1 Giugno 2022
 
San Giustino Martire - Memoria
 
At 20,28-38; Salmo Responsoriale dal Salmo 67 (68); Gv 17,11b-19
 
Colletta
O Dio, che attraverso la stoltezza della croce
hai donato al santo martire Giustino
la sublime conoscenza di Gesù Cristo,
concedi a noi, per sua intercessione,
di respingere gli inganni dell’errore
per conseguire fermezza nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale 21 Marzo 2007): Nel complesso la figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di «empietà» e di «ateismo». In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia, condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui come diabolici «depistaggi» nel cammino della verità. La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. «La nostra filosofia...»: così, nel modo più esplicito, giunse a definire la nuova religione un altro apologista contemporaneo di Giustino, il Vescovo Melitone di Sardi (citato in Eusebio, Storia Eccl. 4,26,7).
Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione – ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini – dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: «Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit – Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine» (La velazione delle vergini 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni «moda culturale», «moda del tempo».
In un’età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione – come pure nel dialogo interreligioso –, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo – e così concludo – le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: «Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire» (Dial. 7,3).):
 
I Lettura - San Paolo ha compreso che la sua vita è giunta al termine, ed è il tempo di passare ad altri il testimone della evangelizzazione. Affida gli anziani della Chiesa di Efeso a Dio, e, allo stesso tempo, ricorda loro di essere vigilanti perché dopo la sua partenza si infiltreranno tra loro lupi feroci, che cercheranno di deformare la dottrina da lui annunciata.
 
Vangelo
La tua parola, Signore, è verità:
consacraci nella verità. (Cf. Gv 17,17b.a)
 
Messale Quotidiano: Siano una cosa sola, come noi. È questo il secondo grande movimento della «preghiera sacerdotale» di Cristo. Al termine del suo discorso-testamento, Gesù si rivolge al Padre che lo sta glorificando nella morte e risurrezione ormai imminente e gli affida la comunità dei discepoli. Egli la descrive con alcune caratteristiche che costituiscono il cuore della Chiesa. Dev’essere una, unita a Dio e ai fratelli nell’amore. Deve conservare e proclamare la parola che Cristo le ha affidato. Deve essere nel mondo senza essere del mondo, agendo in esso da fermento. Deve saper accettare la sofferenza che l’odio del mondo comporta ma deve continuare ad annunziare l’evento pasquale sorgente di salvezza universale.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 17,11b-19: In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

Giuseppe Segalla (Giovanni): Padre santo, conservali: il Padre «santo» deve conservare i discepoli nella santità, cioè nella costante appartenenza a lui, pur rimanendo nel mondo. - nel tuo nome che mi hai dato: se accettiamo questa lettura del testo, qui e nel v. seguente si parla del nome che il Padre ha dato al Figlio. Se si volesse esplicitare questo «nome», si potrebbe pensare al nome divino «Io sono» (8,24.28.58), mentre il nome dato dal Padre a Gesù nell’inno cristologico di FI 2,6-9 è quello di «Signore», che nei LXX traduce spesso il nome divino di Jahve. - affinché siano uno come noi: risuona già il tema dell’unità sul modello e sul fondamento dell’unità fra il Padre ed il Figlio, che verrà sviluppato poi nella terza parte della preghiera (17,21-23).
13 mentre sono nel mondo: a differenza del v. 11, qui Gesù si considera ancora nel mondo. Lo scopo della sua preghiera è la gioia in pienezza, dono escatologico, espressione della presenza della salvezza, frutto della pace.
14-16: dopo i vv. 10-13, dove il mondo era il luogo e lo spazio temporale in cui Gesù vive la sua vita terrena, ritorna in questi vv. il contrasto discepoli-mondo, già notato sopra al v. 9.
14: Proprio perché hanno accolto la rivelazione («la tua parola»), e quindi non sono più del mondo, il mondo ha odiato i discepoli di Gesù. L’odio del mondo è quindi un criterio ed un segno dell’appartenenza a Cristo, che pure non appartiene al mondo e ne è quindi odiato. La rivelazione toglie dal mondo, demondanizza e fa che l’uomo appartenga al Padre nel Figlio.
15: I discepoli però devono rimanere nel mondo (qui inteso in senso neutro), ma devono essere preservati dal Maligno, inteso probabilmente in senso personale (1Gv 2,13 -14; 3,12; 5,18-19). Si sa che il Maligno odia e vuol uccidere il rivelatore, perché porta la verità e la luce (3,19; 8,44).
16: Questi v, ripete il v. 14cd come conclusione della pericope 17,9-16. Il fondamento della opposizione al mondo, che dev’essere mantenuta, è la non appartenenza dei discepoli al mondo.
17-19: La consacrazione dei discepoli è l’aspetto positivo della santità, mentre precedentemente era stato descritto quello negativo: la non appartenenza al mondo.
17 Consacrali nella verità: la verità è la parola del Padre, la rivelazione come strumento attivo di consacrazione a Dio, quando si interiorizza e diviene un principio interiore di vita (15,3.7).
18: La missione del Figlio deve continuare nella missione dei discepoli. E sarà loro effettivamente data con lo Spirito dopo la risurrezione (20,21). Anche qui sembra sia il Signore risorto, che parla. Siamo sempre di fronte a quella ambiguità, già più volte notata. Colui che parla è insieme il Gesù terreno e il Signore risorto.
19 E per loro [io] consacro me stesso: la santificazione dei discepoli dipende da una donazione sacrificale del Figlio, mentre in 10,36 era prospettata come azione diretta del Padre. Il carattere sacrificale di questa consacrazione di Gesù viene confermato dal «per» loro). Si tratta della consacrazione della sua vita alla volontà salvifica del Padre (10,17-18). È questo il v. in cui maggiormente si rivela il carattere sacerdotale della preghiera. - affinché siano anch’essi consacrati nella verità: a differenza del v. 17 qui la verità è l’ambito vitale ed esistenziale in cui si realizza la consacrazione dei discepoli mediante il sacrificio di alleanza di Gesù.
 
Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. -  «SIANO UNA COSA SOLA!» - Salvato Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): L’attualità del messaggio sull’unità non sfugge a nessuno oggi. L’accorata e ripetuta richiesta di Gesù al Padre: «Siano una cosa sola come noi!» (Gv 17 ,11.21ss) non può lasciare indifferenti le comunità cristiane. Ai nostri giorni il movimento ecumenico ha sensibilizzato i credenti su questo bisogno di unità. La preghiera del Cristo a Dio, affinché tutti i suoi discepoli tendano alla perfezione dell’unità, forma forse il principale punto di riferimento dell’attività ecumenica di tutte le confessioni cristiane. Il documento ufficiale della chiesa cattolica sull’ecumeni mo, il decreto conciliare Unitatis redintegratio, considera Gv 17 come la preghiera per l’unità della chiesa (UR, 8). Inoltre quest’importante documento apre il c. I - consacrato ai principi cattolici sull’ecumenismo - riallacciandosi alla preghiera dell’«ora»: il Figlio di Dio, prima di offrirsi vittima immacolata sull’altare della croce, pregò il Padre per l’unità dei credenti (UR, 2).
In realtà l’impegno concreto e la preghiera di tutti i cristiani per l’unità delle chiese, per l’armonia delle comunità religiose e delle famiglie appaiono di urgente necessità. Dinanzi alle laceranti divisioni delle diverse confessioni cristiane, costatando le contrapposizioni e le animosità tra i differenti gruppi impegnati o tra i vari movimenti cristiani, ecc., tutti sentiamo l’urgenza dell’unione, della comprensione, dell’amore, dell’armonia, affinché si realizzi il sogno di Gesù: «tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, (sei) in me e io in te!» (Gv 17,21).
 
Gesù prega - Catechismo della Chiesa Cattolica 2599 Il Figlio di Dio diventato Figlio della Vergine ha anche imparato a pregare secondo il suo cuore d’uomo. Egli apprende le formule di preghiera da sua Madre, che serbava e meditava nel suo cuore tutte le «grandi cose» fatte dall’Onnipotente. Egli prega nelle parole e nei ritmi di preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio.
Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente ben più segreta, come lascia presagire già all’età di dodici anni: «Io devo occuparmi delle cose del Padre mio» (Lc 2,49). Qui comincia a rivelarsi la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale, che il Padre aspettava dai suoi figli, viene finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini.
 
Lupi rapaci - Lontani dalla contaminazione degli uomini impuri - Origene, Omelie sul Levitico 3, 3: Se toccherai la preda di una fiera (Lv 5,2), sarai impuro. Qual è la fiera? il leone o il lupo, che rapiscono gli uomini o i giumenti? Credo sia quella fiera della quale dice l’apostolo Pietro: Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente si aggira cercando chi divorare. Resistetegli forti nella fede (1Pt 5,8-9); e ancora quelli di cui dice l’apostolo Paolo: Dopo la mia partenza, si introdurranno lupi rapaci che non risparmieranno il gregge. Se vedi uno fatto preda di queste fiere, non lo seguire, non lo toccare, per non diventare anche tu impuro.
Vi sono inoltre anche altri animali impuri dei quali si vieta di toccare il cadavere. Animali impuri sono gli uomini che sono fuori del Cristo, nei quali non è alcuna ragione e religione. Se vedi dunque i cadaveri, cioè i peccati di tutti costoro, il legislatore ti dice di non toccarli, di non mettervi sopra la mano, di non palparli.
 
Il Santo del Giorno - 1 Giugno 2022 - San Giustino, Martire: Tra antichi e Vangelo un ponte di dialogo: La bellezza nel mondo è l’espressione più universale dell’amore di Dio: riuniti attorno al bello gli uomini possono scoprire insieme il vero. A gettare questo ponte tra ragione e fede, tra antichi filosofi e annuncio del Risorto, furono i numerosi pensatori dei primi secoli. Tra loro ci fu anche san Giustino, originario di Flavia Neapolis, in Samaria, figlio di una famiglia pagana. Studiò a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone, approdando poi ai Profeti di Israele e poi al messaggio di Cristo: venne battezzato verso l’anno 130 a Efeso. Negli anni 131-132 era a Roma dove si trovò a confrontarsi con gli studiosi pagani, battendosi contro i pregiudizi sui cristiani alimentati dall’ignoranza. Va in questa linea il suo «Dialogo con Trifone». Da predicatore e studioso itinerante Giustino soggiornò in varie città dell’Impero. Di nuovo a Roma, poi, scrisse una seconda Apologia in difesa dei cristiani, che venivano mandati a morte come “atei” (cioè nemici dello Stato e dei suoi culti). E così anche lui, nel 164, venne incarcerato come “ateo”: venne decapitato con altri sei compagni.
 
Nutriti dal pane del cielo, ti supplichiamo, o Signore:
concedi a noi di essere docili
agli insegnamenti del santo martire Giustino
e di vivere in perenne rendimento di grazie per i doni ricevuti.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 
 
