17 Aprile 2024
 
Mercoledì della III Settimana di Pasqua
 
At 8,1b-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 65 (66); Gv 6,35-40
 
Colletta
Assisti, o Padre, la tua famiglia,
e a quanti nella tua bontà hai donato la grazia della fede
concedi di aver parte all’eredità eterna
nella risurrezione del tuo Figlio unigenito.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato: Catechismo della Chiesa Cattolica 606: Il Figlio di Dio disceso dal cielo non per fare la sua volontà ma quella di colui che l’ha mandato, «entrando nel mondo dice: [...] Ecco, io vengo [...] per fare, o Dio, la tua volontà. [...] Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10,5-10). Dal primo istante della sua incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione redentrice il disegno divino di salvezza: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Il sacrificio di Gesù «per i peccati di tutto il mondo» (1Gv 2,2) è l’espressione della sua comunione d’amore con il Padre: «Il Padre mi ama perché io offro la mia vita» (Gv 10,17). «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14,31).
607 Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la vita di Gesù perché la sua passione redentrice è la ragion d’essere della sua incarnazione: «Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,27). «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Gv 8,11). E ancora sulla croce, prima che «tutto [sia] compiuto» (Gv 19,30), egli dice: «Ho sete» (Gv 19,28).
Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna: Catechismo della Chiesa Cattolica 161: Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati «Poiché “senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6) e condividere le condizioni di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non “persevererà in essa sino alla fine” (Mt 10,22; Mt 24,13 )»
 
I Lettura: I Samaritani, popolo disprezzato dai Giudei, accolgono con gioia il Vangelo, si vengono così a frantumare gli angusti confini dell’asfittico nazionalismo giudaico in cui era stata rinchiusa la fede nell’unico e vero Dio. La Parola di Dio prende il largo e Filippo, novello campione di questa evangelizzazione, nel nome di Gesù compie miracoli, guarigioni, liberazione di indemoniati: è una nuova Pentecoste che semina nei cuori degli uomini semi di gioia, di contentezza, di intelligenza del mistero nascosto per secoli e ora rivelato in Cristo.
 
Vangelo
Questa è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna.

Gesù rivela alla folla di essere il Pane della vita e rivela anche la volontà del Padre: Egli vuole che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna. Gli uomini che crederanno in Gesù si salveranno perché nessuna potenza, in cielo, in terra o sottoterra, potrà strapparli dalle sue mani.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,35-40

In quel tempo, disse Gesù alla folla: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete.
Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
 
Parola del Signore.

Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Ci sembra di essere di fronte a un meraviglioso riassunto di quanto finora si è detto su Gesù, Figlio di Dio, Inviato del Padre, Sorgente di vita. Ne abbiamo letti altri due dello stesso tipo (3,16-21 e 3,31-35), ma erano alla terza persona.
Qui invece è Gesù che parla in prima persona del Padre come «Mandante», di sé come «l’Inviato» e degli uomini come «destinatari» dell’opera sua.
L’iniziativa è, come sempre, del Padre, il quale vuole che tutti gli uomini abbiano la vita eterna e siano salvi per mezzo del Figlio suo. Subito però avviene una divisione tra gli uomini: ci sono coloro che «vedono il Figlio, ma non credono in lui» (6,36) e ci sarà nel futuro «chi verrà a lui». I primi sono quelli, tra gli immediati uditori, che si oppongono alla volontà del Padre e non accolgono Gesù; i secondi sono coloro che «lo vedono e credono in lui» (6,40), e lo accolgono come dono del Padre (vedi 3,16). In questi Gesù vede il «dono» che il Padre gli fa.
Anche se può sembrare una parentesi, non perdiamo la sfumatura ecclesiale profonda, soggiacente all’idea di dono.
La comunità che sta con Gesù sa che gli uni sono per gli altri «dono di Dio». Questa è l’opera del Padre che, mediante la fede, ha reso i discepoli capaci di appartenere al Figlio.
E ora osserviamo il Figlio, l’inviato, colui che, come apprendista alla scuola del Padre, si è reso soggetto capace della sua missione. Egli accoglie ogni credente come dono del Padre e con tre significative espressioni caratterizza la sua missione: non lo caccerò fuori, farò sì che non si perda, lo risusciterò nell’ultimo giorno.
I verbi indicano tutti il futuro, e presto capiremo il perché.
Il Figlio, infatti, per essere davvero «Pane per gli altri», deve farsi un «pane donato», e ciò implica il passaggio attraverso la morte, perché per essere «Pane di vita» è necessario che sia, come Figlio dell’uomo, risorto.
La rivelazione del Figlio sta raggiungendo uno dei suoi apici più alti. Non ci meraviglieremo, quindi, se la reazione si fa subito sentire. Gli immediati uditori (e forse anche noi) vorrebbero precisare qualcosa sulla vera identità di Gesù. E Gesù accetta e indica il cammino per entrare nel mistero della sua persona: bisogna essere guidati dal Padre.
 
La gioia cristiana: Benedetto XVI (Omelia, 27 Aprile 2008): La prima Lettura, tratta dal capitolo VIII degli Atti degli Apostoli, narra la missione del diacono Filippo in Samaria. Vorrei attirare immediatamente l’attenzione sulla frase che chiude la prima parte del testo: “E vi fu grande gioia in quella città” (At 8,8). Questa espressione non comunica un’idea, un concetto teologico, ma riferisce un avvenimento circostanziato, qualcosa che ha cambiato la vita delle persone: in una determinata città della Samaria, nel periodo che seguì la prima violenta persecuzione contro la Chiesa a Gerusalemme (cfr. At 8,1), venne ad accadere qualcosa che causò “grande gioia”. Che cosa era dunque successo? Narra l’Autore sacro che, per sfuggire alla persecuzione scoppiata a Gerusalemme contro coloro che si erano convertiti al cristianesimo, tutti i discepoli, tranne gli Apostoli, abbandonarono la Città santa e si dispersero all’intorno. Da questo evento doloroso scaturì, in maniera misteriosa e provvidenziale, un rinnovato impulso alla diffusione del Vangelo. Fra coloro che si erano dispersi c’era anche Filippo, uno dei sette diaconi della Comunità [...]. Or avvenne che gli abitanti della località samaritana, di cui si parla in questo capitolo degli Atti degli Apostoli, accolsero unanimi l’annuncio di Filippo e, grazie alla loro adesione al Vangelo, egli poté guarire molti malati. In quella città della Samaria, in mezzo a una popolazione tradizionalmente disprezzata e quasi scomunicata dai Giudei, risuonò l’annuncio di Cristo che aprì alla gioia il cuore di quanti l’accolsero con fiducia. Ecco perché dunque - sottolinea san Luca - in quella città “vi fu grande gioia”. Cari amici, questa è anche la vostra missione: recare il Vangelo a tutti, perché tutti sperimentino la gioia di Cristo e ci sia gioia in ogni città. Che cosa ci può essere di più bello di questo? Che cosa di più grande, di più entusiasmante, che cooperare a diffondere nel mondo la Parola di vita, che comunicare l’acqua viva dello Spirito Santo?
 
