1 Luglio 2023
 
Sabato XII Settimana T. O.
 
Gn 18,1-15; Salmo Responsoriale Da Lc 1,46-55; Mt 8,15-17
 
Colletta
Donaci, o Signore,
di vivere sempre nel timore e nell’amore per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Lumen fidei N. 20: La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente a un Amore che ci precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi. Ciò appare con chiarezza nell’esegesi che l’Apostolo delle genti fa di un testo del Deuteronomio, esegesi che si inserisce nella dinamica più profonda dell’Antico Testamento. Mosè dice al popolo che il comando di Dio non è troppo alto né troppo lontano dall’uomo. Non si deve dire: « Chi salirà in cielo per prendercelo? » o « Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo? » (cfr Dt 30,11-14). Questa vicinanza della Parola di Dio viene interpretata da san Paolo come riferita alla presenza di Cristo nel cristiano: « Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? - per farne cioè discendere Cristo -; oppure: Chi scenderà nell’abisso? - per fare cioè risalire Cristo dai morti » (Rm 10,6-7). Cristo è disceso sulla terra ed è risuscitato dai morti; con la sua Incarnazione e Risurrezione, il Figlio di Dio ha abbracciato l’intero cammino dell’uomo e dimora nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo. La fede sa che Dio si è fatto molto vicino a noi, che Cristo ci è stato dato come grande dono che ci trasforma interiormente, che abita in noi, e così ci dona la luce che illumina l’origine e la fine della vita, l’intero arco del cammino umano.
 
Prima Lettura: È il racconto di una apparizione di Jahve ad Abramo accompagnato da due «uomini», che, secondo Gen 19,1, sono due angeli. Inizialmente Abramo crede di vedere negli ospiti «tre uomini», in quanto il carattere divino dei «tre uomini» non si manifesterà che progressivamente (vv. 2.9.13.14). Abramo prostrandosi dinanzi a loro fino a terra in segno di omaggio li accoglie con grande gioia e abbondanza di cibo. Nel lasciare la tenda di Abramo, Dio promette al patriarca la nascita di un figlio compiendo così la promessa di una posterità.  Poiché il testo esita in parecchi luoghi tra il plurale e il singolare, in «questi tre uomini», ai quali Abramo si rivolge al singolare, molti Padri hanno visto l’annunzio del mistero della Trinità, la cui piena rivelazione era riservata al Nuovo Testamento.
 
Vangelo
Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe.
 
Il Vangelo di oggi ci offre diverse riflessioni, ma il cuore di queste riflessioni è il racconto della guarigione del servo del centurione romano. L’elogio che Gesù fa della fede di questo uomo, mette in crisi l’orgogliosa sicurezza dei figli di Abramo e la nostra sicurezza di battezzati. Il pagano era bandito dalla salvezza, non gli era permesso di entrare nel Tempio, eppure per Gesù il centurione diventa per i credenti un modello da imitare. Per noi cristiani non vi sono certezze, Dio può dare ad altri la sua vigna perché porti frutti abbondanti di santità e di salvezza.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,15-17
 
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva:
«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva.
Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
“Egli ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle malattie”.
 
Parola del Signore.
 
Signore, il mio servo è in casa … - Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): Dopo aver curato un giudeo emarginato, Gesù viene avvicinato da un ufficiale straniero, da uno che non appartiene al popolo di Dio. Questi si accosta a lui con l’atteggiamento implorante di chi avanza la sua richiesta con tanta umiltà. L’uomo di potere si sottomette così ad un’altra autorità, riconoscendosi debole. Il suo potere è “limitato” non solo dal fatto di essere anch’egli abitualmente sottomesso ad autorità, come dice al v. 9, ma dalla malattia di suo figlio che rappresenta un evento la cui soluzione non è in suo potere. Il potere dell’uomo, infatti, per quanto grande sia, si infrange contro lo “scoglio” della sofferenza. Gesù reagisce prontamente alla richiesta dell’uomo autoinvitandosi a casa sua per guarire suo figlio. Il centurione, a questo punto, interviene con zelo “religioso” e, ricorrendo a una parabola dal retroterra militare, costruita per mostrare la validità dello schema comando/esecuzione, manifesta il suo senso di inadeguatezza dinanzi a Gesù e, al tempo stesso, la sua fede nella sua autorità e nell’efficacia del suo operato: non serve che Gesù vada fin lì, sarebbe sufficiente persino una sola sua parola (v. 8).
Dinanzi alle parole del centurione, Gesù reagisce nel modo in cui abitualmente reagiscono le folle alle sue parole, si meraviglia (ethàumasen, v. 10). È affascinato dalla fede dell’uomo, è rapito dalla bellezza di un’autorità che non ha nulla a che vedere con il possesso delle cose terrene, ma che è puro anelito a beni più grandi, fremito dell’intelletto, palpito che desta lo spirito alla sua più alta dignità. Il Dio fatto uomo sosta estatico dinanzi al capolavoro della creazione che è l’uomo credente e ne dichiara ad alta voce la grazia e la bellezza. Gesù vede in lui un “capolavoro” di fede. Le traduzioni di solito parlano di “tanta fede” sottolineando spesso la dimensione della quantità. In realtà Gesù qui tesse l’elogio della qualità di questa fede che parte da un cuore capace di umiltà e di fiducia incondizionata, perché dinanzi al proprio limite sa aprirsi a ciò che lo supera e non lascia
spazio a dubbi o esitazioni. La celebrazione che Gesù fa della fede del centurione contiene anche una sorprendente sentenza profetica: l’annuncio dell’ampliamento dei destinatari della salvezza. Egli afferma che il regno dei cieli sarà ereditato dai lontani, mentre paradossalmente i «figli del regno» ai quali era stato annunciato, l’Israele dell’alleanza e della promessa, ne staranno fuori.
Si tratta di un’espressione polemica nei confronti della fede “infiacchita” di molti credenti.
Se, come ha detto il centurione, basta una parola per guarire, così come basta una parola ad un leader per farsi obbedire, a questo punto Gesù la pronuncia: «Sia come hai creduto». C’è quindi da chiedersi come abbia creduto questo centurione tanto da guadagnare la stima di Gesù e ottenere il miracolo. Stando al racconto, questo pagano ha creduto con tutto se stesso, coinvolgendosi pienamente nel rapporto con Gesù e prendendo sul serio le sue parole. La sua fede limpida e audace ottiene la guarigione di suo figlio e “rapisce” il regno.
 
