1 Febbraio 2023
 
Mercoledì IV Settimana T. O.
 
Eb 12,4-7.11-15; Salmo Responsoriale Dal Salmo 102 (103); Mc 6,1-6
 
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Non avete ancora resistito fino al sangue: Lumen fidei, 57: All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce. Cristo è colui che, avendo sopportato il dolore, «dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2). La sofferenza ci ricorda che il servizio della fede al bene comune è sempre servizio di speranza, che guarda in avanti, sapendo che solo da Dio, dal futuro che viene da Gesù risorto, può trovare fondamenta solide e durature la nostra società. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza perché, anche se la nostra dimora quaggiù si va distruggendo, c’è una dimora eterna che Dio ha ormai inaugurato in Cristo, nel suo corpo (cfr. 2Cor 4,16-5,5). Il dinamismo di fede, speranza e carità (cfr. 1Tes 1,3; 1Cor 1,1; 13,13) ci fa così abbracciare le preoccupazioni di tutti gli uomini, nel nostro cammino verso quella città, «il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10), perché «la speranza non delude» (Rm 5,5).
 
I Lettura: Il valore della sofferenza è immenso. In essa vi è il sigillo dell’amore del Padre il quale a volte permette le prove perché l’uomo possa fare una esperienza più profonda della sua figliolanza divina. Ai tanti cristiani scoraggiati, il nostro autore non poteva non rivolgere discorso più appropriato: «Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano il loro Dio. Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli» (cfr. Gdt 8,26).
 
Vangelo
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
 
È inspiegabile l’incredulità degli abitanti di Nazaret ed è incomprensibile come i suoi paesani facilmente passino dallo stupore e dalla ammirazione all’animosità e all’insulto. Ma questo è il destino di tutti i profeti. Gesù non viene risparmiato da questa prova che si farà ancora più drammatica nel giorno in cui Pilato, nel tentativo di liberarlo, lo presenterà alla folla: in quel giorno, ingrata, dimenticando gli innumerevoli doni ricevuti, si farà serva dell’odio dei farisei (Cf. Mt 27,11-26).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6
 
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
 
Parola del Signore.

Gesù venne nella sua patria - Marco si riferisce a  Nazaret, una località che non è menzionata né nell’Antico Testamento, né in Giuseppe Flavio, né nel Talmud. È nominata per la prima volta nel Nuovo Testamento come patria di Gesù e dei suoi parenti (Cf. Mt 2,23; Mc 1,9; 6,3; Lc 2,51).
Il racconto della visita di Gesù a Nazaret lo si trova anche in Matteo e in Luca. Quest’ultimo, a differenza dei primi due, ha elaborato un racconto eccessivamente sovraccarico.
Molti, ascoltando, rimanevano stupiti: quello che dicono o pensano i molti è una sintesi del ministero di Gesù: predicazione e miracoli. Ma lo stupore nasce dal fatto che sono note le origini di Gesù: praticamente si erano fermati alla “carne” (Cf. 2Cor 5,16) ed è naturale che questa “conoscenza carnale” generasse nella loro mente una cascata di domande.
Per i nazaretani Gesù è un tekton: un mestiere che comportava l’abilità professionale di svolgere simultaneamente la professione di falegname, di fabbro e di muratore.
Figlio di Maria: questa espressione contraria l’uso ebraico, che identifica un uomo in rapporto a suo padre.
L’uso improprio, forse, vuole mettere in risalto la fede dell’evangelista Marco e della sua comunità, secondo cui il Padre di Gesù è Dio (Cf. Mc 1,1.11; 8,38; 13,32; 14,36).
Se è vero che Paolo e tutti e quattro gli evangelisti parlano dei fratelli e delle sorelle del Signore, è anche vero che gli autori sacri parlano solo e sempre di fratelli di Gesù, mai di figli di Maria. Solo Gesù è detto figlio di Maria (Mc 6,3) e Maria è detta solo e sempre madre di Gesù, e non di altri (Cf. Gv 2,1; 19,25; At 1,14).
I Vangeli ci hanno tramandato i nomi dei cosiddetti fratelli di Gesù che sono: Giacomo, Giuseppe (o Joses), Giuda (non Giuda Iscariota, il traditore) e Simone (Cf. Mt 13,56; Mc 6,3). Gli stessi Vangeli però ci informano anche di chi erano figli (Cf. Mt 27,55-56; Mc 15,40-41; ecc.) per cui senza ombra di dubbio possiamo affermare che essi non sono figli di Maria, la madre di Gesù, ma suoi nipoti, figli d’una sorella ben menzionata da Giovanni (Cf. Gv 19,25). Oltretutto, si conosce la scarsità di termini ebraici indicanti i vari gradi di parentela: fratello e sorella potevano indicare anche parenti di secondo grado. Anche la Settanta (traduzione greca della Bibbia) adopera il termine greco adelfos per tradurre il termine ebraico ah, anche quando si tratta in modo palese di cugini o anche di parenti (Cf. Gen 13,8; 1Cr 23,21; ecc.).
Il rifiuto di Gesù come profeta, ha un logorante crescendo: ad iniziare sono i parenti, poi i compaesani e infine i Giudei.
La meraviglia di Gesù «denota il suo stupore per l’incredulità dei paesani; una cosa sorprendente e inaspettata per lui. Marco non ha preoccupazioni teologiche circa la prescienza divina di Gesù, ma ce lo presenta nella sua realtà storica. Questi non poté compiere miracoli, perché i nazaretani non si aprirono con fede alla missione affidatagli dal Padre: l’onnipotenza di Dio risulta condizionata dall’incredulità dell’uomo: “Come la sua potenza è la nostra salvezza, così la nostra incredulità è la sua impotenza” [Gnilka]» (Angelico Poppi).
Nonostante questo insuccesso, Gesù continua a percorre «i villaggi d’intorno insegnando»: monito ed esempio per quei i credenti pronti a scoraggiarsi anche per il più piccolo disagio.
 
