1 NOVEMBRE 2022
 
TUTTI I SANTI - SOLENNITÀ
 
Ap 7,2-4.9-14; Salmo Responsoriale Dal Salmo 23 (24); 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che ci doni la gioia di celebrare in un’unica festa
i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo,
per la comune intercessione di tanti nostri fratelli,
l’abbondanza della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (1 novembre 2000): L’odierna liturgia parla tutta di santità. Per sapere però quale sia la strada della santità, dobbiamo salire con gli Apostoli sul monte delle Beatitudini, avvicinarci a Gesù e metterci in ascolto delle parole di vita che escono dalle sue labbra. Anche oggi Egli ripete per noi: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli! Il divin Maestro proclama “beati” e, potremmo dire, “canonizza” innanzitutto i poveri in spirito, cioè coloro che hanno il cuore sgombro da pregiudizi e condizionamenti, e sono perciò totalmente disponibili al volere divino. L’adesione totale e fiduciosa a Dio suppone lo spogliamento ed il coerente distacco da se stessi. Beati gli afflitti! È la beatitudine non solo di coloro che soffrono per le tante miserie insite nella condizione umana mortale, ma anche di quanti accettano con coraggio le sofferenze derivanti dalla professione sincera della morale evangelica. Beati i puri di cuore! Sono proclamati beati coloro che non si contentano di purezza esteriore o rituale, ma cercano quell’assoluta rettitudine interiore che esclude ogni menzogna e doppiezza. Beati gli affamati e assetati di giustizia! La giustizia umana è già una meta altissima, che nobilita l’animo di chi la persegue, ma il pensiero di Gesù va a quella giustizia più grande che sta nella ricerca della volontà salvifica di Dio: beato è soprattutto chi ha fame e sete di questa giustizia. Dice infatti Gesù: “Entrerà nel regno dei cieli chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). Beati i misericordiosi! Felici sono quanti vincono la durezza di cuore e l’indifferenza, per riconoscere in concreto il primato dell’amore compassionevole, sull’esempio del buon Samaritano e, in ultima analisi, del Padre “ricco di misericordia” (Ef 2,4). Beati gli operatori di pace! La pace, sintesi dei beni messianici, è un compito esigente. In un mondo, che presenta tremendi antagonismi e preclusioni, occorre promuovere una convivenza fraterna ispirata all’amore e alla condivisione, superando inimicizie e contrasti. Beati coloro che si impegnano in questa nobilissima impresa! I Santi hanno preso sul serio queste parole di Gesù. Hanno creduto che la “felicità” sarebbe venuta loro dal tradurle nel concreto della loro esistenza. E ne hanno sperimentato la verità nel confronto quotidiano con l’esperienza: nonostante le prove, le oscurità, gli insuccessi, hanno gustato già quaggiù la gioia profonda della comunione con Cristo. In Lui hanno scoperto, presente nel tempo, il germe iniziale della futura gloria del Regno di Dio. Questo scoprì, in particolare, Maria Santissima che col Verbo incarnato visse una comunione unica, affidandosi senza riserve al suo disegno salvifico. Per questo le fu dato di ascoltare, in anticipo rispetto al “discorso della montagna”, la beatitudine che riassume tutte le altre: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45).
 
Prima Lettura: La prima lettura della solennità odierna ci aiuta a capire chi sono i santi. Essi sono coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. La santità è un dono, si riceve da Cristo, non è frutto dell’ingegno umano. Nell’Antico Testamento essere santi voleva dire essere separati da tutto ciò che è impuro, nella riflessione cristiana vuol dire il contrario e cioè essere uniti a Dio.
 
Seconda Lettura: Pochi versetti, ma colmi di grandi verità. Innanzi tutto, il mondo non conosce i cristiani perché non conosce Gesù Cristo. Come dire che il mondo odia, perseguita i credenti in Cristo perché odia Cristo. Ma questo non deve abbattere i cristiani, essi sono figli di Dio e quindi già al presente vivono nella certezza di essere amati da Dio come figli carissimi. Quando si compirà ogni cosa e Gesù verrà nella gloria, allora si manifesterà in pienezza il vero essere dei credenti e potranno così vedere Dio faccia a faccia. Nell’oggi dei cristiani c’è posto solo per il desiderio della patria celeste.  
 
Vangelo
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Bibbia per la formazione cristiana: Per Gesù, le beatitudini non sono l’esposizione di una dottrina, ma la proclamazione della buona notizia che egli è venuto a portare e che possiamo riassumere in una frase: il regno di Dio è vicino!
Mentre annunciano la vicinanza del regno, le beatitudini indicano in che modo Dio esercita il suo potere sovrano su tutti gli uomini. Approfondendo questo aspetto potremo comprendere meglio il messaggio di Gesù raccolto dai Vangeli di Matteo e di Luca. Dio esercita la sua sovranità come un re che garantisce la giustizia ai suoi sudditi. il suo potere regale interviene a proteggere il povero, a difendere chi non sa o non può difendersi da solo, a fare giustizia «alla vedova e all’orfano», assicurando così a ciascuno il pieno rispetto dei suoi diritti in una società in cui si tenderà sempre a godere dei beni della terra dimenticando o calpestando i più deboli.
Affermare che il regno di Dio è vicino significa dunque dichiarare che sta per realizzarsi una situazione in cui regnerà la giustizia. Grazie ad essa, i deboli non dovranno più aver paura dei più forti.
Per questo Gesù esprime la sua profonda convinzione che il regno di Dio è vicino invitando i poveri e coloro che soffrono ad essere pieni di gioia.
Le beatitudini rivelano Dio come un re che non si disinteressa degli uomini, ma si leva a difendere i deboli, poveri e gli oppressi.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,1-12a
 
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Parola del Signore.

