1 Agosto 2022

Lunedì XVIII Settimana T. O
 
Sant’Alfonso Maria d’Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa
 
Ger 28,1-17; Salmo Responsoriale dal Salmo 118 [119]; Mt 14,13-21
 
Colletta
 O Dio, che fai sorgere nella tua Chiesa
forme sempre nuove di santità,
fa’ che imitiamo l’ardore apostolico
del santo vescovo Alfonso Maria [de’ Liguori],
per ricevere la sua stessa ricompensa nei cieli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 marzo 2011): [Sant’Alfonso] insiste molto sulla necessità della preghiera, che consente di aprirsi alla Grazia divina per compiere quotidianamente la volontà di Dio e conseguire la propria santificazione. Riguardo alla preghiera egli scrive: “Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con la quale si ottiene l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. E dico, e replico e replicherò sempre, sino a che avrò vita, che tutta la nostra salvezza sta nel pregare”. Di qui il suo famoso assioma: “Chi prega si salva” (Del gran mezzo della preghiera e opuscoli affini. Opere ascetiche II, Roma 1962, p. 171). Mi torna in mente, a questo proposito, l’esortazione del mio predecessore, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II: “Le nostre comunità cristiane devono diventare «scuole di preghiera»... Occorre allora che l’educazione alla preghiera diventi un punto qualificante di ogni programmazione pastorale” (Lett. ap. Novo Millennio ineunte, 33,34).
Tra le forme di preghiera consigliate fervidamente da sant’Alfonso spicca la visita al Santissimo Sacramento o, come diremmo oggi, l’adorazione, breve o prolungata, personale o comunitaria, dinanzi all’Eucaristia. “Certamente – scrive Alfonso – fra tutte le devozioni questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi... Oh, che bella delizia starsene avanti ad un altare con fede... e presentargli i propri bisogni, come fa un amico a un altro amico con cui si abbia tutta la confidenza!” (Visite al SS. Sacramento ed a Maria SS. per ciascun giorno del mese. Introduzione). La spiritualità alfonsiana è infatti eminentemente cristologica, centrata su Cristo e il Suo Vangelo. La meditazione del mistero dell’Incarnazione e della Passione del Signore sono frequentemente oggetto della sua predicazione. In questi eventi, infatti, la Redenzione viene offerta a tutti gli uomini “copiosamente”. E proprio perché cristologica, la pietà alfonsiana è anche squisitamente mariana. Devotissimo di Maria, egli ne illustra il ruolo nella storia della salvezza: socia della Redenzione e Mediatrice di grazia, Madre, Avvocata e Regina. Inoltre, sant’Alfonso afferma che la devozione a Maria ci sarà di grande conforto nel momento della nostra morte. Egli era convinto che la meditazione sul nostro destino eterno, sulla nostra chiamata a partecipare per sempre alla beatitudine di Dio, come pure sulla tragica possibilità della dannazione, contribuisce a vivere con serenità ed impegno, e ad affrontare la realtà della morte conservando sempre piena fiducia nella bontà di Dio.
 
I Lettura: Anania profetizza il ritorno di Israele nella terra promessa: “entro due anni il Signore spezzerà il giogo di Nabucodònosor”, ma le sue parole sono menzognere, sulle labbra di Anania non c’è la verità. Geremia controbatte e ricorda al popolo che l’unica via per ritornare in patria è la conversione, perché la vera causa che ha portato in esilio Israele è il peccato. Bisogna ritornare a Dio, questa è l’unica soluzione. Alla reazione scomposta di Anania, Geremia gli profetizza la sua morte: “entro quest’anno tu morirai”, e così avvenne. Il compimento di una profezia a breve scadenza è un segno che autentica il messaggio di un profeta (Dt 18,21).
Geremia anche a costo della vita rimane fedele al Signore, ed è questa fedeltà nonostante tutto che autentica come veritiera la sua predicazione.
 
Vangelo
Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
 
L’intenzione di Matteo è quella di raccontare un miracolo realmente compiuto da Gesù, ma è chiaro che la prima generazione cristiana, illuminata dalla luce del Risorto e ammaestrata dallo Spirito Santo, diede un’importanza particolare al prodigio. In Gesù Dio sazia la fame materiale e spirituale del suo popolo: lo fa con un pane misterioso che è il corpo del Cristo donato al mondo per la sua salvezza. Gesù, nuovo Mosè, nutre la folla nel deserto, e agisce come i grandi uomini di Dio; per esempio, come Eliseo il quale saziò con un miracolo la fame di cento uomini (2Re 4,42-44).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 14,13-21
 
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una e folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
 