I fratelli di Gesù a Nazaret (Mc 6,3) - Attenendoci alla terminologia utilizzata dall’evangelista Giovanni, da Luca negli Atti e dall’apostolo Paolo, si può dimostrare che per questi autori e, di conseguenza, per la Chiesa primitiva, i fratelli di Gesù erano fratelli-discepoli di Gesù, uomini che lo aiutavano nella sua opera di predicazione. Qui, invece, «Marco non dice che questi quattro uomini erano fratelli di Gesù, bensì che Gesù era fratello di questi quattro uomini. Nei brani studiati fino a questo punto abbiamo detto che tali uomini erano fratelli-discepoli di Gesù, uomini che lo aiutavano nella sua opera di predicazione. Ma ciò non è possibile nel greco di Marco, poiché, attribuendo lo stesso significato alla parola “fratello”, saremmo costretti a dire Gesù era un loro fratello-discepolo. L’unico modo per evitare questo sproposito sarebbe riconoscere che il termine “fratello” qui indichi un legame di parentela stretto o lontano: figlio degli stessi genitori o parente più o meno vicino di uomini. Ma prima di tutto citiamo questo brano evangelico che, secondo la traduzione corrente, dice così: Non è costui il carpentiere, figlio di Maria, e il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non vivono qui tra noi?
Fortunatamente, un primo e valido aiuto per dare al termi­ne “fratello” usato da Marco lo stesso significato dei testi precedentemente studiati ci viene dal parallelo con Matteo. Quest’ultimo dice così: Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chia­ma Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? (Mt 13,55s.).
Nella maggior parte dei casi, quando Matteo offre un testo in una buona redazione greca e con un significato simile al brano parallelo di Marco, che si distingue per durezza di redazione o significato, è chiaro che l’unico scopo perseguito da Matteo è quello di migliorare la presentazione letteraria del testo da lui utilizzato come fonte. In questo caso, invece, possiamo affermare che la sua elaborazione del testo di Marco obbedisce al desiderio di far chiarezza sul significato della parola “fratello”, che nel testo di Marco era travisato. Infatti, possiamo benissimo leggere il testo di Matteo attribuendo al termine “fratello” lo stesso significato che abbiamo dimo­strato in Giovanni, Luca e Paolo. Da un punto di vista grammaticale o redazionale, non possiamo obiettare nulla al greco di Marco. Per contro, la discordanza che abbiamo segnalato rispetto al significato, a nostro giudizio costituisce un motivo sufficiente per sospettare che ciò sia dovuto a una lettura svogliata dell’aramaico. A nostro parere, il sostantivo “fratello”, che Marco scrive al singolare in forma indeterminata, è un singolare collettivo, un tipo di singolare abbastanza frequente in ebraico e aramaico. Senza soffermarci su ulteriori spiegazioni, offriamo la traduzione dell’originale aramaico ricostruito, in cui la difficoltà segnalata scompare definitivamente: Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, e (non sono) fratelli-discepoli quelli che ha fatto andare dietro [a se stesso] Ya’aqob (= Giacomo), Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle-discepole non stanno qui, con noi?
L’originale aramaico di Marco diceva le stesse cose che abbiamo visto nel vangelo di Matteo, espresse in un greco migliore. Ancora una volta vengono denominati «fratelli» e «sorelle» di Gesù coloro che lo seguono, cioè i suoi discepoli. Persone che in un modo o nell’altro collaborano con lui nel suo ministero di predicazione» (JOSÉ MIGUEL GARCÍA, La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, BUR).
 
E per la vostra correzione che voi soffrite - Marie-Leon Ramlot e Jacques Guillet: Soffrire con Cristo: Come il cristiano, se vive, «non è più [lui] che vive, ma Cristo che vive in [lui]» (Gal 2, 20); così le sofferenze del cristiano sono «le sofferenze di Cristo in [lui]» (2Cor 1,5). Il cristiano appartiene a Cristo con il suo stesso corpo, e la sofferenza configura a Cristo (Fil 3,10). Come Cristo, «pur essendo Figlio, imparò, per le cose patite, l’obbedienza» (Ebr 5, 8), così bisogna che noi «affrontiamo con costanza la prova che ci è proposta, fissando i nostri occhi sul capo della nostra fede... Che tollerò una croce» (Ebr 12,1s). Cristo si è fatto solidale con coloro che soffrono, e lascia ai suoi la stessa legge (1Cor 12,26; Rom 12,15; 2Cor 1, 7). Se «noi soffriamo con lui», lo facciamo «per essere pure glorificati con lui» (Rom 8,17), se «noi portiamo dovunque e sempre nel nostro corpo le sofferenze di morte di Gesù», lo facciamo «affinché la vita di Gesù sia anch’essa manifestata nel nostro corpo» (2Cor 4,10). «La grazia di Dio che ci è stata data [non è] soltanto di credere in Cristo, ma di soffrire per lui» (Fil 1,29; cfr. Atti 9,16; 2Cor 11,23-27). Dalla sofferenza sopportata con Cristo non nasce soltanto «il peso eterno di gloria preparato al di là di ogni misura» (2Cor 4,17; cfr. Atti 14,21) oltre la morte, ma, fin d’ora, la gioia (2Cor 7,4; cfr. 1,5-7). Gioia degli apostoli che fanno a Gerusalemme la loro prima esperienza e scoprono «la gioia di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome» (Atti 5,41); appello di Pietro alla gioia di «partecipare alle sofferenze di Cristo» per conoscere la presenza dello «Spirito di Dio, Spirito di gloria  (1Pt 4,13s); gioia di Paolo «nelle sofferenze che sopporta» di poter «completare nella [sua] carne ciò che manca alle prove di Cristo per il suo Corpo, che è la Chiesa» (Col l,24). 
 
Solo Dio è autore in senso proprio - Massimo di Torino, Sermo, 62, 4: Vediamo, dunque, da quale fonte abbia origine questo nostro sole! Come è vero nasce da Dio, che ne è l’autore. È figlio pertanto della divinità; dico, della divinità non soggetta a corruzione, intatta, senza macchia. Capisco il mistero facilmente. Perciò la seconda nascita per mezzo della immacolata Maria, poiché in un primo tempo era rimasta illibata a causa della divinità, la prima nascita fu gloriosa, affinché la seconda non diventasse ingiuriosa, cioè come vergine la divinità lo aveva generato, così anche la Vergine Maria lo generasse. È scritto di avere un padre presso gli uomini, come leggiamo nel Vangelo ai Farisei che dicevano: “Non è questi figlio di Giuseppe il falegname, e Maria non è sua Madre?” (Mt 13,55).
In questo anche avverto il mistero.
Il padre di Gesù è chiamato falegname; è pienamente fabbro Dio Padre, che ha creato le opere di tutto il mondo.
 
