IL PENSIERO DEL GIORNO


1 Ottobre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27).


Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32: La parabola dei due figli denuncia la mancanza di docilità da parte d’Israele. È da collegarsi alla precedente discussione su Giovanni, il precursore del Cristo, nel corso della quale le guide spirituali d’Israele, per timore della folla, avevano rifiutato di pronunziarsi sulla autenticità della missione del Battista. La parabola è una risposta chiara alla loro albagìa smascherandoli palesemente come disobbedienti alla volontà di Dio.


Ilario di Poitiers (Commento al Vangelo di Matteo): Occorre ricordare che il tema di questa parabola discende dalla conversazione che ha avuto inizio da Giovanni, dal fatto che la lezione proposta in questa maniera condanna l’indugio dell’incredulità e l’obbligo del silenzio che ne deriva. Ma come noi l’abbiamo indicato in altri luoghi, è necessario che anche qui ricordiamo che la spiegazione degli avvenimenti presenti offre talvolta delle deficienze, perché l’immagine dell’avvenire si realizzi senza alcun danno di una realtà prefigurata. Il primo figlio è il popolo derivato dai Farisei e ammonito da Dio nel presente per mezzo della profezia di Giovanni, affinché obbedisse ai suoi precetti. Questo popolo è stato arrogante, disobbediente e ribelle agli avvertimenti pressanti, perché poneva la sua sicurezza nella Legge e disprezzava il pentimento dei peccati per la gloria che gli derivava dalla prerogativa di nobiltà di Abramo. Questo popolo poi in seguito, per i miracoli operati dopo la risurrezione del Signore, credette al tempo degli Apostoli, ritornando, in seguito alla realtà dei fatti, alla volontà di agire secondo il Vangelo, pentendosi della colpa dell’arroganza precedente.


Catechismo della Chiesa Cattolica

546 Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario “vendere” tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al cuore delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “conoscere i Misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). Per coloro che rimangono “fuori”, tutto resta enigmatico.


Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): La parabola si riferisce ... secondo l’espressive parole di Gesù, alla differenza tra i farisei e gli scribi da una parte e i pubblicani e le meretrici dall’altra.
I capi spirituali d’Israele persistono nel contegno sbagliato, presuntuoso, distolto da Dio e rivolto soltanto al loro io. Dicono si a Dio e alla sua parola. Si attengono a Mosè, alla legge e alle sue imposizioni come il secondo figlio di fronte alla volontà del Padre. Ma non appena le leggi non corrispondono più alle loro idee, alle loro concezioni e ai loro desideri, non ne vogliono più sapere. Nel momento in cui la volontà di Dio si annunzia, per mezzo di Giovanni il Battista, con l’appello alla penitenza, alla conversione e al mutamento della vita, cessano d’occuparsene. Non vogliono convertirsi, non vogliono dare un nuovo orientamento alla vita.
Pubblicani e meretrici seguivano una direzione sbagliata, non obbedivano alla volontà del Signore, perché la loro vita era peccato. Non appena però li raggiunge il richiamo al mutamento e alla penitenza, si convertono e arrivano così al regno di Dio. Vera disposizione alla fede significa dunque prontezza ad accogliere e a rispondere alla chiamata di Dio. L’uomo non deve attenersi strettamente a un determinato corso di vita, perché se gli giunge l’appello di Dio, ch’esige qualcos’altro, deve mutarlo. È questo ciò che conta. Ai farisei vien detto: «Non vi siete convertiti e non gli avete creduto (al Battista)».


