28 Aprile 2021
Colletta: O Dio, vita dei tuoi fedeli, gloria degli umili, beatitudine dei giusti, ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo, perché coloro che hanno sete dei beni da te promessi siano sempre ricolmati dell’abbondanza dei tuoi doni. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Gesù è la luce: Paolo VI (Udienza Generale, 22 giugno 1966): Cristo è la sorgente della luce; è la luce. Ma come giunge a noi questa luce? Il Signore ha voluto stabilire un sistema, disporre un ordine, per cui la sua luce giungesse a noi mediante un servizio umano, mediante un riflesso qualificato e autorizzato, e cioè mediante il magistero e il ministero apostolico. Egli infatti disse agli Apostoli: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14); e mediante una trasparenza interiore di Cristo stesso, emanante dall’intero corpo mistico e visibile della Chiesa, quasi ch’essa fosse l’ostensorio di Cristo; così che è essa stessa chiamata «sacramento», segno sacro cioè e tramite dell’unione di Dio con l’umanità (cfr. Cost. Lumen Gentium, 1). «Chi ascolta voi, disse Gesù riferendosi ai discepoli elevati a funzioni gerarchiche, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10,16). Praticamente perciò noi non potremo arrivare a Cristo, se non cercandolo e trovandolo nella sua Chiesa. Ricordiamo ancora la famosa esortazione di S. Giovanni Crisostomo: «Non ti allontanare dalla Chiesa! Nulla è più forte di essa! La tua speranza è la Chiesa, il tuo rifugio è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più vasta della terra. Essa non invecchia mai, ma sempre vigoreggia». Un altro grande dottore orientale, Origene, fin dalla prima metà del terzo secolo, commentando la Genesi, diceva: «Se vogliamo essere noi pure come il cielo, avremo in noi i luminari che ci possono illuminare: Cristo e la sua Chiesa. Egli infatti è la luce del mondo, che illumina pure la Chiesa con la sua luce; ... e la Chiesa, preso il lume di Cristo, illumina tutti quelli che si trovano nella notte dell’ignoranza» (In Gen. Hom. 1, 5; P. G. 12, 150).
I Lettura: Lo Spirito Santo muove i passi dei missionari, suscita uomini atti alla diffusione del Vangelo ed elargisce carismi perché bene sia governata la Chiesa: “Il carisma proprio del dottore o didascalo lo rende adatto a dare ai fratelli un insegnamento morale e dottrinale basato normalmente sulla Scrittura [cfr. 1Cor 12-14]. I cinque profeti e dottori qui enumerati rappresentano il governo della chiesa di Antiochia” (Bibbia di Gerusalemme).
Salmo: Agostino: Faccia risplendere il suo volto su di noi. Hai impresso su di noi il tuo volto, ci hai fatti a tua immagine e somiglianza... non è bene che la tua immagine resti oscurata. Invia un raggio della tua sapienza, perché risplenda in noi la tua immagine. O anima riscattata dal sangue dell’Agnello immacolato, pensa a quanto vali. Portiamo in noi l’immagine del tuo volto: possa apparire come volto tuo; e se appare un po’ deformata dal mio peccato, riforma ciò che tu avevi formato.
Vangelo: Il dodicesimo capitolo del vangelo di Giovanni termina con l’ultimo discorso di Gesù sulla sua identità e il suo rapporto con il Padre. Tra il Padre e Gesù il legame è così profondo che vedere Gesù è vedere il Padre, e chi crede in Gesù crede in colui che lo ha mandato. Gesù è venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in lui non rimanga nelle tenebre: in questa ottica si comprende allora la radicalità del giudizio, il rifiuto di Gesù è un rigetto di Dio stesso, il rifiuto di Gesù è un precipitare nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti (Mt 22,13; 25,30).