Il Santo del giorno - 1 Febbraio 2023 - Sant’Orso d’Aosta, Sacerdote: Sembra fosse un presbitero di Aosta, che aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di san Pietro. Sant’Orso, uomo semplice, pacifico e altruista, viveva da eremita trascorrendo il tempo nella preghiera continua, sia di giorno che di notte, dedito al lavoro manuale per procurarsi il cibo per vivere, accogliendo e consolando e aiutando tutti quelli che a lui accorrevano. Il tutto costellato da miracoli e prodigi, testimonianza della sua santità.
Se incerto è il periodo in cui visse (fra il V e l’VIII secolo), più sicuro è il giorno della morte, che poi è diventato il giorno della sua festa: 1 febbraio. Il suo culto, oltre che ad Aosta dove l’antica chiesa di san Pietro è diventata la Collegiata di san Pietro e sant’Orso, si estese anche nella diocesi di Vercelli, Ivrea e altre zone dell’Italia Nord-Occidentale. È invocato contro le inondazioni, le malattie del bestiame. A lui è dedicata la fiera che si tiene nel giorno della vigilia della sua festa ad Aosta. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 

 31 Gennaio 2023
 
San Giovanni Bosco, Presbitero
 
Eb 12,1-4; Salmo Responsoriale Dal Salmo 21 (22); Mc 5,21-43
 
 
Colletta
O Dio, che hai suscitato il presbitero san Giovanni [Bosco]
come padre e maestro dei giovani,
concedi anche a noi la stessa fiamma di carità,
a servizio della tua gloria, per la salvezza dei fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Circondati da tale moltitudine di testimoni: Catechismo della Chiesa Cattolica 1161: Tutti i segni della celebrazione liturgica sono riferiti a Cristo: lo sono anche le sacre immagini della Santa Madre di Dio e dei Santi, poiché significano Cristo che in loro è glorificato. Esse manifestano “il nugolo di testimoni” (Eb 12,1) che continuano a partecipare alla salvezza del mondo e ai quali noi siamo uniti, soprattutto nella celebrazione sacramentale. Attraverso le loro icone, si rivela alla nostra fede l’uomo creato “a immagine di Dio”, e trasfigurato “a sua somiglianza”, come pure gli angeli, anch’essi ricapitolati in Cristo: Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa cattolica - riconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa - noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti.
2683: I testimoni che ci hanno preceduto nel Regno, specialmente coloro che la Chiesa riconosce come “santi”, partecipano alla tradizione vivente della preghiera, mediante l’esempio della loro vita, la trasmissione dei loro scritti e la loro preghiera oggi. Essi contemplano Dio, lo lodano e non cessano di prendersi cura di coloro che hanno lasciato sulla terra. Entrando nella “gioia” del loro Signore, essi sono stati stabiliti “su molto”. La loro intercessione è il più alto servizio che rendono al Disegno di Dio. Possiamo e dobbiamo pregarli d’intercedere per noi e per il mondo intero.
 
I Lettura: I cristiani, imitando i grandi testimoni del passato, devono cercare «le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Per correre sulla via della fede senza gli impacci del peccato, i credenti oltre a tenere lo sguardo su Gesù, in una continua e amorosa meditazione del mistero della Passione, devono nutrirsi dei dolori del Cristo: «Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù è infatti assente dalla croce» (San Tommaso d’Aquino). 
 
Vangelo
Fanciulla, io ti dico: Alzati!
 
La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, «con la sua strana domanda: “Chi mi ha toccato”, enfatizza il fatto, mettendo pure in imbarazzo la donna, ma lo fa per esaltare pubblicamente la sua fede e indicarla come requisito necessario per la guarigione» (Bruno Barisan). I verbi usati dall’evangelista Marco “vivere”, “salvare”, “morire”, sono “intenzionalmente ambivalenti [come nella nostra lingua], e dicono sia la salvezza e vita fisica  come quella spirituale. Gesù quindi viene presentato da Marco come datore, direttamente di salute e vita fisica, ma indirettamente e sopratutto [e questo i suoi lettori ormai lo intendevano bene] datore di salute e vita spirituale” (Messale dell’Assemblea Cristiana, Feriale, ELLEDICI).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 5,21-43
 
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
 
Parola del Signore.
 
La bambina non è morta, ma dorme - Il caso si presentava ormai senza soluzioni: dalla casa del capo della sinagoga erano venuti alcuni a dire che la fanciulla era morta. Non aveva quindi più senso continuare a importunare il Maestro di Nazaret.
Gesù, il figlio di Maria (Mc 6,3), come se non avesse inteso nulla, esorta Giairo, il padre della fanciulla morta, a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui. Poi, con Pietro, Giacomo e Giovanni, che saranno le «colonne della Chiesa» (Gal 2,9), si avvia verso la casa di Giairo.
La scelta dei tre discepoli non è lasciata al caso: più avanti sempre Pietro, Giacomo e Giovanni, e soltanto loro, saranno chiamati ad essere gli unici testimoni privilegiati della trasfigurazione (Mc 9,2) e della preghiera nel giardino del Getsemani (Mc 14,33). Gesù, così come dettava la legge mosaica (Dt 19,15), vuole dei testimoni qualificati che in seguito avessero potuto testimoniare la realtà del miracolo che stava per operare.
La casa di Giairo è sprofondata nel dolore: gli strepiti, i pianti dei parenti e delle prèfiche, accrescono la confusione e il chiasso.
Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai piagnoni: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Le parole di Gesù non devono far credere che si tratta di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della fanciulla, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giairo, il presente stato della fanciulla è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.
Riecheggiano le parole che Gesù dirà quando gli portano la notizia della morte di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
Questo linguaggio eufemistico è stato adottato dalla Chiesa che lo ha esteso a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» (At 7,60; 13,36; 1Cor 7,39; 11,30), in attesa della risurrezione finale (1Ts 4,13-16; 1Cor 15,20-21.51-52).
Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore.
La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bambina.
Gesù presa la mano della fanciulla, il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), pronuncia le parole ‘Talità kum’. Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica. La guarigione è immediata e istantanea.
La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
Oggi, Gesù, pur sedendo alla destra del Padre (Rom 8,34; Ef 1,20), continua ad essere presente nella sua Chiesa: per questa Presenza, i credenti fruiscono della potenza salvifica del Cristo celata misteriosamente nei sacramenti fino a che arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
 
