1 Marzo 2023
 
Mercoledì della I Settimana Quaresima
 
Gio 3,1-10; Sal 50 (51); Lc 11,29-32 

Colletta
Guarda, o Signore,
il popolo a te consacrato,
e fa’ che, mortificando il corpo con l’astinenza,
si rinnovi con il frutto delle buone opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Il segno di Giona - Catechismo della Chiesa Cattolica 994: Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: «Io sono la Risurrezione e la Vita» (Gv 11, 25). Sarà lo stesso Gesù a risuscitare nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui e che avranno mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue. Egli fin d’ora ne dà un segno e una caparra facendo tornare in vita alcuni morti, annunziando con ciò la sua stessa Risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine. Di tale avvenimento senza eguale parla come del «segno di Giona» (Mt 12, 39), del segno del tempio: annunzia la sua Risurrezione al terzo giorno dopo essere stato messo a morte.
C’è più di Giona - Catechismo della Chiesa Cattolica 590: Soltanto l’identità divina della Persona di Gesù può giustificare un’esigenza assoluta come questa: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30); altrettanto quando egli dice che in lui c’è “più di Giona... più di Salomone” (Mt 12,41-42), “c’è qualcosa più grande del Tempio” (Mt 12,6); quando ricorda, a proprio riguardo, che Davide ha chiamato il Messia suo Signore, e quando afferma: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Gv 8,58); e anche: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30).
 
 I Lettura: Il libro di Giona non è un “libro storico” e il suo genere letterario rientra nel racconto didattico o parabola. La narrazione della conversione di Ninive e il perdono di Dio mette a nudo l’atteggiamento di Giona, «autentico israelita: limitato, gretto, non desideroso di portare il messaggio di Yahveh ai nemici del suo popolo, sdegnato quando altri lo accettano. Come Rut, anche Giona è una protesta contro la chiusura e l’esclusivismo del giudaismo postesilico ... Giona segna quindi uno dei più notevoli passi avanti nel progresso spirituale della religione biblica» (John L. McKenzie). Un passo avanti che giungerà alla sua pienezza nel Nuovo Testamento in Cristo: «colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce distruggendo in se stesso l’inimicizia» (Ef 2,14-16).
 
Vangelo
A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.
 
I Giudei cercano un segno, cioè un miracolo che esprima e giustifichi l’autorità di Gesù. Una preoccupazione, quella di cercare un segno, che si annida in tutti i cuori vacillanti. Il segno è stato dato ed è Gesù crocifisso. Lo dirà a chiare lettere Paolo ai cristiani di Corinto: Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio (1Cor 1,22-24). Con un po’ di attenzione in più gli uomini scoprirebbero che in verità Dio ha seminato la storia di segni per condurre gli uomini alla fede e alla salvezza.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,29-32

 
In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del  giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».
 
Parola del Signore.

 
Il segno di Dio - Javer Pikaza (Commento della Bibbia Liturgica): Messi di fronte al silenzio di Dio, gli uomini hanno chiesto molte volte un segno. Di questo tema si occupa il nostro testo. Per analizzarlo con qualche precisione, sarebbe necessario uno studio letterario più esteso e particolareggiato di quello che possiamo fare ora. Osserviamo semplicemente che il racconto si divide in due sezioni inizialmente distinte: la prima (11,29-30) è negativa rispetto alla richiesta di segni; la seconda (11,31-32) interpreta Gesù come il segno o il luogo della presenza suprema di Dio sulla terra. Si tenga presente che il concetto di segno nei due casi è diverso.
a) Gesù rifiuta il segno che gli chiedono. Ricordiamo l’espressione radicale di Paolo: i greci cercano la sapienza (l’ascesa verso il divino), i giudei invece chiedono segni (manifestazioni del potere di Dio sulla terra) (1Cor 1,32). Ponendosi su questo piano, i giudei cercano sicurezze, hanno bisogno che Dio manifesti la sua presenza specialmente attraverso avvenimenti di carattere portentoso (la liberazione totale dalla miseria di questo mondo, l’avvento del regno escatologico). Orbene, Gesù non volle offrire tali segni. In tutto il vangelo è presente questo atteggiamento negativo, che lo pone su un piano diverso da quello sul quale vollero collocarlo i giudei.
La differenza radicale fra il cristianesimo e il giudaismo sta esattamente in questo piano. I giudei continuano a pensare che Dio interverrà nel momento in cui inaugurerà la nuova realtà, distruggerà il vecchio mondo e fonderà il suo regno. I cristiani hanno scoperto la sua presenza nella persona e nell’opera di Gesù. Da questo momento Dio non è più la pura trascendenza escatologica, ma si manifesta nella via di Gesù verso la Pasqua.
In questa dimensione, si può affermare che Dio ha dato un segno: Giona che scompare nel mare e torna all’esistenza simboleggia il destino di Gesù incentrato nella passione, nella morte e nella Pasqua. Questo segno manca degli elementi richiesti dai giudei: la sua apparenza esterna, il suo valore di prova chiara e oggettiva.
Solo coloro che confidano in Gesù (credenti) possono giungere a scoprire la presenza di Dio nella sua via accettare alla fine la realtà della risurrezione.
b) Il segno di Gesù. Pare che questo rifiuto sia sta unito relativamente presto a un apprezzamento positivo di Gesù come segno di Dio; e per questo sono state utilizzate quelle parole che provengono da una delle tradizioni più antiche del vangelo e con le quali Gesù si paragona a Salomone e a Giona.
Salomone è l’uomo della sapienza di Dio; perciò servì da segno alla regina del mezzogiorno, facendole vedere la grandezza del Dio d’Israele. Giona è citato come messaggero del giudizio riguardo alla popolazione della vecchia Ninive; la sua parola era un segno di Dio per quel popolo che decise di far penitenza. Orbene, la tradizione cristiana sa che Gesù compì una missione più alta e più valida che tutte le missioni dei re o dei profeti dell’AT; egli è il segno di Dio per eccellenza, ma gli uomini del suo tempo non vollero accoglierlo e convertirsi.
Per applicare il contenuto di questo testo, dobbiamo ampliare la visione degli uomini che sono stati «segno» di Dio nella storia. Insieme con Giona e Salomone, possiamo citare Budda e Maometto, Gandhi e Confucio. Essi hanno aperto strade che conducono verso Dio. Gesù però è molto superiore a tutti.
Perciò, quelli che rigettano il suo messaggio rifiutano la vera via di Dio fra gli uomini.
 
La regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà... per molti cristiani queste parole di Gesù sono da eliminare dal Vangelo, o qualcuno va dicendo che sono parole spurie inserite da qualche maldestro copista. Si grida a squarciagola “Misericordia, misericordia”, e poi le parole di Gesù, che si leggono nel Vangelo di oggi, buttano in faccia agli uomini una verità che fa male, che fa pezzi ogni ragionevolezza, comprime il cuore facendo sprizzare a fiotti lacrime, sospiri, e gemiti. Quindi, a un volto sereno, pacifico, di Gesù, il Gesù misericordioso, vi è un volto severo, il Gesù giudice, e l’uomo al termine del sua povera può incontrarsi o con l’uno o con l’altro. Ma l’incontro, e quindi il giudizio, non è dettato dai capricci di Dio, ma dalle opere e dalla fede dell’uomo. Se la fede è rimasta accesa fino alla fine, se le opere sono state buone allora l’uomo si incontrerà con l’Amore misericordioso, al contrario se il lume della fede non è rimasto acceso, e il bagaglio è colmo di opere cattive allora l’uomo si incontrerà con il Giudice giusto, e come castigo prenderà dimora eterna nel regno di satana. Non basta dire “Misericordia, misericordia, o “Signore, Signore”, o dire abbiamo fatto miracoli nel tuo nome o abbiamo mangiato e bevuto in tua compagnia: sola la fede in Gesù salva, lo si legge spesso nei Vangeli, “Va’ la tua fede ti ha salvato”. Alla fede si devono accompagnare le opere, altrimenti la fede è morta. E non ci vogliono opere mirabolanti, ma il quotidiano spicciolo che deve diventare carità: Consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti; e poi occorre aggiungere: Dar da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, e infine seppellire i morti. Tutto qui, ne più ne meno, perché alla sentenza “Benedetti, venite nella casa del Padre mio”, con orrore l’uomo, a suo dileggio, può sentire anche queste parola: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt 25, 31ss). In poche parole, l’uomo “raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Gal 6,7-8).
 
Benedetto XVI: Ninive, la nostra vita oggi. Gesù, il nostro Giona oggi: « Tre giorni e Ninive sarà distrutta ». Il terzo giorno era noto alla tradizione ebraica antica; nella Scrittura è quello nel quale si risolve una situazione critica, disperata, mentre appare spesso come il giorno del dono della vita: « Mai il Santo, benedetto egli sia, lascia i giusti nell’angoscia per più di tre giorni » (Gen. R. 91,7 su Gen. 42,18). Esattamente come ha sperimentato Giona salvato dalle fauci della balena proprio al terzo giorno. Allo stesso modo il Kerygma – l’annuncio – più antico proclama che Gesù « è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture » (1 Cor. 15,4).
Non a caso il Vangelo di oggi termina con la conversione degli abitanti di Ninive alla predicazione di Giona, dove predicazione traduce proprio l’originale greco Kerygma. Per Rabbì Levi il terzo giorno ha una virtù particolare, è benedetto a causa del dono della Torah sul Sinai (cfr. Es. 19,16). A Ninive, come nella nostra vita, si rinnova il dono della Torah, la Parola incarnata nella misericordia apparsa in Cristo. Egli, come Giona lo fu per quelli di Ninive, è fratello di ciascuno di noi, ha condiviso il destino di morte che l’uomo si è attirato peccando. Tre giorni, il riposo del Signore nel sepolcro dell’umanità, della nostra vita, il tempo favorevole per lasciarci raggiungere dal Suo amore e farci trascinare con Lui nel passaggio dalla morte alla vita. Solo Lui può annunciarci il Kerygma autentico, quello che attende e desidera il nostro cuore ormai da tre giorni, la Parola di Verità che il nostro cuore può comprendere e accogliere. È Lui l’unico segno offerto ad una generazione malvagia, l’unico che può salvarla. Lui attraverso la sua Chiesa, madre e maestra dell’umanità. Indossiamo allora il sacco e ricopriamoci di cenere, i segni della debolezza e della caducità bisognosa che tutti ci accomuna, della realtà che ci definisce quali peccatori, sine glossa e senza giustificazioni; disponiamoci al digiuno e alla preghiera, i segni della Grazia che prende vita nelle nostre esistenze, che si fa fiduciosa risposta all’amore di Dio.
Inginocchiamoci in questa quaresima, in attesa della mano del Signore tesa a salvarci, della sua Parola di vita. Un Segno per convertirci.
 
Il Santo del giorno - 1 Marzo 2023 - Martirologio Romano: Nella città di Xilinxian nella provincia del Guangxi in Cina, sant’Agnese Cao Kuiying, martire, che, già sposata con un marito violento, dopo la morte di questi si dedicò per mandato del vescovo all’insegnamento della dottrina cristiana e, messa per questo in carcere e patiti crudelissimi tormenti, confidando sempre in Dio migrò al banchetto eterno. 
 
La Regina dell’Austro sorgerà ... - Nicola di Lira: Postilla super Lucam, XI: la Regina dell’Austro rappresenta l’anima razionale, che, se governa bene le forze inferiori secondo il dettame della legge di natura, è detta Regina. E se fa questo col fervore della carità, è giustamente chiamata Regina dell’Austro, perché l’Austro simboleggia proprio il calore della carità. E questa Regina viene al vero Salomone: Gesù Cristo, offrendogli, per mezzo della devozione, l’oro della sapienza, le gemme delle virtù e gli aromi dell’onore, usandoli tutti per la gloria di Dio. 

O Dio, che sempre ci nutri
con i tuoi sacramenti,
per questi doni della tua bontà
guidaci alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.