Ortensio da Spinetoli (Matteo): La storia dei due figli fa parte di una trilogia di «parabole di rottura» (22,28-36; 33-36; 22,1-4). La vigna è l’immagine tradizionale del popolo di Dio, ma nel caso presente è forse un elemento coreografico. La lezione emerge dal diverso comportamento dei figli nei confronti della volontà del padre. Questi è egualmente legato a entrambi e assume con loro un eguale contegno.
Nella sua ambientazione storica i due figli rappresentano due gruppi di ascoltatori di Gesù: quelli che sembrano assentire e poi in pratica non assentono; quelli che vogliono dissentire e in realtà poi ascoltano. L’autore non analizza il perché di questo strano comportamento, solo pone davanti ai fatti. Tra i due gruppi vi è anche la categoria di coloro che ascoltano ed eseguiscono la volontà paterna senza tergiversazioni, ma il parabolista ha preso in considerazione solo i primi due. Nel contesto attuale l’identificazione dei due figli è agevolata dal commento o dall’aggiunta di Gesù (vv. 31-32). Gli esecutori pratici della volontà di Dio sono i pubblicani e le meretrici, gente per sé ribelle e lontana da lui, mentre coloro che sono stati sempre vicini e che ufficialmente hanno detto sempre di sì ai suoi comandi, sono attualmente contro il vangelo che è pure sua parola. La loro colpevole defezione data dai tempi di Giovanni Battista e si protrae ostinatamente anche davanti all’annuncio dei predicatori evangelici. Le figure di Gesù e del precursore si richiamano come il tipo e l’antitipo (cfr. Mt. 3,2-7; 4,17; 11,18; 14,13 ecc.).
L’attacco del salvatore non è diretto contro i connazionali in genere ma le autorità giudaiche con le quali è en­trato in polemica fin dall’inizio del capitolo (21,15.23).
Sono essi gli interlocutori e per questo i primi destinatari della parabola. La vigna è il regno di Dio, l’invito del padre non riguarda la semplice accettazione del messaggio evangelico ma la collaborazione alla sua diffusione e sviluppo. Il «va’ oggi a lavorare» sottolinea l’intenzione del padre di affidare al figlio la coltivazione e la manutenzione della vigna. Erano i giudei, che nella logica dei fatti, avrebbero dovuto portare avanti l’evangelizzazione, ma la storia dimostrava che la loro opera veniva, invece, svolta dai pagani, cioè dai peccatori e dai pubblicani. L’evangelista guarda agli ascoltatori di Gesù, ma anche ai suoi contemporanei. L’«ancorché vedeste non vi siete affatto pentiti in modo alla fine da credergli» è un rimprovero ai giudei e agli increduli di tutti i tempi. Matteo unisce in un medesimo rifiuto il Battista, Gesù, la chiesa; il precursore, il messia e i suoi continuatori. I profeti non sono inviati solo a scuotere i peccatori ma anche i giusti, i sicuri, coloro che confidano nel loro abituale o abitudinario contatto con Dio. Per tutti la parabola è un ammonimento a temere e tremare per la propria continuità e perseveranza.
Tutti possono diventare figli ribelli, come tutti i ribelli possono tornare docili. Non ci sono posti o posizioni di
privilegio nel conseguimento della salvezza. Occorre essere desti e impegnati ininterrottamente.


Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? - Gaudium et spes, 93: I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell’ultimo giorno. Non tutti infatti quelli che dicono: «Signore, Signore», entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono. Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l’azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell’amore del Padre celeste. Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore. «A colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Tutti possono diventare figli ribelli, come tutti i ribelli possono tornare docili. Non ci sono posti o posizioni di privilegio nel conseguimento della salvezza. Occorre essere desti e impegnati ininterrottamente.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. Egli è Dio, e vive e regna con te...


IL PENSIERO DEL GIORNO


30 Settembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini»  (Lc 9,44).


Dal Vangelo secondo Luca (9,43b-45): Luca presenta la missione di Gesù alla luce del progetto di salvezza di Dio. Un progetto che necessariamente deve passare attraverso la croce e la morte del Figlio di Dio. È da sottolineare il verbo consegnare. Nel porre la vicenda umana di Gesù in una cornice storica di fatti e di eventi si deve dire che Egli è stato tradito da Giuda e dal Sinedrio consegnato a Pilato perché fosse messo a morte, ma se vogliamo leggerla alla luce del piano di salvezza, allora Gesù è stato consegnato a morte da Dio stesso. Gesù dal Padre è stato consegnato nelle mani degli uomini, perché solo la sua morte poteva riconciliare gli uomini con il Padre: È piaciuto infatti a Dio che abiti in Cristo tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli (Col 1,19-20). Gli Apostoli non comprendono e hanno timore di interrogare Gesù su questo argomento.


La consapevolezza di Gesù: Catechismo degli Adulti 226: Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.

