1 Luglio 2022
 
Venerdì XIII Settimana T. O.
 
Am 8,4-6.9-12; Salmo Responsoriale dal Salmo 118; Mt 9,9-13
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 Agosto 2006): Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18, 11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17).
Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, “il pubblicano ... non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»”. E Gesù commenta: “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, san Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto - commenta il Crisostomo - “poiché non c’è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario.
 
I Lettura: Celebrare le feste religiose per i ricchi mercanti, impazienti di realizzare i loro affari più o meno puliti, è una vera tortura che denuncia, in modo palese, la loro apostasia: fingono di  amare il Signore, ma, in verità, amano i loro affari, i loro denari, e i profitti, spesso frutto di ruberie. Il profeta Amos conosce le piccole e le grandi frodi dei commercianti, e senza riguardo alcuno, denuncia lo spirito di sopraffazione, di cui sono vittime soprattutto i poveri, le vedove, gli indigenti. Ma viene un giorno - la condotta dell’uomo non sfugge al giudizio di Dio - in cui invece di festa si avrà lutto, invece di gioia lamento, invece di pane fame. Ma il castigo peggiore sarà il silenzio di Dio: «Ecco, verranno giorni, - dice il Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore». Allora si cercherà da un confine all’altro di Israele un profeta che faccia udire la parola del Signore, ma non lo troveranno.
 
Vangelo
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici.
 
Il racconto della vocazione di Matteo si incunea in una sezione che va dal capitolo 8,1 fino al capitolo 9,34 nella quale, l’evangelista, mette in risalto l’autorità di Gesù che emana non solo dalle sue parole, ma anche dalle sue azioni. Gesù ammaestra con autorità e agisce con signoria: «le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7,28-29; cfr. Mc 1,2; Lc 4,32-26). La chiamata di Matteo introduce due controversie sul comportamento di Gesù: una con i farisei sul suo atteggiamento verso pubblicani e peccatori (cfr. Mt 9,10-13) e una con i discepoli di Giovanni Battista sul digiuno (cfr. Mt 9,14-17). Ognuna di esse diventa per Gesù occasione per presentarsi come autorità superiore e definitiva. Egli è il medico dell’umanità (cfr. Mt 9,12-13) e lo sposo messianico (cfr. Mt 9,15).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,9-13
 
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi».
Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Il medico e gl’infermi - Felipe F. Ramos (commento della Bibbia Liturgica): Questa lettura è divisa chiaramente in due parti: la vocazione di Matteo e la disputa originata dalla condotta di Gesù per la sua familiarità con i peccatori e con i pubblicani. La vocazione di Matteo ci è raccontata in funzione della scena seguente, ed è presentata dall’evangelista con due pennellate che raccolgono l’essenziale: Matteo che siede al banco delle imposte ed è, quindi, pubblicano, e la sua ubbidienza senza discussioni alla parola di Gesù che gli chiede di seguirlo.
È evidente che il racconto dell’evangelista sulla vocazione di Matteo non è determinato dall’interesse storico sul personaggio in questione; altrimenti ci avrebbe offerto una serie di quei particolari che sono indispensabili, nel momento di presentare una persona che dev’essere conosciuta, perché ha un innegabile interesse per il lettore. Si dice che era «pubblicano», il che equivaleva a dire che era peccatore, proscritto dalla società giudaica come una delle persone che si erano vendute a Roma e che, per questo, erano segnate a dito quando passavano per le strade. Era quello che oggi diremmo un peccatore pubblico. L’opinione pubblica giudaica considerava come mestieri «peccaminosi» quelli che, in un modo o in un altro, denotavano slealtà o qualcosa di simile nei riguardi del popolo.
Il centro d’interesse dell’evangelista è tutto nella parola esigente di Gesù: «Seguimi». Esigenza indiscutibile e inappellabile della parola del Maestro. Gesù chiama con lo stesso tono imperativo con cui Yahveh aveva chiamato nell’Antico Testamento. E teniamo presente che Matteo non aveva i presupposti psicologici sui quali oggi insistiamo tanto, e aveva anzi i presupposti contrari. Così si vede la ragione determinante dell’elezione che Dio fece del suo popolo o di determinate persone destinate a compiere una missione speciale. Nel corso di tutta la Bibbia, troviamo sempre la stessa legge, la legge dell’amore, senza meriti precedenti che la giustifichino. Insieme con questo imperativo di esigenza, si fa ammirare la risposta data nella piena libertà e ubbidienza, l’ubbidienza della fede.
«Lo scandalo farisaico» avvenne quando essi videro Gesù seduto a mensa con i pubblicani. Quali credenziali poteva avere un Maestro che frequentava quelle compagnie pericolose? Così i farisei presentarono il caso ai discepoli del Maestro sulla condotta del quale formulavano i loro dubbi. La risposta di Gesù risulta sconcertante. Tenendo conto di essa, potremmo argomentare così: Dato che Dio, come anche Gesù, si dà pensiero del peccatore più che del giusto, siamo peccatori!... È possibile che alcuni pensassero a questo modo, dato che un modo analogo di ragionare è ricordato anche dall’apostolo Paolo (Rm 6,1). Questo ragionamento è assurdo.
Non abbiamo qui un inno al peccato né una glorificazione del peccatore. Gesù vuole liberare e perdonare il peccatore, ma non vuole considerarlo come un nemico (come facevano i teologi del suo tempo). Quindi, invece di scomunicarlo e di buttarlo sdegnosamente fuori della società degli uomini e dell’amicizia di Dio, gli lancia una corda di salvataggio per riportarlo tanto nella società degli uomini come nell’amicizia di Dio.
Gesù si rivolge ai peccatori non perché disprezza o stima meno i giusti, ma perché sono più bisognosi. Ed è forse necessario ricordare che, in pratica, proprio quelli che si consideravano come giusti - coloro che confidavano nella loro giustizia, quella che viene dalla legge (Fil 3,6) - quelli che lo rigettarono e non lo riconobbero, avevano anch’essi bisogno del redentore ed erano malati incoscienti che credevano di non aver bisogno del medico. Gesù termina con una citazione del profeta Osea (6,6) che era divenuta classica ed era usata per mettere in evidenza la superiorità degli atti di generosità e di compassione nei confronti dei sacrifici offerti nel tempio.
 
Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): La chiamata di Matteo è descritta come un lampo. È immediata perché avviene attraverso uno sguardo ed è imprevista perché connotata da assoluta gratuità. Esula dalla categoria del merito e rientra solo nello statuto della fedeltà di Dio che sceglie non in virtù della bravura ma perché ama (cf Dt 7,7-8a). Matteo si alza in piedi e segue Gesù senza batter ciglio. L’alzarsi è il movimento più presente all’interno del capitolo (vv. 7.9.19.25), espresso qui dal verbo anistemi e negli altri versetti dal verbo eghéiro, verbi che esprimono entrambi guarigione, sequela e risurrezione. Il seguimi di Gesù è un invito al risveglio, al rinnovamento della vita e dei rapporti.
Matteo si alza perché avverte la novità che lo spinge a cambiare direzione. Seguire Gesù infatti vuol dire per lui dare un taglio netto a una situazione iniqua che è il suo modus vivendi: rubare. Gli occhi di Gesù si sono posati su Matteo in un momento di ordinaria amministrazione e lo hanno letteralmente catturato per liberarlo dal suo male e trasportarlo altrove. Questo altrove ha una connotazione etica e spirituale che rinnova la scala dei valori e di tutte le scelte a venire. Matteo lascia quel “posto fisso” che, invece di garantire la dignità che spetta ad ogni uomo, lo rende schiavo del denaro e nemico del prossimo, per abbracciare il “precariato” della sequela Christi che lo rende libero.
 
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2022 - San Giustino Orona Madrigal Sacerdote e fondatore, martire (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo». Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!». Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
 
Senza alcuna esitazione - Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 45, l: Il Signore era sul punto di far dono della salvezza a tutti i peccatori che avrebbero creduto in lui; comincia con la scelta di Matteo, che era pubblicano; sua è l’iniziativa piena di bontà. In un atto di bontà di questa sorta precedono e il dono della condiscendenza misericordiosa del Signore e l’esempio del suo modo di procedere nel dare la salvezza; l’esempio è per noi: perché comprendiamo che chiunque viene scelto da Dio tra i peccatori, può pervenire alla grazia della salvezza eterna, purché non faccia difetto uno spirito religioso ed un animo devoto. Dio sceglie di sua libera iniziativa Matteo; costui, quantunque fosse impegnato nei negozi di questo mondo e legato dagli obblighi del secolo, tuttavia meritò di essere chiamato Signore per lo spirito religioso del suo animo. Si sentì dire da colui che per l’onniscienza della sua divina natura conosce i segreti del cuore: Seguimi! Dagli avvenimenti che seguirono siamo in grado di poter affermare che questo Matteo venne scelto dal Signore non perché Dio faccia preferenze di persone, ma perché Matteo ne fu ritenuto meritevole per la sua fede e per la sua devozione. Infatti non appena gli fu detto: Seguimi!, non frappone indugi, non esita, ma subito, alzatosi, lo segui.
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 30 GIUGNO 2022
 
Giovedì XIII Settimana T. O.

Am 7,10-17; Salmo Responsoriale dal Sal 18 (19); Mt 9,1-8
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione - Catechismo della Chiesa Cattolica 1440 Il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo esso attenta alla comunione con la Chiesa. Per questo motivo la conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione esprime e realizza liturgicamente.
Dio solo perdona il peccato 1441 Dio solo perdona i peccati. Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: «Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati» (Mc 2,10) ed esercita questo potere divino: «Ti sono rime i i tuoi peccati!» (Mc 2,5). Ancor di più: in virtù d ella sua autorità divina dona tale potere agli uomini affinché lo esercitino nel suo nome.
1442 Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo è affidato il «ministero della riconciliazione» (2Cor 5,18). L’ Apostolo è inviato «nel nome di Cristo», ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).
 
I Lettura: Amos è il primo profeta ad annunciare un esilio come castigo del popolo d’Israele (4,3; 5,27; 6,7).
Le sue parole profetiche non potevano non suscitare indignazione. Amasia, sacerdote del santuario reale di Betel, ottiene da Geroboamo, re di Israele, che il profeta importuno venga allontanato.
Nella risposta del profeta Amos c’è tutta la consapevolezza dell’autenticità della propria missione. Egli non fa il profeta per mestiere, come era assai diffuso in quel tempo (1Re 22,5ss), ma per vocazione: “Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele”(Am 7,14-15).
Le ultime parole del profeta Amos, Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici…, “sono un segno della veracità del suo ministero. Egli tornerà alla sua terra, dato che ha compiuto la sua missione; riprenderà a lavorare i suoi campi e a coltivare i sicomori. Però, prima, come segno per Amasia, per il re, per il popolo e per i posteri, vaticinerà l’ignominiosa fine di Amasia e della sua famiglia, vittime della guerra e dell’esilio. Amasia muore dopo sei mesi. Fino a questi estremi di impegno lo spirito portò questi uomini coscienti e responsabili della loro vocazione.
“Nell’anno 734, Tiglat-Pilezer III invase Israele e condusse con sé i primi deportati. Poco più tardi, nel 721, cadde definitivamente Samaria e, con essa, il regno del nord, sotto Sargon II. Era l’adempimento esatto della profezia di Amos. La sua visione teologica del castigo non diminuì in nulla la realtà storica della catastrofe. La storia salvifica è tale appunto perché è storia” (Epifanio Callego).
 