La morte - Emanuela Ghini (Morte in Schede Bibliche Pastorali): L’evento della morte, considerato realisticamente dalla rivelazione biblica come il totale venir meno della vita, non è visto in sé, ma sempre in stretta relazione con Iahvé, il Dio vivo: la morte la cui forza di estinzione è rappresentata dallo Sheól, si oppone alla vita come situazione di distacco da Dio nei confronti della pienezza dell’unica «fonte della vita».
Dall’assoluto monoteismo di Israele, legato al Dio unico, deriva la proibizione di ogni culto dei morti, peraltro sepolti con cura e pietà.
L’alleanza, che stabilisce un rapporto non personale ma nazionale fra Israele e Iahvé, fa sì che il problema della morte non assuma carattere drammatico, nella certezza della continuità del popolo, nonostante il venir meno dei singoli. Nel contesto vivo e in rapida evoluzione dell’alleanza, la morte è un problema poco essenziale: sia che si riconosca ai morti una sopravvivenza d’ombra nello Sheol, sia che si attribuisca loro un sonno eterno nel sepolcro di famiglia, il tema della morte non mette in crisi la fede di Israele. Da qui la rassegnazione con cui la morte è generalmente considerata e la pace con cui è accolta in tarda vecchiaia. Solo la morte precoce pone all’uomo la domanda che trova risposta nella potenza distruttiva del peccato delle origini. Ma poiché al peccato Dio ha sovvenuto con l’alleanza, la morte è superabile attraverso l’obbedienza alle «dieci parole» perché l’obbedienza, come assenso alla consacrazione operata dalla alleanza, è vita.
Israele ha lentamente intravvisto un superamento della morte sia nella conversione sollecitata dai profeti, sia nel personale rapporto con Iahvé che risolve anche, come per i salmisti e i sapienti, il problema della retribuzione. È l’apocalittica però che supera definitivamente la morte, annunciando la risurrezione dei giusti e dei peccatori nel regno escatologico.
Nel NT è soprattutto l’apostolo Paolo che, riprendendo la meditazione di Gen. 3, attribuisce la morte al peccato di Adamo. Col peccato e la legge, la morte è la principale potenza cosmica che domina sul mondo schiavo di Satana. Con l’avvento di Cristo, la morte è distrutta. Giovanni vede la morte di Cristo come passaggio da questo mondo al Padre, per un disegno di salvezza; Paolo, come atto di obbedienza che annulla il peccato e la morte nella risurrezione. La morte di Cristo per amore degli uomini è così creazione e nascita.
Per il cristiano, morto con Cristo, la fine della vita è ingresso nella vita stessa di Dio. Ciò esige l’adesione della fede, che già in sé è vita e comunica l’immortalità, mentre la sua mancanza è morte e conduce alla morte seconda della perdizione.
Morendo con Cristo il cristiano rinasce, per l’opera dello Spirito, alla vita nuova che lo rende partecipe dello stesso dinamismo trinitario, compiendo così la trasformazione definitiva nella viva immagine di Dio che, già iniziata nell’economia della figura, sarà completa alla parusia, quando i morti risorgeranno fruendo della vita stessa di Dio.
 
San Giovanni Bosco: Giovanni Paolo II (Lettera Iuvenum Patris): Per san Giovanni Bosco, fondatore di una grande Famiglia spirituale, si può dire che il tratto peculiare della sua “genialità” è legato a quella prassi educativa che egli stesso chiamò “sistema preventivo”. Questo rappresenta, in un certo modo, il condensato della sua saggezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa, ricevendo attenzione e riconoscimento da parte di numerosi educatori e studiosi di pedagogia. Il termine “preventivo”, che egli usa, va preso più che nella sua stretta accezione linguistica, nella ricchezza delle caratteristiche tipiche dell’arte educativa del santo. Va innanzitutto ricordata la volontà di prevenire il sorgere di esperienze negative, che potrebbero compromettere le energie del giovane oppure obbligarlo a lunghi e penosi sforzi di ricupero. Ma nel termine ci sono anche, vissute con peculiare intensità, profonde intuizioni, precise opzioni e criteri metodologici, quali l’arte di educare in positivo, proponendo il bene in esperienze adeguate e coinvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza; l’arte di far crescere i giovani “dall’interno”, facendo leva sulla libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi esteriori; l’arte di conquistare il cuore dei giovani per invogliarli con gioia e con soddisfazione verso il bene, correggendo le deviazioni e preparandoli al domani attraverso una solida formazione del carattere. Ovviamente, questo messaggio pedagogico suppone nell’educatore la convinzione che in ogni giovane, per quanto emarginato o deviato, ci sono energie di bene che, opportunamente stimolate, possono determinare la scelta della fede e dell’onestà.   
 
Cristo è toccato dalla fede - Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59: Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.
Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede...
Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.
Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall’altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?
 
Il Santo del Giorno - 31 Gennaio 2023 - San Giovanni Bosco. Allegria, studio, preghiera e bene: la sua “formula” della santità: La formula della santità? Per san Giovanni Bosco era semplice: “Primo: allegria. Secondo: doveri di studio e di preghiera. Terzo: far del bene agli altri”. Una formula che egli stesso visse da testimone con tutte le sue energie, contribuendo a costruire una delle più grandi “scuole di santi”: la famiglia religiosa salesiana. Un’eredità al cui cuore c’è l’impegno nell’educazione delle nuove generazioni: “Miriamo a formare onesti cittadini e buoni cristiani”, diceva don Bosco, che era nato nel 1815 a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco. Divenuto sacerdote nel 1841, nello stesso anno cominciò a lavorare all’opera che poi diventò la Società Salesiana, fondata nel 1854. Nel 1872, con santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco morì nel 1888: al mondo aveva donato le basi per una nuova “pedagogia del cuore”. (Matteo Liut)

La partecipazione a questo banchetto del cielo,
Dio onnipotente,
rinvigorisca e accresca in tutti noi la grazia che da te proviene,
perché, celebrando la memoria di san Giovanni Bosco,
custodiamo integro il dono della fede
e camminiamo sulla via della salvezza da lui indicata.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 

30 Gennaio 2023
 
Lunedì IV Settimana T. O.

 Eb 11,32-40; Salmo Responsoriale Salmo 30 (31); Mc 5,1-20
 
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
La possessione diabolica - Catechismo degli Adulti [385] Ordinariamente l’azione degli spiriti maligni nei confronti degli uomini consiste nella tentazione al peccato. Ciò che loro interessa è soprattutto il nostro traviamento spirituale. Oltre la tentazione, ad essi vengono attribuiti alcuni fenomeni prodigiosi di carattere negativo: l’ossessione, che è violenza interiore o esteriore per recare turbamento; la possessione, che è presa di possesso del corpo con crisi tempestose, alternate a periodi di calma; la infestazione, che riguarda i luoghi e provoca danni e timori.
Nell’interpretare questo genere di fenomeni, occorre essere estremamente cauti. È diffusa una credulità morbosa nei prodigi demoniaci, nei malefici, nella mala sorte. Si vede il diavolo dappertutto, meno dove sicuramente sta, cioè nel peccato. Per la gran parte dei casi si tratta di immaginazioni e dicerie senza fondamento o di malattie psichiche, spiegabili con i dinamismi dell’inconscio in personalità dissociate. Per un prudente discernimento, vanno consultati psicologi e psichiatri competenti e rispettosi della fede.
Qualche volta però la spiegazione psicologica non sembra adeguata. Si può supporre con buona probabilità l’azione demoniaca in presenza di alcuni segni concomitanti: forza fisica abnorme, comunicazione attraverso lingue ignote, conoscenza di cose lontane o segrete, atmosfera malsana, avversione alle realtà religiose.
 
