1 Aprile 2023
 
Sabato V Settimana di Quaresima
 
Ez 37,21-28; Salmo Ger 31,10-12b.13; Gv 11,45-46
 
Colletta
O Dio, che hai fatto di tutti i rinati in Cristo
la stirpe eletta e il sacerdozio regale,
donaci il desiderio e la forza di compiere ciò che comandi,
perché il tuo popolo, chiamato alla vita eterna,
sia concorde nella fede e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo. 
 
Fede come atto umano non contrario alla libertà e all’intelligenza - Catechismo della Chiesa Cattolica 154 È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane non è contrario alla nostra dignità credere a ciò che altre persone ci dicono di sé e delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse (come, per esempio, quando un uomo e una donna si sposano), per entrare così in reciproca comunione. Conseguentemente, ancor meno è contrario alla nostra dignità «prestare, con la fede, la piena sottomissione della nostra intelligenza e della nostra volontà a Dio quando si rivela»171 ed entrare in tal modo in intima comunione con lui.  
155 Nella fede, l’intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina: «Credere est actus intellectus assentientis veritati divinae ex imperio voluntatis a Deo motae per gratiam – Credere è un atto dell’intelletto che, sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina». 
155 Nella fede, l’intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina: «Credere est actus intellectus assentientis veritati divinae ex imperio voluntatis a Deo motae per gratiam – Credere è un atto dell’intelletto che, sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina». 
Fede come dono di Dio - Catechismo della Chiesa Cattolica 153 Quando san Pietro confessa che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Gesù gli dice: «Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17).169 La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa. «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia ‘a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità’».
 
I Lettura: Il perdono di Dio aprirà la via del ritorno e Israele riposerà per sempre entro le mura della città santa. A regnare sul popolo eletto sarà un solo re. Israele rigetterà gli idoli, e metterà in pratica le norme e le leggi di Dio. L’alleanza che Dio stipulerà con il suo popolo sarà eterna preconizzando in questo modo il sacrificio del Cristo nel cui sangue Dio sigillerà eternamente la sua alleanza con tutti gli uomini. L’incarnazione del Figlio di Dio compirà perfettamente l’ultima promessa: In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.
 
Vangelo
Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.
 
Giuseppe Segalla (Giovanni): Al dono della vita si oppone la condanna a morte.
Il racconto delle conseguenze del miracolo servono da introduzione (11,45-46) al consiglio del sinedrio (11,47-50), la cui risoluzione finale è seguita da un lungo commento teologico dell’evangelista (11,51-52) e dalla messa in atto della stessa risoluzione (11,53). Il ritiro di Efraim (11,54) sembra una decisione presa in seguito alla condanna del sinedrio.
Il racconto centrale (11,47-50) può essere ritenuto un apoftegma, cioè un racconto che si conchiude con un detto teologicamente importante (11,50).
45-46: Come sempre (7,43; 9,16; 10,19) al miracolo segue una divisione di opinioni: chi crede e chi invece è praticamente d’accordo con le autorità ostili di Gerusalemme.
 
Dal Vangelo secondo  Giovanni
Gv 11,45-46
 
In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. 
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 
Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. 
Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. 
Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 45 Molti dei giudei... credettero in lui; la risurrezione di Lazzaro, morto già da quattro giorni, costituisce un miracolo-segno che rivela la potenza e la missione divina di Gesù. Molti dei giudei, per questo «segno», credettero a chi lo aveva compiuto. L’evangelista ritorna in ogni circostanza su questo fatto fondamentale per l’uomo: la fede; egli poi rileva l’importanza che ha per la fede il «segno» visto; anche qui l’autore segnala che quelli che «avevano visto» credettero in Gesù. Per la fede dei giudei, cf. 2, 23; 7, 31.
46 Ma alcuni di loro si recarono dai farisei; non è facile stabilire l’esatto senso di queste parole: chi sono questi «alcuni» che vanno a dire ai farisei quello che Gesù ha fatto? Sono forse alcuni di quei giudei che hanno appena creduto? Oppure sono alcuni giudei in genere, i quali, essendo venuti a conoscere la risurrezione di Lazzaro, si affrettano ad informare i farisei con intenti malevoli? Non si riesce a precisare il fatto, né si può attribuire una volontà malvagia a questi informatori (cf. Giov., 5, 15; 9, 13). All’evangelista interessa principalmente segnalare il fatto che il miracolo è divulgato e che esso giunge a conoscenza dei farisei, nemici irriducibili di Cristo.
 
Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): La profezia messianica di Ezechiele, che leggiamo nella prima lettura, è imperniata sulla futura unità del popolo ebraico, esiliato in Babilonia. Dio lo riunirà in un solo regno e non avrà più due monarchie: Giuda e Israele, come dopo la morte di Salomone. «In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo», ripete il Signore più di una volta. Propone così la creazione di una comunità teocratica, diretta da un unico pastore, futuro Davide, rappresentante di Dio, che inoltre realizzerà con il suo popolo una nuova ed eterna alleanza di pace. Ideale messianico che si compì solo in Cristo, il buon pastore, che appare nel vangelo come bersaglio dell’odio mortale dei capi del popolo.
L’ultimo miracolo di Gesù, la risurrezione di Lazzaro, è l’elemento determinante per la sua condanna a morte da parte del sinedrio, che trova insostenibile la situazione religiosa che Gesù sta creando nel popolo, con la conseguente insicurezza politica. «Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione” ... Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo», perché, secondo Caifa, quell’anno sommo sacerdote, conveniva che morisse un solo uomo per il popolo, piuttosto che perisse la nazione intera.
La morte di Gesù è decisa ufficialmente dall’autorità religiosa. Ma la sua morte redentrice sarà feconda, come profetizzò Caifa, senza rendersi conto della portata del suo opportunismo nazionalista. Gesù morirà non solo per la nazione giudaica, ma anche per riunire tutti i figli di Dio dispersi dal peccato.
La nuova famiglia ecclesiale di Dio non si baserà sull’appartenenza razziale, come nell’Antico Testamento, ma sulla fede in Cristo. Un unico gregge sotto un solo pastore, Gesù. La comunione con Cristo, riflesso di quella che egli ha con il Padre, è il nucleo di ogni comunità cristiana. Quanto più saranno uniti i credenti in Cristo, tanto più saranno fratelli gli uni per gli altri.
 