31 MAGGIO 2022
 
VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA – FESTA
 
Sof 3,14-18 oppure Rm 12,9-16b; Salmo Responsoriale da Is 12,2-6; Lc 1,39-56
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
tu hai ispirato alla beata Vergine Maria,
che portava in grembo il tuo Figlio,
di visitare sant’ Elisabetta:
concedi a noi di essere docili all’azione dello Spirito,
per magnificare sempre con Maria il tuo santo nome.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 15 Agosto 2020): Che cosa ci consiglia la nostra Madre? Oggi nel Vangelo la prima cosa che dice è: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46). Noi, abituati a sentire queste parole, forse non facciamo più caso al loro significato. Magnificare letteralmente significa “fare grande”, ingrandire. Maria “ingrandisce il Signore”: non i problemi, che pure non le mancavano in quel momento, ma il Signore. Quante volte, invece, noi ci lasciamo sovrastare dalle difficoltà e assorbire dalle paure! La Madonna no, perché mette Dio come prima grandezza della vita. Da qui scaturisce il Magnificat, da qui nasce la gioia: non dall’assenza dei problemi, che prima o poi arrivano, ma la gioia nasce dalla presenza di Dio che ci aiuta, che è vicino a noi. Perché Dio è grande. E soprattutto, Dio guarda ai piccoli. Noi siamo la sua debolezza di amore: Dio guarda e ama i piccoli.
Maria, infatti, si riconosce piccola ed esalta le «grandi cose» (v. 49) che il Signore ha fatto per lei. Quali? Anzitutto il dono inatteso della vita: Maria è vergine e rimane incinta; e pure Elisabetta, che era anziana, aspetta un figlio. Il Signore fa meraviglie con i piccoli, con chi non si crede grande ma dà grande spazio a Dio nella vita. Egli stende la sua misericordia su chi confida in Lui e innalza gli umili. Maria loda Dio per questo.
E noi – possiamo chiederci – ci ricordiamo di lodare Dio? Lo ringraziamo per le grandi cose che fa per noi? Per ogni giornata che ci dona, perché ci ama e ci perdona sempre, per la sua tenerezza? E ancora, per averci dato la sua Madre, per i fratelli e le sorelle che ci mette sul cammino, perché ci ha aperto il Cielo? Noi ringraziamo Dio, lodiamo Dio per queste cose? Se dimentichiamo il bene, il cuore si rimpicciolisce. Ma se, come Maria, ricordiamo le grandi cose che il Signore compie, se almeno una volta al giorno lo magnifichiamo, allora facciamo un grande passo in avanti. Una volta al giorno possiamo dire: “Io lodo il Signore”; “Benedetto il Signore”: è una piccola preghiera di lode. Questo è lodare Dio. Il cuore, con questa piccola preghiera, si dilaterà, la gioia aumenterà. Chiediamo alla Madonna, porta del Cielo, la grazia di iniziare ogni giorno alzando lo sguardo verso il cielo, verso Dio, per dirgli: “Grazie!”, come dicono i piccoli ai grandi.
 
I Lettura (Sof 3,14-18):  Il popolo di Dio, figurato nella figlia di Sion, esulti e canti di gioia per i nuovi prodigi che il Signore Dio, salvatore potente, sta per operare a sua salvezza. Il Signore Dio, come un forte guerriero, disperderà i nemici d’Israele e porrà la sua dimora in mezzo ad esso. Dopo che avrà rinnovato il suo popolo con l’amore, il Signore Dio gioirà per esso ed esulterà con grida di gioia.
 
Vangelo
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.
 
Maria non è una donna incredula al pari di Zaccaria. Va a trovare Elisabetta non per sincerarsi delle parole e della profezia dell’angelo, ma perché sospinta dalla carità e dal fuoco ardente dello zelo missionario: per mezzo di Maria, la Buona Novella, Gesù, mette le ali e già attraversa le vie della storia. Maria, pur consapevole della sua bassezza, sospinta dallo Spirito Santo, non può non esclamare la grandezza misericordiosa di Dio che guardando la sua umiltà ancora una volta persegue e conferma il suo eterno agire: scegliere le cose umili per confondere i sapienti (1Cor 1,27-28).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,39-56
 
In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
 
Si mise in viaggio - Maria si mette in viaggio verso la montagna e raggiunge una città di Giuda, oggi preferibilmente identificata con Ain-Karim, 6 Km a ovest di Gerusalemme. La fretta con la quale Maria si avvia a trovare Elisabetta, l’anziana sposa di Zaccaria miracolosamente rimasta incinta (Lc 1,5-25), mette in evidenza la sua pronta disponibili­tà al progetto di Dio. Entrata in casa, il saluto della Vergine raggiunge per vie misteriose il bambino che sussulta nel grembo della madre la quale, «piena di Spirito Santo», saluta con parole profetiche la Madre del Signore.
Con un’espressione semitica che equivale a un superlativo, Elisabetta proclama Maria «benedetta fra le donne»; la Vergine è benedetta «per la presenza di un frutto benedetto [eulogémenos] nel suo seno: benedetta dunque perché madre del Benedetto, perché madre del suo Signore [vv. 42-43;]; la proclama, ancora, beata [makaria] per la fede con la quale ha reagito alla proposta divina: beata dunque perché fedele, perché uditrice della parola del Signore [v. 45]» (Carlo Ghidelli).
Il saluto dell’angelo, - «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28) - e il saluto dell’anziana donna, - «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno» - (Lc 1,42), fusi insieme, saranno ripetuti nei secoli da milioni di credenti: l’Ave Maria è «una delle preghiere più belle e profonde, nella quale Elisabetta, e quindi l’Antico Testamento, si collega con Maria, cioè col Nuovo Testamento» (Richard Gutzwiller).
Il racconto della visitazione ricorda, con evidenti allusioni e coincidenze, il racconto biblico del trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme operato dal re Davide (2Sam 6,1 ss).
L’arca sale verso Gerusalemme, Maria sale verso la montagna. L’arca entra nella casa di Obed- Edom e Maria entra nella casa di Zaccaria. La gioia del nascituro e il suo trasalimento nel grembo dell’anziana madre ricordano la gioia di Davide e la sua danza festosa dinanzi all’arca. L’espressa indegnità di Elisabetta dinanzi alla Madre del Signore ricorda ancora l’indegnità del re David di fronte all’arca del Signore. Questi accostamenti, molto precisi nei particolari, ben difficilmente possono essere accidentali.
L’identificazione dei due racconti va allora verso una chiara proclamazione: Maria, la Madre del Signore, è la nuova arca del Signore, e suo figlio, Gesù, è il Signore abitante in quel tempio vivo.
L’anziana sposa di Zaccaria nel proclamare senza indugi Maria «la Madre del Signore» non fa che raccogliere e ripetere le parole del nunzio celeste.
Nella tradizione biblica il Signore è Iahvé, ma anche il grande sovrano (1Cr 29,11; 2Mac 5,20; Sal 48,3), il re (Sir 51,1; Sal 99,4). L’angelo aveva annunciato a Maria che il promesso figlio sarebbe stato chiamato «Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31) e avrebbe regnato per sempre «sul trono di Davide suo padre» (Lc 1,32-33): nel suo annuncio profetico, Elisabetta non fa che ricordare e confermare le parole del messaggero celeste.
Alla fine, sulle labbra di Elisabetta si coglie un’ultima parola di lode che viene rivolta con gioia alla Vergine di Nazaret: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Maria è beata perché «madre del Signore», ed è beata perché perfetta discepola: Ella ha accolto nel suo cuore, prima che nel suo grembo, la Parola viva feconda di vita e di salvezza.
Anche il cantico della Vergine ha un riscontro nell’Antico Testamento (cfr. 1Sam l-10). Ma sulle labbra di Maria il Magnificat ha risonanze e significati molto più profondi. La Vergine non risponde ad Elisabetta, ma si rivolge a Dio lodandolo per la sua misericordiosa accondiscendenza. Egli «mi ha guardato - dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento... così come lo stesso Salvatore, che ha detto: Imparate da Me che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime» (Origene).
 