La gioia della, salvezza annunziata agli umili - André Riduard e Marc-François Lacan (Dizionario di Teologia Biblica): La venuta del salvatore crea un clima di gioia che Luca, più degli altri evangelisti ha reso sensibile. Ancor prima che ci si rallegri della sua nascita (Lc 1,14), quando viene Maria, Giovanni Battista sussulta di gioia nel seno della madre (1,41. 44); e la Vergine, che il saluto dell’angelo aveva invitato alla gioia (1,28: gr. chàire = rallégrati), canta con gioia pari all’umiltà il Signore che è divenuto suo figlio per salvare gli umili (1,42.46-55). La nascita di Gesù è una grande gioia per gli angeli che l’annunziano e per il popolo che egli viene a salvare (2,10.13 s: cfr. Mt 1,21); essa pone termine all’attesa dei giusti (Mt 13, 17 par.) che, come Abramo, esultavano già pensandovi (Gv 8,56).
In Gesù Cristo il regno di Dio è già presente (Mc 1,45 par.; Lc 17,21); egli è lo sposo la cui voce colma di gioia il Battista (Gv 3,29) e la cui presenza non permette ai suoi discepoli di digiunare (Lc 5,34 par.). Questi hanno la gioia di sapere che i loro nomi sono scritti in cielo (10,20), perché rientrano nel numero dei poveri ai quali appartiene il regno (6,20 par.), tesoro per il quale si sacrifica tutto con gioia (Mt 13,44); e Gesù ha insegnato loro che la persecuzione, confermando la loro certezza, doveva intensificare la loro letizia (Mt 5,10 ss par.).
I discepoli hanno ragione di rallegrarsi dei miracoli di Gesù che attestano la sua missione ( Lc 19, 37 ss); ma non devono porre la loro gioia nel potere miracoloso che Cristo comunica loro (10,17-20); esso non è che un mezzo destinato non a procurare una vana gioia a uomini come Erode, amanti del meraviglioso (23,8), ma a far lodare Dio dalle anime rette (13,17) e ad attirare i peccatori al salvatore, disponendoli ad accoglierlo con gioia ed a convertirsi (19,6.9). Di questa conversione i discepoli si rallegreranno da veri fratelli (15, 32), come se ne rallegrano in cielo il Padre e gli angeli (15,7.10.24), come se ne rallegra il buon pastore, il cui amore ha salvato le pecore smarrite (15,6; Mt 18,13). Ma per condividere la sua gioia, bisogna amare com’egli ha amato.
 
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. exp VI) … chi viene a Me ... : con i passi della fede e delle opere buone, non sarà da Me respinto fuori; frase da cui si capisce che chi va a Lui, è anche dentro di Lui, nella Sua interiorità ... E vi sono due tipi di interiorità. La prima è profondissima, e consiste nella gioia della Vita eterna ... Di essa è detto nel Vangelo (Mt. 25,21): Entra nella gioia del tuo Signore ... La seconda interiorità è la rettitudine deUa coscienza, che forma la gioia spirituale. Di questa è stato scritto (Sap. 8,16): Rientrato nella mia casa, mi riposerò. E ancora (Ct. 1,3): Mi ha introdotta nelle segrete sue stanze. E da questa intimità alcuni vengono respinti fuori. Perciò le parole del Signore: non sarà da Me respinto fuori, si possono intendere in due modi. Primo, riferendole a coloro che vanno a Lui (i quali non saranno respinti) ... Secondo, nel senso che quanti invece vanno fuori non escono perché scacciati da Cristo, ma tale separazione è dovuta a loro stessi, perché si allontanano dall’intimità della retta coscienza, con l’incredulità e con i peccati. E allora è come se dicesse: Non sono Io a respingerli fuori, ma sono essi che si allontanano da sé.
 
Il Santo del Giorno -  Santo del giorno - 17 Aprile 2024 - Beata Chiara Gambacorti, Religiosa: Originaria del potente casato mercantile dei Gambacorti o Gambacorta, che nel Trecento sono diventati per due volte signori in Pisa; nasce nel 1362 forse a Firenze. È conosciuta con il nome di Tora. Già da bambina viene inclusa nei progetti politici e finanziari del padre, che nel 1374 la dà in sposa a un giovane di famiglia importante, Simone Massa. Ma resta vedova tre anni dopo. Dopo aver incontrato a Pisa nel 1375 Caterina da Siena decide di ritirarsi presso le monache Clarisse. Ma non diventerà una di loro, ostacolata dalla famiglia. Entrerà più tardi nel monastero domenicano di Santa Croce, dove prenderà il nome di suor Chiara. Sarà poi madre abbadessa, e farà della sua comunità domenicana un centro di diffusione del movimento riformatore nell’Ordine. I beni dei Gambacorti le servono per farne anche un centro di accoglienza per ogni sorta di poveri. Un giorno battono alla sua porta la moglie e le figlie dell’uomo che ha ucciso suo padre e i suoi fratelli. Troveranno piena accoglienza. Morirà, acclamata santa, nel 1420. Nel 1830, Pio VIII ne ha confermato il culto come beata. (Avvenire) 
 
O Padre, che in questi sacramenti
ci comunichi la forza del tuo Spirito,
fa’ che impariamo a cercare te sopra ogni cosa,
per portare in noi
l’immagine del Cristo crocifisso e risorto.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 
 
 

 16 Aprile 2024
 
Martedì della III Settimana di Pasqua
 
At 7,51-8,1a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 30 (31); Gv 6,30-35
 
Colletta
O Dio, che apri la porta del regno dei cieli
a coloro che sono rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, 
accresci nei tuoi fedeli la grazia del Battesimo,
perché liberati da ogni peccato
possano ereditare i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Io sono il pane della vita - Papa Francesco (Angelus, 22 Giugno 2014): Il Vangelo di Giovanni presenta il discorso sul “pane di vita”, tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, nel quale afferma: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Gesù sottolinea che non è venuto in questo mondo per dare qualcosa, ma per dare sé stesso, la sua vita, come nutrimento per quanti hanno fede in Lui. Questa nostra comunione con il Signore impegna noi, suoi discepoli, ad imitarlo, facendo della nostra esistenza, con i nostri atteggiamenti, un pane spezzato per gli altri, come il Maestro ha spezzato il pane che è realmente la sua carne. Per noi, invece, sono i comportamenti generosi verso il prossimo che dimostrano l’atteggiamento di spezzare la vita per gli altri [...]. Gesù, Pane di vita eterna, è disceso dal cielo e si è fatto carne grazie alla fede di Maria Santissima. Dopo averlo portato in sé con ineffabile amore, Ella lo ha seguito fedelmente fino alla croce e alla risurrezione. Chiediamo alla Madonna di aiutarci a riscoprire la bellezza dell’Eucaristia, a farne il centro della nostra vita, specialmente nella Messa domenicale e nell’adorazione.
 