La suocera di Pietro - Giuseppe Barbaglio (Vangelo di Matteo): Il racconto di Matteo si presenta con una essenzialità rigorosa. Scompaiono dalla scena i discepoli e resta Gesù solo di fronte all’ammalata. Non occorre neppure che gli facciano presente la malattia della donna. Egli entra in casa, vede la febbricitante, le tocca la mano e la febbre sparisce. Un ultimo tratto indicativo della concentrazione di tutto l’interesse su Gesù: la suocera di Pietro si alza e lo serve a tavola. Secondo Marco, e anche secondo Luca, il servizio è prestato a tutto il gruppo. Si registra qui l’unico caso nel vangelo di Matteo in cui Gesù prende l’iniziativa di una guarigione. Il dono viene offerto senza previa domanda. L’azione di grazia di Cristo ci precede e ci anticipa. Egli previene il nostro appello a lui.
Non sembra possibile scoprire nel brano significati reconditi. Si è tentato di far leva sul verbo ègherthé (si alzò), usato generalmente nell’esprimere la risurrezione, per vedere qui un’allusione a questa realtà. L’indizio appare troppo debole. Piuttosto il contesto ci aiuta a collocare il fatto nella prospettiva intesa da Matteo. Subito dopo l’evangelista cita la profezia del servo sofferente di Dio, che si è fatto carico delle malattie degli uomini. Nella guarigione della suocera di Pietro Gesù si è manifestato salvatore dell’uomo malato.

Il figlio del centurione - «La fede del centurione preannunzia la fede dei Gentili, al pari del granello di senape, fede umile e fervida. Suo figlio, come avete sentito, era malato, e giaceva paralitico in casa; il centurione pregò il Salvatore per la salute del proprio figlio. E il Signore promise che sarebbe andato a salvare suo figlio. Ma quegli, come ho già detto, fervidamente umile, e umilmente fervido: “Non son degno” - disse - “o Signore, che tu entri sotto il mio tetto” (Mt 8,8). Diceva di essere indegno di ospitare il Signore sotto il proprio tetto; e tuttavia non avrebbe detto cotali parole, se il Signore non fosse già entrato nel suo cuore. Dipoi aggiunse: “Ma di’ soltanto una parola, e mio figlio sarà risanato (ibid.)”. So a chi parlo: parla e sarà fatto ciò che voglio. E aggiunse una similitudine quanto mai soave e vera. “Infatti anch’io”, disse, “sono uomo”, tu Dio: “io sottoposto ad altri”, tu al di sopra di ogni potestà: “ed ho sotto di me dei soldati, tu invece gli angeli; e dico ad uno, va’, ed egli va; e ad un altro, vieni, ed egli viene; ed al mio servo, fa’ questo, ed egli lo fa” (Mt 8,9). Tue serve son tutte le creature: basta che tu ordini, vien fatto ciò che comandi.
E il Signore: “In verità vi dico, non ho trovato altrettanta fede in Israele” (Mt 8,10). Voi sapete perché il Signore ha preso la carne da Israele, dal seme di David, da cui proviene la Vergine Maria, che ha partorito il Cristo; e ad essi egli è venuto, ad essi ha mostrato il volto della propria carne, la sua bocca di carne ha risuonato alle loro orecchie, la sua figura corporea si proponeva ai loro occhi. La sua presenza veniva offerta ai Giudei: promessa ai padri, veniva offerta ai figli. E nondimeno questo centurione era uno straniero, della stirpe dei Romani, e faceva colà il militare; e preferì la fede di questi alla fede degli Israeliti, tanto da dire: “In verità vi dico, non ho trovato altrettanta fede in Israele”. Cosa pensiamo abbia egli lodato nella fede di costui? L’umiltà. “Non son degno che tu entri sotto il mio tetto”. Questo, lodò: e perché ha lodato questo, entrò in essa. L’umiltà del centurione era la porta del Signore che entrava, affinché quegli potesse possedere più pienamente colui che già possedeva...
Rivolto al centurione: “Va’” (gli disse), “ti sia fatto come hai creduto; e il ragazzo fu risanato in quella stessa ora” (Mt 8,13). Così come credette, così avvenne. “Di’ una sola parola, e sarà risanato”: disse una parola, ed è stato risanato. “Come hai creduto, ti sia fatto”: dalle membra del ragazzo si dileguò la salute precaria. Con quale mirabile facilità comanda il Signore ad ogni creatura! Non fatica infatti a comandare. Oppure il Signore della creatura è tale che, mentre comanda agli angeli, non si degna di comandare agli uomini? Oh, volessero gli uomini servire! Felice chi, ricevuto il comando dentro, non dall’orecchio della carne bensì da quello del cuore, dirige se stesso là dove egli indirizza» (Agostino, Sermo Morin 6, 1-2, 4)
 
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2023 - San Justino Orona Madrigal (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo».
Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!».
Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
 
O Padre, che ci hai rinnovati
con il santo Corpo e il prezioso Sangue del tuo Figlio,
fa’ che l’assidua celebrazione dei divini misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Giugno 2023
 
Venerdì XII Settimana T. O.
 
Gn 17,1.9-10.15-22; Sal 127 (128); Mt 8,1-4
 
Colletta
Donaci, o Signore,
di vivere sempre nel timore e nell’amore per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
 
Papa Francesco (Messaggio 23-24 gennaio 2023): La lebbra, nota anche come morbo di Hansen, è una delle malattie più antiche della storia umana. Quello che persino la Bibbia, da sola, non basta a ricordarci è che lo stigma legato alla lebbra continua a provocare gravi violazioni dei diritti umani in varie parti del mondo. «Siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente» (Enc. Fratelli tutti, 64). Non possiamo dimenticare questi nostri fratelli e sorelle. Non dobbiamo ignorare questa malattia, che purtroppo colpisce ancora tanti, specialmente in contesti sociali più disagiati.
Al contrario, convinti della vocazione della famiglia umana alla fraternità, lasciamoci interpellare e interrogare: «Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri? Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura» (ibid., 70).
Dobbiamo allora cogliere l’occasione della Giornata Mondiale dei malati di lebbra per rivedere i nostri modelli di sviluppo e denunciare e cercare di correggere le discriminazioni che essi provocano. Questa è un’occasione propizia per rinnovare il nostro impegno di costruire una società inclusiva, che non lasci nessuno ai margini.
Alla denuncia, infatti, deve accompagnarsi sempre la proposta, come sintesi tra il bene che silenziosamente già esiste e visioni profetiche, capaci di ispirare una carità strutturata e una convivenza più giusta. In questo è prezioso il vostro contributo, lo stimolo e l’aiuto che date alle Chiese locali, perché siano a fianco di chi è scartato e sappiano accompagnare fattivamente processi di inclusione e di sviluppo umano integrale.
Dobbiamo chiederci, nello specifico, come collaborare al meglio con le persone affette da lebbra, trattandole pienamente come persone, riconoscendole quali protagoniste principali nella loro lotta per partecipare dei diritti umani fondamentali e vivere come membri a pieno titolo della comunità.
 