... di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono: Dives in misericordia 9: Maria è anche colei che, in modo particolare ed eccezionale - come nessun altro -, ha sperimentato la misericordia e al tempo stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina. Tale sacrificio è strettamente legato alla croce del Figlio, ai piedi della quale ella doveva trovarsi sul Calvario. Questo suo sacrificio è una singolare partecipazione al rivelarsi della misericordia, cioè alla fedeltà assoluta di Dio al proprio amore, all’alleanza che egli ha voluto fin dall’eternità ed ha concluso nel tempo con l’uomo, con il popolo, con l’umanità; è la partecipazione a quella rivelazione che si è definitivamente compiuta attraverso la croce. Nessuno ha sperimentato, al pari della Madre del Crocifisso, il mistero della croce, lo sconvolgente incontro della trascendente giustizia divina con l’amore: quel «bacio» dato dalla misericordia alla giustizia. Nessuno al pari di lei, Maria, ha accolto col cuore quel mistero: quella dimensione veramente divina della redenzione che ebbe attuazione sul Calvario mediante la morte del Figlio, insieme al sacrificio del suo cuore di madre, insieme al suo definitivo «fiat». Maria quindi è colei che conosce più a fondo il mistero della misericordia divina. Ne sa il prezzo, e sa quanto esso sia grande. In questo senso la chiamano anche Madre della misericordia: Madonna della misericordia o Madre della divina misericordia; in ciascuno di questi titoli c’è un profondo significato teologico, perché essi esprimono la particolare preparazione della sua anima, di tutta la sua personalità, nel saper vedere, attraverso i complessi avvenimenti di Israele prima, e di ogni uomo e dell’umanità intera poi, quella misericordia di cui «di generazione in generazione» si diviene partecipi secondo l’eterno disegno della SS. Trinità.
 
Antipatro di Bostra (De S. Ioanne, 12): Dopo aver ascoltato queste cose, la Vergine si recò, alla casetta di Zaccaria, e trovata Elisabetta incinta, la salutò, e il bambino all’interno rispose. Per le orecchie della madre il saluto pervenne a quelle del feto, e poiché per i limiti di natura Giovanni non poteva usare la lingua, parlò in modo che la propria madre attraverso i suoi salti rispondesse con proprie parole alla madre del Salvatore. Infatti Elisabetta non potendo più trattenere il sussultare del figlio, ripiena di Spirito Santo, esclamò dicendo: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del ventre tuo”! (Lc 1,42). Tu, disse, benedetta che dissolvi la maledizione. Tu benedetta, che rechi il dono della sapienza. Tu benedetta, che porti nell’utero colui che ha passeggiato nel paradiso. Tu benedetta, il cui ventre è divenuto tempio santo. “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del ventre tuo!”, dal quale sarà vinto il nemico, dal tempo in cui Adamo mangiò. Frutto benedetto, che è divenuto alimento e vestito del mondo».
 
Beato Nicolas Barrè Religioso, fondatore (Amiens [Francia], 21 ottobre 1621 – Parigi, 31 maggio 1686): Il beato Nicolas Barrè nacque il 21 ottobre 1621 ad Amiens in Francia. Dopo gli studi nel Liceo della diocesi di Amiens retto dai Gesuiti, decise di entrare fra i religiosi Minimi, l’Ordine fondato in Italia da san Francesco da Paola (1416-1507). Nel 1640 fu accolto nel noviziato di Parigi, dove fu ordinato sacerdote nel 1645. Svolse il suo apostolato fra Parigi, Amiens e Rouen, apprezzato professore di teologia ed esperto bibliotecario della celebre biblioteca, che i Minimi avevano nel loro convento di Place Royale a Parigi. Dopo aver avuto modo di conoscere la situazione delle famiglie operaie con la collaborazione di due giovani donne Francesca Duval e Margherita Lestocq, organizzò una missione a Sotteville, alla periferia di Rouen, radunando molte ragazze per istruirle e fare della catechesi. Sorsero così le «Maestre di Carità» che insegnavano nelle «Scuole di Carità». Le Maestre, formanti due grosse comunità, facenti capo a Rouen e a Parigi, col tempo divennero sempre più autonome e dopo la morte del fondatore, il 31 maggio 1686, diedero vita a due Congregazioni. (Avvenire)
 
Ti magnifichi, o Dio, la tua Chiesa,
perché hai fatto grandi cose per i tuoi fedeli,
e con gioia riconosca sempre vivo in questo sacramento
colui che fece sussultare san Giovanni nel grembo della madre.
Per Cristo nostro Signore.
  
