fu consacrato arcivescovo di Milano nella suggestiva cornice della Cappella Sistina. Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa ambrosiana fino al 30 agosto 1954, data della sua morte, avvenuta presso il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un’abbazia in cima ad un colle. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996. (Avvenire)  
 
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
29 Agosto 2022
 
Martirio di San Giovanni Battista
 
Ger 1,17-18; Salmo Responsoriale dal Salmo 70 [71]; Mc 6,17-29
 
Colletta
O Dio, che a Cristo tuo Figlio hai dato come precursore,
nella nascita e nella morte, san Giovanni Battista,
concedi anche a noi di lottare con coraggio
per la testimonianza della tua parola,
come egli morì martire per la verità e la giustizia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale, 29 Agosto 2012): Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr. Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr. Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr. Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr. Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr. Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr. Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr. Lc 11,1). Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.
 
I Lettura: I  nemici sono numerosi e i prepotenti tramano per uccidere il giusto. Questo fa tremare di paura il profeta Geremia, Egli “si sente un semplice uomo, e vorrebbe essere come uno fra i tanti, come un bambino che non sa parlare. Timido per natura, egli è molto lontano dall’offrirsi volontario come Isaia; ma l’imperativo divino è al di sopra di tutti i suoi sentimenti naturali. «Io sono con te per proteggerti». Che esperienza preziosa di intimità e di presenza del divino nell’umano” (Epifanio Callego).
 
Vangelo
«Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
 
La morte cruenta di Giovanni Battista, uomo giusto e santo, fedele al suo mandato e messo a morte per la sua libertà di parola, fa presentire l’arresto e la condanna ingiusta di Gesù. Giovanni muore per la malvagità di una donna e la debolezza di un sovrano, ma la sua morte non è uno dei tanti fatti di cronaca che da sempre fanno parte della storia umana, è invece una Parola che Dio rivolge a tutti gli uomini: morire per la Verità è farsi discepolo del Cristo, ed è offrire la propria vita per la salvezza degli uomini: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.” (Gv 15,12-14).

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,17-29
 
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò».
E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): L’accenno alla decapitazione del Battista offre a Marco l’opportunità per narrare come avvenne la morte del Precursore. L’evangelista ricorda i motivi di carattere privato che hanno trascinato il tetrarca al suo gesto sanguinario. Marco, che aveva accennato fugacemente all’arresto del Battista all’inizio della vita pubblica di Gesù (cf. Mc., 1,14), ora precisa maggiormente i fatti, facendo entrare in scena una donna ambiziosa, accecata dalla passione e follemente bramosa di vendetta, la quale aveva atteso il momento opportuno per indurre il tetrarca ad accondiscendere all’insaziabile odio nutrito da lungo tempo contro colui che pubblicamente aveva denunziato lo scandalo della corte.
Per il racconto di Marco, 6,17-29 si veda il commento al passo parallelo di Matteo,14, 3-12. La narrazione di Marco è assai più particolareggiata di quella di Matteo, poiché scopre le astuzie femminili alle quali ricorse Erodiade per attuare il suo piano di vendetta.
Dai verss. 19-20 risulta il differente atteggiamento di Erode Antipa e della sua tirannica amante davanti all’austera figura del Precursore; questa era decisa a sbarazzarsi del prigioniero, quello invece era incerto, poiché si sentiva soggiogato dalla superiorità morale del Battista. Marco soltanto ci trasmette queste notizie di carattere privato.
Restava molto perplesso (ἠπόρει); molti codici hanno ἐποίει: faceva, (da questi manoscritti deriva la lettura della Volgata: et audito eo multa faciebat). Per il verbo ἀπορεῖν si è pensato che esso abbia un senso particolare, attestato dalla grecità classica, cioè: porre delle questioni; in questo caso il passo evangelico andrebbe così tradotto: «(Erode) lo ascoltava, gli poneva molte questioni e lo ascoltava volentieri»; questo senso del verbo ἀπορεῖν quantunque attestato in Platone ed Aristotele, non sembra convenire al versetto di Marco, perché esso è usato in passi in cui si tratta di discussioni dialettiche.
Vers. 21: Fece un banchetto ai suoi grandi...; Antipa aveva convocato tre categorie di persone: i grandi, cioè i membri dell’amministrazione civile, gli ufficiali superiori dell’esercito ed infine i notabili della tetrarchia (Galilea e Perea).
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, XVIII, 5, 2) afferma che Erode fece sopprimere Giovanni perché temeva che la popolarità suscitata dal Precursore fosse causa di sedizione. Da questa notizia delle Antichità Giudaiche alcuni critici concludono che il racconto degli evangelisti, che parlano di un convito e di un ballo a corte, sia una storiella inventata da essi. Per un’esposizione chiara ed esauriente del problema rinviamo il lettore all’opera di M. J. Lagrange: L’évangile de Jésus Christ, Parigi 1948, pp. 200-207. Riportiamo le parole con le quali l’autore citato conclude la sua indagine storica: «Lungi dal contraddirsi i due documenti (Vangelo di Marco e Antichità Giudaiche) si completano nel modo più soddisfacente. Una vaga ragione di stato poté essere la spiegazione più semplice dell’assassinio per uno storico (Giuseppe Flavio) insufficientemente informato. La vera causa ha il suo punto d’appoggio nel carattere che Giuseppe stesso ha tracciato del tetrarca, amministratore prudente ed amico di tutti, quando non era traviato dalla moglie o vinto dal vino. Possiamo quindi con tutta sicurezza mettere la morte del Battista tra i fatti le cui circostanze palesi o nascoste ci sono meglio conosciute».
 
