1 Febbraio 2023
Mercoledì IV Settimana T. O.
Eb 12,4-7.11-15; Salmo Responsoriale Dal Salmo 102 (103); Mc 6,1-6
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Non avete ancora resistito fino al sangue: Lumen fidei, 57: All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce. Cristo è colui che, avendo sopportato il dolore, «dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2). La sofferenza ci ricorda che il servizio della fede al bene comune è sempre servizio di speranza, che guarda in avanti, sapendo che solo da Dio, dal futuro che viene da Gesù risorto, può trovare fondamenta solide e durature la nostra società. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza perché, anche se la nostra dimora quaggiù si va distruggendo, c’è una dimora eterna che Dio ha ormai inaugurato in Cristo, nel suo corpo (cfr. 2Cor 4,16-5,5). Il dinamismo di fede, speranza e carità (cfr. 1Tes 1,3; 1Cor 1,1; 13,13) ci fa così abbracciare le preoccupazioni di tutti gli uomini, nel nostro cammino verso quella città, «il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10), perché «la speranza non delude» (Rm 5,5).
I Lettura: Il valore della sofferenza è immenso. In essa vi è il sigillo dell’amore del Padre il quale a volte permette le prove perché l’uomo possa fare una esperienza più profonda della sua figliolanza divina. Ai tanti cristiani scoraggiati, il nostro autore non poteva non rivolgere discorso più appropriato: «Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano il loro Dio. Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli» (cfr. Gdt 8,26).
Vangelo
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
È inspiegabile l’incredulità degli abitanti di Nazaret ed è incomprensibile come i suoi paesani facilmente passino dallo stupore e dalla ammirazione all’animosità e all’insulto. Ma questo è il destino di tutti i profeti. Gesù non viene risparmiato da questa prova che si farà ancora più drammatica nel giorno in cui Pilato, nel tentativo di liberarlo, lo presenterà alla folla: in quel giorno, ingrata, dimenticando gli innumerevoli doni ricevuti, si farà serva dell’odio dei farisei (Cf. Mt 27,11-26).
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Parola del Signore.
Gesù venne nella sua patria - Marco si riferisce a Nazaret, una località che non è menzionata né nell’Antico Testamento, né in Giuseppe Flavio, né nel Talmud. È nominata per la prima volta nel Nuovo Testamento come patria di Gesù e dei suoi parenti (Cf. Mt 2,23; Mc 1,9; 6,3; Lc 2,51).
Il racconto della visita di Gesù a Nazaret lo si trova anche in Matteo e in Luca. Quest’ultimo, a differenza dei primi due, ha elaborato un racconto eccessivamente sovraccarico.
Molti, ascoltando, rimanevano stupiti: quello che dicono o pensano i molti è una sintesi del ministero di Gesù: predicazione e miracoli. Ma lo stupore nasce dal fatto che sono note le origini di Gesù: praticamente si erano fermati alla “carne” (Cf. 2Cor 5,16) ed è naturale che questa “conoscenza carnale” generasse nella loro mente una cascata di domande.
Per i nazaretani Gesù è un tekton: un mestiere che comportava l’abilità professionale di svolgere simultaneamente la professione di falegname, di fabbro e di muratore.
Figlio di Maria: questa espressione contraria l’uso ebraico, che identifica un uomo in rapporto a suo padre.
L’uso improprio, forse, vuole mettere in risalto la fede dell’evangelista Marco e della sua comunità, secondo cui il Padre di Gesù è Dio (Cf. Mc 1,1.11; 8,38; 13,32; 14,36).
Se è vero che Paolo e tutti e quattro gli evangelisti parlano dei fratelli e delle sorelle del Signore, è anche vero che gli autori sacri parlano solo e sempre di fratelli di Gesù, mai di figli di Maria. Solo Gesù è detto figlio di Maria (Mc 6,3) e Maria è detta solo e sempre madre di Gesù, e non di altri (Cf. Gv 2,1; 19,25; At 1,14).
I Vangeli ci hanno tramandato i nomi dei cosiddetti fratelli di Gesù che sono: Giacomo, Giuseppe (o Joses), Giuda (non Giuda Iscariota, il traditore) e Simone (Cf. Mt 13,56; Mc 6,3). Gli stessi Vangeli però ci informano anche di chi erano figli (Cf. Mt 27,55-56; Mc 15,40-41; ecc.) per cui senza ombra di dubbio possiamo affermare che essi non sono figli di Maria, la madre di Gesù, ma suoi nipoti, figli d’una sorella ben menzionata da Giovanni (Cf. Gv 19,25). Oltretutto, si conosce la scarsità di termini ebraici indicanti i vari gradi di parentela: fratello e sorella potevano indicare anche parenti di secondo grado. Anche la Settanta (traduzione greca della Bibbia) adopera il termine greco adelfos per tradurre il termine ebraico ah, anche quando si tratta in modo palese di cugini o anche di parenti (Cf. Gen 13,8; 1Cr 23,21; ecc.).
