1 GENNAIO 2023
 
MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO – SOLENNITÀ
 
Nm 6,22-27; Salmo Responsoriale Dal Salmo 66 (67); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21
 
La Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale, proclama il mirabile mistero della divina Maternità di Maria. Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio: una verità tanto cara al popolo cristiano. Nestorio aveva negato questa verità e sfrontatamente aveva dichiarato: “Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi”. San Cirillo di Alessandria però aveva replicato: “Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l’eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna”.
Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria: è da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo. Con il sì, Maria, si è consacrata totalmente al mistero della redenzione: “figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium, 56).
La liturgia esalta anche la verginità feconda e l’umiltà di Maria e per questa sua virtù diventa per noi un modello affinché, imitandola accogliamo in noi il Verbo fatto uomo, nell’interiore ascolto delle Scritture e nella partecipazione più viva ai misteri della salvezza, onde poi testimoniarla con opere di giustizia e di santità, nella vita di ogni giorno.
 
Colletta
O Dio, che nella verginità feconda di Maria
hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna,
fa’ che sperimentiamo la sua intercessione,
poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita,
Gesù Cristo, tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Maria vera Madre di Dio - Lumen gentium n. 52: Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, «quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, nato da una donna ... per fare di noi dei figli adottivi» (Gal 4,4-5), «Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria vergine». Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato e si continua nella Chiesa, che il Signore ha costituita quale suo corpo e nella quale i fedeli, aderendo a Cristo capo e in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria «innanzi tutto della gloriosa sempre vergine Maria, madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo».
n. 53 Infatti Maria vergine, la quale all’annunzio dell’angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri. Insieme però, quale discendente di Adamo, è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza; anzi, è «veramente madre delle membra (di Cristo)... perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra». Per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità; e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima.
 
Prima Lettura: Ti benedica il Signore e ti custodisca: la preghiera sacerdotale ricordata dal libro dei Numeri trova ricchezza e compimento nel nome di Gesù: nel mistero del Dio umanato, e nella sua dolcezza, tutti gli uomini saranno benedetti da Dio. In Gesù ogni uomo ha trovato grazia e salvezza.
 
Seconda Lettura: Quando venne la pienezza del tempo: questa espressione designa la venuta dei tempi messianici o escatologici, che colmano la lunga attesa dei secoli come una misura finalmente piena. Inoltre, in modo mirabile, Paolo mette in risalto “i due aspetti, negativo e positivo della redenzione: divenendo figlio, lo schiavo acquista la libertà. Lo schiavo liberato è adottato come figlio, non solamente per l’accesso legale all’eredità, ma con il dono reale della vita divina, nella quale le tre Persone sono associate” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.
 
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio… - Javer Pikaza (Commento della Bibbia Liturgica): Noi, come i pastori, ci muoviamo qui sul piano del paradosso fondamentale del cristianesimo: vediamo, da un lato, un bambino avvolto in pannolini, indifeso, semplicemente un uomo; o vediamo, se si vuole, un preteso profeta del Signore che muore giustiziato. Tale fu il segno, quello di Betlemme o quello del Calvario. Ebbene: su questo segno scorre la parola dell’epifania radicale di Dio che annunzia: E nato per voi (eccolo qui) il Salvatore. il Messia della speranza d’Israele, il Signore di tutti i cosmi. Di fronte a questo paradosso, i pastori risposero come credenti: in essi, che erano forse i più piccoli della terra, cominciò a brillare come in Abramo la nuova luce della verità di Dio per gli uomini. Di fronte a questo paradosso, si chiede anche a noi il coraggio d’una risposta.
Come particolare, dobbiamo aggiungere che in realtà non esiste adorazione dei pastori (esiste invece l’adorazione dei magi di Mt 2,11). Il loro gesto si riflette in questi tratti: a) trovano il bambino e lo accettano come segno di Dio; b) confidano nella parola dell’angelo, credendo nel suo vangelo (nascita d’un salvatore); c) glorificano Dio. La storia è cominciata in Dio che li ha messi in cammino verso il bambino del presepe; dal bambino, accettando il vangelo, tutto li riconduce verso Dio che lodano per la sua opera salvatrice.
Di fronte al racconto dei pastori, il testo di Luca ci offre due risposte. Stanno da una parte i curiosi che si meravigliano per la stranezza dell’accaduto. Sta dall’altro lato la figura di Maria che conserva tutte queste cose, le medita nel suo intimo e riconosce (va riconoscendo) la presenza di Dio nell’enimma del suo Figlio avvolto in pannolini, giacente in una mangiatoia. C’è posto anche per noi in questo racconto: come i pastori e Maria? oppure come semplici curiosi?
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,16-21
 