I Lettura: Il brano odierno della lettera agli Ebrei è rivolto ai molti cristiani provenienti dal giudaismo. Con entusiasmo avevano abbracciato la fede cristiana, ora, a motivo di dolorose prove, sono tentati di abbandonare la nuova fede. Per scongiurare questa dolorosa fuga, l’autore della Lettera ricorda loro la fede e le gloriose gesta degli antenati. Nondimeno gli antenati non erano in possesso della “promessa”, i credenti invece “oggi” hanno raggiunto la meta perfetta della salvezza, abbandonare ora la nuova “via” tracciata dal Cristo sarebbe una vera follia.
 
Vangelo
Esci, spirito impuro, da quest’uomo!
 
Il paese dei Geraseni è in territorio pagano: la Buona Notizia non è chiusa entro i confini di Israele. Un uomo posseduto da uno spirito impuro vive tra i sepolcri, fuori della città. L’indemoniato fa gesti folli, insensati e scomposti: “notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”. È un povero uomo instabile nelle sue facoltà, non più padrone di sé. Il racconto mostra che l’incontro con Gesù non è soltanto una guarigione, ma una vera liberazione, un ritrovare se stessi, una riconquista della propria autenticità. Guarito l’indemoniato chiede a Gesù di rimanere con lui, ma Gesù non glielo permette. Pur non conoscendo il motivo del rifiuto, è da sottolineare che qui Gesù non impone il segreto messianico come lo impose, invece, ai giudei, e che l’uomo, mandato da Gesù ad annunciare la misericordia di Dio, se ne va in giro per la Decàpoli a proclamando quanto Gesù aveva fatto per lui. La Buona Notizia risuona in questo modo anche in terra pagana.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 5,1-1-20
 
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione -  gli rispose -  perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
Parola del Signore.
 
Gesù è in territorio “pagano”, lo si evince anche dalla presenza della “mandria dei porci al pascolo”, animali considerati impuri dai Giudei.
L’uomo, di cui non si conosce l’età, è “posseduto da uno spirito impuro”, così “il giudaismo (cf. Zc 13,2) chiamava i demoni, estranei e anzi ostili alla purità religiosa e morale che esige il servizio di Dio; vedere anche Mc 3,11; 3,30; ecc.; Mt 10,1; 12,43, Lc 4,33; 4,36; ecc” (Bibbia di Gerusalemme).
La possessione diabolica è espressa chiaramente dalla forza sovraumana che investiva l’uomo, che è uno dei segni della possessione satanica: nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi. Il nome dello spirito impuro “Legione” sta ad  indicare che l’uomo è posseduto da “molti demoni”, dal numero dei porci affogati nel mare si può pensare che fossero in numero di duemila demòni.
I demòni chiedono di entrare nei porci probabilmente per il “gusto” di continuare a possedere una creatura di Dio. Gesù lo acconsente forse per dare una prova tangibile che “Legione” era uscito da quell’uomo.
“Il miracolo evidenzia, una volta ancora, la realtà del diavolo e la sua influenza nella vita degli uomini: il demonio può nuocere - se Dio lo consente - non solamente agli uomini, ma anche agli animali. Quando il Signore autorizza gli spiriti immondi a entrare nei porci, appare in piena luce tutta la loro malizia: reputano un gran dolore non poter fare del male agli uomini e, pertanto, pregano Gesù di poter almeno recare danno agli animali. Cristo concede il permesso per dimostrare che i demòni s’impadronirebbero degli uomini con la stessa violenza e con i medesimi effetti palesati allorché s’impossessarono dei porci, qualora Dio non li trattenesse” Bibbia di Navarra).
Che i porci affoghino in mare, per chi conosce la geografia, risulta incomprensibile, in quanto la città di Gerasa, l’attuale Jerash, è situata a più di 50 chilometri dal lago di Tiberiade, “il che rende impossibile l’episodio dei porci. Può darsi che Marco unifichi qui due episodi distinti. Nel primo Gesù avrebbe compiuto un esorcismo, nella regione di Gerasa [vv 1-8 e 18-20]; nel secondo [cf. Mt 8,28-34], Gesù manda i demoni nei porci che si buttano nel lago” (Bibbia di Gerusalemme). Ma al di là di queste note, è bene messo in evidenza lo scontro tra Gesù e l’Inferno che si fa di giorno in giorno sempre più violento, e che si concluderà con la sconfitta di satana, definiva e totale, con la morte di Gesù: “Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,37-38). 
 