Il testo evangelico è di un ricchezza straordinaria. Innanzi tutto vi possiamo cogliere un senso messianico. Il racconto evangelico è analogo al racconto del dono prodigioso della manna (Cf. Es 16,4-35). Ci aiuta in questa comprensione anche l’ambiente dove Gesù opera il miracolo della moltiplicazione dei pani che corrisponde a quello dell’Esodo: Gesù come Mosè si trova nel deserto, circondato da una grande folla, affamata perché sprovvista di cibo, e come Mosè nel deserto si prende cura del popolo d’Israele, così Gesù sente compassione del popolo e lo nutre abbondantemente.
«L’analogia con l’epopea dell’esodo delle tribù israelitiche sostenute da Dio nel passaggio del deserto alla terra promessa offre un significato fondamentale al gesto di Cristo. Non diversamente da Mosè, egli, come messia, guida e sostiene la comunità messianica nel cammino verso la terra promessa» (Giuseppe Barbaglio).
Poi, il senso ecclesiale che «emerge dalla mediazione dei discepoli [v. 19] per distribuire il cibo miracoloso procurato da Gesù alle folle, fatte adagiare sull’erba. È l’immagine della Chiesa, nella quale i Dodici continueranno a elargire i beni preziosi della Parola e del Pane eucaristico in ogni luogo e in ogni tempo. Le dodici ceste di pane avanzate [v. 20] evocano le dodici tribù d’Israele, qui rappresentate dalla nuova assemblea, radunata intorno a Gesù e ai Dodici» (Angelico Poppi).
E infine, il senso eucaristico. Se si colloca la narrazione della moltiplicazione dei pani in un contesto salvifico, allora sarà spontaneo leggere il miracolo dei pani e dei pesci, alla luce dell’Eucarestia: il cibo «apprestato da Gesù, attraverso il miracolo dei pani, è immagine e segno della Cena Eucaristica, in cui il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio vengono dati agli uomini nel mistero della sua Pasqua salvifica. Intorno al Corpo Eucaristico si costruisce la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. Attraverso l’Eucaristia, Gesù diventa cibo e aduna organicamente tutta l’umanità in un Corpo di cui diventa Capo» (P. Massimo Biocco).
Anche se alcuni contestano questa lettura, i verbi prendere (prese i cinque pani e i due pesci), benedire (recitò la benedizione), spezzare (spezzò i pani), dare (li diede ai discepoli) ci suggeriscono palesemente il senso eucaristico del racconto evangelico.
 
… spezzò i pani e li diede ai discepoli... - Paul Ternant (Dizionario di Teologia Biblica): I miracoli, segni efficaci della salvezza - :Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,4s); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Lc 5,8ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,4s par.; Lc 13,15s; 14,3ss), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv 1,49), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc 1,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni. Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando he egli è veramente ciò he pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo on l’evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie he esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, Come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per la ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7,29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Lc 16,31; Gv 5,46s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli, li dovrà distinguere dai falsi segni (Mc 13,22s; Mt 7,22; cfr. 2Tess 2,9; Apoc 13,13). Qui, come in Deut, «i miracoli discernono la dottrina, e la dottrina discerne i miracoli» (Pascal).
 
La ricerca di Cristo nel deserto: “Ma nota bene a chi è distribuito. Non agli sfaccendati, non a quanti abitano nella città, cioè nella Sinagoga o fra gli onori del mondo, ma a quanti cercano Cristo nel deserto, proprio coloro che non ne hanno noia sono accolti da Cristo, e il Verbo di Dio parla con essi, non di questioni terrene, ma del Regno dei cieli. E se taluni hanno addosso le piaghe di qualche passione del corpo, Egli accorda volentieri a costoro la sua medicina. Era dunque logico che Egli con nutrimenti spirituali salvasse dal digiuno quanti aveva guarito dal dolore delle loro ferite. Perciò nessuno riceve il nutrimento di Cristo se prima non è stato risanato, e coloro che sono invitati alla cena, sono prima risanati da quell’invito. Se c’era uno zoppo, questi, per venire, avrebbe conseguito la possibilità di camminare; se c’era qualcuno privo del lume degli occhi, certo non sarebbe potuto entrare nella casa del Signore senza che gli fosse stata ridata la luce. Dappertutto, pertanto, viene rispettato l’ordinato svolgimento del mistero: prima si provvede il rimedio alle ferite mediante la remissione dei peccati, successivamente l’alimento della mensa celeste vien dato in abbondanza, sebbene questa folla non sia ancora saziata da cibi più sostanziosi, né quei cuori ancor digiuni di una fede più ferma siano nutriti col Corpo e col Sangue di Cristo.” (Ambrogio In Luc. 6,69-71).
 
Il Santo del giorno - 1 Agosto 2022 - Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa: Nasce a Napoli il 27 settembre 1696 da genitori appartenenti alla nobiltà cittadina. Studia filosofia e diritto. Dopo alcuni anni di avvocatura, decide di dedicarsi interamente al Signore. Ordinato prete nel 1726, Alfonso Maria dedica quasi tutto il suo tempo e il suo ministero agli abitanti dei quartieri più poveri della Napoli settecentesca. Mentre si prepara per un futuro impegno missionario in Oriente, prosegue l’attività di predicatore e confessore e, due o tre volte all’anno, prende parte alle missioni nei paesi all’interno del regno. Nel maggio del 1730, in un momento di forzato riposo, incontra i pastori delle montagne di Amalfi e, constatando il loro profondo abbandono umano e religioso, sente la necessità di rimediare ad una situazione che lo scandalizza sia come pastore che come uomo colto del secolo dei lumi. Lascia Napoli e con alcuni compagni, sotto la guida del vescovo di Castellammare di Stabia, fonda la Congregazione del SS. Salvatore. Intorno al 1760 viene nominato vescovo di Sant’Agata, e governa la sua diocesi con dedizione, fino alla morte, avvenuta il 1 agosto del 1787. (Avvenire)
 
O Dio, che hai fatto del santo vescovo Alfonso Maria
un fedele ministro e apostolo dell’Eucaristia,
concedi ai tuoi fedeli di parteciparvi assiduamente
per cantare in eterno la tua lode.
Per Cristo nostro Signore.

 

 31 Luglio 2022
 
XVIII Domenica T. O.
 
