16 Settembre 2024
Santi Cornelio, Papa e Cipriano, Vescovo, Martiri
1Cor 11,17-26.33; Salmo Responsoriale Dal Salmo 39 (40); Lc 7,1-10
Colletta
O Dio, che hai dato al tuo popolo i santi Cornelio e Cipriano,
pastori generosi e martiri intrepidi,
per la loro intercessione rendici forti e perseveranti nella fede
e fa’ che operiamo assiduamente per l’unità della Chiesa.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Significato di martirio - Catechismo della Chiesa Cattolica 2473 Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. «Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio»
Comportamento dei martiri - 2113 L’idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio. C’è idolatria quando l’uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro, ecc. «Non potete servire a Dio e a mammona», dice Gesù (Mt 6,24). Numerosi martiri sono morti per non adorare «la Bestia», rifiutando perfino di simularne il culto. L’idolatria respinge l’unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione divina.
Atti dei martiri - 2474 Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto le memorie di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli atti dei martiri. Costituiscono gli archivi della verità scritti a lettere di sangue:
«Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire per [unirmi a] Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il parto è imminente...».
«Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest’ora, degno di essere annoverato tra i tuoi martiri [...]. Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, Sacerdote eterno e onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen».
Culto dei martiri - 957 La comunione con i santi. «Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d’esempio, ma più ancora perché l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall’esercizio della fraterna carità. Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio»:
«Noi adoriamo Cristo quale Figlio di Dio, mentre ai martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imitatori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il loro Re e Maestro; e sia dato anche a noi di farci loro compagni e condiscepoli».
Quando, nel ciclo annuale, la Chiesa fa memoria dei martiri e degli altri santi, essa «proclama il mistero pasquale» in coloro «che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati; propone ai fedeli i loro esempi, che attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo, e implora per i loro meriti i benefici di Dio».
I Lettura: La comunità cristiana di Corinto è una comunità divisa, litigiosa, e ancora paganeggiante. Anche nella frazione comune alligna la divisione: Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Una triste testimonianza, all’insegna della divisione e dell’egoismo. Con questi prodromi non è cristiano né ragionevole sedersi attorno a un comune desco.
Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri: concludendo “il brano, Paolo fa delle raccomandazioni di carattere pratico: l’eucarestia non si celebri prima che tutta la comunità sia riunita (v. 33); ogni banchetto, che non sia quello eucaristico, sia escluso dalla riunione sacra; si elimi perciò l’«agape» fraterna, che servirebbe solo alle intemperanze dei più affamati (v. 34)” (Settimio Cipriani, Le Lettere di Paolo).
Vangelo
Neanche in Israele ho trovato una fede così grande.
Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te: gli amici del centurione suggeriscono queste parole a Gesù perché era ben noto che a un Giudeo osservante era proibito entrare in una casa pagana. Delicatezza, parole suggerite anche dalla volontà di non urtare la sensibilità dei farisei, certamente presenti all’incontro. Poi, dopo questa affermazione, il centurione fa inaspettatamente una professione di fede in sintonia con il suo essere un soldato: ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa. Il centurione voleva giustificare il proprio rispetto verso Gesù. Egli conosceva bene la disciplina militare, e l’esercitava sui propri soldati essendone sempre obbedito; quindi, alla stessa maniera, Gesù esercitasse la sua potenza, pronunciasse una sola parola e il suo comando sarebbe subito riconosciuto ed eseguito dalle forze della natura che opprimevano il moribondo. Gesù fu pieno d’ammirazione per il centurione, e all’istante la parola attesa dalla bocca del Maestro fu pronunciata, e il servo malato guarì nello stesso istante. Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!: alla luce di questa solenne lode, possiamo affermare che il vero miracolo è quello del pagano che giunge alla fede. Luca ha visto nel centurione di Cafarnao un modello e un anticipo dei pagani simpatizzanti, che entrano a far parte della comunità cristiana.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 7,1-10
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
Parola del Signore.
Fede di un pagano - Richard Gutzwiller: (Meditazioni su Luca): [Il centurione romano pagano] sa che il suo incontro con Gesù sarà l’incontro dell’impotente con l’Onnipotente. Ed esprime questa sua consapevolezza con le parole: «Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto. Ma di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito». L’impotenza non può ricevere l’Onnipotenza. Per l’Onnipotente basta dire solo una parola. Egli comanda sulla malattia, sulla morte e sulla vita, come un ufficiale sulle sue truppe.