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Parola del Signore.
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Come negli annunzi precedenti, segue la descrizione del compimento del messaggio angelico.
La fretta dei pastori per verificare il segno, come nel caso di Maria (cf. 1,39), esprime, oltre che la prontezza nel rispondere alla parola di Dio, la gioia messianica per l’attuazione delle promesse.
Essi trovarono Maria e Giuseppe ... Luca con delicatezza nomina per prima la madre. L’estrema condizione di povertà del bimbo giacente nella mangiatoia costituisce per i pastori la conferma della «parola loro della» circa la nascita del Messia. L’evangelista menziona per la terza volta la «mangiatoia». l pastori, dopo aver accolto la Parola e fatto l’esperienza di fede con l’incontro del Messia, ne divengono i primi annunziatori (v. 17).
La meraviglia delle persone che udirono (v. 18), un motivo letterario ricorrente nell’infanzia (1,21.63; 2,33), indica lo stupore ammirato per la nascita del Messia. In realtà, non dovette trattarsi di un fatto clamoroso. Infatti, non ha lasciato tracce in Israele: dal passo parallelo dei magi (Mt 2,1-12) risulta che Gerusalemme era completamente all’oscuro dell’evento prodigioso, e all’inizio del ministero pubblico Gesù appare uno sconosciuto.
Maria è descritta come modello dell ‘ascolto della Parola: ella conservava queste cose (parole-evento), meditandole nel suo cuore (v. 19). L’espressione indica una riflessione assidua per «interpretare» il senso enigmatico delle cose accadute. Il verbo symbàllein, tradotto con «meditare», più propriamente significa «mettere accanto», «confrontare». Emerge quindi l’atteggiamento sapienziale della Vergine (cf. Sir 39,1-3; Pro 3,1; Sal 119,11), l’unica testimone nella chiesa primitiva degli eventi narrati, forse trasmessi da lei con discrezione a qualche confidente (cf. At 1,14).
Il versetto conclusivo (v. 20) ribadisce il motivo della lode a Dio, caratteristico in Luca, e include il ritornello delle partenze.
Circoncisione e imposizione del nome (2,21) È un episodio di transizione, senza un particolare rilievo teologico; forse è ricordato da Luca per simmetria con il racconto della nascita di Giovanni. L’unica accentuazione riguarda l’imposizione del nome, conforme al comando dell ‘angelo (1,31), per preludere alla futura missione salvifica di Gesù.
 
Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore - La Bibbia di Navarra: In concise parole questo versetto ci dice molte cose su Maria santissima, presentata in atteggiamento sereno e contemplativo innanzi alle meraviglie che stavano avvenendo alla nascita del suo divino Figlio. Maria le penetra con sguardo profondo, le soppesa e le serba nel silenzio della sua anima. La Madonna è maestra di preghiera.
Se la imitiamo, e ponderiamo e custodiamo nel nostro cuore le cose che di Gesù abbiamo udito e ciò che lui opera dentro di noi, siamo sulla via della santità cristiana e nella vita non ci mancherà la dottrina del Signore né la sua grazia. D’altra parte, meditando in siffatto modo l’insegnamento che su Gesù abbiamo ricevuto, approfondiremo sempre più il mistero di Cristo; così “la Tradizione, che trae origine dagli apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo: infatti la comprensione. tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità” (Dei Verbum, n. 8).
 
Gesù è nato in una stalla di letame - Girolamo (Sulla natività del Signore) - Non trova posto nel «santo dei santi» risplendente d’oro, di gemme, di seta e d’argento; e così non nasce fra oro e ricchezze ma in mezzo al letame di una stalla (non c’è stalla dove non ci sia letame), dove si erano accumulati i nostri peccati più sordidi. E se nasce in mezzo al letame è proprio per tirarne fuori quelli che sono impastati di sterco. Solleva il misero dal suo letto di letame (Sal 112, 7). [ ... ] È vero che oggi noi, con la scusa di onorare il Cristo, abbiamo eliminato la sporcizia per sostituirla con l’argento; ma per me resta molto più prezioso quello che abbiamo tolto. L’argento e l’oro si confanno ai pagani, mentre a chi crede in Cristo si confà maggiormente quella stalla di terra battuta. Colui che è nato in quella stalla disprezza sia l’oro che l’argento. Io non condanno coloro che l’hanno fatto allo scopo di onorarlo (così come non condanno neppure coloro che per il tempio fabbricarono vasi d’oro); ammiro però il Signore che, creatore del mondo, sceglie di nascere non fra oro e argento ma sulla terra battuta.
 
