1 Luglio 2022
Venerdì XIII Settimana T. O.
Am 8,4-6.9-12; Salmo Responsoriale dal Salmo 118; Mt 9,9-13
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 Agosto 2006): Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18, 11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17).
Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, “il pubblicano ... non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»”. E Gesù commenta: “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, san Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto - commenta il Crisostomo - “poiché non c’è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario.
I Lettura: Celebrare le feste religiose per i ricchi mercanti, impazienti di realizzare i loro affari più o meno puliti, è una vera tortura che denuncia, in modo palese, la loro apostasia: fingono di amare il Signore, ma, in verità, amano i loro affari, i loro denari, e i profitti, spesso frutto di ruberie. Il profeta Amos conosce le piccole e le grandi frodi dei commercianti, e senza riguardo alcuno, denuncia lo spirito di sopraffazione, di cui sono vittime soprattutto i poveri, le vedove, gli indigenti. Ma viene un giorno - la condotta dell’uomo non sfugge al giudizio di Dio - in cui invece di festa si avrà lutto, invece di gioia lamento, invece di pane fame. Ma il castigo peggiore sarà il silenzio di Dio: «Ecco, verranno giorni, - dice il Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore». Allora si cercherà da un confine all’altro di Israele un profeta che faccia udire la parola del Signore, ma non lo troveranno.
Vangelo
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici.
Il racconto della vocazione di Matteo si incunea in una sezione che va dal capitolo 8,1 fino al capitolo 9,34 nella quale, l’evangelista, mette in risalto l’autorità di Gesù che emana non solo dalle sue parole, ma anche dalle sue azioni. Gesù ammaestra con autorità e agisce con signoria: «le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7,28-29; cfr. Mc 1,2; Lc 4,32-26). La chiamata di Matteo introduce due controversie sul comportamento di Gesù: una con i farisei sul suo atteggiamento verso pubblicani e peccatori (cfr. Mt 9,10-13) e una con i discepoli di Giovanni Battista sul digiuno (cfr. Mt 9,14-17). Ognuna di esse diventa per Gesù occasione per presentarsi come autorità superiore e definitiva. Egli è il medico dell’umanità (cfr. Mt 9,12-13) e lo sposo messianico (cfr. Mt 9,15).
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,9-13
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi».
Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Il medico e gl’infermi - Felipe F. Ramos (commento della Bibbia Liturgica): Questa lettura è divisa chiaramente in due parti: la vocazione di Matteo e la disputa originata dalla condotta di Gesù per la sua familiarità con i peccatori e con i pubblicani. La vocazione di Matteo ci è raccontata in funzione della scena seguente, ed è presentata dall’evangelista con due pennellate che raccolgono l’essenziale: Matteo che siede al banco delle imposte ed è, quindi, pubblicano, e la sua ubbidienza senza discussioni alla parola di Gesù che gli chiede di seguirlo.
È evidente che il racconto dell’evangelista sulla vocazione di Matteo non è determinato dall’interesse storico sul personaggio in questione; altrimenti ci avrebbe offerto una serie di quei particolari che sono indispensabili, nel momento di presentare una persona che dev’essere conosciuta, perché ha un innegabile interesse per il lettore. Si dice che era «pubblicano», il che equivaleva a dire che era peccatore, proscritto dalla società giudaica come una delle persone che si erano vendute a Roma e che, per questo, erano segnate a dito quando passavano per le strade. Era quello che oggi diremmo un peccatore pubblico. L’opinione pubblica giudaica considerava come mestieri «peccaminosi» quelli che, in un modo o in un altro, denotavano slealtà o qualcosa di simile nei riguardi del popolo.
Il centro d’interesse dell’evangelista è tutto nella parola esigente di Gesù: «Seguimi». Esigenza indiscutibile e inappellabile della parola del Maestro. Gesù chiama con lo stesso tono imperativo con cui Yahveh aveva chiamato nell’Antico Testamento. E teniamo presente che Matteo non aveva i presupposti psicologici sui quali oggi insistiamo tanto, e aveva anzi i presupposti contrari. Così si vede la ragione determinante dell’elezione che Dio fece del suo popolo o di determinate persone destinate a compiere una missione speciale. Nel corso di tutta la Bibbia, troviamo sempre la stessa legge, la legge dell’amore, senza meriti precedenti che la giustifichino. Insieme con questo imperativo di esigenza, si fa ammirare la risposta data nella piena libertà e ubbidienza, l’ubbidienza della fede.