Vangelo
Resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
 
Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”: Come ci suggerisce la Bibbia di Gerusalemme “Gesù mira alla guarigione dell’anima prima che a quella del corpo e opera questa solo in vista di quella. Ma già questa parola conteneva una promessa di guarigione, poiché le infermità corporali erano considerate come la conseguenza di un peccato commesso dal paziente o dai suoi genitori (cf. Mt 8,29+, Gv 5,14; 9,2).
Allora alcuni scribi, gli scribi erano teologi e giuristi e costituivano una classe distinta e molto influente. Nel  Sinedrio rivestivano il ruolo di giudici. La loro formazione comprendeva teologia, giurisprudenza e filosofia. Il loro sorgere ebbe inizio nel giudaismo postesilico al tempo di Esdra. Il loro compito consisteva nell’interpretare la Legge che era diventata la norma dell’intera vita del popolo ebraico. Le spiegazioni degli scribi formarono presto una raccolta di norme accanto alla Legge. Sovente si appoggiavano ai diversi partiti, per esempio dei Farisei, dei Sadducei, degli Erodiani, degli Esseni. Il Nuovo Testamento li menziona spesso insieme con i Farisei (Mc 7,1), poiché molti di loro erano farisei. Il conflitto di Gesù con i Farisei comprende pure gli scribi (cfr. Mc 14,1s); tuttavia non tutti gli scribi furono nemici dei cristiani (At 5,34). Con la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) scomparve il sacerdozio giudaico; nel periodo successivo divenne determinante per il giudaismo l’influsso degli scribi (per lo più di tendenza farisaica); nel 70 d.C. Jamnia divenne un centro di studi giudaici, che in seguito passò a Tiberiade.
Costui bestemmia, Gesù rimette i peccati del paralitico, ma per gli scribi solo Iahvè può rimettere i peccati, da qui la motivazione dell’accusa che gli scribi muovono a Gesù. Il giudizio degli scribi era «fondamentalmente giusto, perché il rimettere i peccati è una prerogativa esclusiva di Dio [Cf. Es 34,6-8; Sal 103,3; Is 43,25; 44,22]. Ma avevano torto in quanto dall’osservazione dei fatti prodigiosi compiuti da Gesù non avevano saputo risalire alla sorgente divina delle sue facoltà» (Adalberto Sisti, Marco). Infatti, il vero movente dell’accusa sta nel fatto che Gesù rivendicando il potere di rimettere i peccati si palesa Dio, da qui l’accusa di bestemmia che prevedeva la pena capitale: “Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10,31-33).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,1-8
 
In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati».
Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire: “Àlzati e cammina”? Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico -, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua.
Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
 
Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): La guarigione del paralitico ci è raccontata dai tre sinottici, e, come avviene quasi sempre, anche qui, dietro i racconti di Matteo e Luca, vi è Marco. La sua presentazione è molto più ampia, aneddotica, ricca di particolari.
Ci racconta che i portatori del lettuccio sul quale giaceva il paralitico, non potendo accostarsi a Gesù per ragione della folla, scoperchiarono il tetto per poterlo calare davanti a Gesù: tutti particolari che non appartengono alla storia in sé, ma al modo di presentarla.
Matteo, anche qui, ha stilizzato la scena riducendola all’essenziale e omettendo i particolari aneddotici, che danno tanta plasticità al racconto di Marco. La chiave per scoprire l’intenzione dell’evangelista la troviamo in queste parole: «Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».
Dunque, nel racconto, si afferma che Gesù ha il potere di perdonare i peccati, come dimostra la guarigione dell’infermo.
La guarigione del paralitico poteva giustificare l’intento di Gesù di rivelare il suo potere di perdonare i peccati. E, come se questo non bastasse, si aggiunge un argomento più forte: Gesù scopre quello che quegli scribi pensavano e che nessuno gli aveva detto. Gesù quindi ha una conoscenza sovrumana, soprannaturale, datagli dallo Spirito. Questa conoscenza soprannaturale di Gesù è un’altra ragione che parla della sua dignità unica e che giustifica il suo potere, anch’esso unico, di perdonare i peccati.
Quando Gesù decide d’intervenire per confermare l’affermazione del suo potere sul peccato, l’infermo passa in secondo piano, come se, in quel momento, non interessasse più la persona che era stata protagonista della scena: «perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati...». Pare che questa sia l’unica ragione della guarigione dell’infermo: dimostrare che la salute eterna - il perdono dei peccati - è più importante che la salute corporale.
Insieme con il potere di Gesù, l’evangelista cerca di mettere in rilievo la fede di quegli uomini che si accostarono a Gesù, attirati a lui appunto da questo potere; una fede così grande che vinse tutti gli ostacoli e tutte le difficoltà (particolare più accentuato nel racconto di Marco, il quale dice che dovettero scoperchiare il tetto); una fede che è fiducia illimitata nel potere di Gesù messo a disposizione dell’uomo.
In fine troviamo una lezione non meno importante nello stupore della gente davanti a un fatto così straordinario: «rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini». Il potere che ha Gesù di perdonare i peccati fu comunicato alla Chiesa e, nella Chiesa, agli uomini scelti da lui per compiere direttamente questa missione di perdono. Il potere di perdonare i peccati è inseparabile dalla persona di Gesù e dalla sua Chiesa.
 
Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati - Eleonore Beck: L’AT riserva il perdono a Dio (Es34,9; Ger 5,1; ecc.); la sua misericordia è maggiore di ogni colpa, egli rinuncia al castigo, il suo perdono copre la colpa (Sal 32,1; 103,8-18). Egli perdona a chi si converte, e gli dona una vita nuova. I sacrifici possono ottenere la riconciliazione e conseguire il perdono  per il  peccatore.
Nel NT il perdono non è più riservato solo a Dio. Gesù ha il potere sulla terra di rimettere i peccati (Mc 2,5.105 cc.). Egli frequenta pubblicani e peccatori (Mt 9,9-13 ecc.).
Sulla croce egli implora perdono  per coloro che lo perseguitano (Lc 23,34), dalla croce il suo perdono dei peccati vale per i giudei (At 13,38) e per i pagani (At 10,34 ecc.). Nella vita e nella morte di Gesù avviene la riconciliazione definitiva e insopprimibile (Mc 10,45).
Il potere di rimettere i peccati è conferito agli apostoli (Gv 20,23); presupposto del perdono è la conversione e la confessione del peccato (Lc 24,47; At 2,38 ecc.). Il perdono è reso possibile dal fatto che Gesù, soffrendo e morendo, ha ottenuto da Dio la riconciliazione. Senza spargimento di sangue non si dà riconciliazione (Eb 9,22). Noi otteniamo il perdono in Cristo (Ef 1,7), per mezzo del suo nome (At 10,43), mediante il battesimo (At 2,38).
Il perdono viene offerto a tutti gli uomini mediante l’annuncio delle azioni salvifiche di Dio. Coloro che personalmente hanno ottenuto il perdono hanno il compito di trasmettere il messaggio (Gv 21,15-17; 1Tm 1,12-16) a tutti gli uomini (Lc 24,47). A loro s’impone anche di perdonarsi vicendevolmente, così come essi ricevono perdono  (Mt 18,21; Ef 4,32; Col 3,12ss; ecc.). L’uomo che si rifiuta di perdonare non può ottenere il perdono  da Dio (Mt 6,12.14-15; 18,23ss). 
 
Nel Cristo uomo opera il Dio - Cirillo, Frammento 103: Appena pronunciata la parola, ha fatto seguito il miracolo. Perché mai allora ha detto che il figlio dell’uomo rimette i peccati, quando viene compiuto il miracolo? Per mostrare che egli ha dotato la sua natura umana della potenza della divina in forza della inseparabile unione con essa.
Se infatti - egli dice - essendo Dio Logos sono diventato anche uomo, e secondo il disegno divino, vivo e opero sulla terra, nondimeno compio prodigi al di là di quanto si può dire e rimetto i peccati. Infatti non mi sono privato delle prerogative della divinità quando, senza alterazione di essa, sono diventato realmente figlio di uomo sulla terra secondo la carne.
E poco dopo, dice intenzionalmente «sulla terra», per dimostrare che anche, divenuto uomo e fattosi vedere sulla terra, era Dio secondo la natura. Ordinò al paralitico di prendere il suo lettino e di ritornare a casa, perché per suo tramite fosse attestato anche agli assenti ciò che era accaduto a suo riguardo.
 
Il Santo del Giorno - Sant’ Adolfo di Osnabruck Vescovo (Westfalia, circa 1185 - 30 giugno 1224): Figlio dei conti di Tecklenburg nella Westfalia, nato verso il 1185, da giovane entra a far parte del clero di Colonia e diventa canonico della cattedrale. Visitando il convento dei Cistercensi di Altenkamp, rimane colpito dalla vita monastica. Chiede e ottiene, così, di restare nel monastero. Poco dopo, però, sia a causa dei suoi illustri natali sia anche per la fama della sua virtù, nel 1217 viene eletto vescovo di Osnabruck. Durante i sette anni del suo episcopato si distingue per semplicità di vita. Ha grande cura per i poveri e i lebbrosi, a favore dei quali distribuisce i proventi dei suoi possedimenti. Attivo e sollecito della vita spirituale della diocesi, si interessa dei monasteri compresi nella sua giurisdizione e riforma le dame regolari di Herzebrack, sottoponendole alla regola benedettina. Muore il 30 giugno 1224, ma nei martirologi dell’Ordine cistercense è commemorato l’11 febbraio. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
29 Giugno 2022
 
Santi Pietro e Paolo, Apostoli
 
At 12,1-11; Salmo Responsoriale dal Salmo 33 (34); 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19
 
Colletta
O Dio, che ci doni la grande gioia
di celebrare in questo giorno
la solennità dei santi Pietro e Paolo,
fa’ che la tua Chiesa
segua sempre l’insegnamento degli apostoli,
dai quali ha ricevuto il primo annuncio della fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
... e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa: Catechismo della Chiesa Cattolica 552: Nel collegio dei Dodici Simon Pietro occupa il primo posto. Gesù a lui ha affidato una missione unica. Grazie ad una rivelazione concessagli dal Padre, Pietro aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Nostro Signore allora gli aveva detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). Cristo, “Pietra viva” (1Pt 2,4), assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli.
553: Gesù ha conferito a Pietro un potere specifico: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19). Il “potere delle chiavi” designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesù, “il Buon Pastore” (Gv 10,11) ha confermato questo incarico dopo la Risurrezione: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15-17). Il potere di “legare e sciogliere” indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno.
 