Qo 1,2;2,21-23; Salmo Responsoriale dal Salmo 89 [90]; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21
 
Colletta
O Dio, fonte della carità,
che in Cristo tuo Figlio
ci chiami a condividere la gioia del Regno,
donaci di lavorare con impegno in questo mondo,
affinché, liberi da ogni cupidigia,
ricerchiamo il vero bene della sapienza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica [146]  La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste. Il ricco della parabola è senza cuore verso Lazzaro, il mendicante affamato e coperto di piaghe; e i suoi cinque fratelli continuano a gozzovigliare spensierati, al punto che nemmeno un morto risuscitato potrebbe scuoterli. Le folle, che seguono Gesù, si aspettano da Dio facile abbondanza di beni materiali e, invece di accogliere nella fede lui e la sua volontà, lo strumentalizzano ai propri desideri e interessi.
[147]  La preoccupazione del benessere va ridimensionata. Ci sono valori più importanti e decisivi che non il cibo e il vestito: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,26-33). Occorre certo seminare e mietere, filare e tessere, progettare e lavorare, ma senza ansia per il domani. Bisogna possedere senza essere posseduti, senza preferire il benessere alla solidarietà.
Il vangelo comanda di distribuire e mettere in circolazione i propri beni: «Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33). Condanna il possesso egoistico, che non tiene conto delle necessità altrui. Non chiede però di vivere nella miseria. Valore assoluto è la fraternità, non la povertà materiale. Lo conferma l’esperienza della prima Chiesa a Gerusalemme, dove i credenti avevano «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), mettevano le loro cose in comune e così «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4,34).
 
I Lettura: Il libro del Qoèlet, scritto in ebraico, è più comunemente conosciuto col titolo greco “Ecclesiaste” che significa “colui che parla nell’assemblea”, cioè il predicatore. Il testo si svolge senza un chiaro ordine ed affronta il problema del significato della vita umana. Per Qoèlet tutta la vita umana è un mistero insondabile, cioè ‘vanità’, compreso lo sforzo dell’uomo di comprendere. L’amara riflessione sulle ultime sorti delle creature, vuole spingere l’uomo a considerare la caducità e la vanità dei beni terreni. Essi non vanno agognati o accumulati quasi fossero la ragione suprema dell’esistenza umana. Un insegnamento sapienziale che ritroveremo nella dottrina paolina, ma con sfumature positive perché illuminato dalla abbagliante luce del Risorto: «... quelli che comprano, [vivano] come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non ne usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7,30-31).
 
II Lettura: L’Apostolo Paolo suggerisce la grande dignità dell’uomo: con il Battesimo, è immerso in una vita nuova, celeste, divina e non può perderla stupidamente come Esaù che perdette la primogenitura per un piatto di lenticchie (cfr. Gen 25,29-34). La novità di vita implica anche un nuovo metro di giudizio: non si possono più valutare le persone prendendo come criterio la razza, la ricchezza o l’appartenenza a una fede religiosa, perché in Cristo è stata abbattuta ogni separazione e distinzione. Tra i tanti peccati Paolo mette in evidenza la menzogna che è assente negli altri cataloghi paolini. Forse la menzione è dovuta al fatto che il mentire era un vizio molto diffuso tra i cristiani della comunità di Colossi. 
 
Vangelo
Quello che hai preparato, di chi sarà?
 
L’uomo della parabola è stolto perché invece di procurarsi un tesoro inesauribile presso Dio ha pensato solo di accumulare per sé. In ultima istanza, Gesù ha voluto porre l’anonimo interlocutore dinanzi al suo vero destino; gli ha insegnato che il pensare alla morte personale è più importante del tesoreggiare: questo significa arricchirsi dinanzi a Dio. La prospettiva, quindi, è «quella della morte personale: è in questo momento che i beni della terra vengono meno e che importa disporre di tesori indefettibili... Il discepolo di Gesù si preoccupa del tesoro di cui potrà disporre in cielo presso Dio, nel momento in cui Dio gli chiederà l’anima» (J. Dupont). E questa è sapienza cristiana!
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 12,13-21
 
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
 
La parabola dell’uomo ricco - Rosanna Vigili (Vangelo secondo Luca): Come sempre Gesù approfondisce i temi che la gente gli propone e stavolta lo fa con una parabola. L’argomento è ancora quello dell’attaccamento ai beni materiali e il messaggio è che chi ne patisce rivela la sua scarsa intelligenza nel considerare la realtà della vita umana che può corrompersi da un momento all’altro.
Il destino è imprevedibile e chi pensasse di poter controllare il tempo della propria vita, si sbaglierebbe affatto. Non sappiamo quale sorte ci riservi neppure domani, o stanotte stessa! Lo spunto è sempre sapienziale e riguarda ciò che, nella vita umana, è, per sua natura, transeunte e ciò che, invece, resta. La prima dimensione è ben descritta in uno dei nomi ebraici usati per dire “uomo” cioè enos: “colui che non resiste, il corruttibile” (cf Gen 4,26); la seconda è quella che l’uomo vive “davanti a Dio”. Nel suo essere corruttibile, l’uomo si vedrà ritirare la sua vita (psychén sou) in qualsiasi momento e dovrà interrompere di godere dei beni che ha accumulato per sé; mentre nel suo essere “davanti a Dio” - espressione che allude al culto - l’uomo resta per sempre.
Solo Dio conosce la sorte dell’uomo, per questo il saggio consegnerà il suo tempo e i suoi affetti a Dio (cf Sal 14,1: «Stolto l’uomo che non tiene conto di Dio»).
Ne deriva la saggezza dell’accumulare «un tesoro inesauribile nei cieli, dove ladro non si accosta e tarma non rovina» (v. 33). Un’ulteriore illusione è quella del possesso, della soddisfazione che si prova a dire: questo è mio. I possessivi tradiscono una mentalità tipicamente idolatrica (cf Os 2,7) e denunciano la violazione della giustizia e della pace, un tema molto caro ai profeti. «Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare la terra» (Is 5,8. Cf anche Mi 2,1-5; Ger 17,11).
 
Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita - Il Vangelo più che la vigilanza vuol suggerirci la certezza della morte e la possibilità che essa può essere improvvisa: «... verrà come un ladro nella notte: E quando la gente dirà: “C’è pace e sicurezza!”, allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie di una donna incinta: e non potranno sfuggire» (1Ts 5,2-3).
La morte è «la fine del pellegrinaggio terreno dell’uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1013). Da qui la necessità di ben prepararsi: «La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte [“Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore: antiche litanie dei santi], a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi “nell’ora della morte” [“Ave Maria”] e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1014).
Cruda la riflessione di sant’Alfonso Maria de Liguori: «La morte, in conclusione, spoglia l’uomo di tutti i beni di questo mondo. Che spettacolo, vedere il principe mandato via dal suo palazzo perché non vi faccia più rientro e vedere altri prendere possesso dei mobili, del denaro e di tutti gli altri suoi beni! Nella tomba, i servi lo lasciano avvolto in una veste che basta appena a coprirgli il corpo. Non c’è più chi lo stima, né chi lo adula; e non si tiene più conto degli ordini che ha lasciato.
Saladino, che conquistò molti regni in Asia, prima di morire diede disposizione che, nel momento in cui il feretro sarebbe stato trasportato alla sepoltura, una persona precedesse davanti alla bara con la sua camicia appesa ad un’asta, gridando: “Questo è tutto quanto Saladino porta con sé nella tomba!”.
Dopo che il cadavere del principe è stato collocato nella fossa e iniziano a staccarsi le carni, ecco, il suo scheletro non si distingue più dagli altri» (Apparecchio alla morte, Riflessione II - Punto I - La morte ci spoglia di tutto).
Veritiera, ma non piena nella sua enunciazione perché la morte di Cristo ha dato alla morte dell’uomo una svolta radicale ponendola nel segno della precarietà: per mezzo di «Cristo siamo liberati dal peccato, dalla carne, dalla legge e perciò la vita, non la morte, è il segno sotto cui si svolge l’esistenza dei credenti» (Giuseppe Barbaglio).
La morte cristiana in virtù della morte e della risurrezione di Cristo «ha un significato positivo. “Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno” [Fil 1,21]. “Certa  questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” [2Tm 2,1]. Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente “morto con Cristo”, per vivere di una vita nuova: e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma “questo morire con Cristo” e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1010).
È stolto colui che vive come se la morte non dovesse mai arrivare ed è stolto colui che crede che con la morte finisce tutto; è saggio invece colui che arricchisce presso Dio.
 
L’essere ricco per il Signore: “È vero che la vita di una persona non deriva dalle proprie ricchezze o dall’avere beni in abbondanza. Colui che è ricco per il Signore è molto beato e ha una gloriosa speranza. Chi è questi? Evidentemente è uno che non ama le ricchezze ma, anzi, ama la virtù, per il quale poche cose sono sufficienti [cfr. Lc 10,42]. È uno la cui mano è aperta ai bisogni del povero, intenta a confortare i dispiaceri di coloro che si trovano in povertà, in accordo con le sue risorse e con il massimo del suo potere. Egli accumula nei magazzini che sono in alto e mette i tesori nei cieli. Una tale persona troverà il profitto della sua virtù e la ricompensa della sua vita giusta e senza colpa.” (Cirillo di Alessandria, Commento a Luca, omelia 89)
 
Il Santo del giorno  - 31 Luglio 2022 - Sant’Ignazio di Loyola. I suoi «esercizi», cammino per cogliere la vita di Dio: Esercitare l’anima per saper cogliere la presenza di Dio e quindi mostrare al mondo i frutti di questa ricerca incessante: è l’invito che ci lascia sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti. Era nato ad Azpeitia nella provincia basca di Guipúzcoa nel 1491 ed era il minore di 13 figli, otto maschi e cinque femmine, di una famiglia impegnata a servire i re cattolici di Castiglia. Nel 1506 rimase orfano e venne mandato nella città di Arévalo per essere istruito nelle arti cavalleresche. E la sua vita fu proprio quella di un cavaliere, finché non rimase ferito a una gamba a Pamplona. Durante la convalescenza, grazie a delle letture spirituali, cominciò un cammino di conversione religiosa e di - progettazione spirituale -. Forte della sua esperienza militare decise di mettere quella disciplina al servizio di Cristo e della vita della Chiesa nel mondo. La sua formazione si compì tra Spagna e Francia. Scrisse alcune regole - poi confluite negli Esercizi spirituali - e nel 1534 assieme ad alcuni compagni diede vita a Parigi al primo nucleo di quelli che sarebbero poi diventati i Gesuiti. Nel 1537 fu ordinato prete a Venezia. Ignazio, morì nel 1556 a Roma, 16 anni dopo l’approvazione della sua Compagnia. (Autore Matteo Liut).
 
Accompagna con la tua continua protezione, o Signore,
i tuoi fedeli che nutri con il pane del cielo,
e rendi degni della salvezza eterna
coloro che non privi del tuo aiuto.
Per Cristo nostro Signore.
 
  30 Luglio 2022
 
Sabato XVII Settimana T. O.
 
Ger 26,11-16.24; Salmo responsoriale dal Salmo 68 [69]; Mt 14,1-12
 
Colletta
O Dio, nostra forza e nostra speranza,
senza di te nulla esiste di valido e di santo;
effondi su di noi la tua misericordia
perché, da te sorretti e guidati,
usiamo saggiamente dei beni terreni
nella continua ricerca dei beni eterni.
Per il nostro Signore Gesù Cristo
 