I Lettura: Nonostante Abramo avesse novantanove anni, e Sara novanta, Dio promette ai due sposi anziani una discendenza: nascerà loro un figlio che sarà chiamato Isacco, il figlio del sorriso. Dio amerà è benedirà Isacco e con lui stabilirà un’alleanza eterna. Siamo agli albori, ma il progetto di Dio si è messo in moto e troverà pienezza nell’incarnazione del Figlio di Dio. 
 
Vangelo
Se vuoi puoi purificarmi.
 
Il lebbroso manifesta la sua fede in Gesù e lo sottolineano il titolo e i due verbi che accompagnano la sua implorazione: Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi. Gesù risponde positivamente confermando la fede delle lebbroso: Lo voglio. Per evitare facili entusiasmi, Gesù intima il silenzio. Un’altra nota di rilievo è l’infrazione che Gesù compie nel toccare il lebbroso, infatti la Legge proibiva al lebbroso di avvicinarsi agli uomini e agli uomini vietava di accostarsi ai malati di lebbra, il gesto di Gesù è un gesto di carità ma anche di profonda solidarietà. Gesù compie quanto era prescritto dalla Legge rimandando il lebbroso sanato ai sacerdoti i quali dovevano accertare l’avvenuta guarigione per riammettere l’uomo nella vita pubblica e religiosa. Ai tempi di Gesù si credeva che nel tempo della salvezza non ci sarebbe stata più la lebbra. Le guarigioni dalla lebbra compiute da Gesù indicano perciò che il tempo della salvezza è giunto.
 
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,1-4
 
Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì.
Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.
Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 1 Quando Gesù scese dal monte...; versetto di transizione il quale conclude il discorso della montagna ed apre la parte narrativa. Esso non contiene una indicazione cronologica; il miracolo narrato all’inizio di questo capitolo fu compiuto da Gesù prima del discorso della montagna, come risulta dal confronto di Matteo con gli altri Sinottici.
2 Matteo inizia il racconto dei miracoli (Mt., 8-9). Gli esegeti non sono d’accordo nell’indicare il criterio seguito dall’evangelista per la serie dei prodigi operati da Cristo. Alcuni di essi ritengono che il numero complessivo dei miracoli ammonti a dieci, cifra cara agli Ebrei (cf. Mt., 8, 1-15; 8, 23-9, 8; 9, 18-34); altri invece pensano che ammonti a dodici, perché computano come miracoli le guarigioni collettive (cf. Mt., 8, 16-17) e la chiamata all’apostolato di Matteo (9, 9). Forse l’evangelista ha voluto insistere sulle varie forme dei miracoli compiuti più che sul numero di essi. Un lebbroso; la terribile malattia doveva essere assai avanzata, come appare dal passo parallelo di Luca (5, 12). Il malato non si attenne alle prescrizioni legali, che proibivano agli affetti dal ripugnante male di avvicinarsi ai sani (cf. Levitico, 13, 44-45).
Mi puoi mondare, cioè: mi puoi guarire. Il verbo “mondare” è suggerito dalla terminologia legale; la legge ebraica infatti considerava immondo il lebbroso.
3 Sull’istante la lebbra fu guarita (letter.: fu mondata); l’evangelista nota l’immediatezza della guarigione seguita ad un comando di Gesù.
4 Guarda di non dire nulla a nessuno; per questa formula cf. Mt., 9, 30; 16, 20; 17, 9. Gesù ordina al risanato di non divulgare il miracolo per non eccitare le folle. La guarigione istantanea s’imponeva per se stessa, non vi era bisogno di suscitare nella gente un entusiasmo incontenuto.
Mostrati al sacerdote...; i sacerdoti avevano il compito di constatare le guarigioni dei lebbrosi e di dichiararli puri. L’offerta (sacrificio) richiesta dalla legge era per il povero un agnello o un paio di tortore (cf. Levitico 14, 1-32). Cristo, indirizzando il lebbroso guarito ai sacerdoti, intendeva probabilmente offrire ai rappresentanti del giudaismo l’occasione di riconoscere il suo potere ed il suo rispetto per la Legge. Notare la mancanza dell’accordo: mostrati al sacerdote, sia loro di testimonianza.
 
LEBBRA - Pierre Grelot (Dizionario di Teologia Biblica): Nella stessa categoria della lebbra propriamente detta (nega’, parola che significa anzitutto «piaga, colpo»), la Bibbia raggruppa sotto nomi diversi parecchie affezioni cutanee particolarmente contagiose, e persino la muffa delle vesti e dei muri (Lev 13, 47...; 14, 33...).
1. La lebbra, impurità e castigo divino. - Per la legge, la lebbra è un’impurità contagiosa; perciò il lebbroso è escluso dalla comunità sino alla sua guarigione ed alla sua purificazione rituale, che esige un sacrificio per il peccato (Lev 13 - 14). Questa lebbra è la «piaga» per eccellenza con cui Dio colpisce (naga’) i peccatori. Israele ne è minacciato (Deut 28, 27. 35). Gli Egiziani ne sono colpiti (Es 9, 9 ss), e così pure Maria (Num 12, 10-15) ed Ozia (2 Cron 26, 19-23). Essa è quindi, per principio, un segno del peccato. Tuttavia, se il servo sofferente è colpito (naga’; Vg: leprosum) da Dio, per modo che ci si scosta da lui come da un lebbroso, si è perché, quantunque innocente, egli porta i peccati degli uomini che saranno guariti in virtù delle sue piaghe (Is 53, 3-12; cfr. Sal 73, 14).
2. La guarigione dei lebbrosi. - Può essere naturale, ma anche avvenire per miracolo, come quella di Naaman nelle acque del Giordano (2 Re 5), segno della benevolenza divina e della potenza profetica. Gesù, quando guarisce i lebbrosi (Mt 8, 1-4 par.; Lc 17, 11-19), trionfa della piaga per eccellenza; ne guarisce gli uomini di cui prende su di sé le malattie (Mt 8, 17). Purificando i lebbrosi e reinserendoli nella comunità, egli abolisce con un atto miracoloso la separazione tra il puro e l’impuro. Se prescrive ancora le offerte legali, lo fa a titolo di testimonianza: i sacerdoti constateranno in tal modo il suo rispetto della legge e nello stesso tempo il suo potere miracoloso. Unita alle altre guarigioni, quella dei lebbrosi è quindi un segno che egli è proprio «colui che deve venire» (Mt 11, 5 par.). Anche i Dodici, mandati da lui in missione, ricevono l’ordine ed il potere di mostrare con questo segno che il regno di Dio è giunto (Mt 10, 8).