Non così chiara appariva questa verità ai Giudei. Manca loro la coscienza della propria debolezza e quindi anche la coscienza della potenza di Dio in Gesù. Mentre questo pagano dice: «Io non son degno», i giudei dicono con la loro baldanza: «egli è degno di questo, egli lo merita». Essi non sanno che di fronte a Dio non c’è nessuna dignità e che a rigore non c’è nessun merito, ma che tutto è grazia donata gratuitamente, concessa all’uomo che ne è indegno.
Essi manifestano la loro persuasione della dignità e del merito quando pongono in rilievo che «egli ama il nostro popolo e ha edificato la Sinagoga».
Non è quindi la grandezza di Dio, quella che conta, ma il loro vantaggio. Chi li aiuta merita, secondo la loro mentalità, ricompensa da Dio e ne diventa degno.
Accanto a questo grande senso di distanza, che troviamo nella fede del centurione, sta questa condotta meschina ed egoistica, tanto lontana dalla condotta di Dio e dalla sua inaccessibile grandezza. Perciò la risposta di Gesù suona: «Non ho trovato tanta fede in Israele », Egli guarisce l’infermo, confermando così la rettitudine della fede del centurione romano.
La Chiesa ha accolto questa espressione di fede del pagano nella sua liturgia e ogni giorno nella celebrazione della Messa, nel momento in cui l’Onnipotenza si accosta in Gesù Cristo alla debolezza dell’uomo, vuole che gli uomini ripetano l’umile espressione di fede del soldato romano: «Signore, non son degno che tu entri sotto il mio tetto». La vera fede riconosce la distanza, la larghezza e la profondità dell’abisso che intercorre tra Dio Onnipotente e l’uomo impotente e sa che all’uomo si addice soltanto l’umile preghiera, perché un ponte su questo abisso può essere gettato solo da Dio. La fede è, qui in terra, l’incontro di Dio Onnipotente con l’uomo impotente.
Jean Duplacy: 1. La fede pasquale. - Questo passo fu compiuto quando i discepoli, dopo molte esitazioni in occasione delle apparizioni di Gesù (Mt 28,17; Mc 16,11-14; Lc 24,11), credettero alla sua risurrezione. Testimoni di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto (Atti 10,39), essi lo proclamano «Signore e Cristo», nel quale sono compiute invisibilmente le promesse (2,33-36). Ora la loro fede è capace di giungere «fino al sangue» (cfr. Ebr 12,4). Essi chiamano i loro uditori a condividerla per beneficiare della promessa ottenendo la remissione dei loro peccati (Atti 2,38s; 10,43). La fede della Chiesa è nata.
2. La fede nella parola. - Credere significa innanzitutto accogliere questa predicazione dei testimoni, il vangelo (Atti 15,7; 1Cor 15,2), la parola (Atti 2,41; Rom 10,17; 1Piet 2,8), confessando Gesù come Signore (1Cor 12,3; Rom 10,9; cfr. 1Gv 2,22). Questo messaggio iniziale, trasmesso come una tradizione (1Cor 15,1-3), potrà arricchirsi e precisarsi in un insegnamento (1Tim 4,6; 2 Tim 4,1-5): questa parola umana sarà sempre, per la fede, la parola stessa di Dio (1Tess 2,13). Riceverla, vuol dire per il pagano abbandonare gli idoli e rivolgersi al Dio vivo e vero (1Tess 1,8ss), significa per tutti riconoscere che il Signore Gesù porta a compimento il disegno di Dio (Atti 5,14; 13,27-37; cfr. 1Gv 2,24). Significa, ricevendo il battesimo, confessare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Mt 28,19).
Questa fede, come constaterà Paolo, apre all’intelligenza «i tesori di sapienza e di scienza (conoscenza)» che sono in Cristo (Col 2,3): la sapienza stessa di Dio rivelata dallo Spirito (1Cor 2), cosi diversa dalla sapienza umana (1Cor 1,17-31; cfr. Giac 2,1-5; 3,13-18; cfr. Is 29,14) e la conoscenza di Cristo e del suo amore (Fil 3,8; Ef 3,19; cfr. 1 Gv 3,16).