Beati - L’evangelista Matteo ha nove beatitudini a differenza di Luca che ne ha quattro e alle quali fa seguire “quattro guai” (Cf. Lc 6,20-26).
Gesù salì sul monte: si pose a sedere. Due note da non trascurare. Il monte per i semiti è il luogo che Dio preferenzialmente sceglie per manifestarsi ai suoi eletti: ai lettori ebrei per assonanza sarà venuto in mente il monte Sinai. Su quella montagna Dio si era rivelato a Mosè e aveva dato al popolo d’Israele la Legge (Cf. Es 19). Il sedersi è invece la postura propria del Maestro ai cui piedi si congregano i discepoli. Le intenzioni dell’evangelista Matteo quindi sono chiare: Gesù è Dio che si manifesta ai suoi discepoli sul monte ed è il Maestro che dona al “nuovo Israele” la nuova Legge, la “Magna Charta” del Regno di Dio.
L’evangelista Matteo, «che presenta Gesù come il Maestro definitivo di Israele, lo colloca in questo stesso contesto del luogo della rivelazione di Dio e della sua Legge e gli attribuisce un’autorità superiore a quella di Mosé e di tutti i maestri [gli scribi] di Israele. È nel contesto del “discorso della montagna”, infatti, che Gesù è definito come “uomo che insegna con autorità e non come i loro scribi” [Mt 7,29]» (Don Primo Gironi).
Queste note comunque non cancellano la storicità dell’episodio evangelico realmente accaduto su «una delle colline vicino a Cafarnao» (Bibbia di Gerusalemme).
Beati è una formula ricorrente nei Salmi, nei libri sapienziali e nel Nuovo Testamento, soprattutto nel libro dell’Apocalisse. Beato è l’uomo che cammina nella legge del Signore e per questo è ricolmo delle benedizioni di Dio, dei suoi favori e delle sue consolazioni divine soprattutto nei momenti cruciali in cui deve sopportare umiliazioni, affanni e persecuzioni. Gesù apre il suo discorso proclamando beati i “poveri in spirito”, una aggiunta questa che fa bene intendere che il Maestro fa riferimento non agli indigenti, ma ai “poveri di Iahvé”, cioè a coloro che nonostante tutto restano fedeli al Signore, anzi le prove sono spinte a fidarsi di Dio, a chiudersi nel suo cuore, a rinserrarsi tra le sue braccia. I “poveri in spirito” sono coloro che fanno del dolore una scala per salire fino a Dio. Sono coloro che restano nonostante tutto saldi nelle promesse di Dio (Cf. Mt 27,39-44). In questa ottica sono beati quelli che sono nel pianto, i perseguitati per la giustizia, i diffamati. Ai miti fanno corona coloro che hanno fame e sete della giustizia, cioè coloro che amano vivere all’ombra della volontà di Dio, attuandola nella loro vita e mettendola sempre al primo posto. Beati sono i misericordiosi cioè coloro che imitano la bontà, la pietà e la misericordia di Dio soprattutto a favore dei più infelici e dei più bisognosi. I puri di cuore sono beati per la purezza delle intenzioni, l’onestà della vita, perché sempre disponibili ai progetti divini. E infine, gli operatori di pace, che «nella Bibbia esprime la comunione con Dio e con gli uomini ed è il dono che riassume il vangelo [Cf. Lc 2,14], sono i più evidenti figli del Padre celeste» (S. Garofalo).
Il “discorso della Montagna” si chiude con due beatitudini rivolte ai perseguitati. Israele in tutta la sua storia aveva dovuto fare i conti con numerosi persecutori e se, quasi sempre, aveva accettato l’umiliazione delle catene, della tortura fisica e  dell’esilio, come purificazione e liberazione dal peccato, mai avrebbe pensato alla persecuzione come a una fonte di gioia e di felicità. Il discorso di Gesù va poi collocato proprio in un momento doloroso della storia ebraica: Israele gemeva sotto il durissimo e spietato giogo di Roma.
Nel nuovo Regno bandito da Gesù di Nazaret invece la persecuzione, e anche la calunnia, l’ingiustizia o l’odio gratuito, sono sorgenti di felicità se sopportate per «causa sua». Ancora di più, la sofferenza vicaria dà «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Solo in questa prospettiva la persecuzione è la via grande, spaziosa e larga, spalancata al dono della salvezza e apportatrice di ogni bene e dono: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Un discorso che è rivolto a tutti: ai discepoli e alla folla, nessuno escluso.
 
I santi - Jules De Vaulx: Usata in senso assoluto, questa parola [santi] era eccezionale nellAntico Testamento; era riservata agli eletti dei tempi escatologici. Nel Nuovo Testamento designa i cristiani. Attribuita dapprima ai membri della comunità primitiva di Gerusalemme ed in modo speciale al piccolo gruppo della Pentecoste (Atti 9,13; 1Cor 16,1; Ef 3,5), essa fu estesa ai fratelli di Giuda (Atti 9,31-41), poi a tutti i fedeli (Rom 16,2; 2Cor 1,1; 13,12). Mediante lo Spirito Santo il cristiano partecipa di fatto alla santità stessa divina. Formando la vera «nazione santa» ed il «sacerdozio regale», costituendo il «tempio santo» (1Piet 2,9; Ef 2,21), i cristiani devono rendere a Dio il vero culto, offrendosi con Cristo in «sacrificio santo» (Rom 12,1; 15,16; Fil 2,17). Infine la santità dei cristiani, che proviene da una elezione (Rom 1,7; 1 Cor 1,2), esige da essi la rottura col peccato e con i costumi pagani (1Tess 4,3): essi devono agire «secondo la santità che viene da Dio e non secondo una sapienza carnale» (2Cor 1,12; cfr. 1Cor 6,9ss; Ef 4,30-5,1; Tito 3,4-7; Rom 6,19). Questa esigenza di vita santa sta alla base di tutta la tradizione ascetica cristiana; si fonda non sull’ideale di una legge ancora esterna, ma sul fatto che il Cristiano «afferrato da Cristo» deve «partecipare alle sue sofferenze ed alla sua morte per giungere alla sua risurrezione» (Fil 3,10-14).
 
Il peso dell’umanità e la grazia di Dio: “I santi si sentono ogni giorno decadere, sotto il peso di terreni pensieri, dalle altezze della contemplazione; contro la loro volontà, anzi senza saperlo, sono assoggettati alla legge del peccato e della morte, e sono distratti dalla presenza di Dio da opere terrene, per quanto buone e giuste. Hanno dunque delle buone ragioni per gemere continuamente presso il Signore, hanno ben motivo per cui veramente umiliati e compunti non solo a parole, ma di cuore, si dichiarino peccatori, chiedano sempre perdono per tutte le debolezze in cui, battuti dalla debolezza della carne, incorrono ogni giorno, e versano vere lacrime di penitenza, poiché vedono che fino alla fine della loro vita essi saranno tormentati dalle pene che li affliggono e che neanche possono offrire le loro suppliche senza il fastidio delle immaginazioni. Resisi conto, quindi, ch’essi non riescono, per il peso della carne, a raggiungere con le forze umane la meta desiderata e che non riescono a congiungersi, come desiderano, al sommo bene, ma che invece sono travolti, come prigionieri, verso le cose mondane, ricorrono alla grazia di Dio il quale fa giusti i malvagi [Rm 4,5] e gridano con l’Apostolo: Oh, me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo del signor nostro Gesù Cristo [Rm 7,24-25]. Sentono che non possono portare a termine il bene che vogliono e che invece ricadono sempre nel male che non vogliono e odiano, cioè le immaginazioni e preoccupazioni delle cose terrene.” (Cassiano Giovanni, Collationes, 18,10).
 