La fede - Lumen fidei 8: La fede ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia. È per questo che, se vogliamo capire che cosa è la fede, dobbiamo raccontare il suo percorso, la via degli uomini credenti, testimoniata in primo luogo nell’Antico Testamento. Un posto singolare appartiene ad Abramo, nostro padre nella fede. Nella sua vita accade un fatto sconvolgente: Dio gli rivolge la Parola, si rivela come un Dio che parla e che lo chiama per nome. La fede è legata all’ascolto. Abramo non vede Dio, ma sente la sua voce. In questo modo la fede assume un carattere personale. Dio risulta così non il Dio di un luogo, e neanche il Dio legato a un tempo sacro specifico, ma il Dio di una persona, il Dio appunto di Abramo, Isacco e Giacobbe, capace di entrare in contatto con l’uomo e di stabilire con lui un’alleanza. La fede è la risposta a una Parola che interpella personalmente, a un Tu che ci chiama per nome.
9 Ciò che questa Parola dice ad Abramo consiste in una chiamata e in una promessa. È prima di tutto chiamata ad uscire dalla propria terra, invito ad aprirsi a una vita nuova, inizio di un esodo che lo incammina verso un futuro inatteso. La visione che la fede darà ad Abramo sarà sempre congiunta a questo passo in avanti da compiere: la fede “vede” nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola di Dio. Questa Parola contiene inoltre una promessa: la tua discendenza sarà numerosa, sarai padre di un grande popolo (cfr. Gen 13,16; 15,5; 22,17). È vero che, in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri, sia strettamente legata alla speranza.
10 Quello che viene chiesto ad Abramo è di affidarsi a questa Parola. La fede capisce che la parola, una realtà apparentemente effimera e passeggera, quando è pronunciata dal Dio fedele diventa quanto di più sicuro e di più incrollabile possa esistere, ciò che rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo. La fede accoglie questa Parola come roccia sicura sulla quale si può costruire con solide fondamenta. Per questo nella Bibbia la fede è indicata con la parola ebraica ‘emûnah, derivata dal verbo ‘amàn, che nella sua radice significa “sostenere”. Il termine ‘emûnah può significare sia la fedeltà di Dio, sia la fede dell’uomo. L’uomo fedele riceve la sua forza dall’affidarsi nelle mani del Dio fedele. Giocando sui due significati della parola - presenti anche nei termini corrispondenti in greco (pistós) e latino (fidelis) -, san Cirillo di Gerusalemme esalterà la dignità del cristiano, che riceve il nome stesso di Dio: ambedue sono chiamati “fedeli”.
Sant’Agostino lo spiegherà così: «L’uomo fedele è colui che crede a Dio che promette; il Dio fedele è colui che concede ciò che ha promesso all’uomo».
 
Guarigione secondo la fede - Epifanio latino, Omelie 22: Risanato il lebbroso, Gesù gli dice: Va’ e guardati dal dirlo a qualcuno. Chi è questo qualcuno se non ogni incredulo, il quale non crede che Cristo è venuto nella carne e può rimettere tutti i peccati? Perciò: Va’ e non dirlo a nessuno: va’ verso la vita eterna e non rivelare i misteri a chi non crede. Ma va’ a mostrarti al sacerdote, per non sembrare di operare contro la Legge, dato che qui è scritto di mostrarsi al sacerdote. Era venuto infatti non per mettere fine alla Legge ma per completarla. Perciò dice: Va’ a mostrarti al sacerdote, perché questi comprendesse che il lebbroso era stato guarito non per la Legge ma per la fede, e perché egli stesso, vedendo il miracolo, credesse per fede che era venuto nel mondo l’ autore della Legge.
 
Il Santo del giorno - 30 Giugno 2023 - Santi Primi Martiri della Chiesa di Roma - La Chiesa celebra oggi molti cristiani che, come attesta Papa Clemente, furono trucidati nei giardini vaticani da Nerone dopo l’incendio di Roma (luglio 64). Anche lo storico romano Tacito nei suoi Annali dice: “alcuni ricoperti di pelle di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco al termine del giorno in modo che servissero di illuminazione notturna”. (Messale Romano)
 
O Padre, che ci hai rinnovati
con il santo Corpo e il prezioso Sangue del tuo Figlio,
fa’ che l’assidua celebrazione dei divini misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 Giugno 2023
 
Santi Pietro e Paolo Apostoli
 
At 12,1-11; Sal 33 (34); 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19
 
Colletta
O Dio, che ci doni la grande gioia
di celebrare in questo giorno
la solennità dei santi Pietro e Paolo,
fa’ che la tua Chiesa
segua sempre l’insegnamento degli apostoli,
dai quali ha ricevuto il primo annuncio della fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI: La festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. È anzitutto una festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste – la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce tutti i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio – è diventato realtà. La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci riconosciamo fratelli. Con ciò è portata a compimento la missione di san Paolo, che sapeva di "essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani… oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo" (Rm 15,16). Lo scopo della missione è un’umanità divenuta essa stessa una glorificazione vivente di Dio, il culto vero che Dio s'aspetta: è questo il senso più profondo di cattolicità – una cattolicità che già ci è stata donata e verso la quale tuttavia dobbiamo sempre di nuovo incamminarci. Cattolicità non esprime solo una dimensione orizzontale, il raduno di molte persone nell’unità; esprime anche una dimensione verticale: solo rivolgendo lo sguardo a Dio, solo aprendoci a Lui noi possiamo diventare veramente una cosa sola. Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo poteva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: “Torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli” (Sal 21,28). Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo così la promessa con la quale il salmo si concludeva.
 