Il Santo del Giorno - 1 Gennaio 2023 - Maria Santissima Madre di Dio. Il grembo d’amore che tutti cerchiamo - Matteo Liut: Un grembo materno accogliente che ci faccia sentire amati: è questo ciò di cui ognuno di noi ha bisogno nel profondo. Un’esperienza talmente ricca che Dio stesso ha voluto viverla incarnandosi nella storia grazie al sì alla vergine di Nazareth, divenuta così una madre per l’intera umanità. La maternità divina di Maria celebrata oggi dalla liturgia è una verità di fede stabilita dal Concilio di Efeso del 431. L’incarnazione ha avuto bisogno dell’assenso di una creatura per realizzarsi, così come oggi a ognuno di noi è richiesto l’assenso per permettere a Dio di entrare nella nostra quotidianità. Aprire l’anno nuovo con questa solennità significa aprire il cuore alla vita del Creatore perché viva in ogni creatura. È questa la potente profezia del Vangelo, un messaggio universale che attraversa il tempo nel suo scorrere incessante e supera tutte le nostre paure, le nostre ferite, le nostre incertezze.
 
I sacramenti ricevuti con gioia, o Signore,
conducano alla vita eterna noi che ci gloriamo di riconoscere
la beata sempre Vergine Maria
Madre del tuo Figlio e Madre della Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.
 


31 DICEMBRE 2022
 
VII GIORNO FRA L’OTTAVA DI NATALE
 
1Gv 2,18-21; Salmo Responsoriale dal Salmo 95 (96); Gv 1,1-18
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che nella nascita del tuo Figlio
hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede,
accogli anche noi come membra del Cristo,
che compendia in sé la salvezza del mondo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Il Verbo: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 26 novembre 1997): “In principio era il Verbo” (Gv 1,1). Con queste parole Giovanni comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell’inizio del nostro tempo, fino all’eternità divina. A differenza di Matteo e di Luca che si soffermano soprattutto sulle circostanze della nascita umana del Figlio di Dio, Giovanni punta lo sguardo sul mistero della sua preesistenza divina. In questa frase, “in principio” significa l’inizio assoluto, inizio senza inizio, l’eternità appunto. L’espressione fa eco a quella presente nel racconto della creazione: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Ma nella creazione si trattava dell’inizio del tempo, mentre qui, ove si parla del Verbo, si tratta dell’eternità. Tra i due princìpi, la distanza è infinita. È la distanza tra il tempo e l’eternità, tra le creature e Dio. Possedendo, come Verbo, un’esistenza eterna, Cristo ha un’origine che risale ben al di là della sua nascita nel tempo. Questa affermazione di Giovanni si fonda su di una precisa parola di Gesù stesso. Ai giudei che gli rimproverano la pretesa di aver visto Abramo pur non avendo ancora cinquanta anni, Gesù replica: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo venisse all’esistenza, Io Sono” (Gv 8,58). L’affermazione sottolinea il contrasto fra il divenire di Abramo e l’essere di Gesù. Il verbo “genésthai” usato nel testo greco per Abramo significa infatti “divenire” o “venire all’esistenza”: è il verbo adatto a designare il modo di esistere proprio delle creature. Al contrario solo Gesù può dire: “Io Sono”, indicando con tale espressione la pienezza dell’essere che rimane al di sopra di ogni divenire. Egli esprime così la coscienza di possedere un essere personale eterno.
 
Prima Lettura: Ai tempi in cui scriveva san Giovanni si credeva che il mondo era alla fine e che Dio avrebbe inaugurato un nuova era. In questo travaglio, proprio prima che passasse il vecchio mondo, ci sarebbe stato un ultimo, violentissimo attacco delle forze del male che avrebbero cercato di sovvertire il progetto di salvezza, da qui il monito di restare nella verità, essa avrebbe fatto da scudo per ripararsi dagli strali menzogneri del nemico infernale.
 
Vangelo
Il Verbo si fece carne.
 
Nel brano giovanneo viene proclamata la natura del Cristo: egli é Dio, è la luce vera, che illumina ogni uomo. È lui che dà il potere di diventare figli di Dio. È lui l’unigenito che ci fa conoscere Dio. Egli ci permette persino di contemplare la sua gloria, lo splendore della sua presenza, che nessun ebreo poteva intravedere senza morirne. In sostanza, egli ci porta la vita stessa di Dio, la legge interiore scolpita nel cuore (Ger 31,31), legge che egli chiama «grazia e verità», non più soltanto «ombra» (Eb 10,1), qual era la legge esteriore di Mosé, scolpita sulla pietra. È l’Emmanuele, il Dio con noi che ha piantato la sua tenda in mezzo agli uomini, lui è il vero tempio nel quale risiede la pienezza della divinità e nel quale l’uomo può incontrare il Padre, conoscerlo, amarlo, adorarlo in spirito e verità.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18
 
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Parola del Signore.
 