Il Santo del Giorno - 1 Novembre 2022 - Tutti i santi. La meravigliosa varietà della fede: Un caleidoscopio di volti e voci, un catalogo infinito di storie e di avventure, umane e spirituali, l’elenco dei santi narra tutta la meraviglia della vita cristiana, in ogni sua sfaccettatura, con tutta la sua carica profetica. Quella odierna è una solennità liturgica di luce e speranza, che ci mostra una Chiesa capace di portare il Cielo in mezzo agli uomini. I santi e i beati sono coloro che hanno dato forma nella storia al Vangelo, aprendo, con il loro esempio, la strada verso il cuore di Dio nel segno del messaggio del Risorto. Celebrare la memoria di tutti i santi insieme significa non solo ricordare l’universale chiamata alla “perfezione”, ma anche riscoprire l’infinito nei piccoli gesti, nelle nostre storie ordinarie. Perché la “fantasia dello Spirito” si manifesta nei modi più inaspettati e chiede solo di essere pronti per accoglierla, vivendo ogni momento come il frammento di un cammino che porta al cuore della vita. Auguri a tutti quindi. (Matteo Liut)
 
O Dio, unica fonte di ogni santità,
mirabile in tutti i tuoi Santi,
fa’ che raggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore,
per passare da questa mensa,
che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno,
al festoso banchetto del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 

 31 OTTOBRE 2022
 
LUNEDÌ DELLA XXXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
Fil 2,1-4; Salmo Responsoriale Dal Salmo 130 (131); Lc 14,12-14
 
Colletta
Dio onnipotente e misericordioso,
tu solo puoi dare ai tuoi fedeli
il dono di servirti in modo lodevole e degno;
fa’ che corriamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti - Gaudium et spes 39: Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità e non sappiamo in che modo sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini.
Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruttibilità; resterà la carità coi suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo.
Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio. Ed infatti quei valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre «il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace».
Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.
 
Prima Lettura: L’apostolo Paolo chiede ai Filippesi di essere costruttori di comunione, di vivere in pace, di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù (Rm 15,5), ma per fare questo occorre che ciascuno agisca rettamente senza rivalità o vanagloria, senza cercare il proprio interesse, ma piuttosto quello degli altri. Per comportarsi così occorre una buona dose di umiltà, e sopra tutto saper stimare il prossimo, mettendone in evidenza i valori, i lati positivi, abdicando a tranciare giudizi e a condanne sommarie, solo così si può riuscire a sacrificare i propri tornaconti a vantaggio degli interessi dei fratelli e a vivere in pace con tutti.
 
Vangelo
Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.
 
Alla sfacciata ipocrisia dei farisei i quali ponevano alla base del loro agire proficui tornaconti, Gesù contrappone la liberalità, il disinteresse, anche nello scegliere gli invitati a un pranzo la preferenza vada ai poveri, agli storpi, agli zoppi, ai ciechi. Così come ha fatto Lui che nel suo amore ha preferito gli ultimi, i peccatori, venendo nel mondo per i malati e non per i sani o per coloro che si ritenevano giusti.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,12-14

In quel tempo, Gesù disse poi al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore.
 
Gesù è in casa di un capo dei farisei “che l’aveva invitato”. Non viene detto il perché Gesù rivolga a chi l’ha invitato un monito che ha il sapore del rimprovero. Non si sa cosa abbia spinto Gesù a proferire queste parole al capo dei farisei, forse aveva trovato nella sala da pranzo molti notabili o “ricchi vicini”, comunque l’ingiunzione mette in risalto un modo di fare che era abituale, per cui si potrebbe tradurre: smettila di invitare i tuoi amici, i tuoi fratelli, i tuoi parenti, i ricchi vicini, per averne un contraccambio. È la gretta norma del do ut des molto in voga nella vita sociale ellenistica.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi, sono gli ultimi della società, coloro che erano esclusi dal sacerdozio, dalla vita sociale. Dai farisei erano considerati “gente maledetta” perché non osservavano la legge a motivo delle loro condizioni (Gv 7,49). Se rifiutati dalla alta classe sociale, per Cristo sono “beati” e di essi è il Regno dei Cieli.
Alla pratica del do ut des, Gesù suggerisce la carità non profit. Amare, accogliere, consolare, curare, i diseredati sarà motivo di salvezza nel giorno del Giudizio universale (Mt 25,31-46).
In questa luce la scena de banchetto, che si trova solo nel vangelo secondo Luca, “serve da spunto all’insegnamento di Gesù sull’umiltà e offre lo sfondo adatto per rispondere all’interesse dell’evangelista nei confronti dell’atteggiamento di Gesù verso i ricchi e i poveri [cfr. 4,18; 6,20-24; 12,13-34]” (Il Nuovo testamento).
 
Il vangelo della risurrezione nella predicazione apostolica - Jean Redermakers e Pierre Grelot Risurrezione in Dizionario di teologia Biblica): Fin dal giorno della Pentecoste, la risurrezione diventa il centro della predicazione apostolica, perché in essa si rivela l’oggetto fondamentale della fede cristiana (Atti 2,22-35). Questo vangelo di Pasqua è innanzitutto la testimonianza resa ad un fatto: Gesù è stato crocifisso ed è morto; ma Dio lo ha risuscitato e per mezzo suo apporta agli uomini la salvezza. Questa è la catechesi di Pietro ai Giudei (3,14s) e la sua confessione dinanzi al sinedrio (4,10), l’insegnamento di Filippo all’eunuco etiope (8,35), quello di Paolo ai Giudei (13,33; 17,3) ed ai pagani (17,31) e la sua confessione dinanzi ai suoi giudici (23,6...). Non è altro che il contenuto stesso dell’esperienza pasquale. Un punto importante è sempre notato a proposito di questa esperienza: la sua conformità con le Scritture (cfr. 1Cor 15,3s). Da una parte, la risurrezione di Gesù compie le promesse profetiche: promessa dell’esaltazione gloriosa del Messia alla destra di Dio (Atti 2,34; 13,32s), della glorificazione del servo di Jahve (Atti 4,30; Fil 2,7ss), della intronizzazione del figlio dell’uomo (Atti 7,56; cfr. Mt 26,64 par.). Dall’altra parte, per tradurre questo mistero che è fuori dell’esperienza storica comune, i testi della Scrittura forniscono un insieme di espressioni che ne abbozzano i diversi aspetti: Gesù è il santo che Dio strappa alla corruzione dell’Ade (Atti 2,25-32; 13,35ss; cfr. Sal 16,8-11); è il nuovo Adamo sotto i cui piedi Dio ha posto ogni cosa (1Cor 15,27; Ebr 1,5-13; cfr. Sal 8); è la pietra rigettata dai costruttori e diventata pietra angolare (Atti 4,11; cfr. Sal 118,22)... Cristo glorificato appare in tal modo come la chiave di tutta la Scrittura, che lo concerneva in anticipo (cfr. Lc 24,27.44ss).
 