Gesù, vincitore di Satana e dei demoni - J.-B. Brunon e P. Grelot: La vita e l’azione di Gesù si collocano nella prospettiva di questo duello tra due mondi, la cui posta è in definitiva la salvezza dell’uomo. Gesù affronta personalmente Satana e riporta su di lui la vittoria (Mt 4,11 par.; Gv 12,31). Affronta pure gli spiriti maligni che hanno potere sull’umanità peccatrice, e li vince nel loro dominio.
Tale è il senso di numerosi episodi in cui sono di scena degli indemoniati: quello della sinagoga di Cafarnao (Mc 1,23-27 par.) e quello di Gadara (Mc 5,1-20 par.), la figlia della sirofenicia (Mc 7,25-30 par.) ed il ragazzo epilettico (Mc 9,14-29 par.), l’indemoniato muto (Mt 12,22ss par.) e Maria di Magdala (Lc 8,2), Per lo più, possessione diabolica e malattia sono mescolate (cfr. Mt 17,15.18); quindi ora si dice che Gesù guarisce gli indemoniati (Lc 6,18; 7,21) ed ora che scaccia i demoni (Mc 1,34- 39). Senza porre in dubbio i casi nettissimi di possessione (Mc 1,23s; 5,61), bisogna tener conto dell’opinione del tempo, che attribuiva direttamente al demonio fenomeni che oggi rientrano nella psichiatria (Mc 9,20ss). Bisogna soprattutto ricordare che ogni malattia è un segno della potenza di Satana sugli uomini (cfr. Lc 13,11).
Affrontando la malattia, Gesù affronta Satana; dando la guarigione, trionfa di Satana. I demoni si credevano insediati quaggiù-da-padroni; Gesù è venuto a perderli (Mc 1,24). Dinanzi all’autorità che egli manifesta nei loro confronti, le folle sono stupefatte (Mt 12,23; Lc 4,35ss). I suoi nemici l’accusano: «Egli scaccia i demoni in virtù di Beelzebul, principe dei demoni» (Mc 3,22 par.); «non sarebbe per caso anch’egli posseduto dal demonio?» (Mc 3,30; Gv 7,20; 8,48s.52; 10,20s). Ma Gesù dà la vera spiegazione: egli scaccia i demoni in virtù dello Spirito dì Dio, e ciò prova ché il regno di Dio è giunto fino agli uomini (Mt 12, 25-28 par.). Satana si credeva forte, ma è scacciato da uno più forte (Mt 12, 29 par.).
Ormai gli esorcismi si faranno quindi nel nome di Gesù (Mt 7,22; Mc 9,38 s). Mandando in missione i suoi discepoli, egli comunica loro il suo potere sui demoni (Mc 6, 7. 13 par.). Di fatto essi constatano che i demoni sono loro soggetti: prova evidente della caduta di Satana (Lc 10,17-20). Questo sarà, in tutti i secoli, uno dei segni che accompagneranno la predicazione del vangelo, unitamente ai miracoli (Mc 16,17).
2. Il combattimento della Chiesa. - Effettivamente le liberazioni degli indemoniati ricompaiono negli Atti degli Apostoli (8,7; 19,11-17). Tuttavia il duello degli inviati di Gesù con i demoni vi assume pure altre forme: la lotta contro la magia, le superstizioni di ogni specie (13,8ss; 19,18s) e la credenza negli spiriti divinatori (16,16); lotta contro l’idolatria in cui i demoni si fanno adorare (Apoc 9,20) ed invitano gli uomini alla loro mensa (1Cor 10,20s); lotta contro la falsa sapienza (Giac 3,15), contro le dottrine diaboliche che si sforzeranno in ogni tempo di ingannare gli uomini (1Tim 4,1), contro gli operatori di falsi prodigi arruolati al servizio della bestia (Apoc 16,13s). Satana ed i suoi ausiliari agiscono dietro tutti questi fatti umani che si oppongono al progresso del vangelo. Persino le prove dell’apostolo sono attribuibili ad un angelo di Satana (2Cor 12,7). Ma, grazie allo Spirito Santo, ora si sa discernere gli spiriti (1Cor 12,10) e non ci si lascia più ingannare dai falsi prodigi del mondo diabolico (cfr. 1Cor 12, ss). Impegnata, sull’esempio di Gesù, in una guerra a morte, la Chiesa conserva un’invincibile speranza: Satana, già vinto, ha solo più un potere limitato; la fine dei tempi vedrà la sua disfatta definitiva e quella di tutti i suoi ausiliari (Apoc 20,1ss.7-10).
 
Subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Lo spirito è detto impuro perché si è sottratto, volontariamente, dalla potestà di Dio che è santo. Anche se il regno di satana è stato definitivamente distrutto dalla gloriosa morte e risurrezione di Gesù Cristo, in attesa del giorno del giudizio, i demoni godono una certa libertà nella loro azione sulla terra. Dio può permettere che essi prendano possesso degli uomini o degli animali.
“Questa possessione è accompagnata spesso da una malattia, poiché questa, a titolo di conseguenza del peccato [Mt 9,2], è un’altra manifestazione dell’azione di Satana” (Bibbia di Gerusalemme). Così gli esorcismi del Vangelo, che a volte, come qui nel racconto di Marco, “appaiono allo stato puro [cfr. Mt 15,21-28; Mc 1,23-28; Lc 8,2], avvengono spesso in forma di guarigione [Mt 9,32-34; 12,22-24; 17,14-18; Lc 13,10-17]. Con il suo potere sui demoni Gesù distrugge l’impero di Satana [Mt 12,28; Lc 10,17-19; cfr. Lc 4,6, Gv 12,31] e inaugura il regno messianico, di cui lo Spirito santo è la promessa caratteristica [Is 11,2; Gl 3,1s). Se gli uomini rifiutano di comprenderlo, i demoni invece lo sanno bene [qui e Mc 1,24;  3,11; Lc 4,41; At 16,17; 19,15]. Questo potere di esorcismo, Gesù lo comunica ai suoi discepoli insieme con il potere delle guarigioni miracolose [Mt 10,1.10,8] che gli è connesso [Mt 8,3; 4,24; 8,16; Lc 13,32)” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Che hai tu in comune con me...: «Esci dall’uomo [Mc 5,8], entra nei porci [cfr. Mt 832; Mc 5,12-13; Lc 8,32-33], entra negli animali, va’ dove ti pare, va’ all’inferno. Ma lascia l’uomo che è proprietà esclusivamente mia. Esci dall’uomo, non voglio che tu prenda possesso dell’uomo, è un’offesa per me che tu te ne stia nell’uomo quando devo starci io. Sono io che ho assunto un corpo umano, io abito nell’uomo; questa carne che tu vuoi possedere è porzione della carne mia; esci dall’uomo» (Girolamo, Omelie sul Vangelo di Marco 2).
 
Il Santo del giorno - 30 Gennaio 2023 - San Batilde, Regina dei Franchi: Di origine anglosassone, Batilde durante un viaggio fu catturata da alcuni pirati e venduta in Francia, nel 641, ad Erchinoaldo, dignitario di corte di Neustria, che, dopo essere rimasta vedovo, voleva sposarla. L’ex schiava si rifiutò, accettando poi di sposare Clodoveo II re di Neustria e di Borgogna. Ebbe tre figli, Clotario III, Tierrico III e Childerico II. Nel 657 Batilde divenne vedova e quindi reggente del regno in nome del figlio Clotario; con la guida dell’abate Genesio, si diede alle opere di carità, aiutando i poveri e i monasteri. Lottò strenuamente contro la simonia e contro la schiavitù, che fu interdetta per i cristiani, mentre con proprio denaro restituì la libertà a moltissimi schiavi.
Quando il figlio Clotario III raggiunse la maggiore età, Batilde si ritirò nel monastero di Chelles, nella diocesi di Parigi, che lei stessa nel 662, aveva fatto restaurare. Vi morì nel 680. Fu sepolta a Chelles, accanto al figlio Clotario III, morto nel 670. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 29 Gennaio 2023
 
IV Domenica T. O.