Cristo muore per noi: Pierre Grelot (Morte, Dizionario Teologia Biblica): [Cristo] per fare la volontà del Padre (Mc 14,36par.), è stato «obbediente sino alla morte» (Fil 2,8). E questo perché era necessario che egli «compisse le Scritture» (Mt 26,54): non era forse egli stesso il servo annunziato da Isaia, il giusto annoverato tra i malfattori (Lc 22,37; cfr. Is 53, 12)? Effettivamente, quantunque Pilato non abbia trovato in lui nulla che meritasse la sentenza capitale (Lc 23,15.22; Atti 3,13; 13,28), egli accettò che la sua morte avesse l’apparenza di un castigo richiesto dalla legge (Mt 26,66 par.). E questo perché, «nato sotto la legge» (Gal 4,4) ed avendo preso «una carne simile alla carne di peccato» (Rom 8,3), era solidale con il suo popolo e con tutta la razza umana. «Dio l’aveva fatto peccato per noi» (2Cor 5,21; cfr. Gal 3,13), per modo che il castigo meritato dal peccato umano doveva ricadere su di lui. Perciò morendo tolse ogni potere al peccato (Rom 6,10): benché innocente, assunse sino alla fine la condizione dei peccatori, «gustando la morte» come essi tutti (Ebr 2,8 s; cfr. 1Tess 4,14; Rom 8,34) e discendendo con essi «agli inferi». Ma recandosi così «dai morti», egli apportava la buona novella che la vita sarebbe stata loro restituita (1Piet 3,19; 4,6). Di fatto la morte di Cristo era feconda, come la morte del granello di frumento gettato nel solco (Gv 12,24-32). Imposta apparentemente come un castigo del peccato, essa in realtà era un sacrificio espiatorio (Ebr 9; cfr. Is 53,10). Cristo, realizzando alla lettera, ma in altro senso, la profezia involontaria di Caifa, è morto «per il popolo» (Gv 11,50s; 18,14) e non soltanto per il suo popolo, ma «per tutti gli uomini» (2Cor 5,14s). È morto «per noi» (1Tess 5,10), mentre eravamo peccatori (Rom 5,6ss), dandoci in tal modo il segno supremo di amore (5,7; Gv 15,13; 1Gv 4, 10). Per noi: non al nostro posto, ma a nostro beneficio; infatti, morendo «per i nostri peccati» (1Cor 15,3; 1Piet 3,18), ci ha riconciliati con Dio mediante la sua morte (Rom 5,10) cosicché possiamo ricevere 1’eredità promessa (Ebr 9,15s).

Cristo è morto per noi: Paolo VI (Discorso, 12 aprile 1968): [...] la dolorosissima morte del Salvatore è stata la nostra fortuna e ci riempie di gioia e di amore. Gesù è morto non solo perché da noi ucciso; è morto per noi. Egli, morendo sulla Croce, ci ha salvati. Per noi Egli ha patito ed è morto. E come tante raffigurazioni della Croce nell’arte cristiana fanno sgorgare ai piedi di quell’albero di vita rivoli di limpida acqua per indicare la grazia, l’amicizia con Dio, i Sacramenti, così effettivamente dalla Croce scaturisce un torrente di misericordia e offre a noi, a tutti, l’inestimabile sorte di essere perdonati, di essere redenti. Al punto tale che, con la liturgia della Chiesa, chiameremo «beata» la crudele Passione del Signore: poiché è fonte della nostra rinascita e della nostra felicità. Non più, dunque, la croce è un patibolo di ignominia e di morte, bensì simbolo di vittoria: in hoc signo vinces. Lo vediamo qui sotto l’arco di Costantino, trionfante da quando i destini della Croce di Cristo hanno aperto alla storia della Chiesa nuovi radiosi orizzonti. Così sarà per ognuno di noi. Possiamo, volendo, ricevere dalle lacrime, dal sangue, dalla morte di Cristo il nostro gaudio, la nostra speranza, la nostra salvezza.


San Girolamo: Benedetto XVI (Udienza Generale, 7 Novembre 2007): Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.