I Lettura: Erode Agrippa, figlio di Erode il Grande, perseguita la Chiesa. Fa giustiziare Giacomo, fratello di Giovanni, e solo per compiacere il popolo fa arrestare Pietro, il quale, alla vigilia del suo processo viene liberato miracolosamente da un angelo. L’intento di Luca è quello di esaltare la provvidenza divina che mai abbandona i giusti. Un racconto che vuole alimentare e sostenere la fede dei primi cristiani sottoposti a persecuzioni e a prove di ogni genere.
 
II Lettura: L’apostolo Paolo è ormai alla fine del suo lungo e doloroso cammino: pur avendo la profonda consapevolezza che sta «per essere versato in offerta», non ha paura della morte. Il premio che l’Apostolo si attende è la «corona di giustizia che il Signore, giusto» gli consegnerà nel giorno della parusia. Il premio è detto «corona della giustizia, perché sarà dato solo a chi l’avrà meritato mediante la santità e la giustizia. Il passo contiene pertanto la dottrina cattolica del merito, per cui Dio si impegna con obbligo di giustizia [giusto Giudice v. 8] a premiare coloro che hanno corrisposto alla sua grazia: il merito, perciò, non è solo una pretesa dell’uomo davanti a Dio, ma l’incoronazione che Dio stesso fa dei suoi doni di grazia e di amore liberamente accettati dalla sua creatura» (Settimio Cipriani). La stessa corona di giustizia sarà donata a tutti coloro che, come Paolo, avranno atteso con amore la manifestazione di Cristo.
 
Vangelo
Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.
 
Il primato di Pietro è un potere per il bene della Chiesa, e poiché deve durare sino alla fine dei tempi, sarà trasmesso a coloro che gli succederanno nel corso dei secoli. Inferi, alla lettera «Ade» (in ebraico sheol), designa il soggiorno dei morti (Cf. Num 16,33). Le potenze degli inferi, «evocano le potenze del Male che, dopo aver trascinato gli uomini nella morte del peccato, li incatena definitivamente nella morte eterna. Seguendo il suo Signore, morto, “disceso agli inferi” [1Pt 3,19] e risuscitato [At 2,27.31], la Chiesa avrà la missione di strappare gli eletti all’impero della morte, temporale ed eterna, per farli entrare nel regno dei cieli [Cf. Col 1,3; 1Cor 15,26; Ap 6,8; 20,13]» (Bibbia di Gerusalemme).

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 16,13-19
 
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
 
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente - Ma voi, chi dite che io sia? Per Giovanni Papini «Gesù non interroga per sapere, ma perché i suoi fedeli, finalmente sappiano anch’essi [...] il suo vero nome». Ed è Simone, primo tra i Dodici e primo tra i cristiani, a esprimere in termini umani la realtà soprannaturale del figlio di Maria: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Un’espressione che spesso si trova nell’Antico Testamento (Cf. Gs 3,10; Sal 42,3; 84,3; Os 2,1) ed esprime la presenza operante di Dio.
La risposta di Pietro pone almeno una domanda: egli intendeva professare la divinità di Gesù oppure si riferiva soltanto alla sua messianicità? Se si propende per quest’ultima soluzione, si restituisce alla espressione il semplice senso messianico che essa ha nell’Antico Testamento. Sulla base della risposta del Cristo, né carne né sangue te lo hanno rivelato, si può invece pensare che Pietro abbia voluto professare la divinità del suo Maestro: un’illuminazione che veniva dall’alto e non era frutto di investigazione umana.
La risposta di Gesù a questa professione di fede ha una portata di notevolissima importanza. In primo luogo, egli proclama: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Il termine semitico che traduce Chiesa, ekklêsia, significa assemblea. La «Chiesa» nell’Antico Testamento è la comunità del popolo eletto (Cf. Dt 4,10; At 7,38). Nei vangeli non appare che due volte e designa la nuova comunità che Gesù stava per fondare e che egli presenta come una realtà non solo stabile, ma indistruttibile: «[...] le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». La locuzione, invece, è frequente nelle lettere paoline. Per la Bibbia di Gerusalemme, Gesù usando «il termine “Chiesa” parallelamente all’espressione “regno dei cieli” (Mt 4,17), sottolinea che questa comunità escatologica comincerà già sulla terra mediante una società organizzata di cui stabilisce il capo».
La Chiesa è edificata su Simone, che a motivo di questo ruolo riceve qui il nome di Pietro. Il mutamento del nome sta a indicare la nuova missione di Simon Pietro: egli sarà la roccia, quindi elemento di coesione, di unità e di stabilità.
A questo punto, Gesù indica i poteri conferiti a Simon Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Il senso di questa immagine, nota alla sacra Scrittura e all’antico Oriente, suggerisce l’incarico affidato a un unico personaggio di sorvegliare ed amministrare la casa. Nel mandato di Simon Pietro, il potere di legare e di sciogliere implica il perdono dei peccati, ma la sua comprensione non va limitata a questo significato: esso, infatti, comprende tutta un’attività di decisione e di legislazione, nella dottrina come nella condotta pratica, che coincide con l’amministrazione della Chiesa in generale.
Sempre per la Bibbia di Gerusalemme, l’esegesi cattolica «ritiene che queste promesse eterne valgano non soltanto per la persona di Pietro, ma anche per i suoi successori; sebbene tale conseguenza non sia esplicitamente indicata nel testo, è tuttavia legittima in ragione dell’intenzione manifesta che ha Gesù di provvedere all’avvenire della sua Chiesa con una istituzione che la morte di Pietro non può rendere effimera».
Luca (22,31s) e Giovanni (21,15s) sottolineano che il primato di Pietro, sempre per mandato divino, deve essere esercitato particolarmente nell’ordine della fede e che tale primato lo rende capo, non solo della Chiesa futura, ma già degli altri Apostoli. Infine, c’è da sottolineare che la professione petrina avviene nella regione di Cesarea di Filippo. Possiamo dire che non è «ricordato a caso il quadro geografico: la confessione del Messia e l’investitura di Pietro avvengono fuori dalla Palestina, in un territorio pagano. Le future direzioni della salvezza sono ormai chiare» (Ortensio Da Spinetoli).
 