 Sof 2,3; 3,12-13; Salmo Responsoriale Salmo 145 (146); 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a
 
Colletta
O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili
la gioia del tuo regno,
dona alla tua Chiesa
di seguire con fiducia il suo Maestro e Signore
sulla via delle beatitudini evangeliche.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Papa Francesco (Messaggio per la XXIX Giornata Mondiale della Gioventù 2014): Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C’era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata “discorso della montagna”. Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui. Nel proclamare le Beatitudini Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell’amore, la sola che conduce alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, umiliazioni, lotta per la giustizia, fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità, persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare. Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati “perdenti”, deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l’arroganza del potere, l’affermazione di sé a scapito degli altri.
 
I Lettura: Il testo di Sofonia si compone di due brani distinti. Il brano 2,3 è caratterizzato dalla triplice ripetizione del verbo “cercare”. Il contesto è quello della predizione della venuta del “giorno dell’ira del Signore”. È quindi un esplicito invito alla conversione per sfuggire all’ira di Dio prossima a manifestarsi. La seconda parte annuncia il disegno di Dio a favore degli umili e dei pochi fedeli che sopravvivranno quando l’autosufficienza e la superbia dell’uomo saranno spazzate via. Ciò è fonte di grande gioia, Dio è in mezzo al suo popolo e riverserà le sue benedizioni su di esso e lo riporterà in patria tra canti festosi e gli restituirà i suoi favori. La benedizione di Dio sarà estesa anche a tutte le nazioni: esse si convertiranno e daranno al Signore il culto che gli spetta.
 
II Lettura: I destinatari della lettera sono i cristiani della chiesa di Corinto, formata da credenti per lo più poveri e di poco peso sociale (cfr. 1Cor 1,26). La situazione è preoccupante: la comunità subornata da sedicenti apostoli si era divisa in fazioni. Inoltre, molti, vantandosi di una loro supposta superiorità intellettuale, disprezzavano ostentatamente chi non era “sapiente, potente, nobile”. E questo divideva ancora di più la comunità. Paolo, cercando di riportare l’unità e la pace nella comunità, ricorda ai “molti sapienti” che non sono gli orgogliosi e i saccenti ad apprezzare e a comprendere il piano salvifico di Dio attuato con la morte di Cristo in croce, bensì coloro che sono ripieni della sapienza spirituale che viene dall’alto. E perché possano comprendere questa strategia divina, Paolo li invita a ripensare proprio alla loro “chiamata”.
 
Vangelo
Beati i poveri in spirito.
 
La parola chiave del brano evangelico è beati, e ha il senso di una esclamazione di gioia. Gesù Maestro «indica ai suoi seguaci come si dovrebbe vivere: non semplicemente in conformità a una serie di regole, ma rivoluzionando dall’interno il proprio atteggiamento e la propria mentalità. La cosa straordinaria è che egli ha dato all’uomo la capacità di vivere questo ideale apparentemente impossibile» (Howard Marshall).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,1-12a
 
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per  causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): I primi due versetti offrono lo scenario e fungono da transizione: il discorso della montagna viene saldato con il quadro riassuntivo precedente (4,23-25). Infatti, il soggetto implicito è sempre Gesù; l’uditorio è costituito dai discepoli, ma sullo sfondo sono presupposta presenti anche le folle.
Alcuni esegeti sostengono che il discorso è rivolto solo ai Dodici, come suggerisce anche il contesto di Mc (3, l 3ss.); altri lo dicono indirizzato anche alle folle, nominate nel v. l (con riferimento a 4,25) e alla fine del discorso (7,28) in forma d’inclusione. Anche Lc accenna esplicitamente alla presenza del popolo (7, l).
Comunque, sia in Mt come in Lc, le folle restano sullo sfondo. In effetti, Mt pone il discorso all’inizio dell’attività pubblica di Gesù come programma del regno, che non è riservato a degli iniziati, ma rivolto a tutti.
Quindi il suo insegnamento è universale, valido per tutti i credenti. Tuttavia, esiste uno stretto rapporto tra il discepolato e l’insegnamento di Gesù. Per comprendere il suo messaggio bisogna mettersi al suo seguito, vivere accanto a lui, diventare suoi discepoli. Per Mt i discepoli rappresentano i prototipi di tutti i seguaci futuri di Cristo; ad essi verrà affidato l’incarico di «rendere discepole tutte le genti» (mathètéuein, un verbo usato esclusivamente da Mt tra gli evangelisti). Ecco perché i cinque grandi discorsi di Gesù sono indirizzati in primo luogo ai discepoli (5,1-2; 10,1; 13.10-17; 18, I; 24, l -3): ad essi deve conformarsi chi intende appartenere al popolo di Dio, facendo un’opzione radicale per la causa di Cristo (cf. Gnilka, I, pp. 17-1-175).
Il monte resta indeterminato e sembra implicare una connotazione più teologica che topografica, con un richiamo al monte Sinai, dove Mosè ricevette da JIIWH «le tavole di pietra, la legge e i comandamenti» per l’istruzione del popolo d’Israele (Es 24,12). Gesù salì sul monte (5,1I), poi discese (8,1), come Mosè (Es 19,3; 24,15). Per Mc la salita di Gesù sul monte avvenne più tardi, quando scelse i Dodici (3,13-19). Lc (6,12ss.) precisa che Gesù salì sul monte e passò la notte in preghiera; al mattino scelse i Dodici, poi scese nella pianura, dove pronunciò il discorso.
L’espressione essendosi seduto designa l’atteggiamento di un maestro che impartisce un insegnamento importante; la predica normale si pronunciava stando in piedi. Gesù, aperta lo sua bocca, insegnava (edidasken, l’imperfetto indica un’azione prolungata). L’insegnamento di Gesù viene introdotto con una espressione biblica di tipo sapienziale (cf. Sal 78,2; Gb 3,1; Sir 51,25). Egli non si rifà a qualche altro maestro celebre, ma parla con autorità propria (7,29).