I Lettura: Il popolo, gli anziani e gli scribi sono furibondi in cuor loro e digrignano i denti contro Stefano. Non potendo controbattere alle sue parole, come belve assetate di sangue, lo trascinano fuori dalla città e lo lapidano, e così “invece di un regolare giudizio da parte del sinedrio si assiste a un linciaggio popolare. Forse è la realtà storica, che Luca avrà presentato come un processo regolare, per rendere la morte del primo martire simile a quella di Gesù” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo.
 
Come la sapienza (Pr 9,1s), Gesù invita gli uomini a convito. Per l’evangelista Giovanni, “Gesù è la sapienza di Dio che la rivelazione biblica tendeva a personificare [cfr. Gv 1,1+]. Tale convinzione poggia sull’insegnamento del Cristo, che emerge già nei sinottici [Mt 11,19; Lc 11,31p), ma qui è molto più accentuato: la sua origine è misteriosa [Gv 7,27-29; 8,14.19; cfr. Gb 28,20-28]; lui solo conosce i misteri di Dio e li rivela agli uomini [Gv 3,11-12.31-32; cfr. Mt 11,25-27p; Sap 9,13-18; Bar 3,29-38]; egli è pane vivo che sazia la fame [Gv 6,35; cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22: Mt 4,4p; cfr. Dt 8,3]” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,30-35
 
In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
 
Parola del Signore.
 
Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Chi è Gesù perché possano credere in lui? Per i giudei non basta la moltiplicazione dei pani, ed è poca cosa che in un convito nuziale abbia mutato l’acqua in vino, per credere in lui ora vogliono qualcosa di più. Se vuole accreditarsi come Messia rinnovi i prodigi dell’esodo.
Come Mosè, Gesù dia al popolo da mangiare un pane dal cielo. Questo è il segno tangibile che i giudei chiedono, perché vedano e possano credere in lui.
«La risposta di Gesù è tagliente: la loro fede [dei giudei] è illusoria.
Soltanto suo Padre dà il vero pane del cielo. La manna è cosa del passato; il pane di Dio è presente, una comunicazione permanente di vita che egli dona al  mondo. Questo pane scende dal cielo, come la manna pioveva dall’alto, ma senza cessare; e non si limita a dar vita a un popolo, ma all’umanità intera. Dato che è Gesù a dare questo pane [Gv 6,27], si afferma qui la comunicazione continua della vita di Dio all’uomo attraverso Gesù» (J. Mateos - J. Barreto).
Gesù sottolinea che il datore del pane del cielo è Dio e non Mosé e chiamandolo Padre mio si prepara ad identificarsi con il pane di Dio. A queste parole, i giudei mostrano allegrezza, felici di aver trovato un tesoro senza la necessità di lavorare, e così chiedono di ricevere il pane del cielo. Poiché hanno omesso la condizione posta dal giovane Rabbi, e siccome Gesù non accetta le scorciatoie, ribadisce che soltanto lui è il pane della vita e per riceverlo bisogna credere in lui. Questa è l’unica condizione posta dal Padre e dal Figlio perché l’uomo non abbia più a soffrire la fame e la sete. La risposta di Gesù si oppone nettamente a quanto dice di se stessa la Sapienza: «Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete» (Sir 24,21). Solo Gesù, pane della vita, può soddisfare pienamente l’uomo, nell’anima e nel corpo: risuscitandolo certamente dalla morte e aprendolo alla contemplazione della luce della Trinità.
 
Il pane - Fr. Merkel (Pane in Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento): Il pane era il genere alimentare più importante di Israele, in origine fatto di un impasto di orzo, leguminacei acidi, lenticchie e altri ingredienti e quindi messi al forno: la Palestina era un paese povero. In seguito andò sempre diffondendosi il pane di frumento, che però soltanto lo strato più benestante poteva permettersi, mentre il pane d’orzo rimaneva il cibo, sovente quasi unico, dei poveri [...]. In caso di una visita inaspettata (Gn 19,3) o durante il raccolto (Rt 2,14) si mangiava pane fatto di pasta non lievitata o più semplicemente chicchi di frumento tostati, questo tipo di cibo veniva portato dietro, come vivanda quasi indeperibile, quando capitava di doversi mettersi in viaggio all’improvviso (1Sam 17,17 e altrove), come avvenne partendo dall’Egitto (Es 12,8-11.34-39).
La festa del pane non lievitato (festa degli azzimi) viene ricondotta secondo Es 12,14-20; 13,3ss, a questa imprevista partenza; nella sua celebrazione viene riattualizzata ogni anno la liberazione dall’Egitto ad opera di Dio.
Nel culto israelitico la farina o il pane venivano usati come offerta nel sacrificio alimentare (di origine preisraelitica: Lv 2). Anche in questo caso si offriva soltanto pane non lievitato. Si narra anche di dodici «pani dell’offerta» che si trovavamo su un tavolo speciale, nel santuario di Israele (Es 25,30; 1Cr 28,16). Si trattava di focacce di pane non lievitato che venivano deposte come offerta al cospetto di Jahvé [...].
Poiché al tempo e nell’ambiente storico del Nuovo Testamento il pane rap­presentava l’alimento fondamentale, pane, oltre al suo signi­ficato specifico in senso stretto, può indicare anche alimento e sostenta­mento in generale (del resto anche noi diciamo «pane e lavoro», «guada­gnare il pane» ecc.). Così il figlio prodigo si ricorda in terra straniera che gli operai giornalieri alle dipendenze di suo padre hanno pane in abbon­danza (e cioè abbastanza di che vivere) (Lc 15,17). Perciò «mangiare il pane» ha il significato generale di «prendere un pasto» (Is 65,25); «spez­zare il proprio pane» per chi è affamato significa dargli da mangiare e assisterlo (Is 58,7.10). Se uno non mangia «gratuitamente il pane di alcuno», vuol dire che non vive alle spalle degli altri, ma del proprio lavoro (2Ts 3,8). Chi si astiene dal pane e dal vino è un asceta che digiuna (Lc 7,33); la quarta richiesta della preghiera del Signore (Mt 6,11) si riferisce a tutto ciò che riguarda il nutrimento del corpo e i bisogni primari. Con l’espressione «mangiare il pane nel regno di Dio» (Lc 14,15) si intende la parte­cipazione al banchetto festivo nel regno celeste. La parola di Gesù «non di solo pane vive l’uomo» (citazione di Dt 8,3) si riferisce ai beni materiali nel senso più ampio, ai quali è contrapposta la forza vivificatrice della parola di Dio (Mt 4,4).
La storia del miracolo con il quale Gesù, con un po’ di pane e un paio di pesci, sfamò una folla di 5.000 (Mt 14,13-21 par.) o di 4.000 persone (Mt 15,32-39 par.), viene attestata - con poche varianti della tradizio­ne - complessivamente sei volte. Essa dimostra che Gesù, come signore messianico, distribuisce il vero pane della vita. Nella composizione del van­gelo di Giovanni, al racconto del miracolo dei pani e del cammino sul lago (Gv 6,1-26) segue il discorso di rivelazione di Gesù: Gesù è il pane della vita. Dietro l’idea di «pane della vita» sta l’antica e universale aspirazione a un cibo che comunichi una vita che non viene meno. In questo senso va intesa anche la richiesta: «Signore, dacci sempre questo pane» (Gv 6,34). E Gesù risponde che è lui quello che i discepoli desiderano. Chi vuole partecipare a questa vita eterna deve sapere che Gesù è il pane e egli lo darà a quanti vengono a lui. Con questo egli si contrappone a tutti coloro che pretendono di essere essi stessi o di poter dare il pane della vita. Esiste una sola possibilità per dare la vita al mondo: «Il pane di Dio è il Rivelatore, che viene dal cielo e dà la vita al mondo» (R. Bultmann). Trova così risposta il problema sul senso e lo scopo della vita.
 
Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): «Signore, dacci sempre di questo pane». I Giudei non hanno ancora capito e continuano a pensare ad un pane sul tipo della manna. Vorrebbero, in altre parole, che il miracolo della moltiplicazione dei pani si ripetesse di continuo, diventando un loro privilegio stabile e duraturo.
Gesù allora dichiara senza ambagi: «Io sono il pane di vita».
Ancora una volta risuona quel maestoso: «Io sono».
Cristo non si limita a dare, ma è; e quando si dà, dà il pane vero. La comunione di vita con lui produce la vera vita, poiché egli è il Vivente. Chi è unito a lui nella fede, vive nel vero senso della parola ed in un modo tale che non ha più fame né sete, poiché possiede un cibo ed una bevanda prodigiosi.
In questa prima parte il cibo e la bevanda sono solo un’immagine della fede, mentre nella seconda parte del discorso questi due termini acquisteranno un significato molto più profondo. Allora si tratterà di mangiare la carne e bere il sangue di Cristo.
La comunione di vita con Gesù operata dalla fede suscita una vita, che ignora per sempre la morte, poiché la volontà del Padre, che lo ha mandato, esige proprio che egli non lasci andare perduto niente di quanto il Padre gli ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Perciò chi vede il Figlio dell’uomo e vive in lui per mezzo della fede, vivrà in eterno, perché il Risorto fa risorgere anche lui. La fede rende commensali di Gesù il che equivale ad essere uniti a lui per la vita, non in modo transitorio, ma perenne.
 
Baldovino di Ford (De sacram. altar., 2, 3): Per coloro che credono in lui, Cristo è cibo e bevanda, pane e vino. Pane che fortifica e rinvigorisce, del quale Pietro dice: “Il Dio di ogni grazia, che ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, ci ristabilirà lui stesso dopo breve sofferenza, ci rafforzerà e ci renderà saldi” (1Pt 5,10). Bevanda e vino che allieta; è ad esso che si richiama il Profeta in questi termini: “Allieta l’anima del tuo servo; verso di te, infatti, o Signore, ho innalzato la mia anima” (Sal 85,4).
Tutto ciò che in noi è forte, robusto e solido, gioioso e allegro, per adempiere i comandamenti di Dio, sopportare la sofferenza, eseguire l’obbedienza, difendere la giustizia, tutto questo è forza di quel pane o gioia di quel vino. Beati coloro che agiscono fortemente e gioiosamente!
E siccome nessuno può farlo di suo, beati coloro che desiderano avidamente di praticare ciò che è giusto e onesto, ed essere in ogni cosa fortificati e allietati da Colui che ha detto: “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). Se Cristo è il pane e la bevanda che assicurano fin da ora la forza e la gioia dei giusti, quanto di più egli lo sarà in cielo, quando si donerà ai giusti senza misura
 
Il Santo del Giorno: 16 Aprile 2024 - Santa Bernadetta Soubirous: Quando, l’11 febbraio del 1858, la Vergine apparve per la prima volta a Bernadette presso la rupe di Massabielle, sui Pirenei francesi, questa aveva compiuto 14 anni da poco più di un mese. Era nata, infatti, il 7 gennaio 1844. A lei, povera e analfabeta, ma dedita con il cuore al Rosario, appare più volte la «Signora». Nell’apparizione del 25 marzo 1858, la Signora rivela il suo nome: «Io sono l’Immacolata Concezione». Quattro anni prima, Papa Pio IX aveva dichiarato l’Immacolata Concezione di Maria un dogma, ma questo Bernadette non poteva saperlo. La lettera pastorale firmata nel 1862 dal vescovo di Tarbes, dopo un’accurata inchiesta, consacrava per sempre Lourdes alla sua vocazione di santuario mariano internazionale. La sera del 7 Luglio 1866, Bernadette Soubirous decide di rifugiarsi dalla fama a Saint-Gildard, casa madre della Congregazione delle Suore della Carità di Nevers. Ci rimarrà 13 anni. Costretta a letto da asma, tubercolosi, tumore osseo al ginocchio, all’età di 35 anni, Bernadette si spegne il 16 aprile 1879, mercoledì di Pasqua. (Avvenire)
 
Nella tua misericordia, o Padre,
donaci la grazia di adorare con fede viva,
in questi santi misteri, il Signore Gesù,
nel cui nome hai voluto che ogni ginocchio si pieghi
e ogni uomo trovi la salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 15 Aprile 2024
 
Lunedì della III Settimana di Pasqua
 
At 6,8-15; Salmo Responsoriale Dal Salmo  118 (119); Gv 6,22-29
 
Colletta
Dio onnipotente,
fa’ che, spogliati dell’uomo vecchio con le sue passioni ingannevoli,
viviamo come veri discepoli di Cristo,
al quale ci hai resi conformi con i sacramenti pasquali.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
… su di lui il Padre ha messo sigillo: Catechismo della Chiesa Cattolica 698: Il sigillo è un simbolo vicino a quello dell’unzione. Infatti su Cristo «Dio ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27), e in lui il Padre segna anche noi con il suo sigillo. Poiché indica l’effetto indelebile dell’unzione dello Spirito Santo nei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine, l’immagine del sigillo (“sphragis”), è stata utilizzata in certe tradizioni teologiche per esprimere il «carattere» indelebile impresso da questi tre sacramenti che non possono essere ripetuti.
 