I miracoli di Cristo, la fede e la libertà - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni, Vol. III): Nel brano di Gv 11,45ss è rappresentata in forma drammatica l’opposta reazione dei giudei dinanzi al segno straordinario della risurrezione di Lazzaro: un folto gruppo crede in Gesù, mentre altri si chiudono sempre più nel loro ostinato rifiuto della luce.
In realtà Dio invita tutti alla fede e con i miracoli del suo Figlio vuole favorire l’adesione esistenziale alla sua dottrina e alla sua persona divina, però non costringe nessuno a credere, ma rispetta sovranamente la libertà dell’uomo.
La creatura razionale non perde affatto la sua dignità, quando fa il salto della fede, perché l’apertura del cuore e della mente al messaggio del Cristo è un atto responsabile ed emesso per decisione spontanea, anche se la fede rimane un dono di Dio. È vero che è il Figlio dell’uomo esaltato sulla croce ad attirare alla sua persona tutte le creature (Gv 12,32), è il Padre a orientare il cuore dell’uomo verso il Figlio suo (Gv 6,44); tuttavia nel processo della fede la libertà non è affatto soppressa o menomata.
Questa dottrina è così illustrata nel decreto del concilio Vaticano II sulla libertà religiosa: «Lo stesso Iddio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità, per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione ma non coartati. Egli infatti ha riguardo alla dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Iddio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite e umile di cuore, ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. Certo ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione» (Dignitatis humanae, l1).
 
Origene (In Jo., XXVIII, 24): Gesù pertanto non andava più apertamente tra i giudei...: nei tempi antichi Egli andava apertamente tra i giudei, allorquando la Parola di Dio abitava tra loro per mezzo dei Profeti... Ora invece Gesù non può andarvi apertamente ed è partito di là per una regione (da intendersi come il mondo intero), vicina al deserto (cioè la Chiesa, quella che prima era deserta), in una città di nome Èfraim, che significa “quella che porta abbondanza di frutti”, ove si trattenne con i suoi discepoli. E questa permanenza di Gesù con i suoi discepoli in una località vicina al deserto, in una città di nome Èfraim, perdura tuttora, perché Egli è presente nell’abbondanza dei frutti spirituali.  
 
Il Santo del giorno - 1 Aprile 2023 -  Sant’Ugo di Grenoble: Venne alla luce nel 1053 a Châteauneuf-sur-Lers, nel Delfinato, e morì a Grenoble il 1° aprile 1132 dopo 52 anni di episcopato nella città francese. Nato da nobile famiglia, fu educato dalla madre a una vita di elemosina, preghiera e digiuno. A soli 27 anni era già vescovo di Grenoble. Da allora, per tutta la vita, conciliò con abnegazione l’attrazione fortissima verso la vita eremitica e il cenobio e la fedeltà al servizio episcopale, che svolse con grande ardore, secondo lo spirito di riforma della Chiesa che caratterizzò il pontificato di Gregorio VII. (Avvenire)
 
O Padre, che ci hai nutriti
con il Corpo e Sangue del tuo Figlio,
per questo sacramento di salvezza
fa’ che entriamo in comunione con la tua vita divina.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 31 Marzo 2023
 
Venerdì V Settimana di Quaresima
 
Ger 20,10-13; Salmo Responsoriale Dal Salmo 17 (18); Gv 10,31-42
 
Colletta
O Dio, che in questo tempo concedi alla tua Chiesa
di imitare la beata Vergine Maria
nella contemplazione della passione di Cristo,
donaci, per sua intercessione,
di conformarci sempre più al tuo Figlio unigenito
e di giungere alla pienezza della sua grazia.
Egli è Dio, e vive e regna con te. 
 
Il Padre lo ha mandato: Catechismo della Chiesa Cattolica 547: Gesù accompagna le sue parole con numerosi “miracoli, prodigi e segni” (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato.
548 I segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato. Essi sollecitano a credere in lui. A coloro che gli si rivolgono con fede, egli concede ciò che domandano. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio. Ma possono anche essere motivo di scandalo. Non mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; lo si accusa perfino di agire per mezzo dei demoni.
Credere in Gesù: Catechismo della Chiesa Cattolica 590: Soltanto l’identità divina della Persona di Gesù può giustificare un’esigenza assoluta come questa: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30); altrettanto quando egli dice che in lui c’è “più di Giona... più di Salomone” (Mt 12,41-42), “c’è qualcosa più grande del Tempio” (Mt 12,6); quando ricorda, a proprio riguardo, che Davide ha chiamato il Messia suo Signore, e quando afferma: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Gv 8,58); e anche: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30).
591 Gesù ha chiesto alle autorità religiose di Gerusalemme di credere in lui a causa delle opere del Padre che egli compiva. Un tale atto di fede, però, doveva passare attraverso una misteriosa morte a se stessi per una rinascita “dall’alto” (Gv 3,7), sotto lo stimolo della grazia divina. Una simile esigenza di conversione di fronte a un così sorprendente compimento delle promesse permette di capire il tragico disprezzo del sinedrio che ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore. I suoi membri agivano così per “ignoranza” e al tempo stesso per l’“indurimento” (Mc 3,5; Rm 11,25) dell’incredulità.
 
I Lettura: Geremia lamenta di essere stato «violentato» da Dio e «costretto» ad annunciare una Parola scomoda. Il profeta medita di abbandonare il campo d’azione, anzi di cancellare Dio dalla sua memoria. Ma nelle traversie scopre la presenza del Signore che sconvolge le congiure degli empi e libera il povero dalle mani dei malfattori. Tutto questo lo apre alla fiducia e gli infonde nuovo coraggio per andare avanti nella missione. Povero, (anaw, Ger 22,16), assume qui un significato religioso: colui che è provato in mezzo agli uomini e ripone la sua fiducia in Dio. I «poveri di Jahve» (Sof 2,3) rappresenteranno la posterità spirituale di Geremia. 
 
Vangelo
Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.  
 