E il Verbo si è fatto carne - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): E il Verbo si è fatto carne; secondo il P. Boismard la congiunzione «e» lascia supporre che nel testo immediatamente precedente si parli del Verbo; ciò confermerebbe la posizione critica che egli accetta (la lettura: «... ma da Dio è generato»). La generazione del Verbo da Dio e la sua nascita da Dio preparerebbero, secondo questo esegeta, l’affermazione storica dell’apparizione del Verbo incarnato tra gli uomini (nascita terrestre). In verità la congiunzione «e» inizia la seconda sezione del Prologo. Carne; designa l’intera natura umana; il termine tuttavia accentua la condizione di mortalità e di debolezza in cui si trova l’uomo (cf. Genesi, 6,3; Isaia, 40,6; Salmo, 56 [55],5). Il Verbo assume la natura umana senza cessare di essere Dio; l’affermazione dell’autore esprime in forma inequivocabile la realtà dell’incarnazione (cf. 1Giov., 4,2; 2Giov.,7). Ha dimorato; in greco ἐσκήνωσεν, letteral.: «fissò la tenda», «dimorò sotto la tenda». Il verbo fa pensare alla piena realizzazione della presenza o abitazione di Jahweh nel tabernacolo (tenda) o nel tempio dell’antica alleanza (cf. Esodo, 25,8; Numeri, 35,34); l’idea indicata dal verbo greco si richiama a tutta una tradizione biblica che parla della presenza di Dio tra il popolo eletto e della sua presenza nella Gerusalemme dei tempi messianici (cf. Gioele, 4,17,21; Zaccaria, 2,14); nell’Ecclesiastico si trova un’ampia illustrazione della dimora della Sapienza in Israele, dimora che la Sapienza attua per mezzo della legge mosaica (cf. Ecclesiastico, 24,7-22). Vari esegeti pensano che l’evangelista abbia usato intenzionalmente il verbo σκηνόω perché richiama la radice verbale shakan, da cui deriva il sostantivo ebraico shekinah, che significa «abitazione» ed è una metonimia per designare Jahweh stesso. I rabbini ricorrevano a questa metonimia per motivi di riverenza religiosa, per evitare cioè l’impiego del nome ineffabile di Jahweh. Tra noi; l’espressione sottolinea con accento compiaciuto l’importanza ed il significato della presenza del Verbo tra gli uomini. Noi abbiamo veduto la sua gloria; «noi»: indica i testimoni oculari dell’attività e particolarmente dei miracoli di Gesù; l’evangelista insiste nel suo scritto sul valore della testimonianza (cf. anche 1 Giov., 1,1). Per il Lamarche «noi» designerebbe il popolo ebraico. Abbiamo veduto; la formula non implica soltanto il fatto fisico e materiale del vedere le opere di Gesù, ma anche l’atto della fede che scopre al credente la natura divina di Cristo; infatti tra gli spettatori dei miracoli di Gesù, soltanto una parte ha veduto la «gloria» del Figlio di Dio (si richiami quanto è rilevato in Giov., 6,11-12 a proposito del miracolo della moltiplicazione dei pani). La sua gloria; nell’Antico Testamento una nube ricopriva lo splendore della gloria di Jahweh presente nel santuario (cf. Esodo, 40,34-35; 1Re, 8,10-13; Isaia, 6,1-4 ecc.); nel Nuovo Testamento invece il Figlio di Dio manifesta la propria «gloria». La «gloria» (δόξα) è un sostantivo caro al quarto evangelista e ne caratterizza lo scritto; il termine designa un attributo proprio di Dio e si ricollega a tutta una tradizione contenuta nell’Antico Testamento, secondo la quale la gloria si identifica con una manifestazione sensibile della presenza di Dio. In Cristo la «gloria» si rivela nelle opere divine che egli compie, nominatamente nei miracoli (cf. Giov., 2,11); tale gloria, come si è accennato, si rivela a coloro che credono (cf. Giov., 11,40). Gloria [che hacome unigenito dal Padre; «come»: greco ὡς; questa preposizione, tradotta dalla Volgata quasi, non ha valore comparativo, ma asseverativo; essa indica una qualità del soggetto e va intesa nel modo seguente: la gloria che è propria e compete all’Unigenito. «Unigenito»; μονογενής, è attribuito a Gesù soltanto dal quarto evangelista (cf. Giov., 1,14,18; 3,16j18; 1Giov., 4,9); il sostantivò mette in evidenza il carattere singolare ed unico della figliolanza del Verbo (Figlio unico). Pieno di grazia e di verità, l’evangelista indica il seguente sviluppo di pensiero: il Logos si è fatto carne ed ha dimorato tra noi... pieno di grazia e di verità. L’aggettivo πλήρης, quantunque distante dal soggetto, che si trova all’inizio della frase, si riferisce ad esso, poiché tutte le affermazioni contenute nel vers. gravitano intorno al Logos. La proposizione è ridondante e sovraccarica; le parole: «e noi abbiamo veduto... dal Padre» costituiscono una parentesi. «Pieno di grazia e di verità»; i due sostantivi designano in modo compendioso tutti i benefici che il Verbo incarnato comunica agli uomini (cf. vers. 17). La formula espressiva «grazia e verità» deriva dal Vecchio Testamento (cf. Esodo, 34,6); tuttavia nel Prologo il senso della frase è molto più ricco; infatti là grazia e la verità (hesed we’emeth) non significano soltanto il favore e la fedeltà di Dio, ma il dono della vita e della verità sostanziale, fonte della rivelazione cristiana, dono che viene elargito ai credenti dal Verbo fatto uomo. La «grazia» (χάρις), termine frequentissimo in San Paolo, non ricorre più nel quarto vangelo; la «verità» (ἀλήθεια) invece diverrà uno dei temi più cari a Giovanni.
 