I Lettura: Pur di abbattere il nemico spesso si usano anche mezzi disonesti, come quello di avvalersi di falsi testimoni. Così per Gesù, così per Stefano, che sarà venerato dalla Chiesa come protomartire. Il volto di Stefano si mostra luminoso come quello di un angelo. Questo particolare ricorda il volto trasfigurato di Gesù e la luminosità del volto di Mosè, che discendendo dal monte, rifletteva lo splendore della gloria di Dio. I membri del sinedrio assistono a una trasfigurazione di Stefano, che vede la gloria di Dio (At 7,55-56).
 
Vangelo
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.
 
Alla folla, affamata di pane e di «segni» analoghi a quello della manna (6,30-31), Gesù ha manifestato il suo potere divino con la moltiplicazione dei pani (6,1-15), ai discepoli camminando sul mare (6,16-21), ora, con il discorso del pane della vita, rivela la sua identità (6,22-59). Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a darsi da fare a credere in Lui, pane vero disceso del cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (Cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Gesù, Sapienza increata, invita la folla a porsi alla sua sequela: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Solo Gesù può dare un cibo e una bevanda veramente capaci di donare la vita eterna, in quanto superano la fragilità temporale e creaturale.
 
Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,22-29
 
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Parola del Signore.

La folla sazia del pane miracoloso (Cf. Gv 6,1ss), affascinata dalla parola del Maestro (Cf. Lc 19,48), conquistata dalla dolcezza di Gesù (Cf. Mt 11,28-30), si mette alla ricerca del giovane Rabbi. Un entusiasmo non gradito, così invece di accoglienza trova un rimprovero: «Gesù rimprovera al popolo, che lo cerca, la incomprensione del miracolo come segno in cui leggere mediante la fede la rivelazione della sua persona. La loro comprensione è ancora solo naturale, materiale» (Giuseppe Segalla).
Al rimprovero segue una esortazione: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna. Queste parole allargano gli angusti spazi spirituali del giudaismo: il pane, alimento che perisce, dà soltanto una vita che muore, il pane che il Figlio dell’uomo darà agli uomini spalanca le porte dell’eternità. L’eternità insegnata da Cristo era certamente una categoria religiosa assai lontana dalla teologia dei sadducei e dei farisei, anche se quest’ultimi, a differenza dei primi, credevano nella risurrezione.
Il Figlio dell’uomo darà questo pane perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Forse è un riferimento al Battesimo ricevuto da Giovanni nel fiume Giordano: potrebbe riferirsi alla voce del Padre che rivela al mondo Gesù come Figlio suo prediletto (Cf. Mt 3,17), oppure allo Spirito Santo disceso su di lui appena battezzato (Cf. Mt 3,16; Rom 4,11), potenza di Dio per effettuare i «segni» (Cf. Mt 12,28; At 10,38; Ef 1,13.30; 2Cor 1,22).
 
Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? I giudei ammettono la loro ignoranza: comprendono la necessità di lavorare per avere il pane terreno, comprendono che devono darsi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna, ma non conoscono le condizioni che Dio pone per concederlo. Qui gioca molto la loro mentalità legalista, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni e credono di poterlo pagare osservando qualche regola o precetto. Praticamente, una sorta di baratto, così come erano avvezzi a credere e a insegnare a motivo di una imperfetta educazione religiosa. La correzione non tarda ad arrivare. L’amore di Dio e i suoi doni sono gratuiti. L’opera che Gesù vuole è unica: credere in lui.
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna -  L’uomo ha sempre temuto la morte, e così tutti «i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo; il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore» (GS 18). Di fronte alla morte, solo la Chiesa può dare una risposta alle ansietà dell’uomo circa la sua sorte futura: infatti, «la Chiesa... istruita dalla rivelazione, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene» (GS 18). E per raggiungere questo fine di felicità, la Chiesa addita, come mezzo eccellente, l’Eucarestia, «medicina di immortalità, antidoto contro la morte, alimento dell’eterna vita in Gesù Cristo» (Sant’Ignazio di Antiochia).
Non si può dire che si tratti di una pura metafora. Il suo significato pieno e autentico è fondato nel Vangelo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Si può affermare, come suggerisce padre Raniero Cantalamessa, che l’Eucaristia «permette di assaporare le primizie della vita eterna e per questo è la fonte in cui si rinnovano costantemente “la speranza e la gioia” del cristiano».
 
Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo - Henri van den Bussche (Giovanni)Nell’Antico Testamento il sigillo ha spesso un significato escatologico. I servi di lahvé sono segnati per essere risparmiati nella catastrofe finale (Ez 9,4-6; cfr. Ap 7,2-8; 9,14; Salmi di Salomone 15,6-9). Il libro che contiene i segreti del tempo escatologico è sigillato fino all’inizio di questo tempo (Dn. 12, 4-9; Ap. 5-6). Quando nel battesimo il cristiano è «segnato» dallo Spirito diventa, certo, mediante lo Spirito, possesso definitivo di Dio, ma soprattutto è destinato, messo da parte per il trionfo escatologico. Lo Spirito è il garante (2 Co. 1,22; Ef. l,13) del giorno che vedrà la liberazione escatologica (Ef. 4, 30). Quando Dio mette su Gesù il suo sigillo, Gesù diventa Figlio dell’Uomo ed è investito di una funzione escatologica. Non sono le opere che segnano Gesù, perché il sigillo è precedente ad esse (il verbo è all’aoristo), è contemporaneo alla missione. Le opere di Gesù rivelano questo sigillo, questo potere escatologico. In virtù del sigillo che conferma la sua missione di Figlio dell’Uomo, Gesù può compiere le opere. Il sigillo è parallelo e ha lo stesso valore della santificazione in Gv. 10,36, che è trasmissione di potere divino.
Questa legittimazione di Gesù come Figlio dell’Uomo è un passo verso la rivelazione del Figlio. Perché il potere concesso al Figlio dell’Uomo è tale da parte di Dio, che è precisamente il Padre di Gesù. Il procedimento giovanneo che orienta la rivelazione del Figlio dell’Uomo verso la rivelazione del Figlio qui è appena abbozzato. ma sarà ripreso con insistenza nelle sezioni seguenti.
 
Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? - Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù ha messo a confronto due cibi: uno che perisce, uno che è sorgente di vita eterna. E la gente, sentendo che bisogna «darsi da fare» per ottenerlo, subito pensa alle molte opere che la Legge prescriveva per avere la vita (Dt 30,15-16). La domanda che fanno a Gesù sembra ovvia: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere che Dio esige da noi?» (6,28). Com’è difficile buttare giù una mentalità legalista, una concezione della vita che impedisce all’uomo di aprirsi al «dono»! Ebbene, Gesù tenta di farlo e indica la condizione per entrare nel definitivo disegno salvi fico di Dio. L’opera che Dio, oggi, esige è una sola: credere in colui che egli ha mandato (6,29). La gente capisce che Gesù sta parlando di sé e che non è possibile compiere l’opera di Dio e avere il nutrimento di vita eterna senza una totale adesione a lui per qualcosa che non può dare ora, ma che darà più tardi, quale Figlio dell’uomo (6,27). Per ora debbono credere che la darà e i segni miracolosi da lui compiuti sono più che sufficienti per dire che Dio Padre ha messo su di lui il suo sigillo (6,27).
 
Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Secondo i maestri della legge mosaica, le oere che erano gradite a dio e che ottenevano all’uomo la salvezza erano le preghiere e i digiuni, le elemosine e le decime, i riti e le purificazioni. Ma Cristo corregge la prospettiva e chiarisce che l’opera di Dio, il «lavoro» che gli è gradito, più che perdersi in prescrizioni legaliste, è accettare il suo inviato, credere nella persona di Gesù, il messia, sul quale il Padre ha messo il sigillo della divinità. Effettivamente, solo attraverso la fede, dono di Dio, Cristo può essere riconosciuto come suo Figlio e messia.
Dalle parole di Gesù si desume che la fede è grazia e dono di Dio e, allo tesso tempo, compito e risposta libera dell’uomo all’iniziativa e alla gratuità amorosa del Signore. Così lavoreremo per il cibo che dura per la vita eterna, come disse ripetutamente Cristo: non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Soprattutto, cercate il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in sovrappiù.
Tra gli affanni e le preoccupazioni di ogni giorno, fermiamoci un momento: che cosa cerchiamo e a che cosa mirano la nostra vita e il nostro lavoro? Fa male vedere che non c’è differenza tra molti cristiani e altri che si dicono non credenti. Immergiamoci nel compito essenziale della sequela di Cristo, avidi del suo pane che sazia definitivamente la nostra fame di giustizia e di pace, di speranza e d’amore, di silenzio e di contemplazione, di convivenza e di fratellanza, d’equilibrio e di maturità.
 
Non siamo nati per vivere in eterno quaggiù: “Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui? Abramo, Mosè, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo - il vaso d’elezione - e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo? E pensare che probabilmente, proprio affinché il male non riuscisse a forviare la sua ragione, è stato portato via! La sua anima, infatti, era gradita a Dio; per questo s’è affrettato a toglierla di mezzo all’iniquità [Sap 4,11.14] in modo che durante il lungo viaggio della vita non si smarrisse in sentieri traversi. Piangiamoli, sì, i morti; ma solo quelli che piombano nella geenna, quelli divorati dall’inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno! Ma se noi, quando lasciamo questa vita, siamo accompagnati da una schiera di angeli, se Cristo ci viene incontro, rattristiamoci piuttosto se ha da prolungarsi la nostra permanenza in questa residenza sepolcrale. E poiché, effettivamente, per il tempo che qui ci attardiamo, siamo come degli esiliati che camminano lontani dal Signore, il desiderio, l’unico, che ci deve trascinare, è questo: Me infelice! Il mio esilio si prolunga; abito tra i cittadini di Cedar, e da troppo tempo l’anima mia è in esilio [Sal 119,5-6]. Ora, se dire «Cedar» è dire «tenebre», se questo mondo è tenebre - nelle tenebre, infatti, la luce risplende, ma le tenebre non l’accolsero [Gv 1,5] - rallegriamoci con la nostra Blesilla che è passata dalle tenebre alla luce, e mentre ancora era lanciata nella fede appena accolta, ha ricevuto la corona di un’opera compiuta” (Girolamo, Le Lettere, I, 39,3 [a Paola]).
 
Il Santo del giorno - 15 Aprile 2024 - San Damiano De Veuster: Nasce il 3 gennaio 1840. A 19 anni entra nella Congregazione dei Sacri Cuori. Visse per sedici anni a a Molokai per assistere i lebbrosi e nel 1889 contrasse la lebbra. Muore dopo un mese e solo nel 1936 il suo corpo verrà riportato in Belgio. Giovanni Paolo II lo beatificò a Bruxelles nel 1995, mentre Benedetto XVI lo ha canonizzato in Piazza San Pietro l’11 ottobre 2009: “Per seguire Cristo, il Padre Damiano non ha solo lasciato la sua patria, ma ha anche messo in gioco la sua salute: perciò egli - come dice la parola di Gesù che ci è stata annunciata nel Vangelo di oggi - ha ricevuto la vita eterna [cfr. Mc 10, 30] ... Dinanzi a questa nobile figura ricordiamo che è la carità che fa l’unità: la genera e la rende desiderabile. Seguendo san Paolo, san Damiano ci porta a scegliere le buone battaglie [cfr. 1 Tm 1,18], non quelle che portano alla divisione, ma quelle che riuniscono. Ci invita ad aprire gli occhi sulle lebbre che sfigurano l’umanità dei nostri fratelli e chiedono, ancora oggi, più che la nostra generosità, la carità della nostra presenza di servitori”.
 
Guida con bontà, o Signore,
la tua Chiesa che hai nutrito a questa santa mensa
perché, condotta dalla tua mano potente,
cresca nella perfetta libertà
e custodisca l’integrità della fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
 14 Aprile 2024
 
III Domenica d Pasqua
 
At 3,13-15.17-19; Salmo Responsoriale dal Salmo 4; 1Gv 2,1-5a;

Colletta
O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio
hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, 
apri i nostri cuori all’intelligenza delle Scritture,
perché diventiamo i testimoni dell’umanità nuova, 
pacificata nel tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Voi avete rinnegato il Santo - Catechismo della Chiesa Cattolica 438 La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. «È, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione». La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» ( At 10,38 ) «perché egli fosse fatto conoscere a Israele» (Gv 1,31 ) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come «il Santo di Dio» ( Mc 1,24; Gv 6,69; At 3,14).
 