I tentativi di catturare Gesù o di ucciderlo lapidandolo sono maldestri, e così falliscono miseramente. Gesù non arretra dinanzi alle minacce che non sono più velate, e nel tentativo di far conoscere la sua vera identità e la sua missione, proclama di essere Dio, il Padre è in me, e io nel Padre, una dichiarazione considerata dai Farisei blasfema, e mentre nel loro cuore perverso si accende sempre di più la fiamma dell’odio e dell’ira, molti vedendo le opere di Gesù credono in lui. Ma l’ora del Padre sta per giungere, e la Vittima innocente sarà immolata per la salvezza del mondo intero.
 
Dal Vangelo secondo  Giovanni
Gv 10,31-42
 
In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». 
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio - e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. 
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase.
Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.
 
Parola del Signore.
 
Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio…: L’argomentazione del Maestro, a prova della sua divinità, “è costituita dalle opere eccezionali compiute nel nome del Padre celeste (Gv 10,37-38). Questo passo è formato da un parallelismo antitetico di tre elementi, come mostra il testo strutturato:
A) Se non faccio
B) LE OPERE del Padre mio,
C) NON CREDETE A ME;
A’) ma se (Le) faccio,
C’) anche se NON CREDETE A ME, CREDETE
B’) ALLE OPERE.
Gesù qui si appella alle pere straordinarie da lui compiute nel nome del Padre, per invitare ancora una volta i u i interlocutori alla fede nella sua divinità.
Queste opere eccezionali provano in modo autorevole che il Maestro è l’Inviato di Dio, ma purtroppo i nemici del Cristo non vogliono credere (Gv 5,38.46s). È il Padre a compiere, nel Verbo incarnato, le sue opere (Gv 14,10s). I giudei però sono ostinati e accecati nella loro incredulità e nell’odio contro la luce: sarebbero senza colpa, se Gesù non avesse compiuto opere che nessun altro al mondo ha mai fatto; ma ora sono responsabili per tanto peccato (Gv 15,23-25).
Le opere eccezionali, compiute dal Verbo incarnato, hanno una finalità ben precisa: favorire la fede nella sua divinità: «Credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre (è) in me e io (sono) nel Padre» (Gv 10,38). Le espressioni finali di questo passo, che rappresentano una formulazione molto simile all’idea proclamata in Gv 10,30, costituiscono il vertice di tutta la pericope in esame, nella quale il Maestro proclama e prova la sua unità di natura con il Padre. Gesù e Dio vivono in tale intima unione, da essere l’uno nell’altro, in modo da formare una cosa sola.
I giudei intendono bene il significato dell’affermazione del Maestro e perciò cercano di catturarlo (Gv 10,39), come avevano cercato di fare precedentemente (Gv 7,30.32.44) e tenteranno di fare in seguito (Gv 11,57). Gesù però, anche questa volta, sfuggì alle loro mani (Gv 10,39), come in altra occasione (Gv 8,59)” (Salvatore Alberto Panimolle, Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni, Vol. II).
 
Gesù risponde ai Giudei per l’ultima volta (vv. 34-38) - Marida Nicolaci (Vangelo secondo Giovanni): Diversamente da quanto accade nel dialogo del cap. 8, stavolta Gesù non rilancia la sua pretesa rispondendo con una provocazione verbale maggiore, ma sembra accettare le difficoltà dei suoi interlocutori e rispondere al ribasso ricorrendo, come già in 7,21-24, alla regola ermeneutica del ragionamento a fortiori. Forse per sfatare l’incanto formale della parola, cui tanto i Giudei sembrano tenere («dillo a noi!») e dalla quale si sentono poi costretti a difendersi accusando Gesù di bestemmia; forse, ancor di più, per mostrare la non auto-referenzialità della sua proclamazione e per riempire di contenuto il linguaggio restituendo tutto il peso probante alle «opere», che da se stesse parlano di lui. Nemmeno il titolo «Figlio di Dio» costituisce più formalmente, sul piano verbale, il suo unicum o la verità specifica della sua identità perché già la Scrittura attribuisce l’essere «dèi, figli dell’Altissimo» a tutti coloro cui la parola di Dio viene incontro.
La citazione del Sal 82,6 (v. 34), mai richiamato altrove in tutto il NT, permette di mostrare come l’elemento costitutivo della «divinità» degli uomini stia nel rapporto con la parola di Dio e nella capacità di assolvere fedelmente alla funzione e missione ricevuta da Dio. L’argomento che vale per i figli di Israele vale a maggior ragione per Gesù che, come e più dei profeti (cf Ger 1,4-7) o di Mosè (Dt 18,18), è «mandato» e «consacrato» dal Padre e si è interamente dedicato alla missione ricevuta. Il segno più alto della sua perfetta dedizione al Padre, proclamata nel contesto della festa della dedicazione dell’altare profanato del tempio, viene additato da Gesù nelle opere che sono le ultime a dovere parlare in suo favore e a poter rivelare la verità della sua relazione col Padre (v. 38). La rivelazione ultima che Gesù fa di se stesso ai Giudei, in risposta alla loro domanda nel contesto della Dedicazione, sta nel di più della sua radicale fedeltà alla propria missione salvifica e al Padre che ne è l’origine: un di più che la Scrittura annuncia ma non compie e che il Servo di Jhwh manifesta in atto di compiersi con le sue stesse opere. Dietro queste opere e le Scritture che attestano il significato della «divinità» di colui che le compie, Gesù si ritira in attesa dopo essere nuovamente sfuggito dal potere dei Giudei.
 
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano ... - Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): Sotto minaccia, Gesù si allontana. Questo passaggio «di là del Giordano» potrebbe avere un valore simbolico.
Gesù lascia la Giudea minacciosa e incredula. È qui raffigurata l’uscita delle pecore con il pastore. Nel contesto di fallimento che risuona nel capitolo 10, si profila la nascita della nuova comunità. «Molti» credono e «rimangono» con lui. Ricordando il ruolo di Giovanni Battista, l’evangelista evoca la sua prima confessione pubblica. Dopo quattro menzioni, ogni volta più brevi (1,19-36; 3,22-30; 5,33-35; 10,41), Giovanni scompare,
compiendo così la sua missione di essere il testimone: «Molti dicevano: “Giovanni non ha fatto nessun segno; ma tutto ciò che egli disse di costui era vero» (v. 41).
Questi versetti hanno potuto costituire una conclusione della prima parte, quando i capitoli 11 e 12 non erano ancora inseriti nel vangelo di Giovanni.
 