 

 28 Febbraio 2023
 
Febbraio Martedì della I Settimana di Quaresima
 
Is 55,10-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 33 (34); Matteo 6,7-15
 
Colletta
Volgi il tuo sguardo, o Signore,
a questa tua famiglia,
e fa’ che, superando con la penitenza
ogni forma di egoismo,
risplenda ai tuoi occhi per il desiderio di te.
Per il nostro Signore Gesù Cristo. 
 
Il Padre nostro - Catechismo degli Adulti - Centralità [1001]  Il “Padre nostro” è il modello di ogni preghiera, anzi la sintesi di tutto il vangelo. Il suo posto, secondo l’evangelista Matteo, è al centro del discorso della montagna, cioè al centro del programma di vita dei discepoli di Cristo. Serve infatti a chiedere che il regno di Dio venga in pienezza e che noi possiamo vivere in modo da poterlo accogliere. La Chiesa da parte sua riconosce da sempre la centralità di questa preghiera. Le prime generazioni cristiane la recitano tre volte al giorno.
I neòfiti la ricevono come una consegna solenne durante l’iniziazione. La celebrazione della Messa la colloca tra la preghiera eucaristica e il rito della comunione, per chiedere che il Regno, già compiuto in Cristo morto e risorto, si compia anche in noi. La liturgia delle ore la include nei due momenti principali: lodi e vespri.
Dono del Signore Gesù [1002]  Giustamente il “Padre nostro” porta il nome di “Preghiera del Signore”. Il Signore Gesù ha consegnato una volta per sempre questa formula ai discepoli di ogni tempo. Il Signore Gesù comunica incessantemente lo Spirito Santo, perché la preghiera sia viva. Partecipando alla sua vita filiale, ci avviciniamo al Mistero infinito con la gioiosa certezza di essere amati e, con umile audacia, «osiamo dire: Padre nostro».
Invocazione a Dio vicino e sublime [1003] «Padre» è il nuovo nome di Dio; è la rivelazione propria, portata da Gesù. «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). Dio è Padre perché ha un Figlio unigenito; diventa Padre degli uomini perché li ama fino a dare il suo Figlio e li fa partecipare alla vita di lui. La sua tenerezza si manifesta soprattutto verso i figli perduti. Al Padre ci si rivolge con il cuore pieno di commozione, stupore, gratitudine, umile e incrollabile confidenza, perseverando nella preghiera anche quando egli sembra assente, desiderando di imitare la sua misericordia nei rapporti con gli altri.
 
I Lettura: «Al popolo di Dio in esilio, seriamente esposto a scoraggiamento e delusione nella sua fede, non bastava una vaga esortazione alla fedeltà. Proprio perché esistevano dubbi sulla potenza di Dio, il profeta ricorda la forza della parola-promessa di Dio salvatore e creatore, signore della storia come lo è della natura. Il c. 55 è tutto un invito di Dio ad Israele perché abbia fiducia nel Signore e si converta a lui, riprendendo coscienza dell’alleanza di Dio con lui e di lui con Dio» (Secondo Migliasso).
 
Vangelo
Voi dunque pregate così.
 
Nella redazione di Matteo la preghiera del “Padre nostro” ha sette domande. Questo numero è caro all’evangelista Matteo e, forse, per ottenere il numero sette l’evangelista ha aggiunto al testo-base la terza e la settima domanda. Il “pane quotidiano” è il pane necessario alla sussistenza, l’insegnamento è che si deve domandare a Dio il sostentamento indispensabile della vita materiale, ma non la ricchezza né l’abbondanza. I Padri della Chiesa hanno applicato tale testo al nutrimento della fede, il pane della parola di Dio e il pane eucaristico (cfr. Gv 6,22).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,7-15
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
 
Parola del Signore.
 
Matteo inserisce la preghiera del Padre nostro nella magnifica cornice del ‘Discorso della Montagna’ per opporre l’agire cristiano a quello degli ipocriti (Mt 6,9-13). Oltre a chiedere che sia santificato il nome del Padre, il discepolo deve chiedere il pane quotidiano. Praticamente deve imparare a chiedere al Padre quanto è necessario per la sua sussistenza. Inoltre, il discepolo, deve chiedere che gli siano rimessi “i debiti”. I discepoli che anelano al perdono di Dio, devono perdonarsi a vicenda (cfr. Mt 5,39; 6,12; 7,2; 2Cor 2,7; Ef 4,32; Col 3,13) e devono perdonare il prossimo senza mai stancarsi: fino a settanta volte sette (cfr. Mt 18,22). Chi non vuole perdonare non può pretendere di ricevere il perdono di Dio: se «vogliamo essere giudicati benignamente, anche noi dobbiamo mostrarci benigni verso coloro che ci hanno arrecato qualche offesa. Infatti ci sarà perdonato nella misura in cui avremo perdonato loro, qualunque cattiveria ci abbiano fatto» (Giovanni Cassano). Con l’ultima petizione il discepolo chiede di non essere abbandonato alla tentazione. Una supplica che nasce dalla consapevolezza della propria debolezza dinanzi alla prepotenza e all’astuzia di Satana, il Tentatore per antonomasia: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,41).
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): La struttura del Padrenostro si articola in due strofe: la prima (vv. 9-10) comprende l’invocazione iniziale e le tre petizioni in terza persona singolare, che si riferiscono alla santificazione del nome, al regno e alla volontà del Padre celeste, scandite dall’aggettivo possessivo «tuo»; la prospettiva è escatologica. La seconda strofa (vv. 11-13) consta di quattro domande in seconda persona singolare, riguardanti le nostre necessità quotidiane nel mondo presente. Siccome la quarta petizione corrisponde alla terza (l’una è in forma negativa, l’altra positiva), anche la seconda strofa contiene praticamente tre richieste. Comunque, le domande nel Padrenostro matteano risultano sette, un numero preferito dal primo evangelista. Alla dimensione escatologica del «tuo» nella prima strofa si contrappone quella temporale del «nostro», ripetuto più volte nella seconda (in greco ricorre otto volte il pronome «noi»),
Un confronto con il testo parallelo di Luca mette in evidenza le notevoli divergenze. Luca riporta cinque petizioni (tralascia la terza e la settima di Mt, relative rispettivamente alla volontà di Dio e alla liberazione dal malvagio). Altre differenze le rileveremo in seguito. Sono stati fatti vari tentativi per ristabilire il testo originario, ma con risultati discordanti. Mentre alcuni esegeti danno la preferenza alla redazione di Mt, altri propendono per quella lucana. Come risulta anche per le formule della consacrazione eucaristica, per l’iscrizione posta sulla croce, i primi cristiani non si preoccuparono di trasmettere in maniera fissa questi testi sacrosanti. Il Padrenostro riproduce la preghiera insegnata da Gesù, ma secondo due modelli differenti, che probabilmente hanno avuto come unico archetipo la formulazione greca nel documento Q, anche se la sua origine (nella tradizione orale o scritta) va ricercata in ambiente giudeocristiano. Luca sembra riprodurre più fedelmente il tenore originale del Padrenostro, ma con qualche adattamento all comunità ellenistiche; Matteo lo ha ampliato con due domande e altri elementi «intimamente connessi con la concezione teologica del (suo) vangelo» (Gnilka, I, p. 323). Il pensiero del Maestro non viene travisato ma adattato alla mentalità e alle esigenze liturgiche e catechetiche delle rispettive comunità.
Benché si tratti di un’inserzione nel contesto delle tre opere buone, è evidente che il Padrenostro occupa il posto centrale nel discorso della montagna. Secondo G. Giavini e G. Bornlcarnm, la sezione 6,19-7,11 del discorso rappresenta uno sviluppo del Padrenostro.
Anche M. Dumais colloca il Padrenostro al centro di una possibile struttura chiasmatica di tutto il discorso della montagna (col. 758).
 