I Lettura: Erode Agrippa, figlio di Erode il Grande, perseguita la Chiesa. Fa giustiziare Giacomo, fratello di Giovanni, e solo per compiacere il popolo fa arrestare Pietro, il quale, alla vigilia del suo processo viene liberato miracolosamente da un angelo. L’intento di Luca è quello di esaltare la provvidenza divina che mai abbandona i giusti. Un racconto che vuole alimentare e sostenere la fede dei primi cristiani sottoposti a persecuzioni e a prove di ogni genere. 
 
II Lettura: L’apostolo Paolo è ormai alla fine del suo lungo e doloroso cammino: pur avendo la profonda consapevolezza che sta «per essere versato in offerta», non ha paura della morte. Il premio che l’Apostolo si attende è la «corona di giustizia che il Signore, giusto» gli consegnerà nel giorno della parusia. Il premio è detto «corona della giustizia, perché sarà dato solo a chi l’avrà meritato mediante la santità e la giustizia. Il passo contiene pertanto la dottrina cattolica del merito, per cui Dio si impegna con obbligo di giustizia [giusto Giudice v. 8] a premiare coloro che hanno corrisposto alla sua grazia: il merito, perciò, non è solo una pretesa dell’uomo davanti a Dio, ma l’incoronazione che Dio stesso fa dei suoi doni di grazia e di amore liberamente accettati dalla sua creatura» (Settimio Cipriani). La stessa corona di giustizia sarà donata a tutti coloro che, come Paolo, avranno atteso con amore la manifestazione di Cristo.
 
 
Vangelo
Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.
 
Il primato di Pietro è un potere per il bene della Chiesa, e poiché deve durare sino alla fine dei tempi, sarà trasmesso a coloro che gli succederanno nel corso dei secoli. Inferi, alla lettera «Ade» (in ebraico sheol), designa il soggiorno dei morti (Cf. Num 16,33). Le potenze degli inferi, «evocano le potenze del Male che, dopo aver trascinato gli uomini nella morte del peccato, li incatena definitivamente nella morte eterna. Seguendo il suo Signore, morto, “disceso agli inferi” [1Pt 3,19] e risuscitato [At 2,27.31], la Chiesa avrà la missione di strappare gli eletti all’impero della morte, temporale ed eterna, per farli entrare nel regno dei cieli [Cf. Col 1,3; 1Cor 15,26; Ap 6,8; 20,13]» (Bibbia di Gerusalemme).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 16,13-19
 
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
 
Parola del Signore.
 
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente - Ma voi, chi dite che io sia? Per Giovanni Papini «Gesù non interroga per sapere, ma perché i suoi fedeli, finalmente sappiano anch’essi [...] il suo vero nome». Ed è Simone, primo tra i Dodici e primo tra i cristiani, a esprimere in termini umani la realtà soprannaturale del figlio di Maria: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Un’espressione che spesso si trova nell’Antico Testamento (Cf. Gs 3,10; Sal 42,3; 84,3; Os 2,1) ed esprime la presenza operante di Dio.
La risposta di Pietro pone almeno una domanda: egli intendeva professare la divinità di Gesù oppure si riferiva soltanto alla sua messianicità? Se si propende per quest’ultima soluzione, si restituisce alla espressione il semplice senso messianico che essa ha nell’Antico Testamento. Sulla base della risposta del Cristo, né carne né sangue te lo hanno rivelato, si può invece pensare che Pietro abbia voluto professare la divinità del suo Maestro: un’illuminazione che veniva dall’alto e non era frutto di investigazione umana.
La risposta di Gesù a questa professione di fede ha una portata di notevolissima importanza. In primo luogo, egli proclama: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Il termine semitico che traduce Chiesa, ekklêsia, significa assemblea. La «Chiesa» nell’Antico Testamento è la comunità del popolo eletto (Cf. Dt 4,10; At 7,38). Nei vangeli non appare che due volte e designa la nuova comunità che Gesù stava per fondare e che egli presenta come una realtà non solo stabile, ma indistruttibile: «[...] le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». La locuzione, invece, è frequente nelle lettere paoline. Per la Bibbia di Gerusalemme, Gesù usando «il termine “Chiesa” parallelamente all’espressione “regno dei cieli” (Mt 4,17), sottolinea che questa comunità escatologica comincerà già sulla terra mediante una società organizzata di cui stabilisce il capo».
La Chiesa è edificata su Simone, che a motivo di questo ruolo riceve qui il nome di Pietro. Il mutamento del nome sta a indicare la nuova missione di Simon Pietro: egli sarà la roccia, quindi elemento di coesione, di unità e di stabilità.
A questo punto, Gesù indica i poteri conferiti a Simon Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Il senso di questa immagine, nota alla sacra Scrittura e all’antico Oriente, suggerisce l’incarico affidato a un unico personaggio di sorvegliare ed amministrare la casa. Nel mandato di Simon Pietro, il potere di legare e di sciogliere implica il perdono dei peccati, ma la sua comprensione non va limitata a questo significato: esso, infatti, comprende tutta un’attività di decisione e di legislazione, nella dottrina come nella condotta pratica, che coincide con l’amministrazione della Chiesa in generale.
 Sempre per la Bibbia di Gerusalemme, l’esegesi cattolica «ritiene che queste promesse eterne valgano non soltanto per la persona di Pietro, ma anche per i suoi successori; sebbene tale conseguenza non sia esplicitamente indicata nel testo, è tuttavia legittima in ragione dell’intenzione manifesta che ha Gesù di provvedere all’avvenire della sua Chiesa con una istituzione che la morte di Pietro non può rendere effimera».
Luca (22,31s) e Giovanni (21,15s) sottolineano che il primato di Pietro, sempre per mandato divino, deve essere esercitato particolarmente nell’ordine della fede e che tale primato lo rende capo, non solo della Chiesa futura, ma già degli altri Apostoli. Infine, c’è da sottolineare che la professione petrina avviene nella regione di Cesarea di Filippo. Possiamo dire che non è «ricordato a caso il quadro geografico: la confessione del Messia e l’investitura di Pietro avvengono fuori dalla Palestina, in un territorio pagano. Le future direzioni della salvezza sono ormai chiare» (O. Da Spinetoli).
 