Le opere non sono sue ma del Padre - Ilario di Poitiers, La Trinità 7,26: Quale spazio si trova qui per un’adozione, per la concessione di un nome, così che non sia figlio di Dio, mentre deve essere creduto Figlio di Dio dalle opere proprie della natura paterna? Una creatura non può essere equiparata ed essere simile a Dio, e non si può paragonare col potere di una natura estranea. Solo la nascita permette al Figlio di essere creduto uguale a Dio per la somiglianza, senza cadere nell’empietà. [ ... ] Il Figlio compie le opere del Padre, e per questo chiede di essere creduto Figlio di Dio. Non è una presunzione arrogante quella che domanda di essere comprovata solo dalle opere compiute. Afferma di compiere non le cose proprie ma quelle del Padre, perché per la grandezza delle opere compiute non si elimini la nascita a cui è legata la sua natura.
E poiché non veniva riconosciuto come Figlio di Dio sotto il mistero del corpo assunto e dell’uomo nato da Maria ci inculca la fede partendo dai fatti operati [...].
Non vuole essere creduto Figlio di Dio prima che lo si veda dalle opere del Padre da lui compiute. Se poi compie tali opere e sarà ritenuto indegno che si professi la fede in lui per l’umiltà del corpo, chiede che si creda alle opere. Per quale motivo infatti il mistero della nascita umana dovrebbe impedire di comprendere la nascita divina, se colui che nasce come Dio realizza ogni sua opera per la mediazione dell’uomo che ha assunto? Se allora non si crede per le opere che quell’uomo è Figlio di Dio, si creda che le opere sono del Figlio di Dio, in quanto non si può negare che sono di Dio. E se l’opera del Figlio è l’ opera del Padre, ciò avviene perché colui che nasce non è estraneo alla natura da cui riceve di essere, e possiede in sé quella natura da cui riceve l’ esistenza.
 
Il Santo del Giorno - 31 Marzo 2023 - Santa Balbina di Roma Martire: Di lei non si hanno molte notizie certe. Secondo la tradizione era figlia del tribuno romano e martire Quirino con cui venne uccisa introno al 130 per poi essere seppellita sulla via Appia. Tuttavia il cimitero che vi si trova nonché la chiesa sul piccolo Aventino non avrebbe alcun legame con lei. Balbina era stata battezzata da Papa Alessandro I insieme al padre convertitosi al cristianesimo. Ammalatasi gravemente fu portata dal Pontefice che allora era imprigionato e ne venne guarita. Di estrazione nobile venne chiesta più volte in sposa ma rimase sempre fedele al suo voto di verginità.
Arrestata insieme col padre per ordine dell’imperatore Adriano venne decapitata dopo lunghe torture.
L’iconografia la raffigura con croce e scettro di gigli; talvolta anche con un angelo che indica il cielo.
Altre immagini la rappresentano mentre tiene in mano una catena. Sarebbe infatti guarita dal mal di gola sfiorando le catene che tenevano imprigionato Papa Alessandro I. (Avvenire)
 
Non ci abbandoni, o Signore,
la continua protezione del sacrificio che abbiamo ricevuto,
e allontani sempre da noi ogni male.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 30 Marzo 2023
 
Giovedì V Settimana di Quaresima
 
Gen 17,3-9; Salmo Responsoriale 104 (105); Gv 8,51-59
 
Colletta
Ascolta, o Padre, coloro che ti supplicano
e custodisci con amore
quanti ripongono ogni speranza nella tua misericordia,
perché, purificati dalla corruzione del peccato,
permangano in una vita santa
e siano fatti eredi della tua promessa.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La pienezza della fede cristiana: Lumen fidei 15: «Abramo […] esultò nella speranza di vedere il mio giorno, lo vide e fu pieno di gioia» (Gv 8,56). Secondo queste parole di Gesù, la fede di Abramo era orientata verso di Lui, era, in un certo senso, visione anticipata del suo mistero. Così lo intende sant’Agostino, quando afferma che i Patriarchi si salvarono per la fede, non fede in Cristo già venuto, ma fede in Cristo che stava per venire, fede tesa verso l’evento futuro di Gesù. La fede cristiana è centrata in Cristo, è confessione che Gesù è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti (cfr. Rm 10,9). Tutte le linee dell’Antico Testamento si raccolgono in Cristo, Egli diventa il “sì” definitivo a tutte le promesse, fondamento del nostro “Amen” finale a Dio (cfr. 2Cor 1,20). La storia di Gesù è la manifestazione piena dell’affidabilità di Dio. Se Israele ricordava i grandi atti di amore di Dio, che formavano il centro della sua confessione e aprivano lo sguardo della sua fede, adesso la vita di Gesù appare come il luogo dell’intervento definitivo di Dio, la suprema manifestazione del suo amore per noi. Quella che Dio ci rivolge in Gesù non è una parola in più tra tante altre, ma la sua Parola eterna (cfr. Eb 1,1-2). Non c’è nessuna garanzia più grande che Dio possa dare per rassicurarci del suo amore, come ci ricorda san Paolo (cfr. Rm 8,31-39). La fede cristiana è dunque fede nell’Amore pieno, nel suo potere efficace, nella sua capacità di trasformare il mondo e di illuminare il tempo. «Abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16). La fede coglie nell’amore di Dio manifestato in Gesù il fondamento su cui poggia la realtà e la sua destinazione ultima.
 
I Lettura: Dio promette ad Abramo una discendenza numerosa come le stelle. La promessa di Dio varca i secoli, nella pienezza dei tempi si compirà in Cristo. 
Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo17,5. Abramo è il primo uomo nella storia biblica al quale Dio cambia nome. In questo modo l’autore sacro segnala che Dio conferisce al patriarca una nuova personalità e una missione, riflesse nel significato del nuovo nome: «padre di una moltitudine di popoli».
Questo nome è perciò in relazione alla promessa che accompagna l’alleanza; d’ora in poi, la figura del patriarca, tutta la sua personalità, dipendono dall’alleanza con Dio e sono al servizio della stessa. Abramo è «l’uomo dell’alleanza»; alla luce della piena rivelazione del Nuovo Testamento, san Paolo interpreterà quel nuovo nome Abramo in relazione ai pagani convertiti al cristianesimo (cfr Rm 4,17). Quel nome, «padre di una moltitudine di popoli», diventa così l’annuncio profetico del futuro inserimento del mondo non ebraico nel popolo della nuova Alleanza, che è la Chiesa” (La Bibbia di Navarra).
 