A quanti però lo hanno accolto - Bibbia di Navarra (nota a Gv 1,12): Accogliere il Verbo vuol dire riceverlo con la fede, poiché è per mezzo della fede che Cristo dimora nei nostri cuori (cfr Ef 3,17). Credere nel Nome suo significa credere nella sua Persona, in Gesù che è il Cristo, il Figlio di Dio. In altri termini, i credenti nel suo Nome sono coloro che serbano integro il nome di Cristo, in maniera tale da non sottrarre alcunché alla sua natura divina o alla sua umanità” (SAN TOMMASO D’AQUINO, In Evangelium Ioannis expositio et lectura).
«Ha dato potere» equivale a dire “ha concesso” in virtù di un dono: la grazia santificante; infatui “non è in nostro potere diventare figli di Dio” (Ivi). Per mezzo del Battesimo questo dono viene esteso a tutti gli uomini senza limitazione di razza, di età, di cultura o altro (cfr At 10,45; Gal 3,28). L’unica condizione richiesta è la fede.
«Il Figlio di Dio si fece uomo - osserva sant’Atanasio - perché i figli dell’uomo, cioè i figli di Adamo, potessero diventare figli di Dio [...]. Cristo è Figlio di Dio per natura, mentre noi lo siamo per grazia» (De Incarnatione contro arianos, 8). Si tratta della nascita alla vita soprannaturale, nella quale “tutti fruiamo della medesima dignità: schiavi e liberi, Greci e barbari, sapienti e ignoranti, uomini e donne, fanciulli e vecchi, ricchi e poveri... Tanto grande è la forza della fede in Cristo, così possente è la grazia!» (Omelia sul Vangelo di san Giovanni, 10,2).
«L’unione di Cristo «con l’uomo è la forza e la sorgente della forza, secondo l’incisiva espressione: di san Giovanni nel prologo del suo Vangelo: “Il Verbo ha dato potere di diventare figli di Dio”. Questa è la forza che trasforma interiormente l’uomo, quale principio di una vita nuova che non svanisce e non passa, ma dura per la vita eterna (cfr Gv 4,14)» (Redemptor hominis, n. 18).
 
Betlemme ha riaperto l’Eden: “Betlemme ha riaperto l’Eden, vedremo come. Abbiamo trovato le delizie in un luogo nascosto, nella grotta riprenderemo i beni del Paradiso. Là, è apparsa la radice da nessuno innaffiata da cui è fiorito il perdono. Là, si è rinvenuto il pozzo da nessuno scavato, dove un tempo David ebbe desiderio di bere. Là, una vergine, con il suo parto, ha subito estinto la sete di Adamo e la sete di David. Affrettiamoci dunque verso quel luogo dove è nato, piccolo bambino, il Dio che è prima dei secoli. Il padre della madre è, per sua libera scelta, divenuto suo figlio; il salvatore dei neonati è un neonato egli stesso, coricato in una mangiatoia. Sua madre lo contempla e gli dice: «Dimmi, figlio mio, come sei stato seminato in me, come sei stato formato? Io ti vedo, o carne mia, con stupore, poiché il mio seno è pieno di latte e non ho avuto uno sposo; ti vedo avvolto in panni, ed ecco che il sigillo della mia verginità è sempre intatto: sei tu infatti che l’hai custodito quando ti sei degnato di venire al mondo, bambino mio, Dio [che sei] prima dei secoli»” (Romano il Melode, Carmen X, Proimion, 1, 2)
 
Il Santo del Giorno - 31 Dicembre 2022 - Samta Caterina Labouré, Religiosa (Fain-les-Moutiers, Borgogna, 2 maggio 1806 - Parigi, 31 dicembre 1876): Visse i suoi primi 24 anni in una famiglia numerosa (10 fratelli) nella fattoria dei genitori, presso Chatillon (Francia). Nel 1830 entrò tra le Figlie della carità di Parigi. Erano le suore nate dal carisma di san Vincenzo e di santa Luisa de Marillac. Ebbe delle visioni soprannaturali riguardanti san Vincenzo e soprattutto la Madonna, che le predisse avvenimenti francesi futuri (rivoluzioni del 1830 e 1848) e le affidò dei messaggi. In particolare le chiese di coniare una «Medaglia miracolosa», dispensatrice di grazie. Caterina spese 45 anni di servizio agli anziani nell’ospizio di Enghien in un sobborgo della capitale francese, dove morì.
 