La madre Chiesa ci dà la Parola di Dio: Papa Francesco (Udienza Generale, 3 settembre 2014): La Chiesa è nostra madre perché ci ha partoriti nel Battesimo. Ogni volta che battezziamo un bambino, diventa figlio della Chiesa, entra nella Chiesa. E da quel giorno, come mamma premurosa, ci fa crescere nella fede e ci indica, con la forza della Parola di Dio, il cammino di salvezza, difendendoci dal male. La Chiesa ha ricevuto da Gesù il tesoro prezioso del Vangelo non per trattenerlo per sé, ma per donarlo generosamente agli altri, come fa una mamma. In questo servizio di evangelizzazione si manifesta in modo peculiare la maternità della Chiesa, impegnata, come una madre, ad offrire ai suoi figli il nutrimento spirituale che alimenta e fa fruttificare la vita cristiana. Tutti, pertanto, siamo chiamati ad accogliere con mente e cuore aperti la Parola di Dio che la Chiesa ogni giorno dispensa, perché questa Parola ha la capacità di cambiarci dal di dentro. Solo la Parola di Dio ha questa capacità di cambiarci ben dal di dentro, dalle nostre radici più profonde. Ha questo potere la Parola di Dio. E chi ci dà la Parola di Dio? La madre Chiesa. Lei ci allatta da bambini con questa parola, ci alleva durante tutta la vita con questa Parola, e questo è grande! È proprio la madre Chiesa che con la Parola di Dio ci cambia da dentro. La Parola di Dio che ci dà la madre Chiesa ci trasforma, rende la nostra umanità non palpitante secondo la mondanità della carne, ma secondo lo Spirito.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono” (San Girolamo Ep. 52,7).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio che hai dato al sacerdote san Girolamo una conoscenza viva e penetrante della Sacra Scrittura fa’ che il tuo popolo si nutra sempre più largamente della tua parola, e trovi in essa una sorgente di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO
  
29 Settembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Benedite il Signore, voi tutte sue schiere, suoi ministri, che eseguite la sua volontà»  (Sal 102,21; Cf Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni (1,47-51): Nell’incontrare Natanaèle, Gesù manifesta una conoscenza sovraumana: Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone (6,61; 13,1), e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta: Gesù, conosce tutti e non ha bisogno che alcuno dia testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosce quello che c’è nell’uomo (Gv 2,23-25). Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio… Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.


L'esistenza degli Angeli - Una verità di fede: CCC 328-330: L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione. Sant’Agostino dice a loro riguardo: « [...] La parola “angelo” designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo». In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che «vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10), essi sono «potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola» (Sal 103,20). In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria.


Creazione degli Angeli - Catechismo degli Adulti 368: Dio ha creato anche gli angeli, che sono creature personali, puri spiriti, immortali, più intelligenti e potenti degli uomini. La libertà umana non è sola nell’universo e il mondo è più vasto e profondo di quanto la mentalità razionalista possa supporre. Peraltro appare del tutto plausibile che gli esseri materiali della natura e gli uomini, esseri materiali e spirituali nello stesso tempo, abbiano al di sopra di sé altri esseri puramente spirituali. Anche questi sono stati creati per mezzo di Cristo e in vista di lui; sono stati chiamati a vivere in comunione con lui e a cooperare per l’avvento del regno di Dio.

San Michele: “Per quanto frammentarie, le notizie della Rivelazione sulla personalità ed il ruolo di San Michele sono molto eloquenti. Egli è l’Arcangelo che rivendica i diritti inalienabili di Dio. È uno dei principi del Cielo eletto alla custodia del Popolo di Dio, da cui uscirà il Salvatore. Ora il nuovo popolo di Dio è la Chiesa. Ecco la ragione per cui Essa lo considera come proprio protettore e sostenitore in tutte le sue lotte per la difesa e la diffusione del regno di Dio sulla terra. È vero che «le porte degli inferi non prevarranno», secondo l’assicurazione del Signore, ma questo non significa che siamo esenti dalle prove e dalle battaglie contro le insidie del maligno. In questa lotta, l’Arcangelo Michele è a fianco della Chiesa per difenderla contro tutte le nequizie del secolo, per aiutare i credenti a resistere al Demonio che «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare». Questa lotta contro il Demonio, che contraddistingue la figura dell’Arcangelo Michele, è attuale anche oggi, perché il Demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, il disordine che si riscontra nella società, l’incoerenza dell’uomo, la frattura interiore della quale è vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche effetto dell’azione infestatrice ed oscura del Satana, di questo insidiatore dell’equilibrio morale dell’uomo, che San Paolo non esita a chiamare «il dio di questo mondo», in quanto si manifesta come astuto incantatore, che sa insinuarsi nel gioco del nostro operare per introdurvi deviazioni tanto nocive, quanto all’apparenza conformi alle nostre istintive aspirazioni. Per questo l’Apostolo delle Genti mette i cristiani in guardia dalle insidie del Demonio e dei suoi innumerevoli satelliti, quando esorta gli abitanti di Efeso a rivestirsi «dell’armatura di Dio per poter affrontare le insidie del Diavolo, poiché la nostra lotta non è soltanto col sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i Dominatori delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria».” (Giovanni Paolo II, Discorso, 24 maggio 1987).

