16 LUGLIO 2025
MERCOLEDÌ DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
Es 3,1-6.9-12; Sal 102 (103); Mt 11,25-27
Colletta
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità
perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo - Benedetto XVI (Udienza Generale 7 Dicembre 2011): Poniamoci adesso la domanda: a chi il Figlio vuole rivelare i misteri di Dio? All’inizio dell’Inno Gesù esprime la sua gioia perché la volontà del Padre è quella di tenere nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e rivelarle ai piccoli (cfr Lc 10,21). In questa espressione della sua preghiera, Gesù manifesta la sua comunione con la decisione del Padre che schiude i suoi misteri a chi ha il cuore semplice: la volontà del Figlio è una cosa sola con quella del Padre. La rivelazione divina non avviene secondo la logica terrena, per la quale sono gli uomini colti e potenti che possiedono le conoscenze importanti e le trasmettono alla gente più semplice, ai piccoli. Dio ha usato tutt’altro stile: i destinatari della sua comunicazione sono stati proprio i «piccoli». Questa è la volontà del Padre, e il Figlio la condivide con gioia. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il suo trasalire «Sì, Padre!» esprime la profondità del suo cuore, la sua adesione al beneplacito del Padre, come eco al «Fiat» di sua Madre al momento del suo concepimento e come preludio a quello che egli dirà al Padre durante la sua agonia. Tutta la preghiera di Gesù è in questa amorosa adesione del suo cuore di uomo al “mistero della ... volontà” del Padre (Ef 1,9)» (2603). Da qui deriva l’invocazione che rivolgiamo a Dio nel Padre nostro: «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»: insieme con Cristo e in Cristo, anche noi chiediamo di entrare in sintonia con la volontà del Padre, diventando così anche noi suoi figli. Gesù, pertanto, in questo Inno di giubilo esprime la volontà di coinvolgere nella sua conoscenza filiale di Dio tutti coloro che il Padre vuole renderne partecipi; e coloro che accolgono questo dono sono i «piccoli».
Ma che cosa significa «essere piccoli», semplici? Qual è «la piccolezza» che apre l’uomo all’intimità filiale con Dio e ad accogliere la sua volontà? Quale deve essere l’atteggiamento di fondo della nostra preghiera? Guardiamo al «Discorso della montagna», dove Gesù afferma: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Ed è la purezza del cuore quella che permette di riconoscere il volto di Dio in Gesù Cristo; è avere il cuore semplice come quello dei bambini, senza la presunzione di chi si chiude in se stesso, pensando di non avere bisogno di nessuno, neppure di Dio.
I Lettura: La narrazione della vocazione di Mosè è vergata con elementi caratteristici e costanti in simili racconti biblici. Alla chiamata di Dio il vocato protesta la propria indegnità e le proprie perplessità che vengono superate da un segno e dalla promessa della protezione divina. Il fuoco che brucia senza consumarsi è simbolo fondamentale delle teofanie. Dio rivela a Mosè il suo nome usando il verbo essere che in ebraico è verbo attivo, cioè non indica uno stato, ma un’attività. Dio è Colui che è, colui che opera (Gv 5,17) a differenza degli idoli muti dei pagani che sono nulla: manufatti inerti «che non possono giovare né salvare, perché sono vanità» (1Sam 12,21).
Vangelo
Hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.
Gesù è colui che rivela il Padre, Lui è la pienezza della rivelazione, e questo è possibile per la particolare relazione che intercorre tra il Padre e Gesù, il Figlio unigenito, è possibile per la vita di intimità tra il Padre e il Figlio fin dall’eternità.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,25-27
In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
Parola del Signore.