Sostieni, Signore, con la tua provvidenza
questo popolo nel presente e nel futuro,
perché con le semplici gioie
che disponi sul suo cammino
aspiri con serena fiducia
alla gioia che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 DICEMBRE 2022
 
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ MARIA E GIUSEPPE – ANNO A – FESTA
 
Sir 3,3-7.14-17a; Salmo Responsoriale 127 (128); Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23
 
Colletta
O Dio, nostro creatore e Padre,
tu hai voluto che il tuo Figlio crescesse in sapienza,
età e grazia nella famiglia di Nazaret;
ravviva in noi la venerazione
per il dono e il mistero della vita,
perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Familiaris consortio - La famiglia, comunione di persone 15. Nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella «famiglia umana» e nella «famiglia di Dio», che è la Chiesa.
Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la Chiesa: nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l’educazione, nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e l’educazione alla fede, essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa.
La famiglia umana, disgregata dal peccato, è ricostituita nella sua unità dalla forza redentrice della morte e risurrezione di Cristo (cfr. «Gaudium et Spes», 78). Il matrimonio cristiano, partecipe dell’efficacia salvifica di questo avvenimento, costituisce il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa.
Il mandato di crescere e moltiplicarsi, rivolto in principio all’uomo e alla donna, raggiunge in questo modo la sua intera verità e la sua piena realizzazione.
La Chiesa trova così nella famiglia, nata dal sacramento, la sua culla e il luogo nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane, e queste, reciprocamente, nella Chiesa.
 
I Lettura: Il Siracide sottolinea che i figli che onorano i genitori sono benedetti da Dio, questo significa che per tanto amore filiale saranno esauditi nel giorno della loro preghiera e vivranno a lungo. L’osservanza del quarto comandamento, «onora tuo padre e tua madre», non solo è fonte di benedizioni celesti, ma è anche espiazione dei peccati e dà sicurezza di avere gioia dai propri figli e di non essere dimenticati da Dio.
 
II Lettura: San Paolo nella seconda lettura indica alcune virtù proprie del cristianesimo, che per loro natura sono adatte a mantenere la fraternità in Cristo e a favorirla: la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza, soprattutto il perdono, sull’esempio del Signore Gesù Cristo. Infine, i rapporti familiari, sia degli sposi fra loro, sia dei genitori con i loro figli e viceversa, devono svolgersi nel più autentico spirito cristiano, «come si conviene nel Signore» Gesù.
 
Vangelo
Prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.
 
Giuseppe fugge con «il bambino e sua madre» in Egitto, il più agevole luogo di rifugio per gli abitanti della Palestina quando su di loro sovrastava qualche minaccia. Matteo applica la profezia di Osea (11,1) a Gesù, perché «secondo la credenza generalizzata del giudaismo, il tempo del Messia avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè. L’evangelista, quindi, afferma che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio per eccellenza, che subisce la stessa sorte del popolo che viene a salvare» (F. F. Ramos). Morto il re Erode, Giuseppe fa ritorno «nel paese d’Israele» scegliendo, per prudenza, di stabilirsi a Nazareth, fuori dalla giurisdizione di Archelao, erede di Erode. Anche qui Matteo fa cenno a una profezia, ma non è chiaro a quale oracolo faccia allusione. Si può pensare a nazîr di Gdc 13,5.7 o a neçer, «virgulto», di Is 11,1. Sembra che Matteo voglia affermare che Gesù, derivando da Nazaret il titolo di nazareno, ha anche meritato quello di virgulto, apparendo così suscitatore di speranza messianica. È da ammirare la docilità di Giuseppe alla volontà di Dio, per questo Matteo ama chiamarlo uomo «giusto» (1,19).