Vangelo
Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno.
 
I Giudei accusano Gesù di essere indemoniato. E forse anche un esaltato perché pretende di liberare dalla morte i suoi discepoli. Tutti gli uomini sono segnati con il sigillo della morte... Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”... Chi credi di essere?
A questa domanda Gesù risponde ai Giudei istituendo un confronto tra la loro incredulità e la fede di Abramo di cui essi si vantano di essere figli: Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia. Abramo che perseverò nella fede, ha avuto la gioia e la luce interiore per contemplare, al di là del tempo, il giorno del Verbo, un giorno rilucente di gloria divina: In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono.
 
Dal Vangelo secondo  Giovanni
Gv 8,51-59
 
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?».
Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia».
Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».
Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
 
Parola del Signore.
 
La Bibbia di Navarra - Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco : 55. La conoscenza di cui parla il Signore implica qualcosa di più che un mero sapere o capire. Di questa conoscenza già si parla nell’Antico Testamento, dove il verbo “conoscere” esprime amore, fedeltà, generoso dono di sé.
L’amore a Dio è conseguenza della conoscenza certa che abbiamo di lui, così come, al tempo stesso, tanto meglio conosciamo Dio quanto più è da noi amato. Gesù, la cui umanità santissima era congiunta intimamente - pur senza confondersi - con la divinità nell’unica Persona del Verbo, non poteva esimersi dall’affermare la sua conoscenza singolare e ineffabile del Padre. Ma questo linguaggio veritiero diveniva del tutto incomprensibile per quei Giudei che si chiudevano volontariamente alla fede, al punto da ritenerlo blasfemo (cfr v. 59).
56. Gesù si presenta come colui nel quale hanno compimento le speranze dei patriarchi dell’Antico Testamento. Essi si mantennero fedeli, ardentemente desiderosi di vedere il giorno della redenzione. Riferendosi alla fede dei patriarchi, san Paolo esclama: «Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra» (Eb 11,13). Tra di essi spicca Abramo, nostro padre nella fede (cfr Gal 3,7), il quale riceve la promessa che sarebbe stato il progenitore di un popolo numeroso, il popolo eletto, da cui doveva nascere il Messia.
Il futuro adempimento delle promesse me sianiche fu già per Abramo motivo d’immenso audio: «Così Abramo, nostro Padre, scelto in vista del compimento futuro della Promessa, e sperando contro ogni speranza, riceve, fin dalla nascita del figlio Isacco, le primizie profetiche di questa gioia. Essa si trova come trasfigurata attraverso una prova di morte, quando questo figlio unico gli è restituito vivo, prefigurazione della risurrezione di colui che deve venire: il Figlio unico di Dio promesso al sacrificio redentore. Abramo esultò al pensiero di vedere il giorno del Cristo, il giorno della salvezza: egli “lo vide e se ne rallegrò”» (Gaudete in Domino, II).
Gesù si muove su di un piano ben superiore a quello dei patriarchi, poiché questi videro solo in visione profetica, “di lontano” il giorno del Cristo il giorno della salvezza, mentre egli è colui che lo porta a compimento.
58. La risposta di Gesù all’osservazione incredula dei Giudei racchiude la rivelazione della sua divinità. Dicendo “prima che Abramo fosse, Io Sono”, il Signore si riferisce alla sua eternità, attributo peculiare della natura divina. Per questo sant’Agostino può esclamare: «Riconoscete il Creatore, non confondetelo con la creatura. Colui che parlava era discendente di Abramo; ma perché potesse chiamare Abramo all’esistenza doveva esistere prima di lui» (In Ioannis Evang. tractatus, 43,17).
A proposito di queste parole di Gesù, i Santi Padri ricordano la solenne teofania sul monte Sinai: «Io sono colui che sono!» (Es 3,14), nonché la distinzione operata da san Giovanni nel suo Vangelo tra il mondo che “è stato fatto” e il Verbo che “era” fin da tutta quanta l’eternità (cfr Gv 1,1-3). L’espressione “Io Sono” che Gesù fa propria in maniera così risoluta equivale dunque ad affermare la sua eternità e la sua divinità.
 
La fede nell’Io Sono - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Nel dramma grandioso di Gv 8,12-59, Gesù si rivela come il Signore, il vero Dio. I piloni portanti di questo dialogo, dalle scene così vive e polemiche, sono costituiti dalle tre proclamazioni del Maestro di essere 1’Io SONO (Gv 8,24.28.58). In questi passi, il Maestro si rivela come il Signore, per invitare i suoi interlocutori a una fede esistenziale nella sua persona divina. Questo è l’elemento essenziale e caratterizzante della fede cristiana.
I giudei purtroppo si ostinano nel rifiuto della luce, preferiscono le tenebre dell’incredulità, si lasciano soggiogare completamente dal padre dell’odio e della menzogna; quindi rigettano il loro Dio, 1’io SONO. Il tentativo di lapidazione sigilla bene questo atteggiamento ostile dei nemici del Cristo (Gv 8,59).
Noi, pur condannando l’incredulità dei giudei, pur aderendo con la mente alla verità rivelata dal Verbo incarnato, con la nostra vita pratica tante volte rigettiamo il Signore della gloria e preferiamo il nostro egoismo, adoriamo i nostri idoli di carne o d’oro. Quante volte una creatura soggioga il nostro cuore e lo rende chiavo!
Quante volte il successo, il guadagno il danaro ci tiranneggiano e prendono il posto dell’IO SONO! Eppure sappiamo di dover adorare solo il Signore, di dover orientare la nostra esistenza unicamente verso di lui, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello.
 
Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature (Catechismo Tridentino Art. II, 304 40): Le sacre Scritture attribuiscono al Salvatore molteplici qualità, di cui alcune chiaramente gli spettano come Dio, altre come uomo, avendo Egli in sé, con la duplice natura, le proprietà rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù Cristo, per la sua natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la sua natura umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi, altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi riferire tale qualifica all’una e all’altra natura. Infatti egli è Dio eterno come il Padre; cosi pure è Signore di tutte le cose quanto il Padre. E come egli e il Padre non sono due distinti Dei, ma assolutamente lo stesso Dio, cosi non sono due Signori distinti. Ma anche come uomo, per molte ragioni è chiamato Signore nostro. Innanzi tutto perché fu nostro Redentore e ci libero dai nostri peccati, giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e meritarne il nome. Insegna infatti l’Apostolo: Si umilio, fattosi ubbidiente fino alla morte e morte di croce; per cui Dio lo ha esaltato, conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell’inferno; e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre (Fil 2,8-11). Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: Mi è stato conferito ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28,18). Inoltre è chiamato Signore per aver riunito in una sola Persona due nature, la divina e l’umana. Per questa mirabile unione merito, anche senza morire per noi, d’essere costituito quale Signore, sovrano di tutte le creature in genere, e specialmente dei fedeli che gli obbediscono e lo servono con intimo affetto.  
 
M. Eckhart, Exp. Jo. ev. (VIII): .... prima che Abramo fosse creato, IO SONO!: ovvero “Io, la Sapienza increata, il Verbo di Dio che è Dio, sono prima del mondo creato, prima che il mondo fosse creato”. Bisogna quindi notare che la creazione, prima di essere manifesta, fu, ma immanifesta, non ancora visibile; infatti l’Apostolo dice: Il mondo è stato preparato, perché dall’invisibile avesse luogo il l’invisibile”.
 
Il Santo del giorno - 30 Marzo 2023 - San Giovanni Climaco, Abate: In greco, «climaco» significa «quello della scala». Così è soprannominato Giovanni, monaco e abate, perché ha scritto una famosissima guida spirituale in greco: «Klimax tou Paradeisou», ossia «Scala del Paradiso». Ma di lui abbiamo scarse notizie: incerte le date di nascita e di morte, sconosciuta la famiglia (sappiamo però di un fratello, Giorgio, anche lui monaco). Lo troviamo nella penisola del Sinai, monaco a vent’anni, tra molti altri, chi legato a un centro di vita comune, chi invece isolato in preghiera solitaria. Lui sperimenta entrambe le forme di vita, e poi si fissa nel monastero di Raithu, nel sud-ovest della regione. Ma verso i 60 anni lo chiamano a guidare come abate un altro grande e più famoso cenobio: quello del Monte Sinai. E lì porta a termine la «Scala», che diventerà popolarissima. Sarebbe morto nel 649. (Avvenire)   
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore,
perché, con questo sacramento che ci nutre nel tempo,
tu ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 29 Marzo 2023
 
Mercoledì V Settimana di Quaresima
 
Dn 3,1420.46-50.91-92.95; Salmo Responsoriale Dn 3,52-56; Gv 8,31-42
 
Colletta
Dio misericordioso,
che susciti nei tuoi figli la volontà di servirti,
illumina i nostri cuori purificati dalla penitenza
e nella tua bontà ascolta le nostre invocazioni.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato: Gaudium et spes 13: Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l’uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli hanno reso l’onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore. Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l’uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l’armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l’uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo e scacciando fuori «il principe di questo mondo» (Gv 12,31), che lo teneva schiavo del peccato . Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l’esperienza.
 
I Lettura: Dio salva, col suo miracoloso intervento, Sadrac, Mesac e Abdènego dal fuoco della fornace ardente, e il miracolo spinge il re Nabucodònosor a lodare e a benedire “il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui”. Questa “professione di fede” proclamata da un re pagano è il cuore del racconto: solo Iahvè è il vero Dio, e sono lui può salvare chi in lui confida. 
 
Vangelo
 Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono.
 
Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno: si contrappongono due filiazioni, la stirpe di Abramo,  e quindi viene da Dio, e quella che rimanda a Satana. I Giudei sono convinti di appartenere alla discendenza di Abramo e di essere liberi, ma Gesù, pur convenendo che sono discendenti di Abramo, dimostra loro che di fatto sono figli del diavolo perché hanno l’odio e la menzogna nel cuore. Quindi non liberi, ma schiavi, perché chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Sono schiavi del peccato perché omicidio e menzogna sono l’espressione della presenza demoniaca insediata nei loro cuori. Il dibattito serrato di Gesù con i Giudei che gli avevano creduto si avvia verso una conclusione drammatica. Egli ha denunciato la falsa fede che costoro ostentavano: più che figli di Abramo, essi sono discendenti di Satana, omicida fin da principio e menzognero e padre della menzogna. Invece di resipiscenza queste parole suscitano rabbia, livore, odio, infatti, di lì a poco cercheranno di lapidare Gesù.
 
Dal Vangelo secondo  Giovanni
Gv 8,31-42
 
In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro».
Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».
 
Parola del Signore.
 