Santi Pietro e Paolo, Apostoli - Papa Francesco (29 Giugno 2021): Cari fratelli e sorelle, la Chiesa guarda a questi due giganti della fede e vede due Apostoli che hanno liberato la potenza del Vangelo nel mondo, solo perché sono stati prima liberati dall’incontro con Cristo. Egli non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento. A Pietro, Gesù dice teneramente: «Io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede» (Lc 22,32); a Paolo chiede: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Così Gesù fa anche con noi: ci assicura la sua vicinanza pregando per noi e intercedendo presso il Padre; e ci rimprovera con dolcezza quando sbagliamo, perché possiamo ritrovare la forza di rialzarci e riprendere il cammino.
Toccati dal Signore, anche noi veniamo liberati. E abbiamo sempre bisogno di venire liberati, perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile. Come Pietro, siamo chiamati a essere liberi dal senso della sconfitta dinanzi alla nostra pesca talvolta fallimentare; a essere liberi dalla paura che ci immobilizza e ci rende timorosi, chiudendoci nelle nostre sicurezze e togliendoci il coraggio della profezia. Come Paolo, siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità; a essere liberi dalla tentazione di imporci con la forza del mondo anziché con la debolezza che fa spazio a Dio; liberi da un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili; liberi dai legami ambigui col potere e dalla paura di essere incompresi e attaccati.
Pietro e Paolo ci consegnano l’immagine di una Chiesa affidata alle nostre mani, ma condotta dal Signore con fedeltà e tenerezza - è Lui che conduce la Chiesa -; di una Chiesa debole, ma forte della presenza di Dio; l’immagine di una Chiesa liberata che può offrire al mondo quella liberazione che da solo non può darsi: la liberazione dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia, dalla perdita della speranza che abbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo.
 
L’unità della Chiesa - Cipriano di Cartagine, De Eccl. unitate, 4-5: Il Signore dice a Pietro: “Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e ciò che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo” (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: “Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice” (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: “Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio” (Ef 4,4-6).
 
Il Santo del Giorno - 29 Giugno 2022 - Santi Pietro e Paolo, Apostoli: Due apostoli e due personaggi diversi, ma entrambi fondamentali per la storia della Chiesa del primo secolo così come nella costruzione di quelle radici dalle quali si alimenta continuamente la fede cristiana. Pietro, nato a Betsaida in Galilea, era un pescatore a Cafarnao. Fratello di Andrea, divenne apostolo di Gesù dopo che questi lo chiamò presso il lago di Galilea e dopo aver assistito alla pesca miracolosa. Da sempre tra i discepoli più vicini a Gesù fu l’unico, insieme al cosiddetto «discepolo prediletto», a seguire Gesù presso la casa del sommo sacerdote Caifa, fu costretto anch’egli alla fuga dopo aver rinnegato tre volte il maestro, come questi aveva già predetto. Ma Pietro ricevette dallo stesso Risorto il mandato a fare da guida alla comunità dei discepoli. Morì tra il 64 e il 67 durante la persecuzione anticristiana di Nerone. San Paolo, invece, era originario di Tarso: prima persecutore dei cristiani, incontrò il Risorto sulla via tra Gerusalemme e Damasco. Baluardo dell’evangelizzazione dei popoli pagani nel Mediterraneo morì anch’egli a Roma tra il 64 e il 67.
 
Nutriti da questo sacramento, ti preghiamo, o Signore:
fa’ che viviamo nella tua Chiesa
perseveranti nello spezzare il pane
e nell’insegnamento degli apostoli,
per formare, saldi nel tuo amore,
un cuore solo e un’anima sola.
Per Cristo nostro Signore.
 