Vivere il Vangelo “sine glossa”: Giovanni Paolo II (Angelus, 29 Agosto 2004): Quest’oggi, 29 agosto, la tradizione cristiana fa memoria del martirio di San Giovanni Battista, “il più grande fra i nati di donna”, secondo l’elogio del Messia stesso (cfr Lc 7, 28). Egli rese a Dio la suprema testimonianza del sangue immolando la sua esistenza per la verità e la giustizia; fu infatti decapitato per ordine di Erode, al quale aveva osato dire che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello (cfr Mt 6, 17 – 29).
Nell’Enciclica Veritatis splendor, ricordando il sacrificio di Giovanni Battista (cfr n.91), notavo che il martirio è “un segno preclaro della santità della Chiesa” (n.93). Esso infatti “rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale” (ibid.). Se relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però “una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici” (ibid.). Ci vuole davvero un impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere il Vangelo “sine glossa”.
L’eroico esempio di Giovanni Battista fa pensare ai martiri della fede che lungo i secoli hanno seguito coraggiosamente le sue orme. In modo speciale, mi tornano alla mente i numerosi cristiani, che nel secolo scorso sono stati vittime dell’odio religioso in diverse nazioni d’Europa. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa.
Sentano questi nostri fratelli e sorelle la piena solidarietà dell’intera comunità ecclesiale! Li affidiamo alla Vergine Santa, Regina dei martiri, che ora insieme invochiamo.
 
La danza: «Avete udito, fratelli, quanto grande crudeltà sia nata dal piacere? E il suo capo fu recato in un vassoio. La casa si trasforma in un’arena, la mensa diventa una cavea, i convitati diventano spettatori, il convito si muta in follia, il cibo diventa strage, il vino si cambia in sangue, al giorno natalizio si unisce il funerale, nella nascita si mostra il tramonto, il banchetto si muta in omicidio, gli strumenti musicali fanno echeggiare la tragedia dei secoli. Entra una belva, non una ragazza, corre una fiera, non una donna, agita la criniera sul capo, non i capelli; allarga le membra con le contorsioni, cresce con l’aumentare della ferocia, diventa grande con la crudeltà, non con il corpo, e la belva singolare ruggisce, con la bocca digrigna i denti, non riceve il ferro, ma lo sguaina. Per suggerimento, dice, di sua madre, e scagliando la saetta dal petto di sua madre, belva di nuovo genere, preda spregiata del corpo, raggiunge il capo stesso per mozzarlo.» (Pietro Crisologo, Sermoni 127,9).
 
Il Santo del giorno - 29 Agosto 2022 - Martirio di Giovanni Battista. Il coraggio di affrontare la prepotenza del mondo: Giovanni Battista è l’icona del coraggio dei cristiani, che non temono la prepotenza del mondo, forti dell’annuncio del Regno di Dio portato prima dai profeti e poi da Cristo. Eppure anche i battezzati non possono non riconoscersi in Erode Antipa, che ascoltava Giovanni ma restava sempre perplesso. A vincere le resistenze è il martirio del cugino di Gesù, ultimo dei profeti e primo degli apostoli. La storia è nota: il re si sentì minacciato dal Battista, che lo accusò di aver compiuto un atto illecito sposando Erodiade, moglie di suo fratello. Erode lo imprigionò a Macheronte ma in qualche modo continuava a sentirne il fascino. A eliminare il “pericolo” ci pensò la stessa Erodiade che, alla festa di compleanno del sovrano, spinse la figlia, che aveva ammaliato Erode con la sua danza, a chiedere la testa di Giovanni, ottenendola. «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista», fu la richiesta. «Il re si rattristò – annota il Vangelo di Matteo –, ma a motivo del giuramento e dei commensali lo mandò a decapitare». (Matteo Liut)
 
O Dio, che ci hai riuniti alla tua mensa
nel glorioso ricordo
del martirio di san Giovanni Battista,
donaci di venerare con fede viva
il mistero che abbiamo celebrato
e di raccoglierne con gioia il frutto di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.