La risurrezione dei morti - Franco Giulio Brambilla: Il riferimento all’Antico Testamento e più in genere al contesto giudaico consente di mostrare come l’annuncio della risurrezione di Gesù si collochi sullo sfondo della fede nella risurrezione dei morti. Questa nasce in epoca piuttosto tarda, con la crisi del tempo dei Maccabei (II sec. a.C.), anche se ha alcune anticipazioni importanti nel libro di Daniele (12,2-3). Il racconto dei Maccabei (2Mac 7) fonda la fede nella risurrezione sulla potenza-fedeltà creatrice di Dio che fa risorgere i giusti che gli sono rimasti fedeli nella persecuzione (martiri). I precedenti biblici della fede nella risurrezione dei morti si trovano nel libro di Osea (6,1-3) ed Ezechiele (37,1-14): si tratta di visioni che usano un linguaggio di risurrezione per indicare la fedeltà di Dio, che fa risorgere continuamente il popolo dalle sue sconfitte. La fede nella risurrezione dei morti poi si sviluppa e si accelera nel giudaismo ed entra in contatto con l’ellenismo e la credenza dell’immortalità dell’anima (Libro della Sapienza). Su questo sfondo, la risurrezione di Gesù diventa la sorgente della risurrezione dei cristiani: è il senso del grande sviluppo del capitolo 15 sulla risurrezione della Prima lettera ai Corinzi. Paolo attraverso questa riflessione tenta di rispondere alle obiezioni dei corinzi, di mentalità greca: essi avevano difficoltà a pensare alla risurrezione del corpo e si chiedevano come fosse il corpo dei risorti. Paolo argomenta a partire dalla verità della risurrezione di Gesù, che fonda quella dei credenti, fornendo motivi presi dalla storia della salvezza e dall’esperienza degli uomini. Il discorso sulla risurrezione viene in tal modo collegato con l’attesa della sopravvivenza al di là della morte, presente in quasi tutte le culture antiche e moderne. La speranza cristiana risulta una specifica determinazione dell’universale attesa di una promessa di vita contenuta nell’umano sperare. Le attuali teologie, ispirate al tema della speranza, tentano di mediare tra la fede nella risurrezione dei morti e la speranza di salvezza finale contenuta nell’agire umano, volta a raggiungere un futuro buono e felice per l’umanità.
 
Quando offri un pranzo o una cena: Giovanni Paolo II (Omelia, 31 agosto 1986): Gesù... partecipando a un pranzo in casa di uno dei capi dei farisei, coglie l’occasione per insegnare ad essere umili. Ci dice di scegliere l’ultimo posto, di accontentarci del poco, di cercare non l’appariscenza del sembrare, ma la realtà dell’essere. Davanti a Dio siamo nulla; e anche davanti agli uomini siamo ben poco, anzi diventiamo ridicoli, persino miserevoli se prendiamo pose e atteggiamenti di autosufficienza, di vanagloria. Gesù, pero, non vuole soltanto suggerire delle indicazioni di buona educazione e di comportamento avveduto; egli vuole soprattutto quadrare la mente, e dare idee grandi e luminose per la nostra vita. Egli infatti soggiunge: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). Questo talvolta può già avvenire su questa terra, in questa nostra vita; ma ciò è secondario. Essenziale è che l’umile sarà esaltato in cielo da Dio stesso. “Vuoi essere grande?”, chiedeva sant’Agostino; e rispondeva: “Comincia dalle cose più piccole. Vuoi innalzare una costruzione di grande altezza? Prima pensa al fondamento della bassezza” (Sermo 69,1,2). Se vogliamo veramente costruire l’edificio della nostra santificazione, bisogna fondarlo sull’umiltà. Gesù ci è di modello. Egli, come dice san Paolo, “pur essendo di natura divina... spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo...; umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8). Come non sentirsi, come non essere piccoli e umili davanti al mistero dell’incarnazione e della redenzione, davanti al Figlio di Dio che vagisce a Betlemme, che si avvolge di silenzio a Nazaret, che vive un’esistenza di povero, che muore su una nuda croce? È Gesù il primo, il vero umile, l’unico che ha veramente glorificato Dio - infatti Dio è “glorificato dagli umili, ci ha ancora detto il Siracide (Sir 3,20) - perché si è umiliato in tutta la sua esistenza, pur manifestando vittoriosamente la sua potenza di Signore, ed è stato ciò che egli stesso si è definito: “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). “Sei tu, Signore, il Padre degli umili”.
 
Paolino di Nola, Lettera 34, 2-4: Prestiamo al Signore i beni che egli ci ha donato. Infatti, non possediamo nulla che non sia dono del Signore, anzi senza la sua volontà non esistiamo nemmeno. Che cosa potremmo considerare nostro, dato che, in forza di un debito enorme, neppure ci apparteniamo? Non solo siamo stati creati, ma anche redenti da Dio. Rendiamo grazie: riscattati a gran prezzo, a prezzo del sangue del Signore, noi cessiamo di essere oggetti senza valore, perché la libertà di non essere sottomessi alla giustizia di Dio, è peggiore della schiavitù. Chi è libero in questo modo, è schiavo del peccato, prigioniero della morte. Rendiamo al Signore ciò che ci ha dato. Doniamo a colui che riceve nella persona di ogni povero. Doniamo con gioia e riceveremo in letizia i doni del Signore.
 
Il Santo del giorno - 31 Ottobre 2022:  Sant’ Alfonso Rodriguez Vedovo, Religioso gesuita: Alfonso era un mercante, nato a Segovia, in Spagna, nel 1533. Si era sposato e aveva avuto due figli ma fu sconvolto dalla perdita della moglie e dei beni. A 35 anni tornò a scuola, proseguendo faticosamente gli studi interrotti in gioventù. Si presentò, quasi vecchio, come novizio in un convento della Compagnia di Gesù. Venne accolto, ma volle restare fratello coadiutore, addetto al servizio materiale della comunità. Divenne così portinaio nel convento dell’isola di Maiorca, da dove passavano i missionari diretti in America. Per tutti l’incontro con il santo portinaio era un’esperienza illuminante e a volte decisiva, come nel caso di san Pietro Claver, l’«apostolo degli schiavi». I suoi scritti furono raccolti dopo la morte, avvenuta il 31 ottobre del 1617. (Avvenire)

Rafforza in noi, o Signore, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni che promettono.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
30 OTTOBRE 2022
 
XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Sap 11,22-12,2;  Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145); 2 Ts 1,11-2,2; Lc 9,1-10
 