 28 Giugno 2022
 
Sant’Ireneo, Vescovo e Martire
 
Amos 3,1-8; 4,11-12; Salmo Responsoriale dal Salmo 5; Mt 8,23-27
 
Colletta
O Dio, che al santo vescovo Ireneo
hai dato la grazia di confermare la tua Chiesa
nella verità e nella pace,
fa’ che per sua intercessione, rinnovati nella fede e nell’amore,
cerchiamo sempre ciò che promuove l’unità e la concordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale 28 Marzo 2007): Le notizie biografiche su [sant’Ireneo di Lione] provengono dalla sua stessa testimonianza, tramandata a noi da Eusebio nel quinto libro della Storia Ecclesiastica. Ireneo nacque con tutta probabilità a Smirne (oggi Izmir, in Turchia) verso il 135-140, dove ancor giovane fu alla scuola del Vescovo Policarpo, discepolo a sua volta dell’apostolo Giovanni. Non sappiamo quando si trasferì dall’Asia Minore in Gallia, ma lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: qui, nel 177, troviamo Ireneo annoverato nel collegio dei presbiteri. Proprio in quell’anno egli fu mandato a Roma, latore di una lettera della comunità di Lione al Papa Eleuterio. La missione romana sottrasse Ireneo alla persecuzione di Marco Aurelio, nella quale caddero almeno quarantotto martiri, tra cui lo stesso Vescovo di Lione, il novantenne Potino, morto di maltrattamenti in carcere. Così, al suo ritorno, Ireneo fu eletto Vescovo della città. Il nuovo Pastore si dedicò totalmente al ministero episcopale, che si concluse verso il 202-203, forse con il martirio.
Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede. A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: i cinque libri Contro le eresie, e l’Esposizione della predicazione apostolica (che si può anche chiamare il più antico «catechismo della dottrina cristiana»). In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro le eresie. La Chiesa del II secolo era minacciata dalla cosiddetta gnosi, una dottrina la quale affermava che la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo per i semplici, che non sono in grado di capire cose difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali – gnostici, si chiamavano – avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista. Ovviamente questo cristianesimo intellettualista si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, cioè si negava la fede nell’unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell’uomo e del mondo. Per spiegare il male nel mondo, essi affermavano l’esistenza, accanto al Dio buono, di un principio negativo. Questo principio negativo avrebbe prodotto le cose materiali, la materia.  
Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo confuta il dualismo e il pessimismo gnostico che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l’originaria santità della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. Ma la sua opera va ben oltre la confutazione dell’eresia: si può dire infatti che egli si presenta come il primo grande teologo della Chiesa, che ha creato la teologia sistematica; egli stesso parla del sistema della teologia, cioè dell’interna coerenza di tutta la fede. Al centro della sua dottrina sta la questione della «Regola della fede» e della sua trasmissione. Per Ireneo la «Regola della fede» coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo. Il Simbolo apostolico, che è una sorta di sintesi del Vangelo, ci aiuta a capire che cosa vuol dire, come dobbiamo leggere il Vangelo stesso.
 
I Lettura: Dio, per benevolenza e amore, ha scelto il popolo d’Israele tra tutte le nazioni, stringendo con esso una relazione di amore e di salvezza: Dio è lo sposo, Israele la sposa. Dall’elezione divina scaturisce una grande responsabilità, alla quale Israele è venuto meno. Apostata, il popolo d’Israele, si prostituito alle divinità pagane, attirando su di sé il castigo di Dio. Castigo che non ha radici nell’ira, ma nell’amore, è purissima pedagogia divina: “Di’ loro: Com’è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio -, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o casa d’Israele?” (Ez 33,11).
Amos, profeta sulle cui labbra riposa la parola di Dio, denuncia al popolo d’Israele i disordini morali e la falsa religiosità del regno del nord (3,9-4,5). Una serie di castighi avrebbe dovuto piegare Israele, e indurlo alla penitenza e alla conversione: ma la pedagogia divina è stata inutile. Si prepari perciò a incontrare Dio. L’incontro con Dio giudice coinciderà con l’abbattersi della sciagura estrema: “«Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sòdoma e Gomorra, eravate come un tizzone strappato da un incendio; ma non siete ritornati a me». Oracolo del Signore. Perciò ti tratterò così, Israele! Poiché questo devo fare di te: prepàrati all’incontro con il tuo Dio, o Israele!” (Am 4,11-12)
 
Vangelo
Si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
 
L’evangelista Matteo, rispetto all’evangelista a Marco, introduce anche l’aspetto ecclesiale: la comunità dei discepoli è in difficoltà nelle tempeste della storia, le persecuzioni sconquassano la Chiesa in tutto l’impero romano, perché essi sono di poca e debole fede: «Perché avete paura, gente di poca fede?». 
Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia: il verbo minacciò ha qui lo stesso senso di Mt 17,18, dove Gesù «minaccia» un demonio, perché il mare per i contemporanei di Gesù era la sede dei demòni e il vento rappresentava a volte, nel linguaggio biblico, le potenze che si oppongono a Dio.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,23-27
 
In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».
 
Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono? -  Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): Il miracolo dev’essere inteso come predicazione, annunzio del vangelo, e quindi, nel suo racconto, l’essenziale non è la riproduzione esatta di quello che è avvenuto.
Basta raccogliere il fatto nei suoi tratti essenziali e scoprirne la dimensione rivelatrice. La storia può restare alquanto sfumata, scompare il quando e il dove e altre circostanze che sono tanto importanti nella narrazione storica. Il racconto viene stilizzato perché l’evangelista ottenga, nel miglior modo possibile, lo scopo che si è proposto. Così avviene nel nostro racconto che, essenzialmente, dipende dal racconto di Marco.
Che Gesù abbia sedato la tempesta sul mare non è l’elemento veramente imporrante per l’evangelista. Dietro il Fatto vi è la sua intenzione di presentarci Gesù, i suoi  discepoli e la Chiesa. Il testo dice che «i suoi discepoli lo seguirono». Questa frase, che non si trova in Marco, ha una grande importanza nel racconto di Matteo: presenta il tratto essenziale che definisce il discepolo di Gesù: seguirlo. E come quei discepoli. così tutti i discepoli, la Chiesa.
Effettivamente nei vangeli il verbo «seguire» è usato unicamente quando l’oggetto del verbo è Gesù, e sta a indicare l’unione del discepolo col Gesù della storia, la partecipazione al suo destino, l’entrata nel regno mediante l’appartenenza a Cristo attraverso l’ubbidienza e la fiducia.
La fiducia nasce dalla fede o, forse meglio, la fede ha una dimensione essenziale nella fiducia. I discepoli che si trovano sulla barca non hanno fiducia. Sono «uomini di poca fede». Ma il racconto non raccoglie solo quel momento: tiene conto anche del tempo in cui Matteo scrive. La Chiesa era perseguitata, lottava coraggiosamente come la barca fra le onde d’un mare infuriato per non andare a fondo; e in molte occasioni si fece sentire lo scoraggiamento, la sfiducia e giunse persino la defezione. Essendo parola di Dio, il racconto, partendo da quello che avvenne, continua a parlare in tutti i tempi e in tutte le circostanze a ognuno dei discepoli.
L’atteggiamento dei discepoli è sconcertante. Da una parte, credono che Gesù ha il potere di calmare il mare e  impedire che inghiottisca la barca: dall’altra, temono di affondare. Il potere di Dio è in Gesù: essi lo sanno, e tuttavia si meravigliano quando si manifesta. Questo non è il modo di comportarsi del discepolo. Forse per questo Matteo cerca di attenuare l’antinomia nella condotta dei discepoli e, al termine del suo racconto, parla di «quegli uomini», e non dice «discepoli». Lo stupore e lo sconcerto di fronte a un fatto che non si attendevano - e che, tuttavia, sapevano che poteva avvenire - non sono l’atteggiamento del discepolo, bensì di chi ha poca fede o di colui che vive praticamente lontano da Dio. Il potere di Dio agisce in Gesù, ma essi non sono uomini aperti a questo potere di Dio.
Caratteristica del discepolo è la fede, la fiducia e il coraggio di fidarsi del potere di Dio, che è al di sopra del furore del mare. Così questo miracolo afferma che Dio è presente, particolarmente in Gesù, con tutto il suo potere di vittoria sulla morte e sui pericoli mortali. È la convinzione profonda che devono avere i discepoli di Gesù e la Chiesa come tale.
L’interrogativo finale: «Chi è mai costui?» sta a indicare l’atteggiamento d’incredulità di colui che vuole spiegare tutto razionalmente. O forse l’evangelista intendeva dire che chi interrogava aveva la risposta dall’insieme del racconto. In questo caso sarebbe una confessione di fede.
 
Chi è mai costui… - Laudato Si n. 98: Gesù viveva una piena armonia con la creazione, e gli altri ne rimanevano stupiti: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27). Non appariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita. Riferendosi a sé stesso affermava: «È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone”» (Mt 11,19). Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo. Tuttavia, questi dualismi malsani hanno avuto un notevole influsso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformato il Vangelo. Gesù lavorava con le sue mani, prendendo contatto quotidiano con la materia creata da Dio per darle forma con la sua abilità di artigiano. È degno di nota il fatto che la maggior parte della sua vita è stata dedicata a questo impegno, in un’esistenza semplice che non suscitava alcuna ammirazione: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria?» (Mc 6,3). Così ha santificato il lavoro e gli ha conferito un peculiare valore per la nostra maturazione. San Giovanni Paolo II insegnava che «sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità».
 
Il Santo del Giorno - 28 Giugno 2022 - Sant’Ireneo di Lione - Difese la vera bellezza e la ricchezza della fede: Il senso della misura, ma anche la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario e la volontà di difendere la vera fede, cercando di esporre con chiarezza la verità del Vangelo: questi tratti della figura di sant’Ireneo di Lione, così come indicati da Benedetto XVI nell’udienza del 28 marzo 2007, appaiono come la descrizione dei compiti di ogni battezzato. Ogni fedele, infatti, è chiamato a conoscere a proporre la mondo la bellezza e la profondità di ciò in cui crede: il messaggio del Risorto. Così fece Ireneo, che era forse originario di Smirne ed era stato discepolo di san Policarpo, prima di diventare nel 177 vescovo di Lione in Gallia. Fu chiamato a succedere a san Potino, vescovo novantenne ucciso durante la persecuzione. Fino alla morte, nel 202 circa, Ireneo fu una guida saggia, un pastore autorevole e un difensore della retta fede, messa a rischio dalle eresie.
 
Per quale motivo Gesù dormiva? - Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 28, 1: Il Salvatore, inoltre, compie questo miracolo lontano dalla folla, perché i suoi discepoli non siano accusati di scarsa fede li rimprovera quando sono soli con lui. E ancor prima della tempesta che sconvolge le onde, placa la tempesta delle loro anime, rivolgendo loro questo rimprovero. Disse loro: «Perché siete paurosi, o uomini di poca fede?». Quindi alzatosi, sgridò i venti e il mare, e si fece gran bonaccia. In tal modo Cristo insegna che il timore e il turbamento non derivano dalle prove, ma dalla debolezza della nostra anima. Se qualcuno, a questo punto obiettasse che non per viltà o per scarsa fede gli apostoli si avvicinarono al Signore e lo svegliarono, io risponderei che gli apostoli, comportandosi così, mostrarono in modo evidente di non avere ancora una giusta idea di Cristo: pensavano infatti ch’egli se fosse stato sveglio poteva placare la tempesta, ma che non lo potesse fare essendo addormentato. Ma perché stupirsi se ora manifestano tale incredulità, quando vediamo che dopo molti altri prodigi si dimostrano ancora più imperfetti? Questo procurerà loro frequenti rimproveri, come quando Gesù dirà: Fino a tal punto siete anche voi senza discernimento?
 
La partecipazione a questi santi misteri, o Padre,
accresca in noi la fede
che sant’Ireneo testimoniò fino alla morte,
perché diventiamo anche noi
veri discepoli di Cristo tuo Figlio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.