1 Luglio 2023
Sabato XII Settimana T. O.
Gn 18,1-15; Salmo Responsoriale Da Lc 1,46-55; Mt 8,15-17
Colletta
Donaci, o Signore,
di vivere sempre nel timore e nell’amore per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Lumen fidei N. 20: La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente a un Amore che ci precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi. Ciò appare con chiarezza nell’esegesi che l’Apostolo delle genti fa di un testo del Deuteronomio, esegesi che si inserisce nella dinamica più profonda dell’Antico Testamento. Mosè dice al popolo che il comando di Dio non è troppo alto né troppo lontano dall’uomo. Non si deve dire: « Chi salirà in cielo per prendercelo? » o « Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo? » (cfr Dt 30,11-14). Questa vicinanza della Parola di Dio viene interpretata da san Paolo come riferita alla presenza di Cristo nel cristiano: « Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? - per farne cioè discendere Cristo -; oppure: Chi scenderà nell’abisso? - per fare cioè risalire Cristo dai morti » (Rm 10,6-7). Cristo è disceso sulla terra ed è risuscitato dai morti; con la sua Incarnazione e Risurrezione, il Figlio di Dio ha abbracciato l’intero cammino dell’uomo e dimora nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo. La fede sa che Dio si è fatto molto vicino a noi, che Cristo ci è stato dato come grande dono che ci trasforma interiormente, che abita in noi, e così ci dona la luce che illumina l’origine e la fine della vita, l’intero arco del cammino umano.
Prima Lettura: È il racconto di una apparizione di Jahve ad Abramo accompagnato da due «uomini», che, secondo Gen 19,1, sono due angeli. Inizialmente Abramo crede di vedere negli ospiti «tre uomini», in quanto il carattere divino dei «tre uomini» non si manifesterà che progressivamente (vv. 2.9.13.14). Abramo prostrandosi dinanzi a loro fino a terra in segno di omaggio li accoglie con grande gioia e abbondanza di cibo. Nel lasciare la tenda di Abramo, Dio promette al patriarca la nascita di un figlio compiendo così la promessa di una posterità. Poiché il testo esita in parecchi luoghi tra il plurale e il singolare, in «questi tre uomini», ai quali Abramo si rivolge al singolare, molti Padri hanno visto l’annunzio del mistero della Trinità, la cui piena rivelazione era riservata al Nuovo Testamento.
Vangelo
Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe.
Il Vangelo di oggi ci offre diverse riflessioni, ma il cuore di queste riflessioni è il racconto della guarigione del servo del centurione romano. L’elogio che Gesù fa della fede di questo uomo, mette in crisi l’orgogliosa sicurezza dei figli di Abramo e la nostra sicurezza di battezzati. Il pagano era bandito dalla salvezza, non gli era permesso di entrare nel Tempio, eppure per Gesù il centurione diventa per i credenti un modello da imitare. Per noi cristiani non vi sono certezze, Dio può dare ad altri la sua vigna perché porti frutti abbondanti di santità e di salvezza.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,15-17
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva:
«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva.
Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
“Egli ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle malattie”.
Parola del Signore.
Signore, il mio servo è in casa … - Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): Dopo aver curato un giudeo emarginato, Gesù viene avvicinato da un ufficiale straniero, da uno che non appartiene al popolo di Dio. Questi si accosta a lui con l’atteggiamento implorante di chi avanza la sua richiesta con tanta umiltà. L’uomo di potere si sottomette così ad un’altra autorità, riconoscendosi debole. Il suo potere è “limitato” non solo dal fatto di essere anch’egli abitualmente sottomesso ad autorità, come dice al v. 9, ma dalla malattia di suo figlio che rappresenta un evento la cui soluzione non è in suo potere. Il potere dell’uomo, infatti, per quanto grande sia, si infrange contro lo “scoglio” della sofferenza. Gesù reagisce prontamente alla richiesta dell’uomo autoinvitandosi a casa sua per guarire suo figlio. Il centurione, a questo punto, interviene con zelo “religioso” e, ricorrendo a una parabola dal retroterra militare, costruita per mostrare la validità dello schema comando/esecuzione, manifesta il suo senso di inadeguatezza dinanzi a Gesù e, al tempo stesso, la sua fede nella sua autorità e nell’efficacia del suo operato: non serve che Gesù vada fin lì, sarebbe sufficiente persino una sola sua parola (v. 8).
Dinanzi alle parole del centurione, Gesù reagisce nel modo in cui abitualmente reagiscono le folle alle sue parole, si meraviglia (ethàumasen, v. 10). È affascinato dalla fede dell’uomo, è rapito dalla bellezza di un’autorità che non ha nulla a che vedere con il possesso delle cose terrene, ma che è puro anelito a beni più grandi, fremito dell’intelletto, palpito che desta lo spirito alla sua più alta dignità. Il Dio fatto uomo sosta estatico dinanzi al capolavoro della creazione che è l’uomo credente e ne dichiara ad alta voce la grazia e la bellezza. Gesù vede in lui un “capolavoro” di fede. Le traduzioni di solito parlano di “tanta fede” sottolineando spesso la dimensione della quantità. In realtà Gesù qui tesse l’elogio della qualità di questa fede che parte da un cuore capace di umiltà e di fiducia incondizionata, perché dinanzi al proprio limite sa aprirsi a ciò che lo supera e non lascia
spazio a dubbi o esitazioni. La celebrazione che Gesù fa della fede del centurione contiene anche una sorprendente sentenza profetica: l’annuncio dell’ampliamento dei destinatari della salvezza. Egli afferma che il regno dei cieli sarà ereditato dai lontani, mentre paradossalmente i «figli del regno» ai quali era stato annunciato, l’Israele dell’alleanza e della promessa, ne staranno fuori.