30 MAGGIO 2022
 
LUNEDÌ DELLA VII SETTIMANA DI PASQUA
 
At 19,1-8; Salmo Responsoriale dal Salmo 67 (68); Gv 16,29-33
 
Colletta
Venga su di noi, o Signore, la potenza dello Spirito Santo,
perché aderiamo pienamente alla tua volontà
e la possiamo testimoniare con una degna condotta di vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
I Carismi - Catechismo della Chiesa Cattolica 799 Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che, direttamente o indirettamente, hanno un’utilità ecclesiale, ordinati come sono all’edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo.
800 I carismi devono essere accolti con riconoscenza non soltanto da chi li riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. Infatti sono una meravigliosa ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità di tutto il corpo di Cristo, purché si tratti di doni che provengono veramente dallo Spirito Santo e siano esercitati in modo pienamente conforme agli autentici impulsi dello stesso Spirito, cioè secondo la carità, vera misura dei carismi.
2003 La grazia è innanzi tutto e principalmente il dono dello Spirito che ci giustifica e ci santifica. Ma la grazia comprende anche i doni che lo Spirito ci concede per associarci alla sua opera, per renderei capaci di cooperare alla salvezza degli altri e alla crescita del corpo di Cristo, la Chiesa. Sono le grazie sacramentali, doni propri ai diversi sacramenti.
Sono inoltre le grazie speciali chiamate anche carismi con il termine greco usato da san Paolo, che significa favore, dono gratuito, beneficio.
Qualunque sia la loro natura a volte straordinaria, come il dono dei miracoli o delle lingue, i cari mi sono ordinati alla grazia santificante e hanno come fine il bene comune della Chiesa. Sono al servizio della carità che edifica la Chiesa.
 
I Lettura: Giovanni il Battista era soltanto il Precursore, e solo Gesù è il Messia, colui che dona lo Spirito Santo, questo è quanto vuole suggerire il testo lucano. Forse una nota polemica nei confronti dei circoli giovannei ancora rilevanti nelle comunità giudaiche. Il parlare in lingue e il profetare sono carismi spirituali che confermano la presenza dello Spirito Santo sopra tutto quando le comunità si congregavano nelle assemblee liturgiche per pregare e lodare il Signore. Nella sinagoga di Efeso Paolo poté parlare liberamente per tre mesi, segno di un uditorio attento e ben disposto nell’accogliere la predicazione apostolica
 
Vangelo
Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!
 
La professione di fede dei discepoli, per questo crediamo che sei uscito da Dio, ancora non è intaccata dallo scandalo della Croce. Gli Apostoli sembrano aver dimenticato che il Calvario è dietro l’angolo, e così quando tutto sembra tranquillo e quando la pace regna sovrana nel cuore è facile professare la fede, ma sarà un po’ più difficile farlo nella prova, e quanto vuol suggerire Gesù ai discepoli: Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conti suo e mi lascerete solo. Nel proseguo del brano giovanneo tre affermazioni: Gesù nel momento estremo della prova non sarà solo, perché il Padre è con lui; la profezia di quanto avverrà nei giorni della sua passione, fuga dei discepoli, tradimento di Giuda e apostasia di Pietro, è tesa rafforzare la fede dei discepoli nel Maestro, colui che sa tutto; e, infine, il mondo sarà sempre ostile, un nemico da osteggiare. ma non potrà mai prevalere perché Gesù ha vinto il mondo, intendendo per mondo tutte le potenze offensive nei confronti della Chiesa. 
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,29-33
 
In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio».
Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».
 
Benedetto Prete (I Quattro vangeli): 29 Ora parli in tutta chiarezza; questa dichiarazione si riferisce a tutto l’insegnamento di Gesù sulla sua «missione» (invio) nel mondo e sulla sua andata al Padre, non già alle sole parole pronunziate da Gesù poco prima (cf. verss. 27-28). Ai discepoli viene ora proposto in termini chiari il problema di Cristo: Gesù è la persona che viene dal Padre (invio nel mondo) e va al Padre (glorificazione di Cristo); essi ora afferrano il senso di tali dichiarazioni sulla persona del loro Maestro; questa loro conoscenza del problema di Cristo li induce a compiere una confessione di fede (cf. vers. seguente).
30 Ora conosciamo che sai tutto; l’intero versetto è una confessione di fede, nella quale si richiamano e vengono fuse insieme alcune dichiarazioni fatte precedentemente dal Salvatore. Le parole «ora conosciamo che sai tutto» si richiamano ai verss. 17-19. Per questo crediamo che sei uscito da Dio; si riprendono le stesse parole di Cristo, riferite al vers. 27.
31 Voi credete adesso?; l’espressione non manifesta la meraviglia di Gesù che i discepoli soltanto a questo momento siano giunti ad una vera e solida fede, ma contiene un richiamo ed un monito. La proposizione ha il senso seguente: voi dichiarate di credere, ma la vostra fede, pur sincera e generosa, è ancora imperfetta e non sufficientemente salda per affrontare le prove che vi attendono.
32 Ecco viene l’ora... in cui voi vi disperderete; le parole del Redentore preannunziano la fuga degli apostoli; all’ora della prova («ecco viene l’ora»; anzi essa può considerarsi già presente) tutti gli apostoli abbandoneranno Cristo lasciandolo solo. «Vi disperderete»; cf. Zaccaria, 13, 7; nei sinottici la fuga dei discepoli è ricordata perché predetta dalla Sacra Scrittura (testo citato di Zaccaria), in Giovanni invece è una predizione formulata da Cristo; inoltre nei sinottici questa profezia è riportata prima della predizione del rinnegamento di Pietro, non già dopo, come in Giovanni (cf. Mt., 26, 31; Mc., 14, 27; Giov., 13, 36-38). Mi lascerete solo; i discepoli lasceranno Cristo solo con i suoi nemici. Ma io non sono solo...; rilievo di carattere teologico che riafferma il principio che il Padre è sempre con il Figlio (cf. Giov., 8, 29).
33 Queste cose vi ho detto affinché abbiate pace in me; «queste cose» fanno riferimento alla fuga dei discepoli. «Affinché abbiate pace in me»; è la pace che i discepoli devono conservare nelle prove e nelle persecuzioni che subiranno nel mondo e dal mondo. I discepoli, dopo la fuga, dimostrazione del cedimento della loro fede, devono rialzarsi e avere la pace in Cristo. Nei discorsi d’addio il tema della pace è un motivo ricorrente: tutto deve ispirare la pace (14, 1); la pace di cui parla Gesù non può esser data dal mondo (14, 27); la pace può essere trovata soltanto in Cristo (15, 5-7). Nel mondo avrete persecuzioni; ma abbiate fiducia; le prove non saranno risparmiate ai discepoli; essi tuttavia devono aver fiducia, non già devono lasciarsi smarrire, né desistere dalla loro missione per pavidità di animo. Io ho vinto il mondo; la vittoria di Cristo assicura anche la vittoria dei discepoli; se essi rimarranno uniti a Cristo, trionferanno con lui e per lui (cf. 1 Giov., 5, 4-5). La vittoria è stata già riportata da Gesù, poiché egli vince il mondo ed il principe di questo mondo (cf. 12, 31; 14, 30; Apocalisse, 3, 21; 5, 5); i discepoli non debbono far altro che confermare tale vittoria ed estenderla nel tempo. L’azione decisiva è stata compiuta da Cristo, ai discepoli non resta altro che credere a questa vittoria e imporla al mondo. Nei verss. 32-33 sembra che Gesù comprima e mortifichi l’entusiasmo della confessione di fede compiuta dai discepoli; ciò si riscontra più volte nei vangeli (cf. Giov., 6, 68-70; 13, 38; Mc., 8, 29-33 e paralleli; 10, 28-31, 38-40; 14, 29-31); questi passi riecheggiano una convinzione della Chiesa primitiva; l’avanzamento e l’affermazione del regno di Dio (la Chiesa) non si devono principalmente al coraggio, né all’intraprendenza, né alla fede dei discepoli, ma a Cristo stesso, cioè a tutto ciò che egli ha compiuto nei discepoli; tale verità appariva con immediata evidenza a tutta la Chiesa primitiva e veniva continuamente constatata.
 