Colletta
O Dio, amante della vita,
che nel tuo Figlio
sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto,
donaci di accoglierti con gioia nella nostra casa
e aiutaci a condividere con i fratelli i beni della terra.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 30 Ottobre 2016): Il Vangelo di oggi ci presenta un fatto accaduto a Gerico, quando Gesù giunse in città e fu accolto dalla folla (cfr Lc 19,1-10). A Gerico viveva Zaccheo, il capo dei “pubblicani”, cioè degli esattori delle tasse. Zaccheo era un ricco collaboratore degli odiati occupanti romani, uno sfruttatore del suo popolo. Anche lui, per curiosità, voleva vedere Gesù, ma la sua condizione di pubblico peccatore non gli permetteva di avvicinarsi al Maestro; per di più, era piccolo di statura, e per questo sale su un albero di sicomoro, lungo la strada dove Gesù doveva passare.
Quando arriva vicino a quell’albero, Gesù alza lo sguardo e gli dice: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). Possiamo immaginare lo stupore di Zaccheo! Ma perché Gesù dice «devo fermarmi a casa tua»? Di quale dovere si tratta? Sappiamo che il suo dovere supremo è attuare il disegno del Padre su tutta l’umanità, che si compie a Gerusalemme con la sua condanna a morte, la crocifissione e, al terzo giorno, la risurrezione. È il disegno di salvezza della misericordia del Padre. E in questo disegno c’è anche la salvezza di Zaccheo, un uomo disonesto e disprezzato da tutti, e perciò bisognoso di convertirsi. Infatti il Vangelo dice che, quando Gesù lo chiamò, «tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”» (v. 7). Il popolo vede in lui un furfante, che si è arricchito sulla pelle del prossimo. E se Gesù avesse detto: “Scendi, tu, sfruttatore, traditore del popolo! Vieni a parlare con me per regolare i conti!”. Di sicuro il popolo avrebbe fatto un applauso. Invece incominciarono a mormorare: “Gesù va a casa di lui, del peccatore, dello sfruttatore”.
Gesù, guidato dalla misericordia, cercava proprio lui. E quando entra in casa di Zaccheo dice: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (vv. 9-10). Lo sguardo di Gesù va oltre i peccati e i pregiudizi. E questo è importante! Dobbiamo impararlo. Lo sguardo di Gesù va oltre i peccati e i pregiudizi; vede la persona con gli occhi di Dio, che non si ferma al male passato, ma intravede il bene futuro; Gesù non si rassegna alle chiusure, ma apre sempre, sempre apre nuovi spazi di vita; non si ferma alle apparenze, ma guarda il cuore. E qui ha guardato il cuore ferito di quest’uomo: ferito dal peccato della cupidigia, da tante cose brutte che aveva fatto questo Zaccheo. Guarda quel cuore ferito e va lì.
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che Dio continua a vedere malgrado tutto, malgrado tutti i suoi sbagli. Questo può provocare una sorpresa positiva, che intenerisce il cuore e spinge la persona a tirare fuori il buono che ha in sé. È il dare fiducia alle persone che le fa crescere e cambiare. Così si comporta Dio con tutti noi: non è bloccato dal nostro peccato, ma lo supera con l’amore e ci fa sentire la nostalgia del bene. Tutti abbiamo sentito questa nostalgia del bene dopo uno sbaglio. E così fa il nostro Padre Dio, così fa Gesù. Non esiste una persona che non ha qualcosa di buono. E questo guarda Dio per tirarla fuori dal male.
La Vergine Maria ci aiuti a vedere il buono che c’è nelle persone che incontriamo ogni giorno, affinché tutti siano incoraggiati a far emergere l’immagine di Dio impressa nel loro cuore. E così possiamo gioire per le sorprese della misericordia di Dio! Il nostro Dio, che è il Dio delle sorprese!
 
Prima Lettura: L’autore del Libro della Sapienza ci invita a riflettere sulla bontà di Dio. Il Signore ama tutti gli uomini e poiché è misericordioso e non vuole la morte del peccatore (Ez 18,23), non guarda «ai peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento».
 
Seconda Lettura: I Tessalonicesi, oltre ad essere turbati da falsi voci sulla prossimità della venuta gloriosa del Cristo (2,1-3), sono duramente provati dalla persecuzione. In questo contesto di paura e di dolore, l’apostolo Paolo scrive ai Tessalonicesi cercando di rasserenare gli animi annunciando che la giustizia di Dio non tarderà a liberarli dalle afflizioni punendo esemplarmente i persecutori (1,5-10). Ai cristiani di Tessalonica non rimane che una scelta: mantenersi saldi nella vocazione di cui sono stati favoriti (1,11), perseverare nel bene in cui si sono impegnati e vivere il presente con la forza che viene dalla fede, affinché nella loro vita sia glorificato il nome del Signore.
 
Vangelo
Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
 
Oggi, tra la prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, e il Vangelo di Luca vi è un profondo legame. Infatti, la splendida affermazione del Libro della Sapienza, Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento, trova una attuazione nell’episodio narrato dall’evangelista Luca. Gesù alza lo sguardo verso il pubblicano Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, e per questo odiato dai suoi compatrioti, si ferma a casa sua, e immantinente un torrente di luce e di misericordia investe Zaccheo, l’uomo che da tutti era considerato un peccatore pubblico: Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. Zaccheo è avvolto dall’amore di Gesù, si sente toccato nel profondo dell’animo ed apre il suo cuore. E col cuore apre anche la mano, nel gesto della giustizia e della carità: Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,1-10
 
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Parola del Signore.
 