San Gabriele: Gabriele [forza di Dio] è il messaggero della buona novella e viene inviato per annunciare agli uomini gli interventi straordinari dell’Eterno. A Daniele svela il piano di Dio [Dn 8,16; 9,21s];  a Zaccaria annuncia la nascita di Giovanni Battista [Lc 1,11-20]; a Maria, il mistero dell’Incarnazione [Lc 1,26-38] nella mirabile icona lucana della casa di Nazareth. In merito all’annunciazione, «era ben giusto che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi… Gabriele veniva per annunziare colui che si degnò di apparire nell’umiltà per debellare le potenze maligne dell’aria. Dove dunque essere annunziato da “fortezza” colui che veniva quale signore degli eserciti e forte guerriero» [S. Gregorio Magno]. «Come sono belli i passi di colui che reca un lieto annunzio», esclamiamo con parole bibliche. Il nostro pensiero va certamente a Gabriele, ma anche a tutte le persone che disseminano parole e sentimenti di pace e di speranza. Esse ci ricordano anche che ciascuno di noi cristiano è inviato a portare il lieto annuncio della liberazione da ogni forma di schiavitù, specialmente morale. Mi sovviene un canto intitolato «Meraviglioso» dove si parla di un angelo vestito da passante. Quando lungo le strade, nelle nostre piazze vediamo dei poliziotti ci sentiamo più sicuri e protetti. Sappiamo tuttavia che la loro presenza, mentre rassicura noi scatena in alcuni reazioni che rendono sempre più pericoloso il loro ministero. Ma, a parte questo, dovremmo essere tutti, l’un per l’altro, motivo di rassicurazione e di aiuto, differentemente da come la logica dominante e la prassi imperante ci costringe: sparlare, calunniare, trinciare giudizi, spargere parole amare. Se riscoprissimo la forza liberante vivificante e trasfigurante delle parole benevoli!” (Mons. Lucio A. M. Renna, Vescovo, Omelia, 29 Settembre 2013).

San Raffaele: “San Raffaele ci viene presentato soprattutto nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo vien sempre collegato anche quello di guarire. Il buon Samaritano, accogliendo e guarendo la persona ferita giacente al margine della strada, diventa senza parole un testimone dell’amore di Dio. Quest’uomo ferito, bisognoso di essere guarito, siamo tutti noi. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Dell’Arcangelo Raffaele si riferiscono nel Libro di Tobia due compiti emblematici di guarigione. Egli guarisce la comunione disturbata tra uomo e donna. Guarisce il loro amore. Scaccia i demoni che, sempre di nuovo, stracciano e distruggono il loro amore. Purifica l’atmosfera tra i due e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda per sempre. Nel racconto di Tobia questa guarigione viene riferita con immagini leggendarie. Nel Nuovo Testamento, l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato, viene guarito dal fatto che Cristo lo accoglie nel suo amore redentore. Egli fa del matrimonio un sacramento: il suo amore, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere «l’angelo» risanatore che li aiuta ad ancorare il loro amore al sacramento e a viverlo con impegno sempre rinnovato a partire da esso” (Benedetto XVI Omelia, 29 Settembre 2007).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica 61: La Chiesa si unisce agli angeli per adorare Dio, invoca la loro assistenza e di alcuni celebra liturgicamente la memoria. «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita» (san Basilio Magno).

Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che chiami gli Angeli e gli uomini a cooperare al tuo disegno di salvezza, concedi a noi pellegrini sulla terra la protezione degli spiriti beati, che in cielo stanno davanti a te per servirti e contemplano la gloria del tuo volto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO


28 Settembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»  (Gv 14,6; Cf. Canto al Vangelo).

Gesù è l’unico rivelatore del Padre; Gesù è l’unica via che conduce al Padre e in questo senso è anche l’unica via che congiunge Cielo e terra. Seguire Gesù-Via è porsi alla sua sequela, comportarsi come Lui si è comportato (Cf. 1Gv 2,6), avere i suoi stessi sentimenti (Cf. Fil 2,5) e questo è il mezzo eccellente per arrivare alla casa del Padre.


