1 Dicembre 2023
Venerdì XXXIV Settimana T. O.
Dn 7,2-14 ; Sal Cant. Dn 3,75-81; Lc 21,29-33
Colletta
Ridesta, o Signore, la volontà dei tuoi fedeli,
perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza,
ottengano in misura sempre più abbondante
i doni della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Occorre vigilare - Catechismo della Chiesa Cattolica: Cristo invita alla vigilanza 672 Prima dell’ascensione Cristo ha affermato che non era ancora giunto il momento del costituirsi glorioso del regno messianico atteso da Israele, regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, ma anche un tempo ancora segnato dalla necessità e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa1166 e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi. È un tempo di attesa e di vigilanza.
Necessità della vigilanza 1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14).
«Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti».
Tempo presente come tempo di vigilanza 672 Prima dell’ascensione Cristo ha affermato che non era ancora giunto il momento del costituirsi glorioso del regno messianico atteso da Israele, regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, ma anche un tempo ancora segnato dalla necessità1164 e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi. È un tempo di attesa e di vigilanza.
I Lettura: Il testo di Daniele rappresenta ancora una volta l’alterigia, l’arroganza e la prepotenza dei quattro imperi, ma l’interesse va tutto a “uno simile a un figlio d’uomo”: “l’aramaico bar nasha’, come l’ebraico ben ‘adam, equivale in primo luogo a «uomo» (cf. Sal 8,5). E così che in Ezechiele Dio chiama il profeta. Ma l’espressione ha qui un senso particolare, eminente, per cui designa un uomo che supera misteriosamente la condizione umana. Senso personale, così come fanno fede gli antichi testi giudei apocrifi, ispirati al nostro passo: Enoch e 4 Esdra, come anche l’interpretazione rabbinica più costante, e soprattutto l’uso che ne fa Gesù applicandolo a se stesso (cf. Mt 8,20+). Ma anche senso collettivo, fondato sul v 18 (e il v 22) dove il Figlio dell’uomo si identifica in qualche modo con i santi dell’Altissimo: ma il senso collettivo (ugualmente messianico) prolunga il senso personale, essendo il Figlio dell’uomo, nello stesso tempo, il capo, il rappresentante e il modello del popolo dei santi. È così che sant’Efrem pensava che la profezia avesse di mira dapprima i giudei (i Maccabei), poi, attraverso loro e in maniera perfetta, Gesù” (Bibbia di Gerusalemme).
In questa pagina è preconizzato palesemente l’avvento del Messia.
Vangelo
Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
Gesù invita gli uomini a vigilare e vigilare significa non avere il cuore appesantito. Vigilare significa essere attenti ai segni dei tempi. Occorre vigilare perché la venuta del Giudice divino, anche se sarà preceduta da segni premonitori, avverrà all’improvviso. Ciò che conta, dunque, è stare attenti a non lasciarsi sorprendere dal sonno della insipienza.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,29-33:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Parola del Signore.
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 29 La parabola del fico che con le sue gemme annunzia l’arrivo dell’estate è riportata anche dagli altri due evangelisti (Mt., 24, 32-36; Mc., 13, 28-31; se ne veda il commento); essa tuttavia in Luca subisce qualche ritocco stilistico. E disse loro una parabola; è una formula introduttiva che attenua il passaggio un po’ brusco che si ha in Marco e Matteo, nei quali si legge: «dal fico apprendete questa similitudine». Tutti gli altri alberi; estensione di Luca per generalizzare la portata del paragone.
versetti 30-31 Quando già buttano (le gemme); descrizione concisa e poetica in pari tempo. Sappiate che il regno di Dio è vicino; l’evangelista non lascia indeterminata la proposizione, ma indica il soggetto di essa dichiarando che si tratta del regno di Dio. Come il germogliare del fico costituisce un segno precursore dell’approssimarsi dell’estate, così il verificarsi dei perturbamenti cosmici descritti preannunzia l’imminente venuta del regno di Dio. Il prossimo avvento del regno si riferisce alla diffusione ed al consolidamento del regno di Dio sulla terra, non già alla parusia; Gesù quindi preannunzia un evento storico che si verificherà in un tempo relativamente vicino; infatti con la rovina di Gerusalemme, capitale religiosa dell’ebraismo, cadde il più grave ostacolo all’espansione del regno annunziato da Cristo.