Prima Lettura: Dal sermone di Pietro si evince che già i cristiani della prima ora riconoscevano in Gesù il misterioso «servo» di Is 52,13-53,12 citato parzialmente in At 8,32-33.  L’annuncio pasquale è molto asciutto: bisogna convertirsi a Gesù che è il capo che guida i suoi discepoli alla vita, comunicando loro quella vita che gli appartiene. L’appello alla conversione è rivolto ai pagani e ai giudei: i primi debbono ritornare al vero Dio, abbandonando gli idoli;  invece, i Giudei debbono convertirsi al Signore, riconoscendo Gesù come Signore.
 
Seconda Lettura: Le parole di Giovanni hanno il sapore della fiducia: i credenti che hanno peccato possono sempre appellarsi alla misericordia di Gesù, redentore e salvatore di tutti gli uomini, certi di ottenere il perdono. Parole che sembrano ricordare san Paolo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rom 5,6-10). Da questo sappiamo d’averlo conosciuto, per la Bibbia di Gerusalemme «questa conoscenza [Os 2,22] è la fede [Gv 3,12], che impegna tutto il modo di agire [1Gv 3,23; 5,1], così che esso diventa il criterio che fa riconoscere la vita nel Cristo [1Gv 3,10; 4,13; 5,2]».
 
Vangelo
Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno.
 
L’intelligenza delle Scritture è un dono perfetto che viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Cf. Gc 1,17): il credente, solo dopo aver incontrato Gesù risorto, può aprirsi alla conoscenza della Parola di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,35-48

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Parola del Signore.
 
Gesù in persona apparve in mezzo a loro - L’evangelista Luca non vuole nascondere o minimizzare l’atteggiamento umano dei discepoli di fronte a Gesù risorto. Increduli, stupiti, spaventati (il testo greco ha atterriti), «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24,16).
Gli «Undici e quelli che erano con loro» trovano difficoltà nel credere alla risurrezione. Pensano di vedere un fantasma (spirito, pnèuma, nel testo greco). Credono di vedere «una persona defunta rievocata dalla loro fantasia allucinata e considerata come reale. Un’immagine illusoria, priva di corrispondenza con la realtà dei fatti» (Zingarelli).
Gesù incalza i discepoli e, dopo aver donato loro la pace, per dissipare le loro difficoltà li invita a guardare le sue mani e i suoi piedi che portano impresse le ferite dei chiodi e a toccare il suo corpo.
Questi verbi - guardare, toccare - ritornano spesso quando i discepoli devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù. Per esempio, san Giovanni nella sua prima lettera: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi - quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1ss).
L’incredulità si trasforma immediatamente in   grande gioia: l’esperienza fisica - vedere, toccare, udire - sfocia nella fede perché la fede è incontro con una Persona. E il Cristo risorto è una Persona, non è l’elucubrazione mentale di visionari o invenzione fantastica di menti malate. Gesù risorto non è un fantasma! È vivo! Palpatemi, toccatemi, «sono proprio io!».
 E indubbiamente il racconto lucano ha anche uno scopo didattico. Per dei cristiani «che vivevano in ambiente greco, dove le diverse filosofie insegnavano che l’anima vive separata dal corpo, dopo la morte, era importante affermare che Cristo risorto non era uno “spirito” immortale senza corpo [...], perciò san Luca vuole prima di tutto dire ai suoi lettori che Gesù è veramente risorto perché adesso vive di nuovo con il suo corpo, quel corpo che era stato dato alla morte sulla croce» (S. Cipriani).
Ma poiché per la grande gioia ancora non credono, Gesù, per vincere ogni resistenza li invita a mangiare con lui. Chiede qualcosa da mangiare a compròva che lui è una Persona viva e vera. Anche il verbo mangiare torna spesso nella memoria degli Apostoli quando devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù (Cf. Atti 1,3-4; 10,41).
Il corpo del Risorto è impassibile e di conseguenza non ha più bisogno di nutrirsi, ma il Signore Gesù ricorre a questo espediente per confermare i discepoli nella verità della sua risurrezione.
Ma si trattò di un vero pasto? Al dire di san Tommaso d’Aquino ci sono «dei pasti che sono veri solo come verità figurata: per esempio il mangiare degli Angeli... Ora il mangiare di Cristo dopo la Risurrezione fu vero... tuttavia non c’erano gli effetti conseguenti alla masticazione, perché il cibo non era assimilato da chi ne mangiava, avendo un corpo glorificato e incorruttibile» (In Jo. ev., 122,8).
Se il mangiare è un’azione frequente nelle apparizioni pasquali, questi pasti del Risorto con i discepoli hanno anche una dimensione liturgico-eucaristica: l’Eucaristia è stare a mensa con il Signore risorto. Quindi, san Luca, con mirabili pennellate, vuole dipingere la vita della Chiesa dopo la risurrezione del suo Fondatore: Gesù Cristo mangia e conversa con i suoi discepoli, apre loro l’intelligenza alle Scritture, li istruisce e li dispone a ricevere lo Spirito Santo, la promessa del Padre.
Gesù, fugato ogni dubbio, istruisce i discepoli intorno alla sua missione terrena, una missione di salvezza da sempre pensata dal Padre: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me... Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti».
La necessità della morte orrenda di Gesù sulla croce rivela quindi l’amore infinito del Padre e del Figlio. Quest’ultimo si è offerto volontariamente alla morte di croce per amore e non perché costretto da condizioni esterne alla sua volontà. Non erano stati gli uomini a determinare la fine atroce del Verbo umanato, come erano stati tentati di credere gli stessi discepoli. Il fallimento umano della vicenda umana del Cristo in verità rientrava nel piano di salvezza di Dio: al di sopra degli uomini e per mezzo degli uomini, anche degli stessi aguzzini che avevano crocifisso il Figlio, il Padre ha realizzato il suo disegno di amore, «creando in tal modo le condizioni nelle quali Cristo avrebbe espresso il massimo della sua capacità di “amare” e di “obbedire” [...]. Il “segno supremo” dell’amore è la sua morte di croce che egli già “sa” da sempre [...]. Proprio perché Cristo “conosce” la volontà del Padre, il suo donarsi alla morte è un gesto di generosità e di “obbedienza”. Egli vive e muore non per sé, ma “per gli altri”» (S. Cipriani).
Ora, pieni di luce e ricolmi di verità, i discepoli possono accogliere le ultime istruzioni del Risorto: nel suo nome devono andare in tutto il mondo a predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme, che rimane così al centro della storia e della salvezza e di lì diffondersi progressivamente sino agli estremi confini della terra.
 