«La verità liberatrice - Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): La verità vi farà liberi». La frase di Gesù produce sorpresa e stupore. Come può essere liberato uno che è già libero? E lo stupore si manifestò fra quei giudei che avevano creduto in lui. Perché?
Come avviene spesso nel quarto vangelo, è necessario distinguere due livelli di profondità. Il primo riflette quello che avvenne fra Gesù e i suoi ascoltatori, l’altro quello che avvenne fra il cristianesimo e il giudaismo dopo la loro rottura definitiva. Questa piccola sezione ce ne presenta un buon esempio.
Supponiamo che un giudeo abbia creduto in Gesù. Che cosa aggiungeva questa fede a quello che i giudei già avevano? Si poteva ammettere che la religione giudaica fosse incompleta e che dovesse essere completata con qualche fattore del tutto nuovo che Gesù vi introducesse? Secondo la mentalità giudaica, l’eredità ricevuta era molto più importante e preziosa di qualsiasi insegnamento che Gesù potesse impartire.
Partendo da questi presupposti, si spiega perfettamente che la frase di Gesù «la verità vi farà liberi» sorprendesse e scandalizzasse i giudei. La risposta suggerì immediatamente: Noi siamo discendenza di Abramo. Era la premessa fondamentale della superiorità dei giudei.
Abramo era stato un uomo di una fede, di una pietà e di un merito straordinari. Dio gli aveva fatto grandi promesse riguardo ai suoi discendenti, grazie alle quali - checché ne fosse del resto dell ‘umanità - essi avevano assicurato un posto nell’ordine di cose che Dio avrebbe creato per gli uomini.
E certo che i giudei non si attendevano che le promesse fatte ad Abramo si sarebbero compiute in modo magico e meccanico. Erano convinti della necessità dell’integrità personale e della giustizia, senza le quali nessuno avrebbe avuto accesso alla salvezza. Tuttavia partivano sempre da un presupposto profondamente radicato nel popolo e che potrebbe essere formulato in questo modo: il fatto di essere giudeo sarà il fattore più importante di cui Dio terrà conto nel giudizio finale.
Il NT presenta molteplici passi nei quali si rivela questa mentalità da privilegiati: siamo discendenti di Abramo. Le circostanze politiche avevano umiliato molte volte Israele.
Ai tempi di Cristo essi vivevano in uno stato d’umiliazione e di sottomissione a Roma. E tuttavia. inspiegabilmente, essi conservavano un profondo senso di dignità. Bisogna almeno riconoscere che si tratta d’un popolo sconcertante, un popolo che ha qualcosa che non hanno gli altri popoli.
Persino Roma che li teneva soggetti dovette rispettare almeno la loro religione.
Ancora una volta i giudei non compresero le parole di Gesù, perché colui che commette il peccato è schiavo del peccato, e la verità che genera la libertà non si può identificare in nessun modo con determinati privilegi né con la lealtà, l’onestà o la fedeltà ad alcuni princìpi né con qualsiasi altro tipo di sforzo umano. La verità è Dio stesso, manifestato e comunicato all’uomo; è un principio di liberazione che viene all’uomo dal di fuori. La verità totale è quella che il Figlio proclama e che, in ultima analisi, consiste nella relazione armonica con Dio, relazione che solo Dio può creare. Gesù stesso è la verità.
Rispetto a Dio non vi sono privilegi; Dio non ammette preferenze di persone. Ma Gesù va più avanti nella sua argomentazione: arriva a dire che i suoi oppositori non sono figli-discendenti di Abramo. Essi, infatti, intendevano la discendenza in senso fisico. Ebbene, le promesse fatte ad Abramo non erano legate all’appartenenza fisico-generazionale, ma all’appartenenza morale. L’appartenenza alla famiglia di Abramo si ottiene piuttosto attraverso la via teologico-morale (l’apostolo Paolo ai romani e ai Galati esporrà, con tutta la densità teologica che lo caratterizza, questo problema). Via di fede, di giustizia, di auto dominio, di apertura a Dio, di accettazione della sua testimonianza e, soprattutto, di colui che egli ha mandato.
Se fossero figli di Abramo, rassomiglierebbero al loro padre. Ma la loro intenzione di uccidere un innocente, colpevole solo di aver detto la verità, non tradisce certo una «rassomiglianza» con Abramo.
Quando mancano le ragioni, si ricorre agl’insulti. «Noi non siamo nati da prostituzione», Implicitamente, abbiamo l’accusa che Gesù sia nato così: una calunnia che sparsero i giudei e che, più tardi, divulgarono quanto fu loro possibile. Era utilizzata nella propaganda anticristiana ai tempi in cui Giovanni scrisse il suo vangelo e, forse, già prima.
In fine i giudei non sono figli di Dio. Se lo fossero, amerebbero il suo Figlio. Infatti il Figlio non ha pretese di indipendenza nei riguardi del Padre. Dice unicamente di essere stato inviato dal Padre, di compiere la sua volontà e di dire quello che ha visto e udito ... Non ricevere il Figlio vuol dire rigettare il Padre. Per questo essi non sono figli di Abramo né di Dio, ma del diavolo, e appunto per questo cercano di ucciderlo e preferiscono la menzogna alla verità.
Riassunto finale: solo colui che è da Dio o intende esserlo davvero ascolta e accetta Gesù; gli altri, no. E fra questi ultimi sono compresi i giudei.
 
Verità della Parola e della testimonianza di Gesù - Bruno Liverani  (Verità in Schede Bibliche Pastorali): La verità che risplende nella predicazione del Vangelo deve ricondursi alla parola e alla persona di Gesù, come alla sua fonte.
Nella tradizione evangelica, la verità è la caratteristica fondamentale della parola di Gesù. Il suo insegnamento si presenta subito come sicuro. Solo lui può dire: «Sapete che è stato detto ... ma io vi dico ...» (Mt 5,21-44), mettendo la sua parola in antitesi con la stessa legge. Solo lui può introdursi a parlare con la solennità dell’amen, che sottolinea l’intima convinzione di essere inviato da Dio a trasmettere la verità.
Nel IV Vangelo la verità della parola di Gesù è particolarmente sottolineata. Essa non designa soltanto veridicità di un discorso: nel contesto del Vangelo di Giovanni verità è rivelazione di una parola ascoltata e trasmessa non come propria, ma come proveniente da Dio. In Gv 8,40 Gesù rimprovera ai «giudei» di volerlo uccidere, lui che ha detto loro la verità udita da Dio. Nel grande processo intentato tra lui e i suoi avversari, la sua testimonianza risulta vera, cioè valida perché avvalorata dal Padre (Gv 8,14-18); è vera inoltre, perché è resa alla verità che egli ha ascoltato presso il Padre ed è venuto a comunicarci. La scettica domanda di Pilato: «Che cos’è la verità?» non avrà una risposta verbale, ma una risposta vivente nella testimonianza che Gesù dà alla verità fino al sacrificio di sé (Gv 18,37-38).
In questa lotta in cui Gesù è impegnato, caratteristica degli ultimi tempi, vi è il contro-testimone, l’avversario, la cui qualifica è la menzogna come avversione alla verità portata da Gesù. Al testimone della verità si oppone colui che fin dall’inizio non ha in é la verità (Gv 8,44).
 