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno conosce il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... nessuno conosce il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Gesù rivela il Padre - Pierre Ternani: In prossimità dell’era cristiana, Israele conserva piena coscienza che Dio è padre del suo popolo e di ciascuno dei suoi fedeli. L’appellativo di padre, molto raro nelle apocalissi e nei testi di Qumràn, che temono forse l’uso che ne fa l’ellenismo, è frequente negli scritti rabbinici, dove si ritrova persino, tale e quale, la formula «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6,9). Gesù Cristo porta a compimento il meglio della riflessione giudaica sulla paternità di Dio. Come il povero del salmo, per il quale la comunità degli «uomini dal cuore puro», solo vero Israele (Sai 73,1), rappresenta la «generazione dei figli di Dio» (73,15), Gesù pensa ad una comunità (ci fa dire «Padre nostro», e non «Padre mio») composta dei «piccolissimi» (Mt 11,25 par.) ai quali il Padre rivela i suoi segreti, e ciascuno dei quali è personalmente figlio di Dio (Mt 6,4.6.18). Ma egli innova, andando oltre lo stesso universalismo a cui era giunta una corrente del tardo giudaismo. Questa, pur collegando la paternità di Dio alla sua qualità di creatore, non ne traeva ancora la conclusione che Dio fosse padre di tutti gli uomini e che gli uomini fossero tutti fratelli (cfr. Is 64,7; Mal 2, 10). Così pure, se concepiva la pietà divina come estendentesi ad «ogni carne» (Eccli 18,13), generalmente aggiungeva che soltanto i figli di Dio, cioè i giusti di Israele, ne risentono l’effetto completo (Sap 12,19-22; cfr. 2Mac 6,13-16); in concreto, ad essi soli applicava il tema deuteronomico (Deut 8, 5) di una «correzione di Jahve» ispirata dall’amore paterno (Prov 3,11s; cfr. Ebr 12,5-13). Per Gesù, invece, la comunità dei «piccolissimi», ancora limitata di fatto ai soli Giudei pentiti che fanno la volontà del Padre (Mt 21,31ss), comprenderà anche dei pagani (Mt 25, 32 ss), che soppianteranno i «figli del regno» (Mt 8,12). A questo nuovo Israele, che di diritto è già aperto a tutti, il Padre prodiga i beni necessari (Mt 6,26.32; 7,11), anzitutto lo Spirito Santo (cfr. Lv 11,13), e manifesta l’immensità della sua tenerezza misericordiosa (Lc 15,11- 32): non rimane che riconoscere umilmente quest’unica paternità (Mt 23,9), e vivere come figli che pregano il loro Padre (7,7-11), pongono in lui la loro fiducia (6,25-34), si sottomettono a lui imitando il suo amore universale (5,44s), la sua inclinazione a perdonare (18,33; cfr. 6,14s), la sua misericordia (Lc 6,36; cfr. Lev 19,2), la sua stessa perfezione (Mt 5,48). Se questo tema dell’imitazione del Padre non è nuovo (infatti Lc 6, 36 si ritrova in un targum), nuova è l’insistenza sulla sua applicazione al perdono vicendevole ed all’amore dei nemici. Dio non è mai tanto nostro padre come quando ama e perdona, e noi non siamo mai tanto suoi figli come quando agiamo allo stesso modo verso tutti i nostri fratelli.
Il Padre di Gesù: Per mezzo di Gesù, Dio si è rivelalo come Padre di un Figlio unico. Che Dio sia suo Padre in un senso unico, Gesù lo fa comprendere col suo modo di distinguere «il mio Padre» (ad es. Mt 7,21; 11,27 par.; Lc 2,49; 22,29) ed «il vostro Padre» (ad es. Mt 5,45; 6,1; 7,11; Lc 12,32), di presentarsi talvolta come «il Figlio» (Mc 13, 32), il Figlio diletto, cioè unico (Mc 12,6 par.; cfr. 1,11 par.; 9,7 par.), e soprattutto di esprimere la coscienza di un’unione così stretta tra loro, che egli penetra tutti i segreti del Padre e li può, egli solo, rivelare (Mt 11,25 ss). La portata trascendente di queste parole, «Padre» e «Figlio», che (almeno nella formula «Figlio di Dio», evitata del resto da Gesù) non è per sé evidente e non era percepita dai suoi interlocutori (in Lc 4,41 Figlio di Dio equivale a Cristo), è confermata da quella del titolo «figlio dell’uomo» e dalla rivendicazione di un’autorità Che trascende il creato. Lo è pure dalla preghiera di Gesù, che si rivolge al Padre dicendo «Abba» (MC 14, 36), equivalente del nostro «Papà»: familiarità di cui non c’è esempio prima di lui, e che manifesta un’intimità senza pari.