Il Figlio dell’uomo infatti è venuto ... - La storia di Zaccheo la si trova soltanto nel Vangelo di Luca e vuole esemplificare il giusto atteggiamento nei confronti delle ricchezze. Gerico era un’importante sede dell’amministrazione romana e sosta obbligata per chi dalla Perea si recava a Gerusalemme.
Zaccheo non faceva certamente onore al suo nome: forma grecizzata - Zakchaios - dell’ebraico Zakkai o Zaccai, il nome significa puro e innocente.
E Zaccheo non era né puro né innocente: «capo della mafia di Gerico» (Don Luigi Giussani), strozzino, ladro, collaborazionista degli odiati romani, certamente non poteva non essere che odiato. Per la sua professione, esattore delle tasse, e per il suo hobby preferito, estortore incallito, era considerato peccatore pubblico, cioè tagliato fuori dalla salvezza e di conseguenza emarginato dalla società e allontanato dalle famiglie.
... era piccolo di statura. Zaccheo vuole vedere Gesù ed essendo piccolo di statura si arrampica su un sicomoro. Questo particolare fisico di Zaccheo ha incuriosito il grande vescovo Ambrogio: «Perché le Scritture non precisano mai la statura di nessuno mentre di Zaccheo si dice che “era piccolo di statura” [Lc 19,3]? Vedi se per caso egli non era piccolo nella sua malizia, o piccolo nella sua fede: egli non aveva ancora promesso niente, quando era salito sul sicomoro; non aveva ancora visto Cristo, e perciò era piccolo».
Gesù non sta a controllare il curriculum vitae del capo dei pubblicani e lo invita a scendere subito dall’albero su cui si era arrampicato. La fretta indica l’urgenza messianica. Poiché il tempo della salvezza è arrivato e non si può più rimandare, Zaccheo è invitato a scendere subito, senza tentennamenti e senza perdere ulteriore tempo.
È entrato in casa di un peccatore. Come era previsto si alza un coro di dissensi. I soliti farisei, miopi e musi lunghi di professione, ligi alla legge e incollati ad una sua comprensione letterale, si scandalizzano: un ebreo non poteva venire a contatto con un peccatore (Cf. Mt 8,8).
... se ho rubato a qualcuno. Zaccheo sembra voler dare una mano a Gesù nel tentativo di tappare la bocca ai soliti saccenti: secondo la legge, la conversione a un pubblicano costava il venti per cento dei suoi beni da distribuire ai poveri come segno di pentimento; Lv 5,20-24 suggeriva di restituire i beni rubati con un quinto in più. Zaccheo va ben oltre la legge. Una decisione maturata nella gioia della ritrovata salvezza che lo catapulta tra le braccia di Dio misericordioso: «Zaccheo ha dimostrato con i fatti, cioè con “frutti degni della conversione” [Lc 3,8], che la salvezza l’aveva raggiunto nella sua casa. Anche lui, avendo imitato la fede di Abramo, doveva essere considerato suo vero figlio, appartenente al popolo di elezione a pieno diritto» (Angelico Poppi).
Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, un’affermazione che fa strabuzzare gli occhi alle ipocrite guide del popolo d’Israele. Con questa frase conclusiva, Gesù, come già aveva solennemente proclamato nella sinagoga di Nazaret (Cf. Lc 4,16-30), rivela la sua vera identità: Egli è il Salvatore di tutti gli uomini.
I pochi anni vissuti in mezzo agli uomini lo hanno visto portare la vita ai morti, la salute fisica agli ammalati, il perdono ai peccatori, la consolazione alle vedove e soprattutto il dono della grazia a coloro che gli si sono avvicinati con fede. Come all’adultera o alla donna peccatrice, ora Gesù porta la salvezza al piccolo Zaccheo.
Gesù significa “Dio salva” (Mt 1,21), un Nome che ben manifesta la divina missione del Figlio di Maria: «ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21).
Gesù, vero Dio e vero Uomo, è il salvatore di tutti gli uomini e «invita i peccatori alla mensa del Regno: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” [Mc 2,17]. Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro e l’immensa “gioia” che si prova “in cielo per un peccatore convertito” [Lc 15,7]. La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita “in remissione dei peccati” [Mt 26,28]» (CCC 545).
 
La gioia di Gesù: Gaudete in Domino III: Nella sua umanità, Gesù ha fatto l’esperienza delle nostre gioie.
Egli ha manifestamente conosciuto, apprezzato, esaltato tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti. La profondità della sua vita interiore non ha attenuato il realismo del suo sguardo, né la sua sensibilità. Egli ammira gli uccelli del cielo e i gigli dei campi. Egli richiama tosto lo sguardo di Dio sulla creazione all’alba della storia. Egli esalta volentieri la gioia del seminatore e del mietitore, quella dell’uomo che scopre un tesoro nascosto, quella del pastore che ritrova la sua pecora o della donna che riscopre la dramma perduta, la gioia degli invitati al banchetto, la gioia delle nozze, quella del padre che accoglie il proprio figlio al ritorno da una vita di prodigo e quella della donna che ha appena dato alla luce il suo bambino. Queste gioie umane hanno tale consistenza per Gesù da essere per lui i segni delle gioie spirituali del Regno di Dio: gioia degli uomini che entrano in questo Regno, vi ritornano o vi lavorano, gioia del Padre che li accoglie. E per parte sua Gesù stesso manifesta la sua soddisfazione e la sua tenerezza quando incontra fanciulli che desiderano avvicinarlo, un giovane ricco, fedele e sollecito di fare di più, amici che gli aprono la loro casa come Marta, Maria, Lazzaro. La sua felicità è soprattutto di vedere la Parola accolta, gli indemoniati liberati, una peccatrice o un pubblicano come Zaccheo convertirsi, una vedova sottrarre alla sua povertà per donare. Egli esulta anche quando costata che i piccoli hanno la rivelazione del Regno, che rimane nascosto ai dotti e ai sapienti. Sì, perché il Cristo «ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana» ha accolto e provato le gioie affettive e spirituali, come un dono di Dio. E senza sosta egli «ai poveri annunziò il vangelo di salvezza, agli afflitti la gioia».
 
Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto: «Se qualcuno non si rialza, Dio non può essere chiamato in causa, lui che vuole rialzarlo; in quel caso, è l’uomo che non vuole stare in piedi; infatti Dio dona a ciascuno ciò di cui ha bisogno. Le vie di Dio e le sue opere sono tutta l’economia divina. A tutti egli dona il necessario, ma a quanti lo invocano dona anche la vicinanza divina. Esaudisce la loro volontà ma anche la converte alla sua; non ha tolto a Paolo lo stimolo nella carne, ma gli ha fatto dire: Mi glorio nelle mie infermità, sono forte in colui che mi fortifica [cfr. 2Cor 12,9s]» (San Giovanni Crisostomo).
 
Il Santo del giorno - 30 Ottobre 2022 - Sant’Angelo d’Acri: Nato nel 1669 ad Acri (Cosenza), Lucantonio Falcone ebbe un cammino vocazionale singolarmente travagliato. Entrò e uscì dal noviziato cappuccino per ben due volte. Il terzo tentativo fu decisivo. Venne ordinato sacerdote nel 1700 nella cattedrale di Cassano. Esercitò il suo apostolato come padre provinciale e, soprattutto, come predicatore in tutto il Mezzogiorno per 40 anni. Era conosciuto come l’«Angelo della pace». In vita e dopo la morte, avvenuta nel 1739, compì numerosi miracoli. Il suo corpo è venerato nella basilica di Acri, che è a lui dedicata.  (Avvenire)
 
Rafforza in noi, o Signore, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni che promettono.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 OTTOBRE 2022
 