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 2,13-15.19-23

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Parola del Signore
 
I Magi erano appena partiti - Proprio perché uomo «giusto» (Mt 1,19), Giuseppe può fruire di queste «comunicazioni celesti» che lo sostengono e lo illuminano sopra tutto quando è necessario prendere delle decisioni.
L’angelo dopo aver ordinato a Giuseppe di prendere con sé «il bambino e sua madre», una sottolineatura che non va trascurata, lo invita a fuggire in Egitto. La sottolineatura non va trascurata perché concisamente esclude il «concepimento fisico» del bambino.
L’Egitto, nella mentalità biblica, ha un doppio significato: da una parte è il luogo di rifugio dei perseguitati politici (cf. 1Re 11,40; Ger 26,1), dall’altra indica il paese dal quale aveva avuto inizio la lunga marcia verso il deserto dove il popolo ritroverà la libertà e l’identità di nazione.
Ed è da tenere a mente che la liberazione dalla schiavitù egiziana fu portata avanti da Mosè, un perseguitato politico che visse quell’esperienza drammatica sia durante l’infanzia (cf. Es 2,1-10), sia durante la giovinezza (cf. Es 2,15). Il dato cristologico che Matteo vuole fornire ai suoi lettori quindi è eloquentemente chiaro: Gesù è il nuovo Mosé che libererà il suo popolo da una più perniciosa schiavitù e guidandolo per il deserto della vita lo condurrà in una «nuova terra» (Is 65,17) dove abbondantemente scorre il latte della grazia e il miele dell’amicizia divina.
Tale intenzione è rafforzata dalla citazione di Osea - «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» - fatta direttamente dal testo ebraico senza riprendere la versione dei Settanta. Israele era considerato il figlio primogenito di Dio (cf. Sir 36,11), ora Gesù ripercorre il cammino, anzi assume su di sé l’esperienza storica del popolo eletto per portarla a compimento. E questo è un altro grande annuncio che Matteo fa ai suoi lettori: il disegno di Dio, disegno di liberazione e di salvezza, si compie in Gesù, il Figlio unigenito del Padre (cf. Gv 1,18).
Nella seconda parte del vangelo, Giuseppe dall’angelo riceve l’ordine di ritornare in patria. Il luogo dove stabilirsi non è scelto a caso. Tutto entra dentro un progetto ben preciso, delineato fin dall’eternità dalla sapienza divina.
 
Famiglia - Christa Thomassen: Nell’Antico Testamento la famiglia in quanto “casa paterna” è la più piccola forma di vita comune delimitata di fronte al clan, alla “tribù” e al “popolo”. Della famiglia fanno parte padre, madre, figli, nipoti, servi e ospiti temporanei. Il capo della famiglia, secondo la struttura sociale patriarcale di quel tempo, è il padre che la rappresenta all’esterno e la edifica assieme alla moglie. Nel tempo più arcaico egli si occupa anche degli affari giuridici della famiglia, e fino alla riforma del culto del Deuteronomio (che gli impone anche altri limiti, per es. l’aggravio del divorzio) esercita anche funzioni sacerdotali (per es. Es 12,3ss).
Massimo onore è considerato l’allargamento della  famiglia con il maggior numero possibile di figli maschi. Ai genitori sono dovuti ubbidienza e rispetto (Es 20,12). Solidarietà, amore e fedeltà alla famiglia sono un comandamento sacro.
Nel Nuovo Testamento le famiglie cristiane vengono descritte come i primissimi luoghi nei quali si svolgevano le celebrazioni liturgiche e come nucleo centrale della vita della comunità (At 2,46; 16,15). Il legame della famiglia, tuttavia, viene relativizzato nella misura in cui colui che è raggiunto dalla particolare chiamata di Cristo, deve esser pronto ad abbandonare tutto, anche i parenti più prossimi, per seguire la chiamata ad una  sequela particolare. Una tale sequela radicale è vista come facente parte della “perfezione” (Mt 19,21).
In senso figurato anche la comunità dei credenti è chiamata famiglia. I cristiani sono la “casa di Cristo” perché possono riportare in lui la loro speranza (Eb 3,6). Perciò essi non sono più stranieri, ma “famigliari di Dio” uniti a vicenda per mezzo di Cristo (Ef 2,19s).
 