Benedetto XVI (Angelus 24 Giugno 2007): Giovanni Battista è stato il precursore, la “voce” inviata ad annunciare il Verbo incarnato. Perciò, commemorare la sua nascita significa in realtà celebrare Cristo, compimento delle promesse di tutti i profeti, dei quali il Battista è stato il più grande, chiamato a “preparare la via” davanti al Messia (cfr Mt 11,9-10).
Tutti i Vangeli iniziano la narrazione della vita pubblica di Gesù con il racconto del suo battesimo nel fiume Giordano ad opera di Giovanni. San Luca inquadra l’entrata in scena del Battista con una cornice storica solenne. Anche il mio libro Gesù di Nazaret prende le mosse dal battesimo di Gesù al Giordano, evento che ebbe enorme risonanza ai suoi tempi. Da Gerusalemme e da ogni parte della Giudea la gente accorreva per ascoltare Giovanni Battista e farsi da lui battezzare nel fiume, confessando i propri peccati (cfr Mc 1,5). La fama del profeta battezzatore crebbe a tal punto che molti si domandavano se fosse lui il Messia. Ma egli – sottolinea l’evangelista - lo negò recisamente: “Io non sono il Cristo” (Gv 1,20). Egli comunque resta il primo “testimone” di Gesù, avendone ricevuto indicazione dal Cielo: “L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo” (Gv 1,33). Questo precisamente accadde quando Gesù, ricevuto il battesimo, uscì dall’acqua: Giovanni vide scendere su di Lui lo Spirito come una colomba. Fu allora che “conobbe” la piena realtà di Gesù di Nazaret, e iniziò a farlo “conoscere a Israele” (Gv 1,31), indicandolo come Figlio di Dio e redentore dell’uomo: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29).
Da autentico profeta, Giovanni rese testimonianza alla verità senza compromessi. Denunciò le trasgressioni dei comandamenti di Dio, anche quando protagonisti ne erano i potenti. Così, quando accusò di adulterio Erode ed Erodiade, pagò con la vita, sigillando col martirio il suo servizio a Cristo, che è la Verità in persona. Invochiamo la sua intercessione, insieme con quella di Maria Santissima, perché anche ai nostri giorni la Chiesa sappia mantenersi sempre fedele a Cristo e testimoniare con coraggio la sua verità e il suo amore per tutti.
 
I Lettura: Le parole profetiche di Geremia suscitano imbarazzo nella classe dirigente, e i sacerdoti e i profeti sono disgustati. Sono stanchi di sentire castighi, o imminenti rovine, e per far tacere Geremia l’unica soluzione è quella di ammazzarlo. Ma occorre che la condanna a morte sia ratificata dal popolo, “strumento cieco di occhiuta rapina” (Giuseppe Giusti, Sant’Ambrogio). Geremia si difende dalle accuse, e ripete, quasi con ostinata innocenza, che la distruzione di Gerusalemme e del tempio è condizionata alla conversione di Israele. Possono fare di lui quello che vogliono, ma stiano ben attenti perché da Dio saranno ritenuti responsabili del sangue innocente. Il popolo accoglie la difesa di Geremia e ne decreta la liberazione: “Non ci deve essere condanna a morte per quest’uomo, perché ci ha parlato nel nome del Signore, nostro Dio”. Qualche volta il buon senso prevale sulla arrogante stupidità di crede di sapere tutto e di avere sempre ragione.
 
Vangelo
Erode mandò a decapitare Giovanni e i suoi discepoli andarono a informare Gesù.
 
La morte cruenta di Giovanni Battista, uomo giusto e santo, fedele al suo mandato e messo a morte per la sua libertà di parola, fa presentire l’arresto e la condanna ingiusta di Gesù. Giovanni Battista muore per la malvagità di una donna e la debolezza di un sovrano, ma la sua morte non è uno dei tanti fatti di cronaca che da sempre fanno parte della storia umana, è invece una Parola che Dio rivolge a tutti gli uomini: morire per la Verità è farsi discepolo del Cristo, ed è offrire la propria vita per la salvezza degli uomini: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.” (Gv 15,12-14).
 
Vangelo secondo Matteo
Mt 14,1-12
 
In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!».
Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.
Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre.
I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.
 
La fine del Battista - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): È la prima volta che Erode Antipa appare nella storia evangelica. Nessuna meraviglia che egli abbia sentito parlare di Gesù. Tiberiade, il luogo della sua residenza galilaica, non è molto distante da Cafarnao. Questa sua improvvisa apparizione apre la fila degli avversari di Cristo che si avvicendano nel IV libro. La sua presenza non è di buon auspicio. Sia per il nome che porta, che per le personali imprese, fa prevedere tristi ore per il futuro della salvezza. Quasi per mettere in guardia, ma più ancora per far comprendere il senso della rievocazione, Matteo ricorda una delle più delittuose azioni del tetrarca contro gli uomini del regno: l’uccisione del Battista, ordinata nel corso di un banchetto, per istigazione di Erodiade: contemporaneamente «moglie», nipote e cognata del re.
Il racconto del martirio del precursore è letterariamente un’abbreviazione di quelli più dettagliati e più originali di Marco e di Giuseppe Flavio. Esso costituisce una specie di digressione nella trama del IV libro, ma nel quadro dell’intero vangelo è un tratto che completa le precedenti apparizioni del Battista (cfr. 3,1-12; 11,2-14) e mette definitivamente in luce la sua missione. Giovanni è stato inviato a preannunciare il Cristo (è perciò un profeta), ma anche a precedere la sua venuta e le sue operazioni. Il destino dell’uno fa prevedere quello dell’altro. Anche il Battista, una volta libero predicatore di penitenza (3, 1-12), era stato catturato, imprigionato (4,12; 11,2) e infine ucciso (14,3-12). Gesù ha cominciato a percorrere la stessa strada; annuncia lo stesso messaggio; incontra le stesse opposizioni può darsi che avrà anche da subire la stessa fine. Le apparizioni del Battista diventano così gesti simbolici oltre che fatti reali, profezie in azione. Egli è un precursore in tutta la sua persona e con tutta la sua vita. Forse meno evidentemente che in Marco anche in Matteo Giovanni è il «tipo di Cristo», di cui anticipa prefigurativamente la missione. La sua cattura non è un’incarcerazione ma una «consegna» (paradosis) (4,12) come quella del salvatore (Mt. 17,22). Come al messia (cfr. Mt. 17,22; 20,17-19), anche al precursore hanno fatto «quello che hanno voluto» (Mt. 17,13). Il parallelismo è confermato da Gesù stesso: «Così anche il figlio dell’uomo ha da patire da loro» (Mt. 17,13). Su questa linea la morte di Giovanni è un anticipo di quella di Gesù, come la diceria della sua risurrezione (Mt. 14,2) prelude alla vera risurrezione di Cristo. In questa maniera il discorso sul precursore è documentativo e insieme profetico. Il ministero galilaico si sta chiudendo con un bilancio fallimentare. La morte del Battista e la fuga di Gesù segnano un punto in vantaggio del tetrarca e dei nemici del regno
 