Tu sei Pietro - Paul Lamarche (Pietro [San], in Dizionario di Teologia Biblica): Dovunque, nel Nuovo Testamento, è messa in rilievo la preminenza di Pietro. Essa tuttavia non esclude né la ricerca laboriosa del disegno di Dio (Cf. Atti 10-15 e Gal 2 a proposito dell’universalismo), né la responsabilità collegiale degli apostoli, né le iniziative di un Paolo. Questi, dopo la conversione, pur avendo coscienza della propria particolare vocazione (Gal 1,15s), si reca a Gerusalemme per prendere contatto con Pietro (Gal 1,18); e pur ricordando l’incidente di Antiochia (Gal 2,11-14), quando Pietro pusillanime esitò sulla condotta da tenere in un caso pratico, Paolo si rivolge a Pietro come a colui la cui autorità trascina con sé tutta la Chiesa. Questo primato di Pietro è fondato sulla sua missione, espressa in parecchi testi evangelici.
a) Mt 16,13-23. - Nuovo Abramo, cava da cui vengono estratte pietre viventi (Cf. Is 51,1ss e Mt 3,9), fondamento sul quale Cristo edifica la propria comunità escatologica, Pietro riceve una missione di cui deve beneficiare tutto il popolo. Contro le forze del male, che sono potenze di morte, la Chiesa edificata su Pietro ha l’assicurazione della vittoria. Così la missione suprema di radunare gli uomini in una comunità, in cui ricevono la vita beata ed eterna, è affidata a Pietro, che ha riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente. Come in un corpo una funzione vitale non può fermarsi, così nella Chiesa, organismo vivente e vivificatore, bisogna che Pietro, in un modo o nell’altro, sia sempre presente per comunicare senza sosta ai fedeli la vita di Cristo.
b) Lc 22,31s e Atti. - Alludendo senza dubbio al suo nome, Gesù annuncia a Pietro che dovrà «confermare» i suoi fratelli, dopo essersi ravveduto del suo rinnegamento; la sua fede, grazie alla preghiera di Cristo, non verrà meno. Questa è appunto la missione di Pietro, descritta da Luca negli Atti: egli sta alla testa del gruppo riunito nel cenacolo (Atti 1,13); presiede all’elezione di Mattia (1,15); giudica Anania e Safira (5,1-11); in nome degli altri apostoli, che sono con lui, proclama alle folle la glorificazione messianica di Cristo risorto ed annunzia il dono dello Spirito (2,14-36); invita al battesimo tutti gli uomini (2,37-41), compresi i «pagani» (10,1-11,18) ed ispeziona tutte le Chiese (9,32). Come segni del suo potere sulla vita, in nome di Gesù guarisce gli ammalati (3,1-10) e risuscita un morto (9,36-42). D’altra parte, il fatto che Pietro sia tenuto a giustificare la sua condotta in occasione del battesimo di Cornelio (11,l-18), lo svolgimento del concilio di Gerusalemme (15,1-35), nonché le allusioni di Paolo nella lettera ai Galati (Gal 1,28 - 2,14), rivelano che nella direzione, in gran parte collegiale, della Chiesa di Gerusalemme, Giacomo aveva una posizione importante ed il suo accordo era fondamentale. Ma questi fatti e la loro relazione, lungi dal creare ostacolo al primato ed alla missione di Pietro, ne illuminano il senso profondo. Di fatto l’autorità di Giacomo non ha le stesse radici, né la stessa espressione di quella di Pietro: è a titolo particolare che questi ha ricevuto, con tutto quello che ciò comporta, la missione di trasmettere una regola di fede integra (Cf. Gal 1,18), ed è il depositario delle promesse di vita (Mt 16,18s).
c) Gv 21. - In forma solenne, e forse giuridica, Cristo risorto per tre volte affida a Pietro la cura di tutto il gregge, agnelli e pecore. Questa missione deve essere intesa alla luce della parabola del buon pastore (Gv 10,1-28). Il buon pastore salva le sue pecore, raccolte in un sol gregge (10,16; 11,52), e queste hanno la vita in abbondanza; egli dà anche la propria vita per le sue pecore (10,11); perciò Cristo, annunziando a Pietro il suo futuro martirio, aggiunge: «Seguimi». Egli deve camminare sulle orme del suo maestro, non soltanto dando la vita, ma comunicando la vita eterna alle sue pecore, affinché non periscano mai (10,28). «Seguendo» Cristo, roccia, pietra vivente (1Pt 2,4), pastore che ha il potere di ammettere nella Chiesa, cioè di salvare dalla morte i fedeli e di comunicare loro la vita divina, Pietro, inaugurando una funzione essenziale alla Chiesa, è veramente il «vicario» di Cristo. Questa è la sua missione e la sua grandezza.
 
Eleonore Beck: Pietro (gr. petros, aram. képà', roccia). In origine appellativo, più tardi nome di persona e designazione del ministero dell'apostolo Simone. Figlio di Giona (Mt 16,17), nato a Betsaida (Gv 1,44), viveva con la sua famiglia a Cafarnao (Mc 1,21; cf. lCor 9,5) quando Gesù lo chiamò al discepolato (Mt 4,18). Assieme a Giovanni e  Giacomo fece parte dei testimoni della risveglio/rianimazione della figlia di Giairo (Mc 5,37), della trasfigurazione (Mc 9,2) e dell'agonia del Signore (Mc 14,33). Sul  conferimento dell'appellativo Cefa nel NT vengano recepite due tradizioni: secondo Gv 1,42 questo gli fu dato all'atto della sua chiamata, secondo Mt 16,17 come risposta alla sua professione di fede in Gesù quale messia. La cosiddetta professione di Pietro lo caratterizza come primo degli apostoli. Tuttavia, tutti e quattro i Vangeli raccontano che Pietro rinnegò il Signore (Mc 14,66-72 par). Ciononostante è considerate come uno dei primi testimoni del Risorto (Mc 16,7). Come guida della comunità primitiva di Gerusalemme, si mette in evidenza in occasione dell'elezione di Mattia (At 1) e a Pentecoste (At 2). I primi 12 capitoli degli Atti contengono tradizioni della sua predicazione e della sua attività. Egli intraprende viaggi missionari e compie prodigi (At 8-9).
A Cesarea Marittima battezza il centurione romano Cornelio e difende la sua decisione davanti alla comunità di Gerusalemme (At 10-11), nella quale gli era subentrato Giacomo. Gli Atti raccontano del suo arresto e della sua miracolosa liberazione (12,1-19). Si ritira, ma in occasione del concilio di Gerusalemme è di nuovo a Gerusalemme (At 15) e interviene nella discussione riguardante la circoncisione. Secondo una fondata tradizione muore a Roma al tempo di Nerone (64-67). Portano il suo nome due lettere neotestamentarie e alcuni scritti apocrifi.
 
