1 Giugno 2022
San Giustino Martire - Memoria
At 20,28-38; Salmo Responsoriale dal Salmo 67 (68); Gv 17,11b-19
Colletta
O Dio, che attraverso la stoltezza della croce
hai donato al santo martire Giustino
la sublime conoscenza di Gesù Cristo,
concedi a noi, per sua intercessione,
di respingere gli inganni dell’errore
per conseguire fermezza nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Udienza Generale 21 Marzo 2007): Nel complesso la figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di «empietà» e di «ateismo». In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia, condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui come diabolici «depistaggi» nel cammino della verità. La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. «La nostra filosofia...»: così, nel modo più esplicito, giunse a definire la nuova religione un altro apologista contemporaneo di Giustino, il Vescovo Melitone di Sardi (citato in Eusebio, Storia Eccl. 4,26,7).
Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione – ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini – dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: «Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit – Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine» (La velazione delle vergini 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni «moda culturale», «moda del tempo».
In un’età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione – come pure nel dialogo interreligioso –, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo – e così concludo – le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: «Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire» (Dial. 7,3).):
I Lettura - San Paolo ha compreso che la sua vita è giunta al termine, ed è il tempo di passare ad altri il testimone della evangelizzazione. Affida gli anziani della Chiesa di Efeso a Dio, e, allo stesso tempo, ricorda loro di essere vigilanti perché dopo la sua partenza si infiltreranno tra loro lupi feroci, che cercheranno di deformare la dottrina da lui annunciata.
Vangelo
La tua parola, Signore, è verità:
consacraci nella verità. (Cf. Gv 17,17b.a)
Messale Quotidiano: Siano una cosa sola, come noi. È questo il secondo grande movimento della «preghiera sacerdotale» di Cristo. Al termine del suo discorso-testamento, Gesù si rivolge al Padre che lo sta glorificando nella morte e risurrezione ormai imminente e gli affida la comunità dei discepoli. Egli la descrive con alcune caratteristiche che costituiscono il cuore della Chiesa. Dev’essere una, unita a Dio e ai fratelli nell’amore. Deve conservare e proclamare la parola che Cristo le ha affidato. Deve essere nel mondo senza essere del mondo, agendo in esso da fermento. Deve saper accettare la sofferenza che l’odio del mondo comporta ma deve continuare ad annunziare l’evento pasquale sorgente di salvezza universale.
Dal Vangelo secondo Giovanni 17,11b-19: In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».
Giuseppe Segalla (Giovanni): Padre santo, conservali: il Padre «santo» deve conservare i discepoli nella santità, cioè nella costante appartenenza a lui, pur rimanendo nel mondo. - nel tuo nome che mi hai dato: se accettiamo questa lettura del testo, qui e nel v. seguente si parla del nome che il Padre ha dato al Figlio. Se si volesse esplicitare questo «nome», si potrebbe pensare al nome divino «Io sono» (8,24.28.58), mentre il nome dato dal Padre a Gesù nell’inno cristologico di FI 2,6-9 è quello di «Signore», che nei LXX traduce spesso il nome divino di Jahve. - affinché siano uno come noi: risuona già il tema dell’unità sul modello e sul fondamento dell’unità fra il Padre ed il Figlio, che verrà sviluppato poi nella terza parte della preghiera (17,21-23).
13 mentre sono nel mondo: a differenza del v. 11, qui Gesù si considera ancora nel mondo. Lo scopo della sua preghiera è la gioia in pienezza, dono escatologico, espressione della presenza della salvezza, frutto della pace.
14-16: dopo i vv. 10-13, dove il mondo era il luogo e lo spazio temporale in cui Gesù vive la sua vita terrena, ritorna in questi vv. il contrasto discepoli-mondo, già notato sopra al v. 9.
14: Proprio perché hanno accolto la rivelazione («la tua parola»), e quindi non sono più del mondo, il mondo ha odiato i discepoli di Gesù. L’odio del mondo è quindi un criterio ed un segno dell’appartenenza a Cristo, che pure non appartiene al mondo e ne è quindi odiato. La rivelazione toglie dal mondo, demondanizza e fa che l’uomo appartenga al Padre nel Figlio.
15: I discepoli però devono rimanere nel mondo (qui inteso in senso neutro), ma devono essere preservati dal Maligno, inteso probabilmente in senso personale (1Gv 2,13 -14; 3,12; 5,18-19). Si sa che il Maligno odia e vuol uccidere il rivelatore, perché porta la verità e la luce (3,19; 8,44).
16: Questi v, ripete il v. 14cd come conclusione della pericope 17,9-16. Il fondamento della opposizione al mondo, che dev’essere mantenuta, è la non appartenenza dei discepoli al mondo.
17-19: La consacrazione dei discepoli è l’aspetto positivo della santità, mentre precedentemente era stato descritto quello negativo: la non appartenenza al mondo.
17 Consacrali nella verità: la verità è la parola del Padre, la rivelazione come strumento attivo di consacrazione a Dio, quando si interiorizza e diviene un principio interiore di vita (15,3.7).
18: La missione del Figlio deve continuare nella missione dei discepoli. E sarà loro effettivamente data con lo Spirito dopo la risurrezione (20,21). Anche qui sembra sia il Signore risorto, che parla. Siamo sempre di fronte a quella ambiguità, già più volte notata. Colui che parla è insieme il Gesù terreno e il Signore risorto.