versetti 32-33 Le parole, che hanno un accento particolarmente solenne, affermano il compimento di un fatto determinante per le sorti del regno di Dio. L’evangelista, in armonia a quanto aveva indicato precedentemente, segnala il passaggio dall’èra antica (l’ebraismo con Gerusalemme suo centro religioso) alla nuova (il regno di Dio cioè la Chiesa, che si diffonde e si afferma nel mondo dopo la rovina di Gerusalemme), passaggio predetto da Gesù stesso con termini solenni e categorici.
Figlio dell’uomo: il linguaggio delle apocalissi - Jean Delorme: 1. Il libro di Daniele. - Per rappresentare concretamente la successione degli imperi umani che crolleranno per far posto al regno di Dio, l’apocalisse di Daniele si serve di un’immagine sorprendente. Gli imperi sono bestie che salgono dal mare. Sono spogliate della loro potenza quando compaiono al tribunale di Dio, che è rappresentato sotto i tratti di un vegliardo. Allora sulle (o con le) nubi del cielo arriva «come un figlio d’uomo»; avanza fino al tribunale di Dio e riceve la sovranità universale (7,13s). L’origine di questa concezione è incerta. II «figlio dell’uomo» dei Salmi o di Ezechiele non basta a spiegarla. Certuni invocano il mito iranico dell’uomo primordiale che ritorna come salvatore alla fine dei tempi. Forse bisogna cercare dalla parte delle tradizioni che presuppongono la sapienza divina personificata o l’Adamo di Gen 1 e di Sal 8, creato ad immagine di Dio e «di poco inferiore a Dio». In Dan 7, Figlio d’uomo e bestie si oppongono come il divino al satanico. Nell’interpretazione che segue la visione, la sovranità tocca al «popolo dei santi dell’altissimo» (7,18.22.27); esso dunque viene rappresentato a quanto pare dal figlio d’uomo, non di certo nella sua condizione di perseguitato (7,25), ma nella sua gloria finale. Tuttavia le bestie raffiguravano sia gli imperi che i loro capi.
Non si può quindi escludere del tutto che ci sia allusione al capo del popolo santo a cui sarà dato il dominio, in partecipazione col regno di Dio. Ad ogni modo, le attribuzioni del figlio d’uomo trascendono quelle del messia, figlio di David: tutto il contesto lo pone in rapporto con il mondo divino e ne accentua la trascendenza.
2. La tradizione giudaica. - L’apocalittica giudaica posteriore al libro di Daniele ha ripreso il simbolo del figlio d’uomo, ma interpretandolo in modo strettamente individuale e accentuandone gli attributi trascendenti. Nelle parabole di Enoch (la parte più recente del libro), è un essere misterioso, dimorante presso Dio, possessore della giustizia e rivelatore dei beni della salvezza, tenuti in serbo per la fine dei tempi; allora egli siederà sul suo trono di gloria, giudice universale, salvatore e vendicatore dei giusti, che vivranno presso di lui dopo la loro risurrezione. Gli vengono attribuiti alcuni dei tratti del messia regale e del servo di Jahve (egli è l’eletto di giustizia, cfr. Is 42,1), ma non si parla a suo riguardo di sofferenza ed egli non ha una origine terrena. Benché la data delle parabole di Enoch sia discussa, esse rappresentano uno sviluppo dottrinale che doveva essere acquisito in taluni ambienti giudaici prima del ministero di Gesù. D’altronde l’interpretazione di Dan 7 ha lasciato tracce nel libro IV di Esdra e nella letteratura rabbinica. La fede in questo salvatore celeste che sta per rivelarsi prepara l’uso evangelico dell’espressione «figlio dell’uomo».