Dal Vangelo secondo Giovanni 12,44-50: In quel tempo, Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Io sono venuto nel mondo come luce : La luce, tratta dal vuoto dell’abisso (cfr Gen 1,1-2), sarà presentata in tutti i testi della sacra Scrittura, in senso proprio o figurato, come la fonte, la condizione, il simbolo di ogni vita per contrapposizione alle tenebre che evocano il caos, il deserto, il nulla e simboleggiano la morte. La luce è anche segno di gioia, di felicità, di salvezza mentre le tenebre rappresentano la sventura, l’ignoranza, il male e la dannazione. La luce è concessa ai giusti che la irradiano a loro volta ed è rifiutata o sottratta ai malvagi: “Per i tuoi santi invece c’era una luce grandissima; ... desti loro una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto e sole inoffensivo per un glorioso migrare in terra straniera. Meritavano di essere privati della luce e imprigionati nelle tenebre quelli che avevano tenuto chiusi in carcere i tuoi figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della legge doveva essere concessa al mondo. ” (Sap 18,1-4). La Sapienza è un “riflesso della luce perenne” (Sap 7,26) che assicura la conoscenza di Dio e della sua Parola. E luce è anche il Messia annunciato dal profeta Isaia: “Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49,6; cfr. Is 42,6). Gesù, in cui “era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4), dice di se stesso: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). A coloro che fuggono questa luce, perché denuncia le loro opere malvagie, viene rivolto un avvertimento severo: sono già giudicati, quindi condannati. A coloro che rifiutano di vederla e di accoglierla, viene rivolto l’ammaestramento illustrato dal racconto della guarigione del cieco-nato (Gv 9,1ss): essi sono fra coloro cui “il dio di questo mondo [Satana] ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio” (2Cor 4,4). Coloro che operano in Dio vengono alla luce, dimorano nella luce e camminano nella luce. Dio ha chiamato i cristiani “dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1Pt 2,9) “per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2Cor 4,6). I discepoli di Gesù, “figli della luce” (Ef 5,7), sono “luce nel Signore” (Ef 5,7); rivestiti delle “armi della luce” (Rom 12,13) brillano “come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (Fil 2,15-16). Nel Regno del Padre, “che abita una luce inaccessibile” (1Tm 6,16), saranno adempiute per sempre, a favore della Chiesa, le promesse dei profeti: “sarà un giorno unico... non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce” (Zac 14,7) e il Signore sarà per essa luce eterna, sarà il suo splendore (Cf Is 60,19). Questo giorno luminoso lo ritroviamo nella Gerusalemme celeste, che risplende di un fulgore che non deve nulla alle luci che Dio pose “nel firmamento del cielo” (Gen 1,14): la città santa sarà illuminata dalla gloria di Dio e “la sua lampada è l’Agnello” (Ap 21,23). “Le nazioni cammineranno alla sua luce” (Ap 21,24) e “il Signore Dio illuminerà [i suoi servi]. E regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5).
A. Feuillet e P. Grelot: Cristo, luce del mondo: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18). 2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8, 12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (1,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «E l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
- L’“uomo tra due mondi” viene poi caratterizzato a Qumran mediante l’antitesi etico-cosmologica luce-tenebre (lQ III,13). I membri della setta, in quanto “figli della luce” nel combattimento escatologico lottano contro gli altri esseri umani, i “figli delle tenebre”. Il dualismo poggia sulla predestinazione di ogni essere umano agli ambiti luce o tenebre già prevista nel progetto creazionale di Dio; è dunque legato al concetto veterotestamentario di Dio: “Dio ha creato i due spiriti della luce e delle tenebre” il cui campo di battaglia sono il mondo e l’uomo. Per la comprensione del simbolismo neotestamentario della luce questi antecedenti giudaici sono importanti; Paolo estende la loro applicazione in senso etico-escatologico all’evento Cristo nella parenesi battesimale, Rm 13,11-14: luce e tenebre sono come a Qumran i due ambiti di potere nei quali si compie il cammino dell’uomo, la sua condotta di vita non per predestinazione, ma attraverso la decisione per la fede o per 1’incredulità. L’immagine della vicinanza del “giorno” usata come motivazione per deporre le “opere delle tenebre” e rivestire le “armi della luce”. La vicinanza del ritorno significa dunque combattimento: “Questo combattimento è identico a quello tra fede e incredulità”. In Giovanni, Cristo, la “luce del mondò” (Gv 8,12), entra nel cosmo tenebroso. Con la venuta della “vera luce” il tempo escatologico della salvezza è diventato presente: la luce come salvezza non è più soltanto immagine, ma designa l’essenza storica del rivelatore. I concetti luce e tenebre servono a designare la discriminazione degli uomini provocata da Cristo (Gv 1,11s). Il giudizio s’identifica con la decisione per l’incredulità, la salvezza con la decisione per la fede. A partire da questo dualismo decisionale, luce e tenebre designano due modi d’esistere: “La doppia possibilità dell’esistere umano, quella a partire da Dio, o quella a partire dall’uomo”. II significato del “cammino” come compimento di vita è limitato, nel Nuovo Testamento, quasi esclusivamente a Paolo e Giovanni.
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. exp., XII): Chi crede in Me, non crede in Me, ma in colui che mi ha inviato: frase questa che sembra contraddittoria, perché dice: Chi crede in Me, non crede in Me. Per comprenderla bisogna notare, con Agostino, che il Signore disse così per distinguere in se stesso la natura divina dalla natura umana. Poiché oggetto della fede è Dio, noi possiamo credere nell’esistenza di una creatura, però non dobbiamo credere nella creatura, ma solo in Dio. Ora, in Gesù Cristo c’era una natura creata e una natura increata. Quindi la verità della fede esige che la nostra fede tenda a Cristo quanto alla sua natura increata; e per questo egli afferma: Chi crede in Me, ossia nella mia Persona, non crede in Me in quanto uomo, ma in Colui che mi ha inviato, cioè crede in Me in quanto inviato dal Padre. Analogamente sopra [Gv 7,16] aveva detto: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha inviato.