La mia parola opera ciò che desidero - La parola opera e rivela -  René Feuillet e Pierre Grelot (Parola di Dio, in Dizionario di Teologia Biblica): Non si dice mai che la parola di Dio sia indirizzata a Gesù come si diceva un tempo per i profeti. Tuttavia, sia in Giovanni che nei sinottici, la sua parola si presenta esattamente come la parola di Dio nel Vecchio Testamento: potenza che opera e luce che rivela.
Potenza che opera: con una parola Gesù compie i miracoli che sono i segni del regno di Dio (Mt 8,8.16; Gv 4,50-53). Sempre con una parola egli produce nei cuori gli effetti spirituali di cui questi miracoli sono i simboli, come il perdono dei peccati (Mt 9, 1-7 par.). Con una parola trasmette ai Dodici i suoi poteri (Mt 18,18; Gv 20,23) ed istituisce i segni della nuova alleanza (Mt 26,26-29 par.). La parola creatrice agisce quindi in lui e per mezzo di lui, operando in terra la salvezza.
Luce che rivela: Gesù annunzia il vangelo del regno, «annunzia la parola» (Mc 4,33), facendo conoscere in parabole i misteri del regno di Dio (Mt 13,11 par.). Apparentemente egli è un profeta (Gv 6,14) od un dottore che insegna in nome di Dio (Mt 22,16 par.). In realtà parla «con autorità» (Mc 1,22 par.), come in proprio, con la certezza che «le sue parole non passeranno» (Mt 24,35 par.). Questo atteggiamento lascia intravvedere un mistero, sul quale il quarto vangelo si china con predi­lezione. Gesù «dice le parole di Dio» (Gv 3,34), dice «ciò che il Padre gli ha insegnato» (Gv 8, 28). Perciò «le sue parole sono spirito e vita» (Gv 6,63). A più riprese l’evan­gelista usa con enfasi il verbo «parlare» per sottolineare l’importanza di questo aspetto di Gesù (ad es. Gv 3,11; 8,25-40; 15,11; 16,4...), perché Gesù «non parla da sé» (Gv 12,49 s; 14,10), ma «come il Padre gli ha parlato prima» (Gv 12,50). Il mistero della parola profetica, inaugurato nel Vecchi Testamento, raggiunge quindi in lui il suo perfetto compimento.
Perciò agli uomini viene intimato di prendere posizione di fronte a questa parola che li mette in contatto con Dio stesso. I sinottici riferiscono discorsi di Gesù che mostrano chiaramente la posta di questa scelta. Nella parabola del seme, la parola - che è il vangelo del regno - è accolta diversamente dai suoi diversi uditori: tutti «sentono»; ma soltanto quelli che la «comprendono» (Mt 13,23) o l’«accolgono » (Mc 4,20 par.) o la «custodiscono» (Lc 8,15), la vedono portare in essi il suo frutto. Così pure, al termine del discorso della montagna in cui ha proclamato la nuova legge, Gesù oppone la sorte di coloro che «ascoltano la sua parola e la mettono in pratica» alla sorte di coloro che «l’ascoltano senza metterla in pratica» (Mt 7,24.26; Lc 6,47.49): casa fondata sulla roccia, da una parte; sulla sabbia, dall’altra.
Queste immagini introducono una prospettiva di giudizio; ognuno sarà giudicato sul suo atteggiamento di fronte alla parola: «Se uno avrà arrossito di me e delle mie parole, il figlio dell’uomo arrossirà anche di lui quando verrà nella gloria del Padre suo» (Mc 8,38 par.).
 
Padre nostro…: «Bisogna naturalmente che sappiate che Dio è Signore e Creatore di tutte le cose e dunque anche di voi; infatti, è grazie a lui che godete molti beni. Eppure, chiamatelo Padre affinché, una volta compresa la vostra nobile condizione, la vostra dignità e la vostra grandezza di figli del Signore di tutte le cose e vostro Signore, possiate agire in armonia con queste verità. Non dite, allora: «Padre mio», ma: «Padre nostro». Egli è infatti Padre di tutti come la grazia, mediante la quale siamo diventati suoi figli adottivi. Perciò, non vogliate solo agire degnamente verso il Padre, ma vivete anche in buona armonia con i vostri fratelli, che sono nelle mani dello stesso Padre» (Teodoro di Mopsuestia, Hom. Catech., 11,7-9).
 