Le beatitudini di Gesù: lieto annuncio messianico - Giovanni Bernini (Beatitudini in Schede Bibliche Pastorali - Vol I): Si sa che il tema centrale della sua predicazione è stato il regno di Dio che bussa alle porte dell’esistenza umana e della storia (cf. Mc 1,15 e Mt 4,17). È in questa prospettiva di speranza che egli si è indirizzato al «popolino della campagna» (‘am ha ‘ares), cioè agli emarginati del suo tempo, proclamandoli felici. Si tratta certo di beatitudini paradossali, perché di fatto i destinatari vivono in condizioni di disagio. Perché dunque sono felici, secondo Gesù? Non per una mistica e romantica esaltazione della povertà, ma perché Dio sta entrando in azione per liberarli dalla loro situazione disumana. È la prospettiva di un futuro di liberazione che muove Gesù a chiamarli alla gioia. Sta per suonare sul quadrante della
storia l’ora decisiva in cui gli indifesi saranno difesi da Dio, accolti gli esclusi e agli oppressi sarà resa giustizia. Non si tratta di un remoto avvenire, né di una spiritualistica consolazione ultraterrena. Dio sta per venire come re, cioè come difensore dei deboli.
Non c’è inoltre nulla di moralistico nelle parole di Gesù. I diseredati non sono per lui né più buoni, né più disponibili. Comunque egli non si congratula con essi per eventuali loro qualità morali e religiose. Li vede invece per quello che sono oggettivamente: indifesi, oppressi ed esclusi; e proclama che Dio sta per schierarsi efficacemente dalla loro parte. Perché è un Dio difensore di quelli che difesa non hanno in questo mondo. In tutto l’antico medio oriente era diffusa l’ideologia secondo cui al re era demandato il compito di essere la suprema istanza di difesa e di giustizia dei «poveri», cioè delle persone prive di peso sociale e politico. Anche in Israele si pensava così.
Ma l’esperienza triste della monarchia, che aveva visto re dispotici e sfruttatori della povera gente, suscitò l’attesa di un intervento finale di Dio a favore dei poveri. Sarà Jahvé il re di giustizia. Ma in alcuni circoli maturò anche la speranza della venuta di un re ideale, appunto del messia.
Ebbene, Gesù si ricollega a queste attese. Anche per lui regno vuol dire ingresso regale di Dio nella storia a creare giustizia. Originale però si presenta il suo sguardo sul futuro: l’evento aspettato viene incontro al presente degli uomini. È in questo preciso quadro di annuncio profetico, probabilmente all’inizio della sua missione galilaica, che Gesù ha proclamato «beati» i poveri, gli affamati e i piangenti.
 
Paura di avvicinarsi? - Alessandro Pronzato (Il Vangelo in casa): Mi pare che la chiave decisiva di lettura del Discorso della Montagna in generale e delle Beatitudini in particolare, si trovi in quell’annotazione: «... gli si avvicinarono i suoi discepoli». Occorre non aver paura di avvicinarsi al Maestro.
Le Beatitudini presuppongono il distacco, la separazione da un certo tipo di mentalità, di abitudini, di logica.
Gesù, in un certo senso, parla all’orecchio dopo averti preso in disparte.
Vuoi sentire una parola diversa? Intendi sperimentare una felicità diversa? Vuoi tentare, trovare a cercare la felicità in un territorio inesplorato, dove nessuno si azzarda?
Le Beatitudini non derivano da un’esperienza umana. Non sono frutto di una ricerca umana. Sono dono di Dio. Rappresentano una possibilità offerta da Lui. Costituiscono il suo segreto. Il segreto della felicità di Dio.
Indubbiamente, tutti gli uomini cercano la felicità. Ma c’è il rischio di cercarla nei luoghi e nei modi sbagliati.
Tutti fanno ressa negli stessi posti. Non viene il sospetto che ci siano altre strade, si diano altre possibilità.
Cristo propone una felicità diversa, insolita, sorprendente, diciamo pure più difficile, ma non per questo meno reale. Tutto sta ad avvicinarsi. Tutto sta a lasciarsi dire una parola all’orecchio.
Il che presuppone una volontà di camminare. Le Beatitudini non sono un messaggio per gli installati nel benessere, nel comfort, nella riuscita. Dio dice ad Abramo: «Cammina alla mia presenza» (Gn 17,1).
L’avvicinarsi, tuttavia, presuppone, oltre che la volontà di ascoltare e di camminare, anche la disponibilità a tentare l’avventura, a diventare luogo, laboratorio dove si realizza l’esperimento.
Le Beatitudini, grazie a chi le prende sul serio, le incarna, le vive, diventano la dimostrazione, ad uso della «folla», che occupa le pendici del monte e si mantiene prudentemente a distanza, della credibilità dell’utopia cristiana. In questa prospettiva, assume particolare rilievo la prima beatitudine, quella riguardante i poveri (che viene sottolineata anche dsl Salmo responsoriale).
Dio interpella quelli che «non hanno», per confondere i ricchi, i sapienti, i potenti, per far capire che siamo nt ati in un mondo di valori nuovi, che fanno impallidire gli altri (siamo nella linea delle parole di Sofonia e del discorso di Paolo, che si compiace perché verifica che il piano di Dio si sta attuando grazie alla prevalenza nella comunità di gente «da niente»).
Sì, siamo entrati in un mondo nuovo, un mondo capovolto. Dio dice sì a coloro cui gli altri dicono no. Dio si felicita per la nostra nascita, per la nostra venuta (ecco il vero senso di «avvicinarsi») in un mondo nuovo.
 
Beati i miti - Agostino (Sermo 53, 1-6.9): “Chi è il mite?” Sta attento a qual che segue: “Beati”, egli aggiunge, “i miti, perché possederanno la terra” (Mt 5,5). Ora tu vuoi possedere la terra: bada, però, di non essere posseduto dalla terra. Possederà il mite, sarà posseduto il non-mite. E, quando ascolti del premio promesso e cioè che possederai la terra, non dilatare il grembo dell’avarizia, con la quale vuoi possedere ora la terra, con esclusione persino del tuo vicino: non ti inganni una tale opinione. Possederai la terra solo quando aderirai a colui che ha fatto il cielo e la terra.
Questo infatti significa essere mite: non resistere al tuo Dio, affinché in ciò che fai di bene, ti piaccia egli e non te stesso; mentre in ciò che giustamente soffri di male, non sia egli a dispiacerti, bensì te stesso. Infatti, non è piccola cosa se cercherai di piacere a lui dispiacendoti; dispiaceresti a lui, per contro, piacendo a te stesso.
 
Il Santo del giorno  29 Gennaio 2023 - Martirologio Romano: Nella città di Białystok in Polonia, beata Boleslava Maria Lament, vergine, che in mezzo ai rivolgimenti politici fondò la Congregazione delle Suore Missionarie della Sacra Famiglia per promuovere l’unità dei cristiani, aiutare i derelitti e formare le ragazze alla vita cristiana. 
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.