«Lo scandalo farisaico» avvenne quando essi videro Gesù seduto a mensa con i pubblicani. Quali credenziali poteva avere un Maestro che frequentava quelle compagnie pericolose? Così i farisei presentarono il caso ai discepoli del Maestro sulla condotta del quale formulavano i loro dubbi. La risposta di Gesù risulta sconcertante. Tenendo conto di essa, potremmo argomentare così: Dato che Dio, come anche Gesù, si dà pensiero del peccatore più che del giusto, siamo peccatori!... È possibile che alcuni pensassero a questo modo, dato che un modo analogo di ragionare è ricordato anche dall’apostolo Paolo (Rm 6,1). Questo ragionamento è assurdo.
Non abbiamo qui un inno al peccato né una glorificazione del peccatore. Gesù vuole liberare e perdonare il peccatore, ma non vuole considerarlo come un nemico (come facevano i teologi del suo tempo). Quindi, invece di scomunicarlo e di buttarlo sdegnosamente fuori della società degli uomini e dell’amicizia di Dio, gli lancia una corda di salvataggio per riportarlo tanto nella società degli uomini come nell’amicizia di Dio.
Gesù si rivolge ai peccatori non perché disprezza o stima meno i giusti, ma perché sono più bisognosi. Ed è forse necessario ricordare che, in pratica, proprio quelli che si consideravano come giusti - coloro che confidavano nella loro giustizia, quella che viene dalla legge (Fil 3,6) - quelli che lo rigettarono e non lo riconobbero, avevano anch’essi bisogno del redentore ed erano malati incoscienti che credevano di non aver bisogno del medico. Gesù termina con una citazione del profeta Osea (6,6) che era divenuta classica ed era usata per mettere in evidenza la superiorità degli atti di generosità e di compassione nei confronti dei sacrifici offerti nel tempio.
Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): La chiamata di Matteo è descritta come un lampo. È immediata perché avviene attraverso uno sguardo ed è imprevista perché connotata da assoluta gratuità. Esula dalla categoria del merito e rientra solo nello statuto della fedeltà di Dio che sceglie non in virtù della bravura ma perché ama (cf Dt 7,7-8a). Matteo si alza in piedi e segue Gesù senza batter ciglio. L’alzarsi è il movimento più presente all’interno del capitolo (vv. 7.9.19.25), espresso qui dal verbo anistemi e negli altri versetti dal verbo eghéiro, verbi che esprimono entrambi guarigione, sequela e risurrezione. Il seguimi di Gesù è un invito al risveglio, al rinnovamento della vita e dei rapporti.
Matteo si alza perché avverte la novità che lo spinge a cambiare direzione. Seguire Gesù infatti vuol dire per lui dare un taglio netto a una situazione iniqua che è il suo modus vivendi: rubare. Gli occhi di Gesù si sono posati su Matteo in un momento di ordinaria amministrazione e lo hanno letteralmente catturato per liberarlo dal suo male e trasportarlo altrove. Questo altrove ha una connotazione etica e spirituale che rinnova la scala dei valori e di tutte le scelte a venire. Matteo lascia quel “posto fisso” che, invece di garantire la dignità che spetta ad ogni uomo, lo rende schiavo del denaro e nemico del prossimo, per abbracciare il “precariato” della sequela Christi che lo rende libero.
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2022 - San Giustino Orona Madrigal Sacerdote e fondatore, martire (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo». Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!». Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
Senza alcuna esitazione - Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 45, l: Il Signore era sul punto di far dono della salvezza a tutti i peccatori che avrebbero creduto in lui; comincia con la scelta di Matteo, che era pubblicano; sua è l’iniziativa piena di bontà. In un atto di bontà di questa sorta precedono e il dono della condiscendenza misericordiosa del Signore e l’esempio del suo modo di procedere nel dare la salvezza; l’esempio è per noi: perché comprendiamo che chiunque viene scelto da Dio tra i peccatori, può pervenire alla grazia della salvezza eterna, purché non faccia difetto uno spirito religioso ed un animo devoto. Dio sceglie di sua libera iniziativa Matteo; costui, quantunque fosse impegnato nei negozi di questo mondo e legato dagli obblighi del secolo, tuttavia meritò di essere chiamato Signore per lo spirito religioso del suo animo. Si sentì dire da colui che per l’onniscienza della sua divina natura conosce i segreti del cuore: Seguimi! Dagli avvenimenti che seguirono siamo in grado di poter affermare che questo Matteo venne scelto dal Signore non perché Dio faccia preferenze di persone, ma perché Matteo ne fu ritenuto meritevole per la sua fede e per la sua devozione. Infatti non appena gli fu detto: Seguimi!, non frappone indugi, non esita, ma subito, alzatosi, lo segui.
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.