Martirio / Martiri - Alfonso Colzani (Enciclopedia del Cristianesimo): Nella storia cristiana, soprattutto dei primi secoli, i due termini designano la testimonianza e i testimoni della fede. II termine martirio deriva dal greco martyrion: testimonianza resa sotto giuramento con valore di prova.
Con questo significato di documento probatorio (dell’Alleanza o della Torà ) il termine ricorre frcqucntemente nella versione greca dcll’Antico Testamento e  in alcuni luoghi del Nuovo Testamento, caratterizzato dal riferimento a Cristo.
L’evangelista Luca introduce un nuovo significato: negli Atti degli apostoli martirio significa rendere testimonianza. inteso come predicare Cristo, compito caratteristico degli apostoli che “con grande forza rendevano testimonianza” (At 4,33). Martiri a partire da Luca 24,48, sono designati i testimoni del Risorto, i quali sono incaricati di essere testimoni fra le genti. Questo compito è chiaramente marcato dalla sofferenza e dal rischio della morte (Stefano, il primo martire cristiano è chiamato in Atti degli Apostoli 22,20 “il testimone fedele”), ma non è caratterizzato dalla concezione più tardiva di martirio come testimonianza del sangue, quanto dall’inalterata c completa proclamazione del messaggio di Cristo.
Per l’evangelista Giovanni martyrion è per definizione testimonianza di Cristo, anticipata da Giovanni Battista, testimonianza che lo stesso Cristo rende a se stesso c che i discepoli proclamano c confermano. Giovanni usa il vocabolario dell’esperienza (della fede) c della testimonianza, che ha il senso di conferma della verità di Dio: i discepoli che hanno visto rendono testimonianza e annunciano la vita eterna resasi visibile (1Gv 1,2). Tale processo si realizza con l’aiuto dello Spirito Paraclito, che è colui che rendo testimonianza a Gesù (Gv 15,26), ma non sostituisce la testimonianza dei discepoli: “e anche voi mi renderete testimonianza” (v. 27).
 
La danza: “Avete udito, fratelli, quanto grande crudeltà sia nata dal piacere? E il suo capo fu recato in un vassoio. La casa si trasforma in un’arena, la mensa diventa una cavea, i convitati diventano spettatori, il convito si muta in follia, il cibo diventa strage, il vino si cambia in sangue, al giorno natalizio si unisce il funerale, nella nascita si mostra il tramonto, il banchetto si muta in omicidio, gli strumenti musicali fanno echeggiare la tragedia dei secoli. Entra una belva, non una ragazza, corre una fiera, non una donna, agita la criniera sul capo, non i capelli; allarga le membra con le contorsioni, cresce con l’aumentare della ferocia, diventa grande con la crudeltà, non con il corpo, e la belva singolare ruggisce, con la bocca digrigna i denti, non riceve il ferro, ma lo sguaina. Per suggerimento, dice, di sua madre, e scagliando la saetta dal petto di sua madre, belva di nuovo genere, preda spregiata del corpo, raggiunge il capo stesso per mozzarlo.” (Pietro Crisologo, Sermoni 127, 9 ).
 
Il Santo del giorno  - 30 Luglio 2022 - Santa Angelina, Despota di Serbia: Figlia di Giorgio Arianita e cognata del principe Ivani Cronojevic, al quale Eugenio IV aveva affidato il vessillo della Chiesa nella lotta contro i Turchi, Angelina sposò Stefano il Cieco, fratello di Lazaro II Greblanovic. Quando il 21 gennaio 1458 Lazaro morì senza discendenti maschi, Stefano divenne despota di Serbia, ma nel 1467 fu costretto a fuggire con la famiglia per sottrarsi alla pressione turca e si recò in Italia, dove, dieci anni dopo, nel 1477, si spegneva.
Angelina si stabilì a Kupinovo (Srem), dove fece traslare il corpo del marito, e, riavuto il titolo di despota alla morte di Zmaj Vuk (1485 o 1486), coniò monete d’argento e d’oro che recavano su una faccia la sua immagine e sull’altra quella dei figli Djurdje e Ivan. Costruì un monastero femminile a Krusedol (Srem) e morì nel 1516. Fu sepolta a Krusedol insieme con il marito e i figli. La Chiesa serba la venera con il nome di “Majka Angelina” il 30 luglio, mentre Stefano il Cieco è celebrato l’11 ottobre, Ivan il 10 dicembre e Djurdje, che si era fatto monaco prendendo il nome di Massimo, il 18 gennaio. (Autore: Augusto Moreschini). 
 
O Dio, nostro Padre,
che ci hai dato la grazia di partecipare a questo divino sacramento,
memoriale perpetuo della passione del tuo Figlio,
fa’ che il dono del suo ineffabile amore
giovi alla nostra salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 Luglio 2022
 
Venerdì XVII Settimana T. O.
 
Santa Marta
 
1Gv 4,7-16; Salmo Responsoriale dal Salmo 33 [34]; Gv 11,19-27 (oppure Lc 10,38-42)
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
il tuo Figlio ha accettato l’ospitalità nella casa di santa Marta:
per sua intercessione concedi a noi
di servire fedelmente Cristo nei fratelli,
per essere accolti da te nella dimora del cielo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La risurrezione di Lazzaro - Benedetto XVI (Angelus, 9 Marzo 2008): Si tratta dell’ultimo grande "segno" compiuto da Gesù, dopo il quale i sommi sacerdoti riunirono il Sinedrio e deliberarono di ucciderlo; e decisero di uccidere anche lo stesso Lazzaro, che era la prova vivente della divinità di Cristo, Signore della vita e della morte. In realtà, questa pagina evangelica mostra Gesù quale vero Uomo e vero Dio. Anzitutto l’evangelista insiste sulla sua amicizia con Lazzaro e le sorelle Marta e Maria. Egli sottolinea che a loro “Gesù voleva molto bene” (Gv 11,5), e per questo volle compiere il grande prodigio. “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo2 (Gv 11,11) – così parlò ai discepoli, esprimendo con la metafora del sonno il punto di vista di Dio sulla morte fisica: Dio la vede appunto come un sonno, da cui ci può risvegliare. Gesù ha dimostrato un potere assoluto nei confronti di questa morte: lo si vede quando ridona la vita al giovane figlio della vedova di Nain (cfr Lc 7,11-17) e alla fanciulla di dodici anni (cfr Mc 5,35-43). Proprio di lei disse: “Non è morta, ma dorme” (Mc 5,39), attirandosi la derisione dei presenti. Ma in verità è proprio così: la morte del corpo è un sonno da cui Dio ci può ridestare in qualsiasi momento.
Questa signoria sulla morte non impedì a Gesù di provare sincera compassione per il dolore del distacco. Vedendo piangere Marta e Maria e quanti erano venuti a consolarle, anche Gesù “si commosse profondamente, si turbò” e infine “scoppiò in pianto” (Gv 11,33.35). Il cuore di Cristo è divino-umano: in Lui Dio e Uomo si sono perfettamente incontrati, senza separazione e senza confusione. Egli è l’immagine, anzi, l’incarnazione del Dio che è amore, misericordia, tenerezza paterna e materna, del Dio che è Vita. Perciò dichiarò solennemente a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E aggiunse: “Credi tu questo?” (Gv 11,25-26). Una domanda che Gesù rivolge ad ognuno di noi; una domanda che certamente ci supera, supera la nostra capacità di comprendere, e ci chiede di affidarci a Lui, come Lui si è affidato al Padre. Esemplare è la risposta di Marta: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11,27). Sì, o Signore! Anche noi crediamo, malgrado i nostri dubbi e le nostre oscurità; crediamo in Te, perché Tu hai parole di vita eterna; vogliamo credere in Te, che ci doni una speranza affidabile di vita oltre la vita, di vita autentica e piena nel tuo Regno di luce e di pace.
 
I Lettura: La prima lettera di san Giovanni è costituita da tre grandi sezioni: camminare nella luce (1,5-2,29), vivere da figli di Dio (3,1-4,6) e alle fonti della carità e della fede (4,7-5,4). Il brano odierno, in cui troviamo l’esaltante affermazione «Dio è amore», ci introduce alle sorgenti della carità: Dio ha l’iniziativa della carità e la manifesta inviando e donando il suo Figlio unigenito, «perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
 
Vangelo
Io credo che sei il Cristo, il Figlio di Dio.
 
Marta di Betania è la sorella di Maria e di Lazzaro; Gesù amava sostare nella loro casa durante la predicazione in Giudea. Il testo di oggi ci dona la più solenne affermazione della divinità di Gesù. Marta, anche se indaffarata in mille faccende casalinghe, stando spesso in compagnia di Gesù, avrà avuto modo di entrare “dentro il mistero del Cristo” e lo dimostra l’affermazione che viene registrata nel Vangelo secondo Giovanni: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Marta non è quindi quella donna distratta e iperattiva che si vuol dipingere, ma una donna che ama il servizio dettato dalla carità, e allo stesso tempo la donna attenta alla “presenza di Dio”, un attenzione amorosa che apre il suo cuore alla testimonianza e la sua vita al possesso del regno di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 11,19-27
 
In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.
Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».
Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno».
Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
 
Il miracolo della risurrezione di Lazzaro è l’ultimo «segno» compiuto da Gesù prima della sua morte. In un contesto di dolore, di profonda commozione, di speranza e di incredulità, la risurrezione di colui che Gesù ama (Gv 11,3.16) è il segno e l’anticipazione della risurrezione stessa di Cristo.
Quando Gesù arriva a Betania, Lazzaro è morto da quattro giorni. Marta sembra rimproverare il Maestro, se tu fossi stato qui ..., ma nella richiesta c’è qualcosa che va al di là dell’umana speranza, l’insperabile: lei è certa che, nonostante la decomposizione organica del corpo, Gesù può operare un miracolo: Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà, anche quella di risuscitare ora Lazzaro.
Gesù comprende appieno la richiesta, ma rimanda la donna alla comune fede nella risurrezione dei morti. Marta, che forse sperava in un qualcosa di straordinario, si acquieta e accetta l’evidenza dei fatti: Lazzaro è morto, so che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno. Di rimando, Gesù, inaspettatamente, spazza via qualsiasi equivoco o dubbio: Io sono la risurrezione e la vita, così come Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,35s), la luce del mondo (Gv 8,12), la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Gesù è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10): Marta accoglie la rivelazione, crede e professa la sua fede: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.
«L’uomo cerca in tutti i modi la vita fisica [...]. Ma la sorgente della sua vita è Cristo. Solo Cristo è colui che gli darà vita dopo questa vita [...]. Ma Cristo è anche la fonte della vita eterna, di quella vita dello spirito senza la quale a nulla varrebbe avere la vita del corpo» (Giovanni Unterberger).
 