3. La fede e la vita del battezzato. - Condotto dalla fede sino al battesimo e alla imposizione delle mani che lo fanno entrare pienamente nella Chiesa, colui che ha creduto nella parola partecipa all’insegnamento, allo spirito, alla «liturgia» di questa Chiesa (Atti 2,41-46). In essa infatti Dio realizza il suo disegno operando la salvezza di coloro che credono (2,47; 1Cor 1,18): la fede si manifesta nell’obbedienza a questo disegno (Atti 6,7; 2Tess 1,8). Si dispiega nell’attività (1Tess 1,3; Giac l,21 ) di una vita morale fedele alla legge di Cristo (Gal 6,2; Rom 8,2; Giac 1,25; 2, 12); agisce per mezzo dell’amore fraterno (Gal 5,6; Giac 2,14-26). Si conserva in una fedeltà capace di affrontare la morte sull’esempio di Gesù (Ebr 12; Atti 7,55-60), in una fiducia assoluta in colui «nel quale ha creduto» (2Tim 1,12; 4,17s). Fede nella parola, obbedienza nella fiducia, questa è la fede della Chiesa, che separa coloro i quali si perdono - l’eretico, per esempio (Tito 3,10) - da coloro che sono salvati (2Tess 1,3-10; 1Piet 2,7s; Mc 16,16).
Guarigione del servo del centurione - Efrem, Diatessaron, 6, 22: Il centurione si presentò con gli anziani del popolo e chiese al Signore di non disdegnare di andare a salvare il suo servo. E siccome il Signore aveva accettato di andare con lui (cf. Lc 7,3-6; Mt 8,5-7), “egli aggiunse: Signore, non disturbarti, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,6-7). “Quando il Signore ebbe sentito ciò, ne rimase ammirato” (Lc 7,9). Dio ha ammirato un uomo. “E disse: Non ho mai trovato una tal fele in Israele” (Mt 8,10), per confondere gli Israeliti che non avevano creduto in lui, come invece faceva quello straniero. Il centurione aveva condotto con sé degli Israeliti e li aveva portati per servirsene come avvocati, ma essi furono ripresi, perché non avevano la fede del centurione. Ecco perché: “Essi andranno nelle tenebre esteriori” (Mt 8,12).
Il Santo del Giorno - 16 Settembre 2024 - Santi Cornelio, Papa e Cipriano, Vescovo, Martiri: La via della penitenza e del perdono per riaccogliere chi si è allontanato - Cosa viene prima? Il dogma o la misericordia?
La domanda non è così banale e non ha nemmeno una risposta scontata, perché ha attraversato - e ancora oggi attraversa - la vita della Chiesa fin dalle sue origini. Nei primi secoli la questione si pose di fronte a coloro che, dopo un’abiura della fede, a causa delle persecuzioni, chiedevano di essere riammessi alla vita della comunità cristiana. Il dibattito vedeva contrapposti coloro che erano disposti a riaccogliere queste persone e quelli che non ne volevano sapere. Il problema, che nasceva anche dal fatto che il perdono vissuto in una forma sacramentale di fatto non era ancora stato introdotto, rischiava di compromettere l’unità della Chiesa, come dimostra l’elezione di un antipapa, Novaziano, sostenitore del rigorismo. Cornelio, che fu Papa dal 251 al 253, e Cipriano, vescovo di Cartagine, si ritrovarono in sintonia sulla via dell’accoglienza, accompagnata da un percorso di penitenza, unendo così misericordia e verità. Cornelio era originario di Roma e venne scelto per le sue doti di umiltà e bontà. Cipriano era nato a Cartagine verso il 210 ed era stato scelto come vescovo dopo tre anni dalla sua conversione al cristianesimo. A unirli fu anche il martirio: Cornelio morì in esilio nel 253, Cipriano, che fu condannato a morte mentre si trovava in clandestinità a causa della persecuzione, fu decapitato nel 258. (Avvenire)
La partecipazione a questi santi misteri, o Signore,
ci confermi con la forza del tuo Spirito,
perché sull’esempio dei martiri Cornelio e Cipriano
possiamo rendere testimonianza alla verità del Vangelo.
Per Cristo nostro Signore.