SABATO DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
Fil 1,18b-26; Salmo Responsoriale Dal Salmo 41 (42); Lc 14,1.7-11
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato: Benedetto XVI (Omelia, 2 Settembre 2007): Questa prospettiva indicata dalle Scritture appare oggi quanto mai provocatoria per la cultura e la sensibilità dell’uomo contemporaneo. L’umile è percepito come un rinunciatario, uno sconfitto, uno che non ha nulla da dire al mondo. Invece questa è la via maestra, e non solo perché l’umiltà è una grande virtù umana, ma perché, in primo luogo, rappresenta il modo di agire di Dio stesso. È la via scelta da Cristo, il Mediatore della Nuova Alleanza, il quale, “apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). Cari giovani, mi sembra di scorgere in questa parola di Dio sull’umiltà un messaggio importante e quanto mai attuale per voi, che volete seguire Cristo e far parte della sua Chiesa. Il messaggio è questo: non seguite la via dell’orgoglio, bensì quella dell’umiltà. Andate controcorrente: non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere. Di quanti messaggi, che vi giungono soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione. Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie “alternative” indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda: i vostri coetanei, ma anche gli adulti, e specialmente coloro che sembrano più lontani dalla mentalità e dai valori del Vangelo, hanno un profondo bisogno di vedere qualcuno che osi vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo. Quella dell’umiltà, cari amici, non è dunque la via della rinuncia ma del coraggio. Non è l’esito di una sconfitta ma il risultato di una vittoria dell’amore sull’egoismo e della grazia sul peccato. Seguendo Cristo e imitando Maria, dobbiamo avere il coraggio dell’umiltà; dobbiamo affidarci umilmente al Signore perché solo così potremo diventare strumenti docili nelle sue mani, e gli permetteremo di fare in noi grandi cose. Grandi prodigi il Signore ha operato in Maria e nei Santi!
 
Prima Lettura: L’apostolo Paolo, esaminando con serenità la sua condizione, ha l’intima consapevolezza che tutto sta per andare verso una tragica soluzione. In questa situazione drammatica, rivela che non sa bene che cosa desiderare e addirittura invocare nella preghiera: se la possibilità di continuare la missione ricevuta da Dio e l’opera intrapresa, oppure il vantaggio personale rappresentato dalla fine del lavoro e dalla morte con il conseguente dono della vita eterna. Paolo, comunque vadano le cose, è sereno dinanzi alla morte, anzi essa per l’apostolo sarà un guadagno: sarà per sempre con il Signore risorto. Per tutti i credenti l’unione ineffabile con il Risorto ha origine e inizio nel battesimo e raggiunge il suo acme nell’eucaristia per compirsi perfettamente nella morte. In ogni caso, Paolo è convinto, anzi ha la certezza che resterà in vita per continuare a spendersi per il Vangelo. La sua vita, il suo zelo per il Regno di Dio, le sue sofferenze, tutto è offerto a modello per ogni cristiano.
   
Vangelo
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.
 
Gesù è in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, e, come è ovvio, è sotto lo sguardo di tutti, ma Egli non è da meno: osservando e notando come i notabili cercano di accaparrarsi i primi posti, propone ai commensali una lezione sulla virtù dell’umiltà: parole severe, ma scontate in quanto non fanno che svelare l’ipocrisia e la vanità degli scribi e dei farisei notoriamente affamati di lodi, di onori e inoltre amanti dei primi posti (cfr. Mt 23,1-12). Gesù «vuol mettere in luce che tutti i presenti, invitante ed invitati sono una massa di cafoni, pieni di pregiudizi egoistici, di banali arrivismi e di preoccupazioni gerarchiche. Gesù con le sue nette affermazioni vuole smantellare i pregiudizi mettendo a nudo i loro sentimenti. A parte la questione delle precedenze imposte dal galateo e dalle tradizioni giudaiche, in fondo si tratta anche di non cadere nel ridicolo. C’è sempre tanta ambizione e tanto arrivismo nella società di tutti i tempi: contro di essi Gesù oppone un caloroso invito all’umiltà» (Carlo Ghidelli). E se vogliamo seguire l’insegnamento della sacra Scrittura, l’umiltà, che Gesù addita ai commensali, oltre ad essere una virtù morale è un modo di essere: una «posizione della creatura di fronte al creatore, del peccatore di fronte al redentore» (Ignazia Maria Danieli).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,1.7-11

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto.
Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore.

Luke Timothy Johnson (Il Vangelo di Luca): … con la sua introduzione (14,7) il narratore ci aiuta a valutare il tono delle parole di Gesù. Gesù comincia a parlare dei posti a tavola, perché ha osservato la loro tendenza a cercare i posti più ambiti. Grazie al vantaggio datoci dalla nostra analisi dei Sinottici, possiamo notare che Luca ha espresso in forma narrativa l’attacco contrò «i dottori i farisei» che «amano posti d’onore nei conviti», che in Mt 23,6 troviamo in forma di discorso diretto.
A prima vista le parole di Gesù sembrano scaturite dalla sapienza popolare del mondo antico in materia di etichetta. Prv 25,6-7 consiglia: «Non darti aria davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: “Sali quassù” piuttosto che essere umiliato davanti a uno superiore» (cf anche Sir 3,17-20 e Aboth de Rabbi Nathan 25). Il consiglio che dà Gesù sembra che non faccia altro che aggiungere le connotazioni tipicamente ellenistiche della «vergogna» e dell’ «onore». E se ci fermassimo a questo punto, potremmo giustamente concludere che questo insegnamento sapienziale di Gesù è assolutamente banale, un piccolo consiglio entro un sistema culturale consolidato.
È solo quando arriviamo alla battuta conclusiva che riconosciamo il carattere sovversivo e veramente «parabolico» delle parole di Gesù. Lette nel contesto generale del Vangelo di Luca, con la sua costante proclamazione del capovolgimento divino, queste parole assumono un significato molto più profondo: tutti quelli che esaltano se stessi saranno umiliati, e quelli che si umiliano saranno esaltati. Gesù non sta parlando di quale sia il modo migliore di essere esaltati, ma della forma mentis che cerca l’esaltazione in qualsiasi maniera. Il suo consiglio pertanto è «parabolico», perché è la parodia dei «buoni consigli» della sapienza mondana solo per sovvertirli e sostituirli con le più pressanti esigenze del Regno. Il suo consiglio a questi farisei (dei quali Luca ha già detto che «cercano di giustificare se stessi» in 10,29 e lo ripeterà in 16,15) è parabolico/parodico, appunto perché porta solo «onore davanti a tutti i commensali».
Ma i passivi di «sarà umiliato» e «sarà esaltato» indicano l’ azione di Dio, non di altri uomini.
Questa sfida agli schemi convenzionali della reciprocità è messa in risalto dalla condanna che fa Gesù della loro abitudine di invitare ai banchetti quelli che possono contraccambiare (14,12-14). Gesù propone invece il criterio del Regno. Il Vangelo viene proclamato ai diseredati, ai ciechi, agli zoppi e ai poveri (7,22). Queste sono le persone che essi dovrebbero invitare. Dovrebbero essere «misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (6,36). E se lo sono, saranno ricompensati da Dio invece che da altri uomini. Questo «criterio del Regno», che Gesù impone loro nella pratica dell’ospitalità, prepara il passaggio alla parte successiva.
 