Ti benedico...: Catechismo della Chiesa Cattolica 2603: Gli evangelisti hanno riportato in modo esplicito due preghiere pronunciate da Gesù durante il suo ministero. Ognuna comincia con il rendimento di grazie. Nella prima, Gesù confessa il Padre, lo riconosce e lo benedice perché ha nascosto i misteri del Regno a coloro che si credono dotti e li ha rivelati ai «piccoli» (i poveri delle beatitudini). Il suo trasalire: «Sì, Padre!» esprime la profondità del suo cuore, la sua adesione al «beneplacito» del Padre, come eco al «Fiat» di sua Madre al momento del suo concepimento e come preludio a quello che egli dirà al Padre durante la sua agonia. Tutta la preghiera di Gesù è in questa amorosa adesione del suo cuore di uomo al «mistero della volontà» del Padre.
M. Eckart (Exp. ev. Joh., 550): ... nessuno conosce il Padre se non il Figlio...: tutte le volte che si forma in te un’immagine che non è il Verbo eterno, o qualcosa che non ha rapporto con il Verbo eterno, per quanto buona sia, non è affatto ciò che deve essere. Perciò, è giusto soltanto quell’uomo che ha annullato in sé tutte le cose create e si rivolge, senza voltarsi mai, al Verbo eterno ed in Lui è formato e da Lui riceve il riflesso nella giustizia. Quest’uomo riceve il Figlio stesso. Nessuno conosce il Padre se non il Figlio: perciò, se volete veramente conoscere Dio, dovete non soltanto essere simile al Figlio, ma essere il Figlio stesso.
Il Santo del Giorno - 16 Luglio 2025 - Beata Vergine Maria del Monte Carmelo. Quel dolce manto protettore che vince l’aridità dei cuori: Come lacrime del cielo che fecondano la terra e generano vita, speranza e futuro: la visione di Elia sul monte Carmelo ci parla di un Dio che si prende cura dell’umanità e, come un manto, la protegge dall’arsura provocata dalle asperità e dalla siccità della storia. Siccità spirituale e asperità esistenziali sono esperienza comune, ecco perché la tradizione ha da sempre visto in quella leggera nube recante pioggia e risalente dal mare un segno della dolcezza divina, la stessa da sempre legata anche alla vicenda e all’icona della Vergine, di Maria, la madre di Dio. Di fronte alla nostra sete interiore d’Infinito la devozione alla Madonna del Carmelo è un invito a lasciarci avvolgere dall’amore delicato e ristoratore di Dio. Un messaggio che arriva dal racconto riportato al capitolo 18 del primo Libro dei Re: sul Monte Carmelo il profeta Elia mostra ad Acab la potenza del Signore, contenuta in una piccola nuvola che porta la pioggia e vince l’arsura. Un’immagine potente nella quale la tradizione ha visto l’opera di Maria, il cui ventre ha donato al mondo l’unica fonte in grado di vincere ogni aridità del cuore. Da questo stesso brano è poi nata l’esperienza dei monaci del Carmelo. La Madonna del Carmine, in seguito, apparve il 16 luglio 1251 a Simone Stock, priore generale dell’Ordine carmelitano, promettendo la salvezza a coloro che avrebbero portato lo scapolare consegnato allo stesso religioso, simbolo di protezione e di totale affidamento a Dio. (Matteo Liut)
O Signore, che ci hai nutriti con i tuoi doni,
fa’ che per la celebrazione di questi santi misteri
cresca in noi il frutto della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.