La famiglia cristiana - Gianni Colzani: La famiglia esiste prima e indipendentemente dalla comunità cristiana. Questa, tuttavia, ha una sua modalità originale nel rapportarsi alla famiglia: la considera non solo in base alla felicità o all’infelicità dei suoi membri, ma soprattutto in base al rapporto con la grazia di Cristo e con il servizio al suo Regno. Questa prospettiva comporta di sicuro una certa relativizzazione di alcune dimensioni umane: il Regno è più importante degli affetti familiari (Lc 14,26) e dei beni materiali (Mt 19,21). Ma non è tutto. Tale modo di considerare le cose appella a ripensare la famiglia sulla base della storia della salvezza e dell’impegno per il Regno: la Chiesa lo fa legando profondamente la famiglia al sacramento del matrimonio e alimentandone la vita con il sacramento dell’eucaristia. La comunione familiare si apre agli orizzonti dell’amore di Gesù: la sua presenza ridefinisce il senso e il compito dei legami familiari. Questa visione non sconfessa la sensibilità psicologica, oggi così diffusa, ma certamente la oltrepassa: indicando una più profonda visione dell’amore, chiede alla famiglia credente di assumerla come proprio criterio di vita.
Sul modello dell’amore di Cristo per il Padre e per gli uomini suoi fratelli, l’amore familiare, che apre la vita di una persona al coniuge, ai figli e alla società, appare il luogo dove la fede si fa vita e dove avviene il Regno di Dio. Originale espressione dell’amore coniugale, la famiglia cristiana si configura come espressione adulta della fede e ambito delle sue responsabilità storiche. La vita familiare è quindi una reale via di santità, un originale cammino di spiritualità.
Questa concezione della famiglia trova espressione sia nel decreto del concilio Vaticano II Gaudium et spes, nn. 47-52 (1965), sia nella esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris consortio (v.) del 1981. Il primo risultato è la presentazione della famiglia come comunità di vita: integrando l’antico discorso sulla fecondità e sul bene della prole, la teologia presenta oggi la famiglia come una comunità di vita, come una comunità totale dove i coniugi (e i figli quando ci sono) si accettano nella loro individualità e nelle loro differenze. La famiglia non è il luogo di una affermazione di sé e di una strumentalizzazione dell’altro, ma di una originale sintesi tra la dimensione personale e quella istituzionale. La comunione familiare non livella i coniugi, ma li pone in un rapporto profondo che ha il compito di concretizzare l’ideale biblico “i due saranno una sola carne” (Gn 2,24). In questa comunità di vita l’uomo e la donna si sperimentano ordinati l’uno all’altra in un dono e in una fedeltà che si modella sull’amore indefettibile di Cristo per l’umanità. Così intesa la comunità di vita è una comunità unita, fedele e feconda: non è un contratto o una somma di condizioni economiche, ma è una pienezza di vita costruita sul modello dell’amore di Cristo. Anche tribolata, la fedeltà rimane capace di misericordia e di perdono, rimane irreversibile; testimoni di una vita che li supera anche quando nasce da loro, i coniugi vivono una fecondità che è partecipazione all’opera creatrice del Padre. L’ideale cristiano non è né la grande famiglia né la famiglia chiusa, ma il responsabile servizio del Regno.
 
La vita di famiglia non esclude il fervore cristiano: Impariamo a dedicarci alla virtù, a ritenere importantissimo il piacere a Dio, a non prendere come pretesto le condizioni di casa nostra, la cura della moglie, la sollecitudine dei figli né qualsiasi altra cosa simile ritenendo che sia sufficiente scusa della nostra vita negligente e trascurata. Non proferiamo mai quelle espressioni gelide e sciocche, ad esempio: «Sono un uomo di mondo, ho moglie e bado ai figli», come molti sono soliti dire quando li esortiamo di abbracciare limpegno della virtù o di dedicarsi molto alla lettura delle Scritture. «Non fa per me - si dice -; mi sono forse ritirato dal mondo? Sono forse un monaco?». Cosa dici, o uomo? Solo i monaci hanno il privilegio di piacere a Dio? Egli vuole che tutti gli uomini si salvino e che giungano alla conoscenza della verità [1Tm 2,4], e non trascurino nessuna virtù. Ascolta dunque lui che dice per bocca del profeta: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva [Ez 18,23]. Dimmi: a questo giusto [Noè] fu di impedimento la convivenza con la moglie o la cura dei figli? Non inganniamo noi stessi, vi prego, ma quanto più siamo presi da queste preoccupazioni, tanto più cerchiamone la medicina nella lettura delle divine Scritture” (Crisostomo Giovanni, Omelie sul Genesi, 21)
 
Il Santo del Giorno - 30 Dicembre 2022 - Beata Eugenia Ravasco, Fondatrice: Nacque a Milano il 4 gennaio 1845 in una famiglia nobile e agiata, di sani principi cristiani. Eugenia Ravasco rimase però, già da bambina, orfana dei genitori e affidata agli zii, dai quali apprese un grande amore per i poveri. Erede di un ingente patrimonio, fu promessa in sposa a un marchese, ma Eugenia volle consacrarsi al S. Cuore di Gesù, cominciando a prestare la sua opera nelle parrocchie e negli ospedali. Dopo la morte della sorella, nel 1868, ospitò nella sua casa, con il consenso della diocesi, l’«Associazione per il bene», che sarebbe divenuta la congregazione delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, con lo scopo di creare scuole e laboratori per i giovani, l’educazione degli adolescenti, dei bimbi poveri e l’assistenza degli ammalati. Nel 1883 la comunità venne aggregata all’Ordine dei Cappuccini. Coinvolse vescovi e ministri, viaggiò per la sua diffusione per l’Italia e l’Europa, scrisse oltre duemila lettere. Morì a Genova il 30 dicembre 1900. È stata beatificata da Giovanni Paolo II nel 2003. (Avvenire)

O Dio, nostro creatore e Padre,
tu hai voluto che il tuo Figlio crescesse in sapienza,
età e grazia nella famiglia di Nazaret;
ravviva in noi la venerazione
per il dono e il mistero della vita,
perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.