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato: È l’insegnamento che Gesù non si stanca di proporre ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,1-4). Farsi umili, diventare come bambini, significa disporsi ad accettare d’essere dipendenti senza sentirsi feriti nel proprio orgoglio. Nella vita cristiana questo è molto importante perché spalanca il credente al mistero della comunione con i fratelli e con Dio. Essere umili-bambini non significa farsi più piccoli di quel che si è, ma fare la verità in se stessi; significa sapere stimare colui con il quale si condivide un cammino di vita e comprendere quanto veramente si è piccoli di fronte a Dio. Gesù ha percorso questo cammino, umiliando se stesso e facendosi ubbidiente alla volontà del Padre fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,5ss).
Così ammaestrato, e dinanzi a tale modello divino, il discepolo serve il suo Signore con le opere e con il dono della sua vita senza ritenerlo un merito, ma un dovere: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10). Gesù ha anche una parola sulla scelta degli invitati. Nei commensali v’è una logica contorta che mortifica ogni relazione umana: è la logica del “do ut des”. Amare perché c’è un profitto, donare perché c’è un guadagno ... un modo di agire che fa a pugni con il Vangelo. Fare il bene disinteressatamente significa diventare sempre simili a Dio il quale è benevolo verso tutti, giusti e ingiusti (cfr. Mt 5,43-48). Tutto questo sarà ancora più chiaro nella sala del grande banchetto del Regno dove i meno abbienti, i poveri, i diseredati occuperanno i primi posti. I farisei per la loro stupida vanità «hanno reso vano per loro il disegno di Dio» (Lc 7,30), ecco perché i pubblicani e le prostitute passano avanti a loro nel regno di Dio (cfr. Mt 21,28-32).
 
Umiltà - Gottfried Hierzenberger: Nell’Antico Testamento è un atteggiamento dello spirito che esplica i propri positivi effetti nei confronti di Dio e nei confronti dei propri simili. Nei confronti di Dio umiltà significa pietà, giustizia. Dio protegge gli umili (Mi 6,8), li consola (Is 57,15), li innalza (Sal 147,6) ed entra in comunione con loro (Sal 51,19).
I superbi, invece, Dio li distrugge e dimostra che la loro apparente potenza è in realtà impotenza e nullità. Per mezzo dell’umiltà, nei confronti dei propri simili si può trovare Dio (2Cr 36,12); in questo caso l’umiltà è l’atteggiamento veramente umano del servire. Accanto all’atteggiamento dello spirito, l’umiltà indica anche la situazione della piccolezza, della necessità o povertà, cosicché i poveri possono essere considerati gli umili.
Questa concezione veterotestamentaria permane ancora nella beatitudine in Luca (6,20). Per il resto, invece, l’umiltà nel Nuovo Testamento acquisisce una motivazione nuova e un significato più profondo, quale comportamento adeguato del redento.
1. L’irrompente signoria di Dio richiama a un atteggiamento nuovo che Gesù stesso aveva vissuto in maniera esemplare (Mt l1,28s). Non è intesa come virtù nel senso di mansuetudine personale, ma affonda le sue radici nella disponibilità attiva a servire nell’amore (Mc 10,45).
2. Ciò esige dal cristiano un cosciente abbassamento (Lc 14,11) del superbo e autoritario voler-vivere-di-se-stessi all’atteggiamento del bambino (Mt 18,3s). Ogni autoesaltazione è assurda (1Cor 1,28-31) di fronte alla  colpa e ai limiti della propria fede (Rm 12,3); la consapevolezza di dipendere dalla pietà di Dio (Rm 3,21ss) deve portare a far proprio questo amore pietoso di Dio e di concretizzarlo (Col 3,12-14) nel servizio al prossimo (Rm 12,10) e al debole (Rm 14,1).
Detto ciò l’umiltà non ha nulla a che vedere con la debolezza o la passività, al contrario, essa esige pieno impegno al servizio di Dio e degli uomini. L’umiltà non è l’atteggiamento di schiavi (da qui deriva la negatività del significato), ma di esseri umani liberi e pieni di amore.
 
La via dell’umiltà: «Scrivi che sei innamorato dell’umiltà e desideri apprendere il modo come averne da Dio la grazia. Se dunque vuoi davvero fugare la superbia e ottenere il dono beato dell’umiltà non trascurare le cose che potranno aiutarti ad acquistarlo, anzi metti in opera tutte le cose che ne favoriscono la crescita. L’anima infatti si adatta alle cose che ama e prende sempre più la somiglianza delle cose che fa spesso. Abbi, allora, la persona, gli indumenti, il modo di camminare, la sedia, il cibo, il letto, in una parola, tutto, di stampo frugale; perfino il discorso, il movimento del corpo, la conversazione; e queste cose devono tendere alla mediocrità e non alla distinzione. Sii buono e placido col fratello, dimentica le ingiurie degli avversari; sii umano e benevolo verso i più abietti, porta aiuto e sollievo ai malati, abbi riguardo per chi è colpito da dolori, avversità, afflizioni non disprezzare nessuno, sii dolce nella conversazione, lieto nelle risposte, onesto in tutto, disponibile a tutti.» (Nilo di Ancira, Epist., 3,134).
 
Il Santo del Giorno - 29 Ottobre 2022 - San Colman di Kilmacduagh Vescovo: Nato a Corker, nel Kiltartan, verso la metà del sec. VI, Colmàn era figlio di Duach e apparteneva alla stessa famiglia di Guaire Aidhne, re del Connaught. Uomo di grandi virtù, visse per qualche tempo nell’isola di Aranmore, quindi, per desiderio di maggiore solitudine, andò a rifugiarsi tra le montagne della contea di Clare, a Burren, dove si ritirò, a quanto si dice, perché fatto vescovo contro la sua volontà. Ivi dimorò a lungo, assieme a un suo discepolo, nutrendosi unicamente di erbe selvatiche e di acqua. Intorno al 620 fondò un monastero nel luogo che venne poi chiamato Kilmacduagh (ovvero la «cella del figlio di Duach»), su un terreno che gli era stato donato dal regale suo parente Guaire del Connaught, il quale, come narra la leggenda, guidato dagli angeli, era riuscito a scoprire il suo romitorio. Considerato come il primo vescovo di Kilmacduagh, Colmàn morì nel 632 ed è venerato in tutta l’Irlanda, che ne celebra la festa il 29 ottobre; nel Martirologio di Tallaght (p. 14) è tuttavia, commemorato alla data del 3 febbraio. (Autore: Niccolò Del Re).
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.