Dal Vangelo secondo Luca 9,7-9): L’evangelista Luca, “invece di raccontare l’uccisione di Giovanni Battista, prepara [«cercava di vederlo», v 9] il futuro incontro di Erode e di Gesù [Lc 23,8-12]” (Bibbia di Gerusalemme). Ma non è semplice curiosità, Erode sa di essere al riparo da occhi indiscreti nel suo palazzo, sa di essere al sicuro perché circondato e vegliato da uomini ben armati, ma sa anche che non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto (Eb 4,13). Giovanni e Gesù dalla folla sono venerati come Profeti, e i profeti hanno gli occhi di Dio che penetrano in profondità nel cuore degli uomini. Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo (Mc 6,20), ma cedendo alla lussuria lo fa decapitare, ora vuole vedere Gesù, verrà anche per lui il momento dell’incontro, ma chiuderà il suo cuore. Aspettava miracoli (cfr. Lc 23,8) e non la salvezza come i poveri e i deboli.


Giovanni, l’ho fatto decapitare io...: Benedetto XVI (Udienza Generale, 29 agosto 2012): ... il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio.


Giovanni, l’ho fatto decapitare io...: Papa Francesco (Angelus, 23 giugno 2013): Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli! Ma c’è anche il martirio quotidiano, che non comporta la morte ma anch’esso è un “perdere la vita” per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Pensiamo: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questi! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani… Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità!
E poi ci sono tante persone, cristiani e non cristiani, che “perdono la propria vita” per la verità. E Cristo ha detto “io sono la verità”, quindi chi serve la verità serve Cristo. Una di queste persone, che ha dato la vita per la verità, è Giovanni il Battista [...]. Giovanni è stato scelto da Dio per preparare la via davanti a Gesù, e lo ha indicato al popolo d’Israele come il Messia, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr. Gv 1,29). Giovanni ha consacrato tutto se stesso a Dio e al suo inviato, Gesù. Ma, alla fine, cosa è successo? È morto per la causa della verità, quando ha denunciato l’adulterio del re Erode e di Erodiade. Quante persone pagano a caro prezzo l’impegno per la verità! Quanti uomini retti preferiscono andare controcorrente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità! Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi, non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, valori come il pasto andato a male e quando un pasto è andato a male, ci fa male; questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!


Catechismo della Chiesa Cattolica

Chi è costui? Gesù è il Figlio prediletto del Padre

444-445: I Vangeli riferiscono in due momenti solenni, il battesimo e la trasfigurazione di Cristo, la voce del Padre che lo designa come il suo «Figlio prediletto». Gesù presenta se stesso come il Figlio unigenito di Dio e con tale titolo afferma la sua preesistenza eterna. Egli chiede la fede «nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,18). Questa confessione cristiana appare già nell’esclamazione del centurione davanti a Gesù in croce: «Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio» (Mc 15,39); infatti soltanto nel mistero pasquale il credente può dare al titolo «Figlio di Dio» il suo pieno significato. Dopo la risurrezione la sua filiazione divina appare nella potenza della sua umanità glorificata: egli è stato costituito «Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4). Gli Apostoli potranno confessare: «Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14).


Gesù è il Verbo incarnato: Paolo VI (Il credo del popolo di Dio): Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri, e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale, pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l’unità della persona.


Erode cerca di vedere Gesù: Hugues Cousin, (Vangelo di Luca): All’udire tutto quello che avviene nella provincia da lui governata, il primo personaggio di Galilea viene a porsi la domanda cruciale sull’identità di Gesù. D’altra parte, non è solo il popolo ad essere colpito ma anche la corte del tetrarca (cfr. 8,3). Le tre opinioni che circolano lo lasciano perplesso. Esse sono d’accordo nel riconoscere il ruolo profetico di Gesù, ma non sono vere che in parte. Vedere in Gesù il Battista risorto lui che era già «più grande di un profeta» (7,26) è un’illusoria lusinga! Che Gesù sia Elia che torna alla fine dei tempi, è in parte vero ... È invece un errore vedere in Gesù un personaggio del passato tornato in vita; la sua morte e la sua risurrezione devono ancora avvenire (9,22). Caratteristica di Erode è un misto di buon senso e di cinismo. Invece di trarre la conclusione più errata (cfr. Mc 6, 16), egli arriva alla domanda chiave. Per rispondervi, non trova che un solo mezzo: vedere Gesù, come voleva fare la famiglia in 8,20. La sorte che ha riservato al Battista dimostra tuttavia che non è la fede a guidarlo. In 23,8 egli potrà appagare il suo desiderio; è qualche miracolo compiuto da Gesù e non la sua persona che davvero lo interessa.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