La verità per i cristiani - Saturnino Muratore: La verità si lega profondamente al vivere della persona e si regge sul presupposto di una “verità dell’uomo”. Questa verità va appassionatamente cercata e può essere riconosciuta solo attraverso la
fatica dell’intelligenza e l’integrazione di tutti i saperi, nessuno escluso. La legittimità di questo cammino è dischiusa già nello stesso umano interrogare e interrogarsi: poiché comprende implicitamente la fiducia in una possibile risposta, l’interrogarsi umano giustifica l’aspirazione alla verità e la apre a un trascendimento dei dati naturali. In questo senso la tradizione cristiana parla di una veritas rei (verità della cosa), come la ragione di ogni realtà creata e vede Dio, quale Ipsa Veritas (Verità stessa), come la ragione ultima dello spessore obiettivo della verità.
Si intuiscono così le sorprendenti possibilità del linguaggio cristiano. La verità (in greco alétheia da a-lantháno, negazione del nascondersi, lo svelarsi , il venire alla luce) non si nasconde ma ci viene incontro nel Signore Gesù: in lui, rivelatore del Padre, ci è svelato il senso ultimo  profondo della creazione e della storia umana. Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), proclama di sé Gesù, che si presenta come la “verità che rende liberi” (Gv 8,31). La verità è il libero comunicarsi di Dio in Gesù: nella mediazione della sua persona, nella mediazione di un incontro che si serve delle parole c dei segni propri del vivere umano, è possibile accedere a una verità superiore, è possibile accedere a una verità che trasforma le nostre esistenze. In Gesù-Verità ci è dischiuso il senso ultimo della vita umana e cosmica: la verità ultima è l’amore. La domanda scettica di Pilato “Che cosa è la verità?” (Gv 18,38) ci ricorda bene che questa verità può essere accolta solo nella fede, solo nella rinuncia alla presunzione di un autonomo accesso alla verità e dalla presa di distanza dallo scoraggiamento di chi si rassegna ai suoi limiti.
La tradizione cristiana chiama “Rivelazione” questo venirci incontro della verità. Riconoscerla significa ricordare che questa verità continua a operare tra noi attraverso lo Spirito di verità: nella contemplazione orante e nell’obbedienza della fede, la verità lievita la vita della Chiesa e dà vita a una lunga tradizione religiosa.
Riconoscerla significa guardare alla storia non solo come il luogo dell’agire libero e razionale dell’uomo ma anche come il risultato della misericordiosa presenza di Dio che opera con noi. Riconoscerla significa pure evitare ogni assolutizzazione del proprio punto di vista o del proprio sapere, gettando così le basi di un autentico e costruttivo dialogo tra diversi.
 
Le parole di Gesù impongono alcune domande, per esempio, cos’è esattamente la libertà di cui parla Egli nel brano del Vangelo di oggi? Da che cosa e da chi Gesù ci libera? Siamo, come uomini, veramente liberi? O esistono gioghi che rendono l’uomo schiavo? Da quali potenze è dominato? Sono domande che attraversano il tempo e raggiungono anche noi, oggi. Domande alle quali dobbiamo dare una risposta. Ma per dare una risposta dobbiamo percorre all’inverso il cammino dei Giudei, i quali sembrano ancora una volta non capire e spostare l’asse del discorso. Noi invece dobbiamo sforzarci di capire le parole di Gesù: la libertà è legata al riconoscimento della Verità, mentre il rifiuto della Verità conduce alla schiavitù. E la Verità è Cristo. Essere liberi significa accogliere e vivere nella Verità e secondo lo Spirito del Signore (2Cor 3,17), superare le strettoie dalla Legge che conduce alla morte (Rm 6,14; 7,6; Gal 2,4); essere liberi significa spezzare il giogo della carne (Rm 8,5-9), e aprire il cuore e la mente alla signoria dello Spirito Santo (Rm 8,13). La libertà è legata alla liberazione dall’ansietà proveniente dal mondo (Col 2,20) e dagli elementi del mondo (Gal 4,3.9), dall’“amicizia con il mondo” (1Cor 7,29-32). Gesù oggi ci invita a fare un serio esame di coscienza, e senza patemi d’animo, riconoscerci “schiavi” di mille cose, riconoscerci bisognosi di libertà. E questo bisogno diventerà impellente se guarderemo con sincerità ai nostri difetti e alle nostre insufficienze, se guarderemo alla nostra storia personale impastata di peccato e di infedeltà. Se metteremo in evidenza tutto questo, allora ci apriremo a Gesù, a Colui che libera l’uomo e che fa veramente libero l’uomo. Riconoscersi peccatore e bisognosi di tutto è un atto di liberazione e può restituire una nuova dimensione di vita, centrata su Gesù. Certamente convincerci che il peccato abita in noi (Rm 7,17) è doloroso e umiliante,  ma Gesù ci dice che questo dolore, questa umiliazione, valgono la pena e portano frutto di salvezza perché ci aprono all’amicizia con Colui che veramente libera l’uomo e lo statuisce nella libertà perfetta.
 
Alberto Magno (In ev. Jo. exp., VIII): Se voi rimarrete nella mia Parola: con perseveranza, cioè meditandola per mezzo dello studio; con profondità di pensiero, cioè comprendendo il mistero dello Spirito Santo; con obbedienza, cioè compiendola per mezzo delle opere.
 
Il Santo del giorno - 29 Marzo 2023 - Beata Agnese Chatillon, Monaca: Monaca cistercense del monastero di Beaupré attorno al 1600. La sua giornata fu tutta intesa alla meditazione della Passione e ispirata a un ideale di suprema perfezione; ogni sua parola fu volta alla gloria di Dio. Andava spesso in estasi, specie dopo la Comunione. Dopo la sua morte si ebbero rilevanti prodigi. Nei martirologi cistercensi, in quello di Bucelino, e nell’Auctarium ad Molanum di A. Du Raisse (che contiene un breve estratto dagli atti mss. di Beaupré) è ricordata il 28 marzo. Nell’Ordine Benedettino la memoria è al 29 marzo. (Autore: Alfonso M. Zimmermann)
 
I santi misteri che abbiamo ricevuto, o Signore,
siano per noi medicina di salvezza
per guarire i vizi del nostro cuore
e per confermarci nel tuo eterno amore.
Per Cristo nostro Signore.