L’unità della Chiesa - Cipriano di Cartagine, De Eccl. unitate, 4-5: Il Signore dice a Pietro: “Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e cio che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo” (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: “Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice” (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: "Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio (Ef 4,4-6).
 
Santo del giorno - 29 Giugno 2023 - Martirologio Romano: Solennità dei santi Pietro e Paolo Apostoli: Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, primo tra i discepoli professò che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente, dal quale fu chiamato Pietro. Paolo, Apostolo delle genti, predicò ai Giudei e ai Greci Cristo crocifisso. Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense. In questo giorno tutto il mondo con uguale onore e venerazione celebra il loro trionfo. 
 
Nutriti da questo sacramento, ti preghiamo, o Signore:
fa’ che viviamo nella tua Chiesa
perseveranti nello spezzare il pane
e nell’insegnamento degli apostoli,
per formare, saldi nel tuo amore,
un cuore solo e un’anima sola.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 28 Giugno 2023
 
Mercoledì XII Settimana T. O.
 
Gen 15,1-12.17-18; Sal 104 (105); Mt 7,15-20
 
Colletta
O Dio, che al santo vescovo Ireneo
hai dato la grazia di confermare la tua Chiesa
nella verità e nella pace,
fa’ che per sua intercessione, rinnovati nella fede e nell’amore,
cerchiamo sempre ciò che promuove l’unità e la concordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Riflessione: Dai loro frutti li riconoscerete: Paolo VI (Esortazione Apostolica Quinque iam anni, 1970): Facciamo attenzione ai problemi che sorgono dalla vita degli uomini, specialmente dei giovani: «Se un figlio domanda del pane - dice Gesù - quale è fra di voi quel padre che gli darà un sasso?» (Lc 11,11).
Accogliamo volentieri le istanze che vengono a turbare la nostra pacifica quiete. Siamo pazienti davanti alle indecisioni di coloro che cercano come a tentoni la luce. Sappiamo camminare fraternamente con tutti coloro che, privi di questa luce, della quale noi godiamo i benefici, nondimeno tendono, attraverso le nebbie del dubbio, verso la casa paterna.
Ma se noi prendiamo parte alle loro angosce, sia per cercare di guarirle; se noi presentiamo loro Gesù Cristo, questi sia il Figlio di Dio fatto uomo per salvarci e per comunicarci la sua vita, non una figura puramente umana, per quanto meravigliosa e attraente possa essere per il nostro spirito (cfr. 2Gv 7,9).
In questa fedeltà a Dio e agli uomini, ai quali siamo da lui inviati, noi sapremo prendere, certo con delicatezza e prudenza, ma con chiaroveggenza e fermezza, le indispensabili decisioni per un giusto discernimento.
Ecco, senza dubbio, uno dei compiti più difficili, ma anche, oggi, dei più necessari, per l’episcopato.
Infatti, nel contrasto delle opposte ideologie c’è pericolo che la più grande generosità si accompagni ad affermazioni quanto mai discutibili: «anche in mezzo a noi - come al tempo di San Paolo - sorgono uomini che insegnano delle dottrine perverse per trascinar dietro a sé dei discepoli» (At 20,30), e coloro che parlano in tal modo sono a volte persuasi di farlo in nome di Dio, illudendosi sullo spirito che li anima. Siamo noi abbastanza vigili, per ben discernere la parola di fede, sui frutti che essa produce? Potrebbe venire da Dio una parola che faccia perdere ai fedeli il senso della rinunzia evangelica, o che proclami la giustizia tralasciando di annunciare la dolcezza, la misericordia e la purezza, una parola che ponga i fratelli contro i fratelli? Gesù ci ha avvertiti: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,15-20). Proprio tutto questo chiediamo ai collaboratori, che hanno con noi il compito di predicare la parola di Dio. Che la loro testimonianza sia sempre quella del Vangelo e la loro parola quella del Verbo che suscita la fede e, con essa, l’amore verso i nostri fratelli trascinando tutti i discepoli del Cristo a permeare del suo spirito la mentalità, i costumi, e la vita della città terrestre.
 
I Lettura: Nel mondo antico nei patti tra gli uomini era il meno potente a impegnarsi, nel racconto biblico, invece, è Dio, il più potente, a impegnarsi e a sottoscrivere il patto. Questo sta ad esprimere l’azione libera di Dio di fronte all’uomo: nell’alleanza divina tutto avviene per grazia, senza l’opera dell’uomo. La promessa fatta da Dio ad Abramo ha sostenuto sempre il popolo d’Israele, sopra tutto nei momenti più drammatici della sua storia.
 
Vangelo
Dai loro frutti li riconoscerete.
 
Gli occhi ci aiutano a non andare a tentoni, i ciechi hanno bisogno di una guida o di un bastone per avanzare sicuri, così i credenti ciechi nell’anima, e senza una guida, non avanzano nel cammino della fede e corrono il rischio di accogliere ogni vento di dottrina (Ef 4,14). Gesù ha dato ai discepoli gli occhi per accorgersi se colui che parla viene da Dio o da altre sponde: dai frutti li riconoscerete. E così per evitare confusione o dubbi, la Scrittura offre ai credenti un elenco di frutti e di opere, certamente stringato ma abbastanza completo: sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità... (Gal 5,19ss). Certo, i falsi profeti amano il travestimento e sono molti abili nel trucco, ma, alla fine, tutto viene alla luce. Gesù è la verità e non può permettere che il discepolo resti nel buio della confusione, lui è la luce e illumina i suoi passi, è la via sicura sulla quale muovere speditamente i passi per giungere alla meta, quella della salvezza.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7,15-20
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 15 I falsi profeti non sono coloro che predicono cose false, ma i maestri di menzogna i quali ingannano il popolo con false apparenze di pietà per dare credito alle proprie dottrine e per raggiungere i loro scopi interessati (cf. 24, 4-5, 24). Gesù allude ai Farisei; egli non intende toccare la loro condotta, bensì la dottrina che seguono ed insegnano. I maestri dell’errore sono traditi dagli effetti negativi che producono le loro dottrine; basta attendere un po’ per vederne i frutti. Gesù usa immagini vive divenute proverbiali. Questi maestri di menzogna sotto una pelle di agnello nascondono la ferocia sanguinaria dei lupi.
16-18 Questi detti dovevano costituire luoghi comuni del linguaggio del tempo; essi, di conseguenza, non hanno nessun accento allegorico; noi diremmo: non si spilla vino dalle pietre.
19 Gesù usa il linguaggio di Giovanni Battista (cf. Mt., 3, 10).
20 La breve sezione è conclusa con le stesse parole che l’hanno introdotta (cf., 7, 16). Questo procedimento letterario è chiamato “inclusione”.
 