Albero del fico - Anselm Urban Assieme all’ulivo e alla vite rappresenta la ricchezza della terra promessa. Dal momento che mette le foglie molto tardi, esso indica già l’avvicinarsi dell’estate (non della primavera); Gesù sfrutta questo fatto come similitudine al termine del grande discorso escatologico (Mc 13,28s par): in questo modo la realizzazione dei terribili eventi menzionati annuncerà la vicinanza del suo ritorno (senza tuttavia che si possano predire il giorno e l’ora: 13,32). È probabile che questa similitudine si riferisse originariamente alla signoria di Dio attesa imminente) già vicina nella persona di Gesù e che si manifestava a livello di segno nei suoi miracoli (Le 12,54-56).
In connessione con la vite o con la vigna l’albero del fico appare nei profeti anche come simbolo di Israele: JHWH l’ha piantato e si aspetta da esso il frutto della giustizia, ma rimane deluso quando viene per il raccolto (Mi 7,1s; Ger 8,13). In questo sfondo la maledizione del fico (Mc 11,12ss; Mt 21,20-22) va intesa come profezia in azione: Gesù annuncia il rigetto d’Israele indurito che non ha portato nessun frutto di giustizia e non ha accolto il messia.
La similitudine dell’albero del fico sterile (Lc 13,6-9), con la quale viene minacciata seriamente questa ricusazione rappresenta una variante di quanto detto sopra.
La pianta di fico è un segno di fede e un segno di incredulità - Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 10,45: Perciò, qui, la figura del fico ha due aspetti: sia quando la durezza comincia a diventar tenera, sia quando i peccati sono rigogliosi. A causa della fede dei credenti ciò che prima era inaridito si metterà a fiorire, e a causa dell’attrattiva provocante dei peccati, i peccatori si glorieranno. Là c’è il frutto della fede, qui la petulanza sfrenata dell’incredulità. La cura che ne ha l’agricoltore del Vangelo mi dà la garanzia che il fico fruttificherà (cf. Lc 13,9). Non dobbiamo perderei d’animo, se i peccatori si sono coperti di foglie di fico come di una veste ingannatrice, per nascondere la loro coscienza: le foglie, quando non han frutti, sono sospette. Tali sono le vesti di coloro che furono banditi da Paradiso.
Il Santo del Giorno - 1 Dicembre 2023 - Sant’Ansano da Siena, Martire: Questo patrono di Siena era di origini romane, figlio di un nobile patrizio, Tranquillino. Ansano era stato condotto al battesimo dalla madrina Massima. Quando scoppiò la persecuzione di Diocleziano Massima e Ansano vennero imprigionati. La madrina morì sotto i colpi di verga dei littori, mentre Ansano riuscì a fuggire, dirigendosi verso nord lungo la via Cassia, fino ad arrivare a Siena. Qui predicò il Vangelo e battezzò i primi cristiani. Quest’opera gli meritò il titolo di «battezzatore dei Senesi»: sulla sua sepoltura sarebbe sorta la cattedrale e lo stesso Duccio di Buoninsegna lo ritrasse nella sua celebre «Maestà». Ma la persecuzione seguì Ansano anche a Siena. Inseguito e raggiunto dal proconsole Lisia venne catturato e torturato. La lunga vicenda che, dopo la cattura, lo portò al martirio narra di pesanti e dolorose vessazioni che non servirono a fargli rinnegare la propria fede. Venne così condannato al rogo. Ansano, però, fu salvato miracolosamente dalle fiamme, che si spensero non appena venne gettato sul fuoco. Alla fine fu decapitato con la spada fuori dalla città, sulle rive dell’Arbia. (Avvenire)
Dio onnipotente,
che ci dai la gioia di partecipare ai divini misteri,
non permettere che ci separiamo mai da te,
fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.