Il Santo del giorno - 28 Febbraio 2023 -  Beato Daniele Alessio Brottier, Sacerdote: Daniele Alessio Brottier è ricordato per il suo impegno nella missione, nell’apostolato tra i militari e per l’aiuto agli orfani. Nato nel 1876 a La Ferté-Saint Cyr, diocesi di Blois, in Francia, entrò in Seminario nel 1890 e divenne prete a 23 anni nel 1899. Nel 1902 entrò come novizio nella congregazione dello Spirito Santo ad Orly, l’anno seguente emise i voti religiosi e partì quasi subito per il Senegal, allora colonia francese , ma rientrò dopo soli tre anni per motivi di salute. Ripresosi tornò nuovamente nel paese africano, ma i problemi di salute lo costrinsero a tornare definitivamente in patria. Allora, in Francia, fondò l’opera «Souvenir Africain», allo scopo di costruire la cattedrale di Dakar. Cappellano militare nella Prima Guerra mondiale, fondò l’Unione nazionale combattenti e l’Opera degli orfani apprendisti. Morì nel 1936. È stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1984. (Avvenire)

Per la partecipazione ai tuoi misteri insegnaci,
o Signore, a moderare i desideri terreni
e ad amare i beni del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 

 27 Febbraio 2023
 
Lunedì I Settimana di Quaresima
 
Lv 19,1-2.11-18; Salmo Responsoriale Dal Salmo 18 (19); Mc 7,31-37
 
Colletta
Convertici a te, o Dio, nostra salvezza,
e formaci alla scuola della tua sapienza,
perché l’impegno quaresimale
porti frutto nella nostra vita
Per il nostro Signore Gesù Cristo. 
 
Catechismo della Chiesa Cattolica - Giorno del giudizio - 681 Nel giorno del giudizio, alla fine del mondo, Cristo verrà nella gloria per dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la zizzania, saranno cresciuti insieme nel corso della storia.  
1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono «così come egli è» (1Gv 3,2), «a faccia a faccia» (1Cor 13,12): «Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo [...] e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate, [...] anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale — e questo dopo l’ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo sono state, sono e saranno in cielo, associate al regno dei cieli e al paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l’essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura».
1039 Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena: «Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3) [...] egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me».  
1040 Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte.  
1041 Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto» (2 Ts 1,10).  
 
Prima Lettura: L’amore verso il prossimo è una legge eterna che Dio ha scritto con il suo Spirito nel cuore degli uomini. Un amore che trasforma l’uomo interiormente e lo apre alla sorgente della santità: Dio, fonte di santità e di misericordia.
 
Vangelo
Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.
 
Gesù verrà nella sua gloria, alla fine del mondo, come Giudice di tutti gli uomini. Essi saranno giudicati sull’amore: Cristo, infatti, vaglierà attentamente soltanto le opere di misericordia (Cf. Is 58,7; Gb 22,6s; Sir 7,32s; ecc.) tralasciando le azioni eccezionali (Cf. Mt 7,22s). Gli eletti, i misericordiosi, entreranno beati nel regno di Dio. I reprobi se ne andranno al supplizio eterno.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,31-46
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
 
Parola del Signore.
 
Venite, benedetti del Padre mio - La descrizione del giudizio finale presenta Gesù come un re che viene a separare «gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre», avendo come criterio discriminante le opere di misericordia.
Davanti al Giudice saranno radunati tutti i popoli, espressione che include sia i pagani che i giudei. Prima della fine il «vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo» (Mt 24,14).
Il Re-Pastore separerà «le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra». Presso i giudei, il capro era l’animale che veniva immolato a Yavhé nel rito espiatorio (Cf. Es 30,10; Lv 4,22-23; Nm 7,16.22.28; ecc.). Nel grande giorno dell’espiazione, Aronne aveva posato le mani sul capo di un capro vivo, aveva confessato «sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati» e li aveva, in questo modo, riversati sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, l’aveva mandato via nel deserto per essere offerto ad Azazel, un demone che gli antichi ebrei e cananei credevano abitasse il deserto (Cf. Lv 16,9-10). Il deserto, nella fantasia popolare, era la sede dei demoni (Cf. Lv 17,7; Is 13,21; 34,14; Bar 4,35; Mt 8,28; 12,43; Ap 18,2). Forse per questi motivi Gesù nel discorso del giudizio universale ha usato l’immagine del capro perché questo animale tout court poteva richiamare alla memoria degli ascoltatori la bruttura del peccato.
Il criterio di giudizio saranno le azioni di misericordia fatte a uno dei «fratelli più piccoli» di Gesù.
Tra i «più piccoli» forse vanno annoverati anche gli stessi discepoli di Gesù, accolti e rifocillati amorevolmente dagli uomini a cui portano la Buona Notizia (Cf. Mt 10,40-42; Lc 9,48; 10,16)
La sorpresa dei giusti è nel sentire che tutte le volte che hanno soccorso qualcuno nel bisogno lo hanno fatto al Signore. È la stessa sorpresa degli empi, ai quali Gesù dirà: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me».
Gli uomini per ricevere in «eredità il regno» preparato per loro «fin dalla creazione del mondo» dovranno quindi superare un esame, la cui unica materia da vagliare sarà l’amore. Il regno di Gesù è un regno di santità, di pace e di amore e vi può entrare soltanto chi ama e compie opere di misericordia verso gli afflitti.
Il Re che siede sul trono della gloria e che raccoglie dinanzi al suo tribunale tutti gli uomini, afferma con chiarezza che atto formale di riconoscimento della sua regalità sono le attenzioni usate a quanti hanno fame e sete, ai forestieri, agli indigenti, ai poveri, ai malati e ai carcerati. Perché soltanto «questo è il punto che ci qualifica definitivamente davanti a Dio. Non contano tanto i sentimenti e le intenzioni, l’ideologia e le parole, cioè “Signore, Signore”, quello che uno fu e fece, che apprezzò e rappresentò, che lavorò o soffrì, creò e organizzò, quanto se amò o non amò i fratelli. Perché questa è la volontà di Dio, che chi lo ama, ami anche i fratelli» (Basilio Caballero).
Solo l’amore può costruire all’uomo una casa eterna dove abitano la gioia e la pace.
 
Ho avuto fame: Misericordiae Vultus 15: Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».
 