La pace frutto dell’amore: Dominum et vivificantem 67: La Chiesa col suo cuore, che in sé comprende tutti i cuori umani, chiede allo Spirito Santo la felicità, che solo in Dio ha la sua completa attuazione: la gioia “che nessuno potrà togliere” (cfr. Gv 16,22), la gioia che è frutto dell’amore e, dunque, di Dio che è amore; chiede “la giustizia, la pace e la gioia dello Spirito Santo”, in cui, secondo san Paolo, consiste il Regno di Dio (cfr. Rm 14,17; Gal 5,22). Anche la pace è frutto dell’amore: quella pace interiore, che l’uomo affaticato cerca nell’intimo del suo essere; quella pace chiesta dall’umanità, dalla famiglia umana, dai popoli, dalle nazioni, dai continenti, con una trepida speranza di ottenerla nella prospettiva del passaggio dal secondo al terzo Millennio cristiano. Poiché la via della pace passa in definitiva attraverso l’amore e tende a creare la civiltà dell’amore, la Chiesa fissa lo sguardo in colui che è l’amore del Padre e del Figlio e, nonostante le crescenti minacce, non cessa di aver fiducia, non cessa di invocare e di servire la pace dell’uomo sulla terra. La sua fiducia si fonda su colui che, essendo lo Spirito-amore, è anche lo Spirito della pace e non cessa di esser presente nel nostro mondo umano, sull’orizzonte delle coscienze e dei cuori, per “riempire l’universo” di amore e di pace. Davanti a lui io m’inginocchio al termine di queste considerazioni, implorando che, come Spirito del Padre e del Figlio, egli conceda a noi tutti la benedizione e la grazia, che desidero trasmettere, nel nome della Santissima Trinità, ai figli e alle figlie della Chiesa ed all’intera famiglia umana.
 
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. exp., XVI): … ora comprendiamo che Tu conosci tutto … : cioè il Signore conosceva tutti i segreti del loro cuore e scioglieva i loro dubbi ... prevenendo le loro domande.
 
Il Santo del Giorno - 30 maggio 2022 - San Giuseppe Marello Vescovo (Torino, 26 dicembre 1846 - Savona, 30 maggio 1895): Giuseppe Marello nacque a Torino il 26 dicembre 1846, dove suo padre gestiva un negozio ed era amico di don Giuseppe Cottolengo al quale regalava lenzuola per gli ospiti della «Piccola Casa». A dodici anni andò in pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona e qui, nella cripta davanti all’altare di Maria riconobbe la sua vocazione. Fu ordinato sacerdote nel 1868 ad Asti dal vescovo Carlo Savio che lo nominò suo segretario. Diventato vescovo di Acqui nel 1872, partecipò ai lavori del Concilio Vaticano I e si sentì particolarmente felice per la proclamazione di san Giuseppe a patrono della Chiesa universale. A lui si ispirò per gli Oblati di San Giuseppe, congregazione religiosa che sorse nel 1878. Sin dagli inizi del suo sacerdozio aveva intuito i bisogni della gioventù e dei poveri. Ai suoi preti chiedeva di essere «certosini in casa, apostoli fuori». Morì, quasi cinquantenne, a Savona il 30 maggio 1895. È santo dal 2001. (Avvenire)
 
O Dio, che ci nutri dell’unico pane
e ci sostieni con l’unica speranza,
rafforzaci con la tua grazia,
perché formiamo tutti, in Cristo,
un solo corpo e un solo spirito,
per risorgere con lui nella gloria.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 
 29 Maggio 2022
 
Ascensione del Signore
 
At 1,1-11; Salmo Responsoriale 46 (47);  Eb 9,24-28; 10,19-23; Dal Vangelo secondo Luca 24,46-53
 
Colletta
Dio onnipotente,
concedi che i nostri cuori dimorino nei cieli,
dove noi crediamo che oggi è asceso
il tuo Unigenito, nostro redentore.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Catechismo della Chiesa Cattolica: 659 «Il Signore Gesù, dopo aver parlate con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19). Il corpo di Cristo è stato glorificato fin dall’istante della sua risurrezione, come lo provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in permanenza. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli e li istruisce sul Regno. la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria. L’ultima apparizione di Gesù termina con l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube e dal cielo ove egli siede ormai alla destra di Dio. In un modo del tutto eccezionale ed unico egli si mostrerà a Paolo «come a un aborto» (1Cor 15,8) in un’ultima apparizione che costituirà Apostolo Paolo stesso.
663 Cristo, ormai, siede alla destra del Padre: «Per destra del Padre intendiamo la gloria e l’onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli, come Dio e consostanziale al Padre, s’è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e la sua carne è stata glorificata».
664 L’essere assiso alla destra del Padre significa l’inaugurazione del regno del Messia, compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio dell’uomo: « [Il Vegliardo] gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (Dn 7,14). A partire da questo momento, gli Apostoli sono divenuti i testimoni del « regno che non avrà fine».
 