 27 Settembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15; cfr. Canto al Vangelo).

Il tempo è compiuto: tutta l’economia dell’antica alleanza è portata da Dio alla pienezza (Cf. Mt 9,17; 26,28; Rom 10,4; 2Cor 3,14-15; Eb 10,1.14; ecc.). Al termine di quest’ultimo periodo della storia, alla «fine dei tempi», sopraggiungerà la «fine del tempo», che è il «giorno» della venuta del Cristo, della sua rivelazione e del giudizio. In attesa di quest’ultimo evento l’uomo deve «convertirsi e credere nel Vangelo», solo così potrà fruire della salvezza offertagli dal Cristo.


Vangelo secondo Luca 9,1-6: Benedetto Prete (Vangelo secondo Luca): Li mandò ad annunziare il regno di Dio; i Dodici hanno la missione di annunziare il regno; il loro compito tuttavia, in questo primo invio, consiste nel proclamare la venuta del regno più che manifestarne la dottrina (cf. Mt., 9,7); essi infatti dovranno disporre gli animi a ricevere la predicazione evangelica. Il gesto del Maestro ha un carattere innovatore nell’ebraismo: i Rabbi raccoglievano intorno a sé dei discepoli per istruirli nella legge, ma ad essi non affidavano nessuna missione, né tantomeno trasmettevano poteri particolari sugli spiriti malvagi e sugli infermi. E ad operar guarigioni; questi miracoli compiuti sugli infermi serviranno per confermare la verità della loro parola. Luca, come anche Marco, tralasciano la raccomandazione che, secondo il testo di Matteo, Gesù ha fatta agli apostoli in quella circostanza («non andate nelle regioni dei pagani...» (Mt 10,5), poiché essa poteva urtare la sensibilità dei lettori che provenivano dal paganesimo.


Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno)

Tutti Apostoli - Contenuto e spirito della missione

Oggi leggiamo il discorso missionario di Gesù nella versione di Luca. Sono evidenti le coincidenze con Marco e Matteo in questa prima trasmissione dell’autorità, del compito e dei poteri di Cristo ai suoi apostoli. Però Luca non ha unificato, come Matteo (c. 10), le due tradizioni primitive del discorso apostolico: la forma breve (Mc 6,7ss) e la forma lunga (Lc 10,1ss), ma le mantiene separate. Questo dà origine, nel suo vangelo, a due discorsi, il primo diretto ai dodici apostoli come vediamo oggi, e il secondo ai settantadue discepoli, come vedremo giovedì della prossima settimana.
Luca redige questi discorsi missionari di Gesù in funzione dell’esperienza apostolica della Chiesa primitiva del suo tempo e, forse, istruito alla scuola di san Paolo. È un passo importante per definire la figura di ogni apostolo del vangelo, basata su questa prima missione e sul mandato missionario al momento delle apparizioni di Cristo risorto. Per questo Luca sopprime le restrizioni territoriali riportate da Matteo (10,5: solo agli ebrei).
Le regole che Gesù dà ai suoi inviati si riferiscono al contenuto della missione (il messaggio e i suoi segni) e all’atteggiamento adeguato per esercitarla. Il contenuto del messaggio è il regno di Dio; e a questo annuncio devono essere uniti i segni che lo avallano e scaturiscono dalla forza della parola. «E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi». Come faceva Gesù. Guarire mentre si predica implica che il regno non è semplicemente un’impresa spirituale, ma mira al completo rinnovamento dell’uomo nell’anima e nel corpo.
La disposizione d’animo degli inviati e il loro stile d’evangelizzazione esigono che essi siano completamente liberi da bagagli e proprietà, in assoluta disponibilità, povertà e senza mettere radici in alcun posto. Il lavoro assicurerà loro il necessario per vivere perché, come i leviti dell’antica alleanza, hanno il diritto di essere mantenuti dalla comunità che evangelizzano, come ricorderà san Paolo, perché «l’operaio ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,10) o alla sua mercede (Lc 10,7; cfr. 1Cor 9,13s).
Riguardo alle loro relazioni con chi li accoglie o li rifiuta, la regola di condotta dei missionari è di restare nella casa che apre loro le porte, ma di andar via da chi li respinge scuotendosi la polvere dai piedi, a testimonianza contro di loro.