Il rifiuto di Gesù come profeta, ha un logorante crescendo: ad iniziare sono i parenti, poi i compaesani e infine i Giudei.
La meraviglia di Gesù «denota il suo stupore per l’incredulità dei paesani; una cosa sorprendente e inaspettata per lui. Marco non ha preoccupazioni teologiche circa la prescienza divina di Gesù, ma ce lo presenta nella sua realtà storica. Questi non poté compiere miracoli, perché i nazaretani non si aprirono con fede alla missione affidatagli dal Padre: l’onnipotenza di Dio risulta condizionata dall’incredulità dell’uomo: “Come la sua potenza è la nostra salvezza, così la nostra incredulità è la sua impotenza” [Gnilka]» (Angelico Poppi).
Nonostante questo insuccesso, Gesù continua a percorre «i villaggi d’intorno insegnando»: monito ed esempio per quei i credenti pronti a scoraggiarsi anche per il più piccolo disagio.
I fratelli di Gesù a Nazaret (Mc 6,3) - Attenendoci alla terminologia utilizzata dall’evangelista Giovanni, da Luca negli Atti e dall’apostolo Paolo, si può dimostrare che per questi autori e, di conseguenza, per la Chiesa primitiva, i fratelli di Gesù erano fratelli-discepoli di Gesù, uomini che lo aiutavano nella sua opera di predicazione. Qui, invece, «Marco non dice che questi quattro uomini erano fratelli di Gesù, bensì che Gesù era fratello di questi quattro uomini. Nei brani studiati fino a questo punto abbiamo detto che tali uomini erano fratelli-discepoli di Gesù, uomini che lo aiutavano nella sua opera di predicazione. Ma ciò non è possibile nel greco di Marco, poiché, attribuendo lo stesso significato alla parola “fratello”, saremmo costretti a dire Gesù era un loro fratello-discepolo. L’unico modo per evitare questo sproposito sarebbe riconoscere che il termine “fratello” qui indichi un legame di parentela stretto o lontano: figlio degli stessi genitori o parente più o meno vicino di uomini. Ma prima di tutto citiamo questo brano evangelico che, secondo la traduzione corrente, dice così: Non è costui il carpentiere, figlio di Maria, e il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non vivono qui tra noi?
Fortunatamente, un primo e valido aiuto per dare al termine “fratello” usato da Marco lo stesso significato dei testi precedentemente studiati ci viene dal parallelo con Matteo. Quest’ultimo dice così: Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? (Mt 13,55s.).
Nella maggior parte dei casi, quando Matteo offre un testo in una buona redazione greca e con un significato simile al brano parallelo di Marco, che si distingue per durezza di redazione o significato, è chiaro che l’unico scopo perseguito da Matteo è quello di migliorare la presentazione letteraria del testo da lui utilizzato come fonte. In questo caso, invece, possiamo affermare che la sua elaborazione del testo di Marco obbedisce al desiderio di far chiarezza sul significato della parola “fratello”, che nel testo di Marco era travisato. Infatti, possiamo benissimo leggere il testo di Matteo attribuendo al termine “fratello” lo stesso significato che abbiamo dimostrato in Giovanni, Luca e Paolo. Da un punto di vista grammaticale o redazionale, non possiamo obiettare nulla al greco di Marco. Per contro, la discordanza che abbiamo segnalato rispetto al significato, a nostro giudizio costituisce un motivo sufficiente per sospettare che ciò sia dovuto a una lettura svogliata dell’aramaico. A nostro parere, il sostantivo “fratello”, che Marco scrive al singolare in forma indeterminata, è un singolare collettivo, un tipo di singolare abbastanza frequente in ebraico e aramaico. Senza soffermarci su ulteriori spiegazioni, offriamo la traduzione dell’originale aramaico ricostruito, in cui la difficoltà segnalata scompare definitivamente: Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, e (non sono) fratelli-discepoli quelli che ha fatto andare dietro [a se stesso] Ya’aqob (= Giacomo), Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle-discepole non stanno qui, con noi?
L’originale aramaico di Marco diceva le stesse cose che abbiamo visto nel vangelo di Matteo, espresse in un greco migliore. Ancora una volta vengono denominati «fratelli» e «sorelle» di Gesù coloro che lo seguono, cioè i suoi discepoli. Persone che in un modo o nell’altro collaborano con lui nel suo ministero di predicazione» (JOSÉ MIGUEL GARCÍA, La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, BUR).