I Lettura: La comunità cristiana prende coscienza dell’efficacia assoluta del sacrificio di Cristo, il quale ha cancellato il peccato e non ha bisogno di essere reiterato. Allo stesso tempo, fa esperienza in mezzo ad essa, in tutta la sua potenza (cfr. Lc 1,35; 24,49; At 1,8; 10,38; Rom 15,13.19; 1Cor 2,4-5; 1Ts 1,5; Eb 2,4), della presenza dello Spirito Santo, promesso dal Padre e mandato dal Figlio. Lo Spirito Santo accordando alla Chiesa i carismi (cfr. 1Cor 12,4s) autentica la sua predicazione, ma soprattutto le dà la forza di annunziare Gesù Cristo, nonostante le persecuzioni (cfr. At 4,8.31; 5,32; 6,10) e di rendergli testimonianza (cfr. Mt 10,20; Gv 15,26; At 1,8; 2Tm 1,7s). La missione della Chiesa sta nel rendere testimonianza della risurrezione di Gesù e si estende sino agli estremi confini della terra.
 
II Lettura: Se nell’Antica Legge soltanto il sommo sacerdote, una volta all’anno, aveva accesso al Santo dei santi, ora tutti i credenti hanno «piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù» (Eb 10,23). Gesù è la «via nuova e vivente» (Eb 10,24) che ci conduce a Dio.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,46-53

Alice Baum: [Ascensione di Cristo] Non va fraintesa come processo visibile spaziale, quasi fosse un “viaggio nello spazio”. La scena dell’ascensione nelle due opere lucane (Lc 24,50-53; At 1,9-11) illustra, servendosi di motivi e stilemi biblici (gesto di benedizione, nube, angelo ­interprete), la fede pasquale fondata sulle apparizioni del Risorto: l’esaltazione di Gesù, avvenuta con la risurrezione, nella gloria di Dio e la sua intronizzazione come Figlio di Dio messianico. Illustra così un evento reale, ma in tutto e per tutto soprannaturale, la cui invisibilità è indicata dal simbolo biblico della nube, la presenza velata della gloria di Dio. La durata di quaranta giorni delle apparizioni (At 1,3) non vuoi datare l’ascensione, che anche per Luca coincide con la risurrezione (Lc 24), ma sottolineare che gli apostoli hanno sperimentato la realtà della risurrezione per un lasso di tempo prolungato, grazie al quale la loro testimonianza acquista autorevolezza. Gli angeli servono, in fondo, all’interpretazione del misterioso evento: l’esaltazione di Gesù garantisce il suo potente ritorno. Al tempo stesso viene respinta l’attesa del ritorno imminente, che al tempo di Luca era ancora dominante. Invece di guardare verso il Signore che ritorna, è necessario rendergli testimonianza nel presente. Il tempo della presenza terrena di Gesù è finito. Ha inizio il tempo della sua presenza invisibile nella chiesa.
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
 
Bruno Maggioni (Il racconto di Luca): «Voi siete testimoni di queste cose» (24,48): nella grecità il testimone (martùs) è chi è in grado di deporre su fatti ai quali ha assistito di persona.
L’ ambiente originario della testimonianza è il dibattimento processuale. Gli undici hanno personalmente visto gli eventi di Gesù («queste cose») e sono perciò in grado di testimoniarle.
Il vocabolo «testimone» ha però allargato il suo significato: non più soltanto chi ha constatato di persona un fatto, ma anche chi afferma coraggiosamente una cosa in cui crede profondamente, pronto a dirla con la vita.
«Ed ecco io mando su di voi la promessa del Padre mio» (24,49): la «promessa del Padre» è il dono dello Spirito. Luca dà molta importanza allo Spirito sia nel vangelo che negli Atti. Lo Spirito è il costitutivo della continuità fra il tempo di Gesù e il tempo della chiesa, fra il passato e la contemporaneità. Nello Spirito l’evento di Gesù, di per sé circoscritto in un tempo e in un luogo, diventa un oggi in ogni tempo e in ogni luogo.
L’ Ascensione (24,50-51) conclude la storia evangelica. Allo stesso modo aprirà la storia della chiesa (Atti 1,9-11). Per Luca ha un duplice significato. E un salire al Padre («veniva portato verso il cielo»), precisando in tal modo che la risurrezione di Gesù non è un ritorno alla vita di prima, quasi un passo all’indietro, bensì l’entrata in una condizione nuova, un passo in avanti, nella gloria di Dio. L’Ascensione è però anche descritta come un distacco, una partenza («si staccò da loro»): Gesù ritira la sua presenza visibile, sostituendola con una presenza nuova, invisibile e tuttavia più profonda: una presenza che si coglie nella fede, nell’intelligenza delle Scritture e nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella fraternità.
 