Apparizioni di Gesù a testimoni ufficiali -  Giuseppe Tosatto: Sono narrazioni che, nonostante le differenze, manifestano evidenti somiglianze di struttura.
Costituiscono come una esplicitazione della proclamazione primitiva, che intendono giustificare ed approfondire nel suo oggetto essenziale; per questo in esse gli intenti biografico-aneddotici passano in seconda linea per lasciar posto alle preoccupazioni kerygmatiche. Dal lato letterario troviamo in tutti uno schema pressoché identico, in cui diversi elementi vengono ripetuti in maniera stereotipa: 1) la situazione dei discepoli (nel Cenacolo, sul monte, ecc.); 2) l’apparizione ed il saluto; 3) il dubbio-timore degli apostoli, seguito dal riconoscimento del maestro; 4) la missione di Gesù agli apostoli, accompagnata da una promessa.
Dal punto di vista teologico queste apparizioni convergono su un interesse fondamentale: la realtà del risorto e la missione degli apostoli. Dal lato storico invece va notata la corrispondenza con l’elemento centrale del kerygma apostolico: il fatto della risurrezione e le apparizioni del Risorto testimoniate dagli apostoli.
Risulta quindi chiara l’importanza di questi racconti, confermata dall’organizzazione che gli evangelisti danno al ciclo della risurrezione: al primo posto pongono cronologicamente l’esperienza del sepolcro vuoto; poi ven­gono le apparizioni a gruppi particolari unitamente all’episodio delle angelologie al sepolcro (apparizioni alle donne ed alla Maddalena) oppure con le apparizioni ai discepoli (ad es. il fatto di Emmaus); infine abbiamo le cosiddette apparizioni ufficiali, ove non è tanto l’ordine cronologico che viene seguito, quanto piuttosto l’intento teologico di presentare il fatto pasquale come a coronamento delle manifestazioni di Cristo, in quanto inaugurano il mistero della chiesa mediante l’invio in missione ed il dono dello Spirito.
Appartengono a questa serie di racconti:
1) l’apparizione di Gesù presso il lago di Tiberiade (Gv. 21,1-23): raccoglie ricordi vari che un discepolo di Giovanni ha letterariamente strutturato e posto a conclusione del quarto vangelo;
2) il mandato di Cristo risorto agli apostoli (Mt. 28,16-20): narrazione molto schematica, spoglia di qualsiasi elemento aneddotico;
3) l’apparizione al gruppo apostolico (Mc. 16,14-18): brano comunemente attribuito a Marco, ma che risale alla tradizione primitiva; questo racconto è tra i più storicamente fondati, a motivo del suo aggancio alla tradizione pre-evangelica e all’accordo «sostanziale» con gli altri vangeli;
4) l’apparizione nel cenacolo (Lc. 24,36-49): troviamo qui una presen­tazione più elaborata in cui, alle preoccupazioni teologiche di sempre, si aggiungono (oltre il tema del dubbio) i motivi apologetici, quali la prova della realtà del corpo risuscitato (vv. 39-43) e l’interpretazione delle scritture (vv. 44-47); i lettori di Lc. erano greci: era difficile per essi ammettere una risurrezione del corpo; di qui l’insistenza dell’evangelista per provare la realtà «fisica» di Cristo risorto dimostrata con i gesti del palpare e del mangiare; segue la missione, che Lc. compendia nella predicazione della penitenza e della remissione dei peccati;
5) la duplice apparizione di Gesù ai dodici (Gv. 20,19-23 e 24-29): il racconto, nella sua sobrietà, si avvicina alla tematica di Lc. e sottolinea un motivo specificamente giovanneo: quello della fede al di là dei sensi. Anche qui la missione apostolica è vista come remissione dei peccati.
In conclusione, attraverso l’esame dei caratteri letterari e dei contenuti storici e dottrinali delle varie testimonianze bibliche relative alla risurrezione, si raggiunge la certezza che la fede pasquale sta alla base dell’intero messaggio cristiano; essa si presenta fondata su due serie di fatti: l’esperienza del sepolcro vuoto e le apparizioni di Cristo risorto.
Tali elementi, che troviamo già presenti nello stadio pre-evangelico della tradizione, sono ripresi dagli evangelisti che, servendosi sia dei racconti di tipo ufficiale strettamente connessi con il kerygma primitivo, sia delle descrizioni sul sepolcro vuoto di genere narrativo, sia infine di tradizioni particolari, hanno sviluppato il cosiddetto ciclo della risurrezione su uno schema cronologico parzialmente artificiale, che presenta la realtà delle testimonianze pasquali secondo una certa qual gradazione tematica.
 
In pace mi corico e subito mi addormento: «Com’è bello, fratelli, e quale beatitudine, non solo rimanere sicuri di fronte alla morte, ma altresì trionfare con gloria per la testimonianza della coscienza... So che è della condizione umana essere turbati al momento decisivo della partenza; quando anche i perfetti non vogliono essere spogliati, ma rivestire il loro vestito di gloria sull’altro, e coloro che non si sentono colpevoli, poiché non per questo si trovano giustificati, sono costretti a temere un giudizio di cui ignorano il contenuto. Ma che la mia anima sia turbata a motivo della sua condizione, o per mancanza di santità, o per timore del giudizio, dice il giusto: “Tu, o Signore, ricordati della tua misericordia, invia la tua misericordia e la tua verità, e libera la mia anima dai lioncelli, e io che prima ero turbato, poi in pace mi corico e subito mi addormento”» (Guerric d’Igny).
 
Il Santo del giorno - 14 Aprile 2024 - Santa Liduina, Vergine: Sta pattinando con giovani e ragazze sulle distese ghiacciate presso il villaggio di Schiedam, in Olanda dove è nata nel 1380, e a un tratto cade. C’è una costola fratturata, forse con lesioni interne. Portata a casa, la mettono subito a letto. Lei ha quindici anni: e in quel letto rimarrà per altri 38. Per sempre, fino alla morte. Dopo l’incidente sopraggiungono altre malattie, in una disgraziata successione che trova impotenti i medici. Non guarisce, non muore, i dolori incrudeliscono, Liduina è a un passo dalla disperazione. Trova un senso però alle sue sofferenze grazie alle parole di un prete, Giovanni de Pot. Liduina decide di offrire il proprio dolore per la salvezza degli altri ma chiede un segno dall’alto che confermi la volontà divina: sopra il suo capo appare splendente l’Ostia eucaristica. E la vedono anche i parenti. Da quel giorno la sua casa diventa meta di pellegrinaggi da tutto il Nord Europa. La sua opera di ascolto e aiuto dei sofferenti che vanno da lei si conclude il martedì di Pasqua del 1433. (Avvenire)
 
Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo
che ti sei degnato di rinnovare con questi sacramenti di vita eterna,
e donagli di giungere alla risurrezione incorruttibile del corpo,
destinato alla gloria.
Per Cristo nostro Signore.