E per la vostra correzione che voi soffrite - Marie-Leon Ramlot e Jacques Guillet: Soffrire con Cristo: Come il cristiano, se vive, «non è più [lui] che vive, ma Cristo che vive in [lui]» (Gal 2, 20); così le sofferenze del cristiano sono «le sofferenze di Cristo in [lui]» (2Cor 1,5). Il cristiano appartiene a Cristo con il suo stesso corpo, e la sofferenza configura a Cristo (Fil 3,10). Come Cristo, «pur essendo Figlio, imparò, per le cose patite, l’obbedienza» (Ebr 5, 8), così bisogna che noi «affrontiamo con costanza la prova che ci è proposta, fissando i nostri occhi sul capo della nostra fede... Che tollerò una croce» (Ebr 12,1s). Cristo si è fatto solidale con coloro che soffrono, e lascia ai suoi la stessa legge (1Cor 12,26; Rom 12,15; 2Cor 1, 7). Se «noi soffriamo con lui», lo facciamo «per essere pure glorificati con lui» (Rom 8,17), se «noi portiamo dovunque e sempre nel nostro corpo le sofferenze di morte di Gesù», lo facciamo «affinché la vita di Gesù sia anch’essa manifestata nel nostro corpo» (2Cor 4,10). «La grazia di Dio che ci è stata data [non è] soltanto di credere in Cristo, ma di soffrire per lui» (Fil 1,29; cfr. Atti 9,16; 2Cor 11,23-27). Dalla sofferenza sopportata con Cristo non nasce soltanto «il peso eterno di gloria preparato al di là di ogni misura» (2Cor 4,17; cfr. Atti 14,21) oltre la morte, ma, fin d’ora, la gioia (2Cor 7,4; cfr. 1,5-7). Gioia degli apostoli che fanno a Gerusalemme la loro prima esperienza e scoprono «la gioia di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome» (Atti 5,41); appello di Pietro alla gioia di «partecipare alle sofferenze di Cristo» per conoscere la presenza dello «Spirito di Dio, Spirito di gloria (1Pt 4,13s); gioia di Paolo «nelle sofferenze che sopporta» di poter «completare nella [sua] carne ciò che manca alle prove di Cristo per il suo Corpo, che è la Chiesa» (Col l,24).
Solo Dio è autore in senso proprio - Massimo di Torino, Sermo, 62, 4: Vediamo, dunque, da quale fonte abbia origine questo nostro sole! Come è vero nasce da Dio, che ne è l’autore. È figlio pertanto della divinità; dico, della divinità non soggetta a corruzione, intatta, senza macchia. Capisco il mistero facilmente. Perciò la seconda nascita per mezzo della immacolata Maria, poiché in un primo tempo era rimasta illibata a causa della divinità, la prima nascita fu gloriosa, affinché la seconda non diventasse ingiuriosa, cioè come vergine la divinità lo aveva generato, così anche la Vergine Maria lo generasse. È scritto di avere un padre presso gli uomini, come leggiamo nel Vangelo ai Farisei che dicevano: “Non è questi figlio di Giuseppe il falegname, e Maria non è sua Madre?” (Mt 13,55).
In questo anche avverto il mistero.
Il padre di Gesù è chiamato falegname; è pienamente fabbro Dio Padre, che ha creato le opere di tutto il mondo.
Il Santo del giorno - 1 Febbraio 2023 - Sant’Orso d’Aosta, Sacerdote: Sembra fosse un presbitero di Aosta, che aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di san Pietro. Sant’Orso, uomo semplice, pacifico e altruista, viveva da eremita trascorrendo il tempo nella preghiera continua, sia di giorno che di notte, dedito al lavoro manuale per procurarsi il cibo per vivere, accogliendo e consolando e aiutando tutti quelli che a lui accorrevano. Il tutto costellato da miracoli e prodigi, testimonianza della sua santità.
Se incerto è il periodo in cui visse (fra il V e l’VIII secolo), più sicuro è il giorno della morte, che poi è diventato il giorno della sua festa: 1 febbraio. Il suo culto, oltre che ad Aosta dove l’antica chiesa di san Pietro è diventata la Collegiata di san Pietro e sant’Orso, si estese anche nella diocesi di Vercelli, Ivrea e altre zone dell’Italia Nord-Occidentale. È invocato contro le inondazioni, le malattie del bestiame. A lui è dedicata la fiera che si tiene nel giorno della vigilia della sua festa ad Aosta. (Avvenire)
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.