Quanto avete fatto ad uno dei più piccoli … -  Girolamo, In Matth. IV, 22, 40: Avevamo una libera intelligenza per capire che in ogni povero era Cristo affamato che veniva nutrito, o dissetato quando ardeva dalla sete, o ricoverato quand’era forestiero, o vestito allorché era nudo, o visitato mentre era malato, o consolato con la nostra parola quand’era in carcere. Ma le parole che seguono: “Quanto avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40), non mi sembra siano rivolte genericamente a tutti i poveri, ma a coloro che sono poveri in spirito, a coloro ai quali, indicandoli con la mano, ha detto: “Ecco, mia madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre mio” (Mc 3,34-35; Lc 8,21).
 
Il Santo del giorno - 27 Febbraio 2023 - Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, sant’Anna Line, vedova e martire, che, morto il marito in esilio per la fede cattolica, procurò in questa città una casa ai sacerdoti e per questo, sotto la regina Elisabetta I, a Tyburn fu impiccata. Insieme a lei patirono anche i beati sacerdoti e martiri Marco Barkworth, dell’Ordine di San Benedetto, e Ruggero Filcock, della Compagnia di Gesù, dilaniati con la spada mentre erano ancora vivi. 
 
La partecipazione a questo sacramento, o Signore,
ci sostenga nel corpo e nello spirito,
perché, completamente rinnovati,
possiamo gloriarci della pienezza del tuo dono.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 26 Febbraio 2023
 
I Domenica di Quaresima
 
Gen 2,7-9; 3,1-7; Salmo Responsoriale Dal Salmo  50 (51); Rm 5,12-19; Mt 4,1-11
 
Colletta
O Dio, che conosci la fragilità della natura umana
ferita dal peccato,
concedi al tuo popolo
di intraprendere con la forza della tua parola
il cammino quaresimale,
per vincere le tentazioni del maligno
e giungere alla Pasqua rigenerato nello Spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Tentazioni di Gesù - Catechismo della Chiesa Cattolica 538 I Vangeli parlano di un tempo di solitudine di Gesù nel deserto, immediatamente dopo che ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc 1,12) ed egli vi rimane quaranta giorni digiunando; sta con le fiere e gli angeli lo servono. Terminato questo periodo, Satana lo tenta tre volte cercando di mettere alla prova la sua disposizione filiale verso Dio. Gesù respinge tali assalti che ricapitolano le tentazioni di Adamo nel paradiso e quelle d’Israele nel deserto, e il diavolo si allontana da lui «per ritornare al tempo fissato» (Lc 4,13).
539 Gli evangelisti rilevano il senso salvifico di questo misterioso avvenimento. Gesù è il nuovo Adamo, rimasto fedele mentre il primo ha ceduto alla tentazione. Gesù compie perfettamente la vocazione d’Israele: contrariamente a coloro che in passato provocarono Dio durante i quaranta anni nel deserto, Cristo si rivela come il Servo di Dio obbediente in tutto alla divina volontà. Così Gesù è vincitore del diavolo: egli ha legato l’uomo forte per riprendergli il suo bottino. La vittoria di Gesù sul tentatore nel deserto anticipa la vittoria della passione, suprema obbedienza del suo amore filiale per il Padre.  
540 La tentazione di Gesù manifesta quale sia la messianicità del Figlio di Dio, in opposizione a quella propostagli da Satana e che gli uomini desiderano attribuirgli. Per questo Cristo ha vinto il tentatore per noi: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). La Chiesa ogni anno si unisce al mistero di Gesù nel deserto con i quaranta giorni della Quaresima.  
566 La tentazione nel deserto mostra Gesù Messia umile che trionfa su Satana in forza della sua piena adesione al disegno di salvezza voluto dal Padre. 
 
I Lettura: I due capitoli del libro della Genesi, che formano la lettura odierna, vanno letti separatamente e, allo stesso tempo, in continuità. Il II capitolo descrive il progetto di Dio sull’uomo: è una creatura; è il signore, il vertice della creazione, il custode dell’opera di Dio; è stato creato per essere intimo, familiare di Dio; è stato creato come un essere-con, in relazione-con, la comunione sponsale uomo-donna è la prima fondamentale forma di comunità umana. Il III capitolo descrive il peccato dell’uomo che, al dire della Bibbia di Gerusalemme, è consistito nella pretesa di «decidere da se stessi ciò che è bene e male, e di agire di conseguenza: una rivendicazione di autonomia morale con la quale l’uomo rinnega il suo stato di creatura [Is 5,20]. Il primo peccato è stato un attentato alla sovranità di Dio, una colpa di orgoglio» (nota a Gen 2,17). Un peccato che ha segnato rovinosamente e per sempre la storia e le sorti dell’uomo.
 
II lettura: Due Adamo si contrappongono: dal primo Adamo sono venuti il peccato e la morte per tutta l’umanità, con lui solidale; dal secondo Adamo, Gesù Cristo, sono venuti la salvezza e la vita per tutta l’umanità, a lui associata mediante la fede.
 
Vangelo
Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.
 
Il ministero di Gesù inizia con le tentazioni nel deserto, con le quali il Signore rovescia la sconfitta di Adamo, vincendo il «forte» (Lc 11,21-22) nei confini del suo stesso regno. Subito dopo il battesimo lo Spirito di Dio era sceso sul Cristo (Mt 3,13-17), ora, prima che Egli inizi la sua missione pubblica, lo conduce «nel deserto, per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1). La menzione dello Spirito, «oltre a stabilire un collegamento intimo con il battesimo del Giordano, conferma soprattutto che è in obbedienza al disegno del Padre che Gesù va a questa battaglia. La via di Gesù porta fin dall’inizio al deserto dove c’è Satana. Come Adamo, Gesù è messo di fronte alla tentazione subito dopo aver ricevuto la missione da Dio: ma a differenza di Adamo, egli supera la prova e ripristina il paradiso» (Maria Ignazia Danieli).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 4,1-11
 
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
 
Parola del Signore.
 
Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Matteo in Commento della Bibbia Liturgica): Simile in tutto a noi fuorché nel peccato: così ci presenta Gesù la Lettera agli Ebrei (4,15). Partendo da questa sua piena umanità, la tentazione-prova è cosa del tutto naturale in lui. Una cosa molto diversa è il modo, come anche le tentazioni concrete che egli provò.
Tanto Matteo quanto Luca ci presentano le tentazioni di Gesù nella forma d’una lotta dialettica fra due specialisti in sacra Scrittura, con un Gesù che la conosce meglio ed è più acuto che il suo avversario (l’unica differenza importante fra i due evangelisti è che Luca inverte l’ordine fra la seconda e la terza tentazione). Alle proposte di satana Gesù risponde sempre con un argomento di Scrittura: «Sta scritto». E già questa risposta contiene un insegnamento prezioso: la parola di Dio è inappellabile e chiude ogni discussione. La parola di Dio si accetta o non si accetta, ma non si discute.
La prima tentazione è respinta con un testo del Deuteronomto (8,3). Quel testo intendeva inculcare la gratitudine degli israeliti a Dio per i benefici da lui ricevuti, fra i quali è ricordata la manna del deserto. Si metteva in evidenza l’onnipotenza di Dio nel caso concreto della manna nel deserto, ma si poteva vedere ugualmente in altre occasioni. Gesù utilizza le parole del Deuteronomio in questo senso: la fiducia nell’onnipotenza divina in funzione di un’altra alla quale occorre tendere di preferenza. Se la vita corporale fu sostentata con la manna, grazie al mandato dell’onnipotenza di Dio, vi è un’altra vita spirituale che è necessario vivere nell’ubbidienza alle sue leggi e ai suoi comandamenti, nell’accettazione della sua parola vivificante.
Colui che confida in Dio può sempre contare sul suo aiuto. Questa affermazione, contenuta implicitamente nelle parole di Gesù, offre al tentatore l’appiglio per attaccare nuovamente; e lo fa ricorrendo anche lui alle parole della Scrittura (Sal 91,11-12: appunto in questo testo abbiamo l’origine degli angeli e delle bestie nelle tentazioni di Gesù). La frase della Scrittura citata dal demonio si riferisce alla protezione divina di cui è oggetto Gesù; ed egli la cita per indurlo ad abusarne, facendosi così nemico di Dio. Gesù respinge la proposta e ricorre a un’altra citazione biblica (Dt 6,16, in allusione a Es 17,2: il popolo tentò Dio, perché non credette che sarebbe stato protetto e assistito). Gesù afferma che Dio aiuta con la sua provvidenza e a volte fino al miracolo; ma il miracolo non è al servizio della comodità e ancor meno della temerarietà. Buttarsi per un capriccio da una grande altezza sperando che Dio compia un miracolo non è confidare nella provvidenza di Dio, ma uscire da essa e, quindi, peccare.
Nella terza tentazione, che è d’idolatria, Cristo distrugge nuovamente la proposta di satana con parole della Bibbia (Dt 6,13), sia pure modificando leggermente il testo. Invece di dire: «Temi Yahveh tuo Dio e servilo», Gesù sostituisce il verbo temere con quello di «adorare». Lo scopo della sostituzione è chiaro: mira a mettere in evidenza che Dio solo può essere adorato. Per quanto si riferisce al monte «alto», è necessario affermare che questo monte, geograficamente parlando, non esiste: esso proviene dal Deuteronomio (34,1-4; 32,49ss).
A che cosa mira Matteo con questo racconto delle tentazioni di Gesù? Le sue tentazioni, immediatamente dopo il suo battesimo e all’inizio del suo ministero, indicano chiaramente l’intenzione dell’evangelista: si vuole indurre Gesù a scegliere un messianesimo falso, il messianesimo trionfalistico e umano, terreno, in definitiva.
Così, sarebbe stato gradito all’immensa maggioranza delle speranze giudaiche. Ma questo messianesimo non corrisponde al piano che Dio ha sul suo servo.
L’evangelista Matteo afferma che Gesù vinse in quelle tentazioni nelle quali era caduto il vecchio popolo di Dio: a) mormorazione del popolo per la manna; b) tentazione di sfiducia per la mancanza di acqua; c) idolatria contro la quale Mose già li aveva prevenuti. Così, Gesù è presentato da Matteo come il novello Mosè e la cellula originale e originante del nuovo popolo di Dio, che non deve soccombere nelle tentazioni che abbiamo ricordate e che sono di perpetua attualità.
Il racconto delle tentazioni ha tutte le caratteristiche d’una composizione biblico-teologica. Corrispondono a qualcosa che avvenne realmente nella vita di Gesù? Il problema della storicità delle tentazioni di Gesù dev’essere impostato in questo modo: a) Gesù fu tentato (Eb 4,14ss); b) fu tentato proprio all’inizio della sua missione. È normale che, appunto all’inizio della sua missione, egli rifletta sulla missione che dovrà compiere e sul modo di compierla; c) il racconto precisa il fatto della tentazione, non il modo. Il modo è descritto in una forma eccessivamente plastica e antropomorfica; d) devono essere accettati tanto la realtà d’un fatto vissuto da Gesù quanto il carattere assai relativo e stilizzato con cui esso è presentato.
 
La Bibbia di Navarra: Gesù, nostro Salvatore, fu tentato perché tale fu la sua volontà; volle così per amore degli uomini e per nostro insegnamento. Ma la perfezione assoluta di Gesù non consentiva se non quella tentazione che viene denominata “esterna”. La dottrina cristiana insegna che la tentazione si dispiega secondo un triplice grado: l) la suggestione, che è tentazione esterna cui è possibile resistere senza cadere in peccato; 2) la tentazione con compiacimento più o meno prolungato, quantunque senza chiaro consenso; essa è già interna e vi è insita una certa peccaminosità; 3) la tentazione con assenso (questa è sempre peccato, e poiché attiene all’intimo dell’anima è sicuramente interna). Gesù, permettendo che il demonio lo tentasse, volle insegnarci come dobbiamo lottare e vincere nelle no tre tentazioni: con la fiducia in Dio e la preghiera, con la grazia divina e la fortezza.
D’altro canto, le tentazioni di Gesù nel deserto hanno un significato profondissimo nella storia della salvezza. Tutti i personaggi più importanti della storia sacra sono tentati: Adamo ed Eva, Abramo, Mosè, lo stesso popolo eletto; e così anche Gesù. Cristo Signore, respingendo le tentazioni diaboliche, pone riparo alle cadute degli uomini prima e dopo di lui; preannunzia le successive tentazioni di ognuno di noi e le lotte della Chiesa contro le tentazioni del potere demoniaco. Ecco perché Gesù ci ha insegnato, nel Padre nostro, a chiedere a Dio di aiutarci con la sua grazia per non cadere nell’ora della tentazione.
 