Io sono la risurrezione e la vita - Bibbia di Gerusalemme nota a Gv 11,25: Nei 23-26, Giovanni utilizza un procedimento letterario classico per lui (2,19+), per dare insegnamento sulla risurrezione. Marta comprende il verbo - risorgere - (v 23) nel senso dell’escatologia giudaica ereditata da Dn 12,2: alla morte l’uomo discende nello sceol (16,33+), come un’ombra priva di vita ma risusciterà nell’ultimo giorno. Gesù rettifica questa idea nel senso di un’escatologia già realizzata: lui stesso è la risurrezione (v. 25). Chi crede in lui non morirà in eterno (v 26; cf. 8,51), è già passato dalla morte alla vita (5,24; 1Gv 3,14), è già risuscitato in Cristo grazie alla vita nuova che è in lui (Rm 6,1-11; Col 2,12-13; 3,1). La morte come la concepiva Daniele è abolita. Questa visione nuova suppone una distinzione fra l’anima, che non muore, e il corpo, che si corrompe nella terra. [...] - vivrà: nei versetti 25-26 abbiamo una nuova  utilizzazione della formula «Io sono» per introdurre una definizione di Cristo (6,35+). Ma qui la risposta di Cristo sembra troppo complessa (opporre per esempio 8,12), con una ripresa redazionale costituita dall’espressione «crede in me». Il testo primitivo doveva avere semplicemente: «chi crede in me […] non morirà in eterno» Questa affermazione (cf. la prima parte della nota) sembra contraddetta dall’esperienza umana, da cui la glossa.
 
Il vangelo della risurrezione nella predicazione apostolica - Jean Radermakers e Pierre Grelot (Dizionario di Teologia Biblica): Fin dal giorno della Pentecoste, la risurrezione diventa il centro della predicazione apostolica, perché in essa si rivela l’oggetto fondamentale della fede cristiana (Atti 2,22-35). Questo vangelo di Pasqua è innanzitutto la testimonianza resa ad un fatto: Gesù è stato crocifisso ed è morto; ma Dio lo ha risuscitato e per mezzo suo apporta agli uomini la salvezza. Questa è la catechesi dì Pietro ai Giudei (3,14s) e la sua confessione dinanzi al sinedrio (4,10), l’insegnamento di Filippo all’eunuco etiope (8,35), quello di Paolo ai Giudei (13,33; 17,3) ed ai pagani (17,31) e la sua confessione dinanzi ai suoi giudici (23,6...). Non è altro che il contenuto stesso dell’esperienza pasquale. Un punto importante è sempre notato a proposito di questa esperienza: la sua conformità con le Scritture (cfr. 1Cor 15,3s). Da una parte, la risurrezione di Gesù compie le promesse profetiche: promessa dell’esaltazione gloriosa del Messia alla destra di Dio (Atti 2,34; 13,32s), della glorificazione del servo di Jahve (Atti 4,30; Fil 2,7ss), della intronizzazione del figlio dell’uomo (Atti 7,56; cfr. Mt 26,64 par.). Dall’altra parte, per tradurre questo mistero che è fuori dell’esperienza storica comune, i testi della Scrittura forniscono un insieme di espressioni che ne abbozzano i diversi aspetti: Gesù è il santo che Dio strappa alla corruzione dell’Ade (Atti 2,25-32; 13,35ss; cfr. Sal 16,8-11); è il nuovo Adamo sotto i cui piedi Dio ha posto ogni cosa (1Cor 15,27; Ebr 1,5-13; cfr. Sal 8); è la pietra rigettata dai costruttori e diventata pietra angolare (Atti 4,11; cfr. Sal 118,22)... Cristo glorificato appare in tal modo come la chiave di tutta la Scrittura, che lo concerneva in anticipo (cfr. Lc 24,27.44 ss).
 
Chi crede in me vivrà: “Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». Cosa vuol dire? « Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro, vivrà », perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe; non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi» [Lc 20, 38]. Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi... Quando è che muore l’anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a mancare l’anima. La fede è l’anima della tua anima.  «Chi crede in me anche se è morto nel corpo, vivrà nell’anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione».  Questo è il senso delle sue parole. «Lo credi tu?» - domanda Gesù a Marta - ; Ed essa risponde: « Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo [Gv 11, 26-27]. E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno»” (Agostino, Trattato sul vangelo di Giovanni, 49,15).
 
Il Santo del giorno: 29 Luglio 2016: Santa Marta di Betania: Marta è la sorella di Maria e di Lazzaro di Betania. Nella loro casa ospitale Gesù amava sostare durante la predicazione in Giudea. In occasione di una di queste visite conosciamo Marta. Il Vangelo ce la presenta come la donna di casa, sollecita e indaffarata per accogliere degnamente il gradito ospite, mentre la sorella Maria preferisce starsene quieta in ascolto delle parole del Maestro. L’avvilita e incompresa professione di massaia è riscattata da questa santa fattiva di nome Marta, che vuol dire semplicemente «signora». Marta ricompare nel Vangelo nel drammatico episodio della risurrezione di Lazzaro, dove implicitamente domanda il miracolo con una semplice e stupenda professione di fede nella onnipotenza del Salvatore, nella risurrezione dei morti e nella divinità di Cristo, e durante un banchetto al quale partecipa lo stesso Lazzaro, da poco risuscitato, e anche questa volta ci si presenta in veste di donna tuttofare. I primi a dedicare una celebrazione liturgica a S. Marta furono i francescani, nel 1262.(Avvenire)  
 
La comunione al Corpo e al Sangue del tuo Figlio unigenito
ci liberi, o Signore, dagli affanni delle cose che passano,
perché, sull’esempio di santa Marta,
progrediamo sulla terra in un sincero amore per te
e godiamo senza fine della tua visione nel cielo.
Per Cristo nostro Signore.