Gli Apostoli - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Cadono a terra, adorando. Anche da parte loro è ora scomparsa ogni oscurità di dubbio, di tentennamento, di incertezza. Il Vangelo finisce con l’omaggio dell’adorazione. La risurrezione del Signore e la sua ascensione al cielo hanno mostrato loro in modo definitivo la sua origine divina, la sua natura divina e l’esaltazione alla destra del Padre. Meravigliata adorazione è l’unica possibile risposta della loro gioia stupita. Allora «tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio».
Il Vangelo finisce nella gioia, e il ritorno del Signore nella gloria è per gli Apostoli l’occasione di glorificare Iddio. Se dall’alto di questa fine guardano indietro, all’annunciazione fatta a Zaccaria e a Maria SS.ma, al lieto annunzio degli angeli ai pastori, alla presentazione del Signore nel tempio e poi alla loro vocazione e alla loro partecipazione alle parole e opere del Signore; se essi ora da questa fine gloriosa vedono che tutta l’opposizione dei nemici è stata vana, che anzi essa ha reso possibile e realizzato, per mezzo della passione e della croce, l’opera messianica decisiva, il sacrificio di espiazione per la salvezza del mondo; e se infine essi vedono come il Signore vive ora impassibile nella gloria, non possono far nient’altro e niente di meglio che lodare ed esaltare Iddio. Il piano divino è attuato, la sua opera è compiuta, il suo onore accresciuto, mostrata la sua gloria agli uomini.
Nella lode di Dio perciò si chiude il Vangelo secondo Luca.
 
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo: L’autore della lettera agli Ebrei sta pensando al tempo dell’esodo, quando Dio stabilì l’alleanza con Israele per mezzo di Mosè e gli rivelò come costruire il santuario (cfr. Es 25,8-9.40). L’Arca, custodita nel tempio, è il segno della presenza di Dio (cfr. Es 25,22; 1Sam 4,4; 2Sam 6,2) e tutto porta ad essa. Per raggiungerla è necessario superare tre accessi (cfr. Es 26,31.32.36; 27,16-17). Il percorso che bisogna seguire incrocia l’altare degli olocausti (cfr. Es 27,1-8), l’altare dell’incenso (cfr. Es 30,1-6) e il propiziatorio su cui si sparge il sangue dei sacrifici (cfr. Es 25,17): «tutte cose che stanno a significare che l’uomo può accedere a Dio solo per mezzo del sacrificio, della preghiera e del sangue realmente sparso» (J. A. Motter). Soltanto il Sommo Sacerdote una volta l’anno poteva accedere nel Santo dei Santi, nel grande giorno dell’espiazione (cfr. Es 30,10; Eb 9,7), ma la ripetizione del sacrificio metteva in evidenza la sua inefficacia. «Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la via del santuario, finché sussisteva la prima Tenda» (Eb 9,8). Infatti, queste cose erano ombre, che prefiguravano e preparavano gli uomini a Cristo, la vera realtà, l’unica via (cfr. Gv 14,6) che conduce a Dio. Gesù, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), offrendo se stesso come sacrificio senza macchia (cfr. Eb 9,14) ha cancellato in modo definitivo il peccato dell’uomo e nel suo sangue ha realizzato la Nuova Alleanza (cfr. Lc 22,20). Gesù avendo riconciliato l’uomo con Dio, «per mezzo della morte del suo corpo di carne» (Col 1,22), ha aperto all’umanità la via di accesso al Cielo rendendo così superfluo ogni altro sacrificio (cfr. Eb 10,9): «Ora, dove c’è il perdono [...], non c’è più bisogno di offerta per il peccato» (Eb 10,18). Ormai tutti i credenti hanno accesso presso Dio attraverso il Cristo, «via nuova e vivente» (Eb 10,19; cfr. Gv 14,6). Questa è la certezza che anima tutta la vita dell’uomo: noi già siamo sedenti alla destra del Padre (cfr. Ef 2,6) e un giorno lo raggiungeremo per condividere eternamente con lui, in pienezza di gioia, la sua gloria.
 
Testimoni in tutta la terra - Nella risurrezione e nell’ascesa - Giovanni Crisostomo (Omelie sugli Atti degli Apostoli): Precedentemente aveva detto: Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani (Mt 10,5). Ciò che non aveva detto allora, l’ha aggiunto qui: Fino agli estremi confini della terra. Avendo detto questo, che era molto più terribile di tutto il resto, ebbe la sua pace. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. Vedete che pregarono e compirono il vangelo? Perché grande fu il dono che diede loro. Nel posto dove realmente avete paura, egli dice, cioè Gerusalemme, pregate. E dopo aggiunge: fino agli estremi confini della terra. Quindi ancora, come prova delle sue parole: sotto i loro occhi. Non sotto i loro occhi risuscitò dai morti, ma fu elevato in alto sotto i loro occhi, dal momento che la loro vista allora non era sufficiente. Perciò essi videro della risurrezione la fine, non l’inizio, e videro dell’ascensione l’inizio, ma non la fine.
 
Il Santo del Giorno - 29 Maggio 2022 - San Paolo VI Papa - Riconoscerci fratelli e costruire la vera pace: Solo se sapremo riconoscerci fratelli potremo costruire un mondo che vive alla luce dell’amore di Dio e alimentare la vera pace tra i popoli: è questo uno dei tanti messaggi di speranza che ci ha lasciato san Paolo VI. Un appello che Giovanni Battista Montini continuò a lanciare lungo tutto il suo Pontificato, a partire dal discorso rivolto “all’intera famiglia umana” il 22 giugno 1963, all’indomani dell’elezione a successore di Pietro. Nato a Concesio (Brescia) nel 1897, prete nel 1920, nel 1954 fu nominato arcivescovo di Milano – dove fece il suo ingresso il 6 gennaio 1955 –, Montini divenne cardinale nel 1958. Il 21 giugno 1963 venne eletto Papa. Raccolto da Giovanni XXIII l’impegno a portare avanti il Concilio Vaticano II, Montini aprì lo sguardo verso ogni angolo del pianeta, inaugurando l’epoca dei grandi viaggi dei Papi: durante il suo Pontificato scrisse sette encicliche e compì nove viaggi apostolici fuori dall’Italia. Guidò la Chiesa fino alla morte il 6 agosto 1978. (Autore: Matteo Liut)
 
Dio onnipotente ed eterno,
che alla tua Chiesa pellegrina sulla terra fai gustare i divini misteri,
suscita in noi il desiderio del cielo,
dove hai innalzato l’uomo accanto a te nella gloria.
Per Cristo nostro Signore