Si tratta di un’espressione polemica nei confronti della fede “infiacchita” di molti credenti.
Se, come ha detto il centurione, basta una parola per guarire, così come basta una parola ad un leader per farsi obbedire, a questo punto Gesù la pronuncia: «Sia come hai creduto». C’è quindi da chiedersi come abbia creduto questo centurione tanto da guadagnare la stima di Gesù e ottenere il miracolo. Stando al racconto, questo pagano ha creduto con tutto se stesso, coinvolgendosi pienamente nel rapporto con Gesù e prendendo sul serio le sue parole. La sua fede limpida e audace ottiene la guarigione di suo figlio e “rapisce” il regno.
La suocera di Pietro - Giuseppe Barbaglio (Vangelo di Matteo): Il racconto di Matteo si presenta con una essenzialità rigorosa. Scompaiono dalla scena i discepoli e resta Gesù solo di fronte all’ammalata. Non occorre neppure che gli facciano presente la malattia della donna. Egli entra in casa, vede la febbricitante, le tocca la mano e la febbre sparisce. Un ultimo tratto indicativo della concentrazione di tutto l’interesse su Gesù: la suocera di Pietro si alza e lo serve a tavola. Secondo Marco, e anche secondo Luca, il servizio è prestato a tutto il gruppo. Si registra qui l’unico caso nel vangelo di Matteo in cui Gesù prende l’iniziativa di una guarigione. Il dono viene offerto senza previa domanda. L’azione di grazia di Cristo ci precede e ci anticipa. Egli previene il nostro appello a lui.
Non sembra possibile scoprire nel brano significati reconditi. Si è tentato di far leva sul verbo ègherthé (si alzò), usato generalmente nell’esprimere la risurrezione, per vedere qui un’allusione a questa realtà. L’indizio appare troppo debole. Piuttosto il contesto ci aiuta a collocare il fatto nella prospettiva intesa da Matteo. Subito dopo l’evangelista cita la profezia del servo sofferente di Dio, che si è fatto carico delle malattie degli uomini. Nella guarigione della suocera di Pietro Gesù si è manifestato salvatore dell’uomo malato.
Il figlio del centurione - «La fede del centurione preannunzia la fede dei Gentili, al pari del granello di senape, fede umile e fervida. Suo figlio, come avete sentito, era malato, e giaceva paralitico in casa; il centurione pregò il Salvatore per la salute del proprio figlio. E il Signore promise che sarebbe andato a salvare suo figlio. Ma quegli, come ho già detto, fervidamente umile, e umilmente fervido: “Non son degno” - disse - “o Signore, che tu entri sotto il mio tetto” (Mt 8,8). Diceva di essere indegno di ospitare il Signore sotto il proprio tetto; e tuttavia non avrebbe detto cotali parole, se il Signore non fosse già entrato nel suo cuore. Dipoi aggiunse: “Ma di’ soltanto una parola, e mio figlio sarà risanato (ibid.)”. So a chi parlo: parla e sarà fatto ciò che voglio. E aggiunse una similitudine quanto mai soave e vera. “Infatti anch’io”, disse, “sono uomo”, tu Dio: “io sottoposto ad altri”, tu al di sopra di ogni potestà: “ed ho sotto di me dei soldati, tu invece gli angeli; e dico ad uno, va’, ed egli va; e ad un altro, vieni, ed egli viene; ed al mio servo, fa’ questo, ed egli lo fa” (Mt 8,9). Tue serve son tutte le creature: basta che tu ordini, vien fatto ciò che comandi.
E il Signore: “In verità vi dico, non ho trovato altrettanta fede in Israele” (Mt 8,10). Voi sapete perché il Signore ha preso la carne da Israele, dal seme di David, da cui proviene la Vergine Maria, che ha partorito il Cristo; e ad essi egli è venuto, ad essi ha mostrato il volto della propria carne, la sua bocca di carne ha risuonato alle loro orecchie, la sua figura corporea si proponeva ai loro occhi. La sua presenza veniva offerta ai Giudei: promessa ai padri, veniva offerta ai figli. E nondimeno questo centurione era uno straniero, della stirpe dei Romani, e faceva colà il militare; e preferì la fede di questi alla fede degli Israeliti, tanto da dire: “In verità vi dico, non ho trovato altrettanta fede in Israele”. Cosa pensiamo abbia egli lodato nella fede di costui? L’umiltà. “Non son degno che tu entri sotto il mio tetto”. Questo, lodò: e perché ha lodato questo, entrò in essa. L’umiltà del centurione era la porta del Signore che entrava, affinché quegli potesse possedere più pienamente colui che già possedeva...
Rivolto al centurione: “Va’” (gli disse), “ti sia fatto come hai creduto; e il ragazzo fu risanato in quella stessa ora” (Mt 8,13). Così come credette, così avvenne. “Di’ una sola parola, e sarà risanato”: disse una parola, ed è stato risanato. “Come hai creduto, ti sia fatto”: dalle membra del ragazzo si dileguò la salute precaria. Con quale mirabile facilità comanda il Signore ad ogni creatura! Non fatica infatti a comandare. Oppure il Signore della creatura è tale che, mentre comanda agli angeli, non si degna di comandare agli uomini? Oh, volessero gli uomini servire! Felice chi, ricevuto il comando dentro, non dall’orecchio della carne bensì da quello del cuore, dirige se stesso là dove egli indirizza» (Agostino, Sermo Morin 6, 1-2, 4)
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2023 - San Justino Orona Madrigal (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo».
Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!».
Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
O Padre, che ci hai rinnovati
con il santo Corpo e il prezioso Sangue del tuo Figlio,
fa’ che l’assidua celebrazione dei divini misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.