Satana il principe delle tenebre - Giorgio Giordani e Sergio Lanza (Satana in Schede Bibliche Pastorali - Vol. VII) Mentre l’Antico Testamento tratteggia la figura di Satana in maniera sfocata ... il Nuovo Testamento è molto più ricco di elementi e di particolari ...
Nei sinottici Satana è visto come capo di un regno che si estende su tutta la terra (Mc 3,23-26). Egli si serve di un’armata di demoni che tentano gli uomini e li attirano al male (Cf. Mc 3,22). Segno della presenza e del dominio di Satana sono i casi di possessioni diaboliche (indemoniati e infermi) che secondo la mentalità del tempo vengono senza troppe distinzioni attribuiti all’azione dello spirito del male (Lc 11,14; 13,16; Cf. At 10,38 ecc.). L’opera di Cristo consiste appunto nell’abolire il regno di Satana e instaurare il regno di Dio (Mt 12,27-28). L’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto costituisce l’inizio significativo di questa lotta senza quartiere che caratterizza tutta la vita di Cristo come esplicitamente nota Luca (Lc 4,13; 22,53). Si vede così la sconfitta di Satana adombrata e anticipata nei miracoli di guarigione, nelle conversioni e nel perdono dei peccati, e si incontra di nuovo il fallimento della sua azione quando tenta di stornare Cristo dal suo proposito di «salire a Gerusalemme dove avrebbe dovuto molto soffrire, ed essere riprovato... poi venire ucciso» (Mc 8,31) attraverso la reazione impetuosa e affettuosa di Pietro (Mc 8,33 e par; Cf. Mt 4,10). È lui che prende possesso di Giuda e gli ispira il proposito di tradire Cristo e di consegnarlo nelle mani dei giudei (Lc 22; Cf. Gv 13,27). È a questo punto che Gesù, conscio di quello che sta per accadere, esclama: «Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre» (Lc 22,53). La morte di Gesù segna il culmine del potere delle tenebre, che sembra aver ormai acquisito il possesso definitivo del mondo (Mc 15,33 e par.). Ma è solo un’apparenza: la morte di Gesù segna in realtà la sconfitta totale di Satana, la disinteùgrazione del suo regno, la fine del suo potere (Lc10,18; Gv 12,31).
Più che nei sinottici, in Paolo la figura di Satana viene presentata mediante l’uso delle categorie opposte «luce-tenebre» che si ricollegano all’ambiente culturale di Qumràn. Il testo più notevole in questo senso è 2Cor 6,14-16 che si snoda attraverso una progressione di paralleismi antitetici che richiamano appunto i testi della Regola della comunità di Qumràn... questo, inoltre, è l’unico passo del Nuovo Testamento in cui Satana è designato con il nome di Beliar (= Belial) proprio dei manoscritti del mar Morto: «Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente».
Altrettanto presente nel pensiero di Paolo la concezione del mondo diviso in due regni che si fronteggiano (Col 1,12-13). È vero che qui Paolo non nomina espressamente Satana, ma il nome del principe delle tenebre appare esplicitamente in At 26,18 in cui Luca riprende questo testo, mettendolo proprio sulla bocca di Paolo. Così come Cristo, anche Paolo incontra nel suo cammino apostolico l’opposizione di Satana che suscita le persecuzioni contro le comunità cristiane da lui fondate (1Ts 3,18-20), e impedisce all’apostolo di venir loro efficacemente in aiuto. È Satana che farà sorgere l’anticristo e gli attribuirà il potere di compiere «segni e prodigi menzogneri e ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina» (2Ts 2,9-10) al fine di strappare gli uomini dalla verità e avviarli sul cammino dell’ingiustizia.
Pr questo Paolo esorta i cristiani a comportarsi «come figli della luce» e a non aver parte «alle opere infruttuose delle tenebre» (Ef 5,8-10), ad allontanare le opere delle tenebre per rivestirsi delle «armi della luce» (Rm 13,12). I cristiani dunque sono figli della luce» (1Ts 5,5) così come Cristo è l’angelo della luce (Cf. 2Cor 11,14-15).
 
Cirillo (Catech. V Mistag. 17): «E non c’indurre in tentazione» Signore. C’insegna forse il Signore a pregare di non essere mai tentati? Perché dice altrove: L’uomo non tentato non è provato (Sir 34,10; Rm 5,3-4) e di nuovo: Considerate fratelli suprema gioia quando cadete in diverse tentazioni [(Gc 1,2)? Però entrare in tentazione non è farsi sommergere dalla tentazione. Infatti la tentazione sembra come un torrente di difficile passaggio. Alcuni che nelle tentazioni non si lasciano sommergere l’attraversano. Sono bravi nuotatori che non si fanno trascinare dal torrente; gli altri che tali non sono, entrati ne vengono sommersi. Così, ad esempio, Giuda entrato nella tentazione dell’avarizia non la superò, ma sommerso materialmente e spiritualmente si impiccò. Pietro entrò nella tentazione di rinnegamento, ma superandola non ne fu sommerso. Attraversò (il torrente) con coraggio e non ne fu trascinato.
 
Il Santo del giorno - 26 Febbraio 2023 - Martirologio Romano: Sant’Alessandro, vescovo: anziano glorioso e dal fervido zelo per la fede, divenuto dopo san Pietro capo della Chiesa di Alessandria, separò dalla comunione ecclesiale il suo sacerdote Ario, pervertito dalla sua insana eresia e confutato dalla verità divina, che egli poi condannò quando entrò a far parte dei trecentodiciotto Padri del Concilio di Nicea I. 
 
Ci hai saziati, o Signore, con il pane del cielo
che alimenta la fede,
accresce la speranza e rafforza la carità:
insegnaci ad aver fame di Cristo, pane vivo e vero,
e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca.
Per Cristo nostro Signore.