19 E per loro [io] consacro me stesso: la santificazione dei discepoli dipende da una donazione sacrificale del Figlio, mentre in 10,36 era prospettata come azione diretta del Padre. Il carattere sacrificale di questa consacrazione di Gesù viene confermato dal «per» loro). Si tratta della consacrazione della sua vita alla volontà salvifica del Padre (10,17-18). È questo il v. in cui maggiormente si rivela il carattere sacerdotale della preghiera. - affinché siano anch’essi consacrati nella verità: a differenza del v. 17 qui la verità è l’ambito vitale ed esistenziale in cui si realizza la consacrazione dei discepoli mediante il sacrificio di alleanza di Gesù.
Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. - «SIANO UNA COSA SOLA!» - Salvato Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): L’attualità del messaggio sull’unità non sfugge a nessuno oggi. L’accorata e ripetuta richiesta di Gesù al Padre: «Siano una cosa sola come noi!» (Gv 17 ,11.21ss) non può lasciare indifferenti le comunità cristiane. Ai nostri giorni il movimento ecumenico ha sensibilizzato i credenti su questo bisogno di unità. La preghiera del Cristo a Dio, affinché tutti i suoi discepoli tendano alla perfezione dell’unità, forma forse il principale punto di riferimento dell’attività ecumenica di tutte le confessioni cristiane. Il documento ufficiale della chiesa cattolica sull’ecumeni mo, il decreto conciliare Unitatis redintegratio, considera Gv 17 come la preghiera per l’unità della chiesa (UR, 8). Inoltre quest’importante documento apre il c. I - consacrato ai principi cattolici sull’ecumenismo - riallacciandosi alla preghiera dell’«ora»: il Figlio di Dio, prima di offrirsi vittima immacolata sull’altare della croce, pregò il Padre per l’unità dei credenti (UR, 2).
In realtà l’impegno concreto e la preghiera di tutti i cristiani per l’unità delle chiese, per l’armonia delle comunità religiose e delle famiglie appaiono di urgente necessità. Dinanzi alle laceranti divisioni delle diverse confessioni cristiane, costatando le contrapposizioni e le animosità tra i differenti gruppi impegnati o tra i vari movimenti cristiani, ecc., tutti sentiamo l’urgenza dell’unione, della comprensione, dell’amore, dell’armonia, affinché si realizzi il sogno di Gesù: «tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, (sei) in me e io in te!» (Gv 17,21).
Gesù prega - Catechismo della Chiesa Cattolica 2599 Il Figlio di Dio diventato Figlio della Vergine ha anche imparato a pregare secondo il suo cuore d’uomo. Egli apprende le formule di preghiera da sua Madre, che serbava e meditava nel suo cuore tutte le «grandi cose» fatte dall’Onnipotente. Egli prega nelle parole e nei ritmi di preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio.
Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente ben più segreta, come lascia presagire già all’età di dodici anni: «Io devo occuparmi delle cose del Padre mio» (Lc 2,49). Qui comincia a rivelarsi la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale, che il Padre aspettava dai suoi figli, viene finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini.
Lupi rapaci - Lontani dalla contaminazione degli uomini impuri - Origene, Omelie sul Levitico 3, 3: Se toccherai la preda di una fiera (Lv 5,2), sarai impuro. Qual è la fiera? il leone o il lupo, che rapiscono gli uomini o i giumenti? Credo sia quella fiera della quale dice l’apostolo Pietro: Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente si aggira cercando chi divorare. Resistetegli forti nella fede (1Pt 5,8-9); e ancora quelli di cui dice l’apostolo Paolo: Dopo la mia partenza, si introdurranno lupi rapaci che non risparmieranno il gregge. Se vedi uno fatto preda di queste fiere, non lo seguire, non lo toccare, per non diventare anche tu impuro.
Vi sono inoltre anche altri animali impuri dei quali si vieta di toccare il cadavere. Animali impuri sono gli uomini che sono fuori del Cristo, nei quali non è alcuna ragione e religione. Se vedi dunque i cadaveri, cioè i peccati di tutti costoro, il legislatore ti dice di non toccarli, di non mettervi sopra la mano, di non palparli.
Il Santo del Giorno - 1 Giugno 2022 - San Giustino, Martire: Tra antichi e Vangelo un ponte di dialogo: La bellezza nel mondo è l’espressione più universale dell’amore di Dio: riuniti attorno al bello gli uomini possono scoprire insieme il vero. A gettare questo ponte tra ragione e fede, tra antichi filosofi e annuncio del Risorto, furono i numerosi pensatori dei primi secoli. Tra loro ci fu anche san Giustino, originario di Flavia Neapolis, in Samaria, figlio di una famiglia pagana. Studiò a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone, approdando poi ai Profeti di Israele e poi al messaggio di Cristo: venne battezzato verso l’anno 130 a Efeso. Negli anni 131-132 era a Roma dove si trovò a confrontarsi con gli studiosi pagani, battendosi contro i pregiudizi sui cristiani alimentati dall’ignoranza. Va in questa linea il suo «Dialogo con Trifone». Da predicatore e studioso itinerante Giustino soggiornò in varie città dell’Impero. Di nuovo a Roma, poi, scrisse una seconda Apologia in difesa dei cristiani, che venivano mandati a morte come “atei” (cioè nemici dello Stato e dei suoi culti). E così anche lui, nel 164, venne incarcerato come “ateo”: venne decapitato con altri sei compagni.
Nutriti dal pane del cielo, ti supplichiamo, o Signore:
concedi a noi di essere docili
agli insegnamenti del santo martire Giustino
e di vivere in perenne rendimento di grazie per i doni ricevuti.
Per Cristo nostro Signore.