La radicalità evangelica: Pastores dabo vobis, 27: Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e a imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui, operata dallo Spirito (cfr. Mt 8,18ss;10,37ss; Mc 8,34ss; 10,17-21; Lc 9,57ss). Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” chiesa, ma anche perché sono “di fronte” alla chiesa, in quanto sono configurati a Cristo capo e pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”, che Gesù propone nel discorso della montagna (cfr. Mt 5-7) e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono.
 
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il profetismo nel Nuovo Testamento - Giorgio Fornosari (Profeta, Schede Bibliche Pastorali): I profeti nel senso classico del termine e la predicazione tipicamente profetica avevano cessato di esistere molto tempo prima della venuta di Gesù (Sal 74,9; 1Mac 4,46; 9,27). Se era scomparsa l’istituzione del profetismo, non era però stato dimenticato l’insegnamento profetico sull’èra messianica, sulla liberazione e il rinnovamento del popolo eletto e le sue intuizioni. In seno al popolo ebraico, da secoli sottomesso alle angherie delle potenze straniere, era viva la speranza e l’attesa dell’èra messianica che avrebbe dovuto porre fine alle sofferenze di ogni tipo, e inaugurare un periodo di benessere e felicità senza fine. Nella diffusa atmosfera di attesa, la figura del profeta gioca un ruolo fondamentale. La riapparizione dello spirito profetico inaugurerà infatti i nuovi tempi (cf. Gl 2,28-29; Zc 13,4-6; Testamento di Levi 8,14; Testamento di Beniamino 9,2). Il ritorno dei profeti sarà dunque il segno evidente dell’inizio dell’èra messianica. La speranza della liberazione promessa andava di pari passo, nella mentalità del popolo eletto, con la speranza del ritorno della parola profetica. È sotto questa luce che devono essere letti sia gli accenni di Flavio Giuseppe su alcuni personaggi che chiama profeti (De bello judaico 1,2,8), sia gli insegnamenti delle comunità essene riguardanti il profeta, sia soprattutto le figure dei profeti presentate nel Nuovo Testamento. I primi accenni che espressamente, anche se sommessamente, mettono in relazione il Nuovo Testamento con l’attesa messianica e con lo spirito profetico appartengono al Vangelo dell’infanzia di Gesù, riportato da Luca (c. 1-2). Zaccaria profetizza (Lc 1,67-79), Simeone è ispirato dallo Spirito santo e parla in suo nome (Lc 2,25-32), Anna è infine esplicitamente chiamata profetessa (Lc 2,36). Colui comunque che, attraverso la sua predicazione, il suo comportamento e i suoi gesti profetici, darà la certezza del ritorno dell’autentica profezia sarà Giovanni Battista, «profeta dell’Altissimo» (Lc 1,76). Egli non solo sarà riconosciuto dal popolo come un autentico profeta, ma come Elia redivivo (Mt 14,5; 21,26; Mc 6,15; 11,32; Lc 9,7-8; 20,6); Gesù stesso dirà di lui: «Sì, vi dico, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io mando davanti a te il mio messaggero, egli preparerà la via davanti a te. lo vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni» (Lc 7,26-28). Secondo il medesimo significato e nelle medesime tensioni messianiche, anche Gesù viene chiamato profeta: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battezzatore, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16,13-14; cf. Mc 8,27-28; Lc 9,18-21).
 
Ilario di Poitiers: Guardatevi dai falsi profeti, dice Gesù, questi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci [Mt 7,15]. Il Signore ci avverte che le parole adulatrici e le dolci moine debbono venire giudicate dai frutti ch’esse producono. Dobbiamo perciò giudicare ognuno non quale si presenta a parole, ma quale è realmente nei suoi atti. Poiché sovente sotto apparenze di agnello si dissimula livore di lupo. E così come i pruni non danno uva e i rovi non producono fichi, come gli alberi cattivi non portano buoni frutti [cfr. Mt 7,16], ci dice Gesù, non è certo nelle belle parole che consiste la realtà delle opere buone, ma tutti devono venire giudicati dai propri frutti.
 
Il Santo del giorno: 28 Giugno 2023 - Sant’Ireneo, Vescovo e Dottore della Chiesa, Martire: Originario dell’Asia, nato con molta probabilità a Smirne, è giunto in Gallia nel 177 d. C. Ancor giovane, ha avuto come maestro il vescovo Policarpo, discepolo a sua volta dell’apostolo Giovanni. È stato un vero testimone cristiano in un periodo di dura persecuzione. Per evangelizzare celtici e germanici, ha imparato le lingue di quei popoli conosciuti con l’appellativo di barbari. Come pastore, si è contraddistinto per ricchezza della dottrina e ardore missionario. Una delle eresie che ha affrontato è stato lo “gnosticismo”, movimento filosofico-religioso secondo cui la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo. Dei suoi scritti rimangono due opere: i cinque libri intitolati “Contro le eresie” e l’“Esposizione della predicazione apostolica”.
Difensore della fede - La difesa della dottrina ha scandito la sua vita e il suo slancio missionario. Nell’opera “Adversus haereses” (Contro le eresie) scrive: “La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa: le Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo”.
La visione di Dio e l’immortalità
Per Ireneo, che ha esposto con chiarezza le verità della fede, il Credo degli Apostoli è la chiave per interpretare il Vangelo. “La gloria di Dio - scrive - dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che è inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. È impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all’essere divino. Orbene, tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio”. (VATICAN NEWS)
 
La partecipazione a questi santi misteri, o Padre,
accresca in noi la fede
che sant’Ireneo testimoniò fino alla morte,
perché diventiamo anche noi
veri discepoli di Cristo tuo Figlio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.