La missione: Gesù convoca i Dodici ed incomincia a mandarli a due a due. L’invio «a coppie diverrà una prassi normale per l’aiuto reciproco tra i missionari, ma soprattutto per conferire alla predicazione evangelica un carattere testimoniale, quale messaggio escatologico. Secondo la Legge mosaica, erano necessari due testimoni per la validità della deposizione in tribunale [Dt 19,15]» (Angelico Poppi).
Dal proseguo del racconto si intende che è una elezione che costa sacrifici e rinunzie; è una chiamata che colloca il missionario in uno stato totale di precarietà: infatti, non è lui l’attore principale della missione, ma lo Spirito Santo; sarà lo Spirito a decidere i tempi, il luogo dove andare e dove non andare, a pianificare l’azione e a predisporre tutto quello che sarà bisognoso per una buona riuscita; anche, se sarà necessario, con l’apporto di catene, insuccessi, mortificazioni e, se sarà utile, persino con la morte violenta di colui che è mandato (Cf. At 8,29.39-40; 10,19; 13,1-4; 16,6-7; 17,22-34; ecc.).
Il mettersi nella mani dello Spirito Santo confina con la povertà evangelica che Cristo Gesù esige da chi si pone al suo seguito: una povertà che va al di là della povertà fisica o materiale, perché è, innanzi tutto, una profonda e radicale fedeltà a Dio che sconfina nell’abbandono fiducioso alla azione divina: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 18,20).
Se il missionario deve essere povero, anche la missione deve essere povera, soprattutto di mezzi umani: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone,, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche».
Il missionario che pensa di procurarsi tutti i mezzi umani necessari per una buona riuscita della missione la vota al più sicuro fallimento: «La missione si prepara, sì, ma non più di quanto è necessario. L’attenzione non è rivolta principalmente alla povertà dei missionari, ma più ancora alla povertà della missione. La missione è solo questo: un ‘invio’, un essere inviato da colui che è l’unico responsabile del suo successo» (José Maria Gonzáles-Ruiz). A questo punto si comprende a cosa miri l’ordine di Gesù: il Vangelo vuole testimoni di vita e non un annuncio che si basi su dottrina e scienza umane (Cf. 1Cor 1,17).
Gesù vuole una Chiesa povera, che non abbia fiducia sui mezzi umani, ma che si abbandoni fidente a Dio. Quindi le parole di Gesù vanno al di là del puro significato letterale: quello che conta «per l’apostolo è “la passione” per la sua missione, per cui non trova tempo neppure per progettare ciò che è strettamente necessario per il viaggio; e soprattutto è la immensa fiducia in Dio che non gli farà mancare l’indispensabile per vivere» (Settimio Cipriani).
Quando la Chiesa apostolica incominciò a praticare la carità verso i più poveri, ad interessarsi delle vedove (Cf. At 6,1ss), a condividere beni ed eucaristia (Cf. At 2,42-47), quando mostrò i segni inequivocabili della povertà (Cf. At 3,6), della carità e della solidarietà, la risposta del popolo fu immediata ed entusiasta (Cf. At 4,33).
Come il fallimento deve essere preventivato, così deve essere registrato; cioè deve essere messo in evidenza con un gesto molto forte al di là del puro significato simbolico: «In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quando a coloro che non vi accolgono, uscite dalla lro città e scuotete la polvere dei vostri piedi come testimonianza contro di loro». Per chi si ostina a non ascoltare o a non accogliere la parola di salvezza l’appuntamento con la giustizia divina è soltanto rimandato: la polvere dei sandali dei missionari sarà un capo d’accusa indelebile dinanzi agli occhi del Cristo redentore e giusto giudice.
La conclusione del brano evangelico, Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio… operando guarigioni, mette in evidenza una Chiesa decisamente carismatica: la parola e i prodigi sono complementari; il potere di scacciare i demòni e di guarire gli ammalati danno alla parola il sigillo della veridicità e l’annunzio conferma che i miracoli sono doni salvifici; non sono fine a se stessi, ma donati gratuitamente da Dio agli uomini per la loro salvezza. Gesù trasmette ai Dodici il potere di fare miracoli e di scacciare i demòni, per indicare la continuità della sua opera con l’opera degli Apostoli e della Chiesa.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che per il servizio dei poveri e la formazione dei tuoi ministri hai donato al tuo sacerdote san Vincenzo de’ Paoli lo spirito degli Apostoli, fa’ che, animati dallo stesso fervore, amiamo ciò che egli ha amato e mettiamo in pratica i suoi insegnamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo...