1 Dicembre 2021
 
Mercoledì della I Settimana di Avvento
 
Is 25,6-10a; Sal 22 (23); Mt 15,29-37
 
Il Santo del Giorno - 1 Dicembre 2021 -  Sant’Ansano da Siena, Martire: Questo patrono di Siena era di origini romane, figlio di un nobile patrizio, Tranquillino. Ansano era stato condotto al battesimo dalla madrina Massima. Quando scoppiò la persecuzione di Diocleziano Massima e Ansano vennero imprigionati. La madrina morì sotto i colpi di verga dei littori, mentre Ansano riuscì a fuggire, dirigendosi verso nord lungo la via Cassia, fino ad arrivare a Siena. Qui predicò il Vangelo e battezzò i primi cristiani. Quest’opera gli meritò il titolo di «battezzatore dei Senesi»: sulla sua sepoltura sarebbe sorta la cattedrale e lo stesso Duccio di Buoninsegna lo ritrasse nella sua celebre «Maestà». Ma la persecuzione seguì Ansano anche a Siena. Inseguito e raggiunto dal proconsole Lisia venne catturato e torturato. La lunga vicenda che, dopo la cattura, lo portò al martirio narra di pesanti e dolorose vessazioni che non servirono a fargli rinnegare la propria fede. Venne così condannato al rogo. Ansano, però, fu salvato miracolosamente dalle fiamme, che si spensero non appena venne gettato sul fuoco. Alla fine fu decapitato con la spada fuori dalla città, sulle rive dell’Arbia. (Avvenire)
 
Colletta: Signore Dio nostro  con la tua divina potenza prepara i nostri cuori, perché, alla venuta di Cristo tuo Figlio, siamo trovati degni del banchetto della vita eterna e, da lui serviti, possiamo gustare il pane del cielo. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla  (Salmo 22 [23]) - Benedetto XVI: Le immagini di questo Salmo, con la loro ricchezza e profondità, hanno accompagnato tutta la storia e l’esperienza religiosa del popolo di Israele e accompagnano i cristiani. La figura del pastore, in particolare, evoca il tempo originario dell’Esodo, il lungo cammino nel deserto, come un gregge sotto la guida del Pastore divino (cfr Is 63,11-14; Sal 77,20-21; 78,52-54). E nella Terra Promessa era il re ad avere il compito di pascere il gregge del Signore, come Davide, pastore scelto da Dio e figura del Messia (cfr 2Sam 5,1-2; 7,8; Sal 78,70-72). Poi, dopo l’esilio di Babilonia, quasi in un nuovo Esodo (cfr Is 40,3-5.9-11; 43,16-21), Israele è riportato in patria come pecora dispersa e ritrovata, ricondotta da Dio a rigogliosi pascoli e luoghi di riposo (cfr Ez 34,11-16.23-31). Ma è nel Signore Gesù che tutta la forza evocativa del nostro Salmo giunge a completezza, trova la sua pienezza di significato: Gesù è il “Buon Pastore” che va in cerca della pecora smarrita, che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr Mt 18,12-14; Lc 15,4-7; Gv 10,2-4.11-18), Egli è la via, il giusto cammino che ci porta alla vita (cfr Gv 14,6), la luce che illumina la valle oscura e vince ogni nostra paura (cfr Gv 1,9; 8,12; 9,5; 12,46). È Lui l’ospite generoso che ci accoglie e ci mette in salvo dai nemici preparandoci la mensa del suo corpo e del suo sangue (cfr Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,19-20) e quella definitiva del banchetto messianico nel Cielo (cfr Lc 14,15ss; Ap 3,20; 19,9). È Lui il Pastore regale, re nella mitezza e nel perdono, intronizzato sul legno glorioso della croce (cfr Gv 3,13-15; 12,32; 17,4-5).
Cari fratelli e sorelle, il Salmo 23 ci invita a rinnovare la nostra fiducia in Dio, abbandonandoci totalmente nelle sue mani. Chiediamo dunque con fede che il Signore ci conceda, anche nelle strade difficili del nostro tempo, di camminare sempre sui suoi sentieri come gregge docile e obbediente, ci accolga nella sua casa, alla sua mensa, e ci conduca ad «acque tranquille», perché, nell’accoglienza del dono del suo Spirito, possiamo abbeverarci alle sue sorgenti, fonti di quell’acqua viva «che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14; cfr 7,37-39).
 
I Lettura: Dio sta preparando per Israele un tempo di prosperità, di pace e di benessere e attraverso Israele per tutti i popoli. L’immagine per esprimere tanta gioia è quella di un banchetto nuziale che sarà allestito sul monte Sion, verso cui affluiranno, alla fine dei tempi, tutte le nazioni e i beni della terra. L’annuncio di Isaia è profezia, ma anche un inno di ringraziamento che celebra l’azione provvidenziale del Signore a favore del suo popolo: Dio risiede in Gerusalemme, che per questo è chiamata santa, vive e opera con il suo popolo ed è sempre vigile per venire in suo aiuto. Perché la gioia sia piena, Isaia annunzia anche la fine di quanto si oppone alla felicità, prima di ogni altra cosa, la morte (cfr. Gen 3,19; Ap 7,17; 21,4). Un annuncio che si realizzerà perfettamente nella «pienezza del tempo», quando Dio manderà «il suo Figlio per riscattare coloro che erano sotto la Legge» (Gal 4,4-5).
 
Vangelo: Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene: il motivo del miracolo va trovato esclusivamente nella compassione di Gesù per la folla che ormai da tre giorni lo seguiva per ascoltare la sua parola. La compassione è un moto dell’animo che ci fa sentire dispiacere o dolore dei mali altrui, quasi li soffrissimo noi. Se il miracolo è manifestazione della potenza di Gesù, “Dio benedetto nei secoli” (Rm 9,5), la commozione è rivelazione della sua anima, “manifestazione evidente della tenerezza del cuore di Cristo Uomo” (San Josemaria Balanguer).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 15,29-37: In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò.
Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.
Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
 
Angelico Poppi  I Quattro Vangeli - Commento Sinottico): Seconda moltiplicazione dei pani (15,32-39) - Nonostante qualche dettaglio diverso, la seconda moltiplicazione corrisponde alla prima, soprattutto nella redazione di Mt, che ama le strutture parallele.
Numerosi critici ritengono il resoconto un duplicato, che Mc, la fonte di Mt, avrebbe derivato da un’altra tradizione. Comunque, entrambi gli evangelisti si riferiscono a due episodi distinti. In questa seconda moltiplicazione è accentuata l’iniziativa di Gesù, che appare ancora il pastore buono e premuro o in mezzo alle sue pecore: «Dio abita di nuovo nel cuore dei suoi» (Trilling, Il p. 81). Anche in questo racconto è sottolineato il ruolo intermediario dei discepoli. La rilettura eucaristica del miracolo è controversa. Alcuni studiosi l’escludono, altri la vedono qui più accentuata. All’evangelista interessa di presentare Gesù come Signore della comunità per infondere fiducia ai cristiani del suo ambiente, che erano discriminati, emarginati e perseguitati a causa della loro fede. Ad essi Mt assicura l’assistenza e l’aiuto del Salvatore.
Le sette sporte di avanzi, corrispondenti ai sette pani disponibili (v. 34), secondo qualche esegeta, indicano una rilettura della prima moltiplicazione dei pani per le comunità cristiane ellenistiche, forse anche con un’allusione ai sette «diaconi», preposti dagli apostoli alle mense (At 6,1-6). Tale ipotesi risulta più attendibile nella redazione marciana.
 
La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Come in occasione della prima moltiplicazione (14,13-20) gli apostoli mettono i pochi pani e i pochi pesci a disposizione del Signore. Era tutto quello che avevano. Allo stesso modo, Gesù si serve degli apostoli per distribuire il cibo - il frutto appunto dell’evento prodigioso - alla folla presente.
Nel dispensare le sue grazie salvifiche Dio vuole fare assegnamento sulla fedeltà e sulla generosità degli uomini. «Dal fatto che tu e io ci comportiamo come Dio vuole - non dimenticarlo! - dipendono molte cose grandi» (Cammino, n. 755).
È da notare che nelle due moltiplicazioni miracolose Gesù dà cibo in abbondanza, e al tempo stesso non va sperperato nulla di quanto avanza. I miracoli di Gesù, oltre a essere fatti reali e concreti, costituiscono segni di realtà soprannaturali. In questo caso l’abbondanza del cibo per il corpo significa contemporaneamente l’abbondanza dei doni divini sul piano della grazia e della gloria, nell’ordine dei mezzi e nell’ordine del premio eterno: Dio elargisce agli uomini grazie maggiori di quelle che sarebbero strettamente indispensabili alla salvezza. E questa l’esperienza cristiana fin dai primi tempi.
San Paolo ci dice che dove “è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20); perciò scriverà agli Efesini che “la grazia [Cristo] l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza” (Ef 1,8); e al discepolo Timoteo: «La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù» (lTm 1,14).
 
Moltiplicazione dei pani - Hildegard Gollinger: Secondo il racconto di tutti e quattro gli evangelisti, Gesù saziò con 5 pani e 2 pesci 5000 uomini (Mc 6,32-34; Mt 14,13-21; Lc 9,10-17; Gv 6,1-15). Inoltre Mc 8,1-10 e - dipendente da lui - Mt 15,32-39 riportano una seconda m. (7 pani - 4000 persone). Questi racconti neotestamentari di moltiplicazione dei pani sono comprensibili soltanto in base al loro sfondo veterotestamentario. L’AT racconta storie di distribuzioni di cibo da parte di Mosè (Es 16 e Nm 11: manna e quaglie) e di Eliseo (2Re 4.42-44). I racconti neotestamentari della moltiplicazione dei pani, sno chiaramente elaborati secondo lo schema di questi modelli veterotestamentari. Intendono dimostrare che Gesù è in grado di fare ciò che Mosè ed Eliseo, dei quali l’AT racconta i miracoli maggiori, furono in grado di fare, anzi, che li supera. Se si fa attenzione, infatti, il confronto con i racconti riguardanti Mosè ed Eliseo dimostra la chiara ed evidente superiorità di Gesù. Eliseo aveva saziato con 20 pani 100 persone, Gesù con 5 pani ne sazia 5000! Mosè dovette pregare Dio per avere del cibo per gli israeliti nel deserto, Gesù invece agisce in virtù e con potere propri. Agli evangelisti non interessa tanto l’evento storico in quanto tale; esso deve piuttosto essere trasparente rispetto alla verità teologica che con esso viene veicolata: Gesù non è soltanto il nuovo Mosè atteso per il principio del tempo della salvezza, il pastore vero, ma supera i più grandi uomini di Dio dell’AT. Egli è più di costoro, è il salvatore escatologico divino, il Messia o - come dicono i greci - il Cristo.
Lette in questo modo, le storie della moltiplicazione dei pani occupano un posto significativo nell’annuncio di Cristo compiuto dalla giovane chiesa.
La rappresentazione della moltiplicazione dei pani  (Mc 6,41) ricorda i racconti dell’istituzione dell’eucaristia, come pure le celebrazioni eucaristiche del primo cristianesimo. Da ciò risulta chiaro che la chiesa intende la m. non in maniera puramente “materiale” come distribuzione di cibo per il corpo, bensì come modello dell’eucaristia. Gesù non dà soltanto il vero “pane del Cielo” (cf. Sal 78,24), ma lui stesso è questo “pane della vita” (Gv 6,35), che noi riceviamo nell’eucaristia. 
 
Quanti pani avete?: Catechismo della Chiesa Cattolica 1335: I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico pane che è la sua Eucaristia.
 
Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza - Agostino: Infatti, anche se camminassi in mezzo all’ombra della morte. Infatti, anche quando cammino in mezzo a questa vita, che è l’ombra della morte. Non temerò il male, perché tu sei con me. Non temerò il male, perché tu abiti, grazie alla fede, nel mio cuore; ed ora sei con me, affinché, dopo l’ombra della morte, sia anch’io con te. La tua verga e il tuo bastone, essi stessi mi hanno consolato. La tua disciplina, come verga per il gregge delle pecore e come bastone per i figli già più grandi e che dalla vita animale crescono a quella spirituale, non mi ha afflitto, anzi da essa sono stato consolato; perché tu ti ricordi di me.
 
Imploriamo, o Signore, la tua misericordia:
la forza divina di questo sacramento
ci purifichi dal peccato
e ci prepari alle feste del Natale.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Novembre 2021
 
Sant’Andrea Apostolo - Festa
 
Rm 10,9-18; Sal 18 (19); Mt 4,18-22
 
Il Santo del Giorno - 30 Novembre 2021 - Sant’Andrea, Apostolo: Andrea, dal bel nome greco (Andreas = Virile), appare un uomo generoso, pronto, aperto, entusiasta. Era figlio di Giona di Betsaida (Mt 16,17), fratello minore di Pietro. Fu discepolo di Giovanni Battista, presso il quale conobbe l’apostolo Giovanni, e con lui seguì per primo Gesù, al quale condusse il fratello Pietro (Gv 1,35-42). I suoi interventi nel gruppo degli apostoli sono pochi ma significativi. Davanti alla folla affamata, Andrea indica a Gesù un fanciullo provvisto di cinque pani d’orzo e di due pesci (Gv 6,9), quasi per invitarlo a rinnovare dei prodigi. Alla scuola di Giovanni Battista, Andrea conobbe l’essenismo e fu fortemente colpito dalla speranza messianica: è lui, infatti, che pose la domanda alla quale Cristo rispose con il suo discorso escatologico (Mc 13,3-37). Infine, Andrea si è dimostrato particolarmente aperto di fronte al problema missionario: infatti, assieme a Filippo, e nelle forme prescritte dal giudaismo, si fece garante delle buone disposizioni dei pagani che volevano avvicinare Gesù (Gv 12,20-22). Alcune tradizioni, che non possiamo controllare, riferiscono che Andrea svolse il suo ministero apostolico in Grecia e in Asia minore. Secondo queste tradizioni, egli morì martire a Patrasso, sopra una croce formata ad X, detta appunto «croce di sant’Andrea».  (Fonte: www.maranatha.it)
 
Colletta: Umilmente ti invochiamo, o Signore: il santo apostolo Andrea, che fu annunciatore del Vangelo e guida per la tua Chiesa, sia presso di te nostro perenne intercessore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale 14 Giugno 2006):  La prima caratteristica che colpisce in Andrea è il nome: non è ebraico, come ci si sarebbe aspettato, ma greco, segno non trascurabile di una certa apertura culturale della sua famiglia. Siamo in Galilea, dove la lingua e la cultura greche sono abbastanza presenti. Nelle liste dei Dodici, Andrea occupa il secondo posto, come in Matteo (10,1-4) e in Luca (6,13-16), oppure il quarto posto come in Marco (3,13-18) e negli Atti (1,13-14). In ogni caso, egli godeva sicuramente di grande prestigio all’interno delle prime comunità cristiane.
Il legame di sangue tra Pietro e Andrea, come anche la comune chiamata rivolta loro da Gesù, emergono esplicitamente nei Vangeli. Vi si legge: “Mentre Gesù camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini»” (Mt 4,18-19; Mc 1,16-17). Dal Quarto Vangelo raccogliamo un altro particolare importante: in un primo momento, Andrea era discepolo di Giovanni Battista; e questo ci mostra che era un uomo che cercava, che condivideva la speranza d’Israele, che voleva conoscere più da vicino la parola del Signore, la realtà del Signore presente. Era veramente un uomo di fede e di speranza; e da Giovanni Battista un giorno sentì proclamare Gesù come “l’agnello di Dio” (Gv 1,36); egli allora si mosse e, insieme a un altro discepolo innominato, seguì Gesù, Colui che era chiamato da Giovanni “agnello di Dio”. L’evangelista riferisce: essi “videro dove dimorava e quel giorno dimorarono presso di lui” (Gv 1,37-39). Andrea quindi godette di preziosi momenti d’intimità con Gesù. Il racconto prosegue con un’annotazione significativa: “Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo», e lo condusse a Gesù” (Gv 1,40-43), dimostrando subito un non comune spirito apostolico. Andrea, dunque, fu il primo degli Apostoli ad essere chiamato a seguire Gesù. Proprio su questa base la liturgia della Chiesa Bizantina lo onora con l’appellativo di Protóklitos, che significa appunto “primo chiamato”. Ed è certo che anche per il rapporto fraterno tra Pietro e Andrea la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli si sentono tra loro in modo speciale Chiese sorelle. Per sottolineare questo rapporto, il mio predecessore Papa Paolo VI, nel 1964, restituì l’insigne reliquia di sant’Andrea, fino ad allora custodita nella Basilica Vaticana, al Vescovo metropolita ortodosso della città di Patrasso in Grecia, dove secondo la tradizione l’Apostolo fu crocifisso.
 
I Lettura: San Paolo «precisa alcuni termini centrali della fede cristiana. Essa è un atto di intelligenza, che, mossa dal buon volere dell’uomo, riconosce che Cristo è il Signore, risuscitato dal Padre. La fede del cuore poi si manifesta  esternamente dinanzi agli uomini, diventando testimonianza profetica» (Vincenzo Raffa).
 
Vangelo: Simone chiamato Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono convocati autorevolmente da Gesù ed essi rispondono alla chiamata con generosità lasciando immantinente lavoro, beni, affetti... La dedizione immediata di questi apostoli è ben messa in evidenza dal Vangelo: Simone e Andrea subito lasciarono le reti e seguirono il Maestro, allo stesso modo, Giacomo e Giovanni subito lasciarono la barca e il padre andando dietro al giovane Rabbi. Dio «passa e chiama. Se non gli rispondi immediatamente, può proseguire il cammino e allontanarsi da noi. Il passo di Dio è rapido; sarebbe triste se restassimo indietro, attaccati a molte cose che sono di peso e d’impaccio» (Bibbia di Navarra).
 
Dal Vangelo secondo Matteo 4,18-22: In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
 
La chiamata di Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello avviene lungo il mare di Galilea: altro nome del lago di Genesaret (o Tiberiade), situato nella parte settentrionale della valle del Giordano.
Simone, chiamato Pietro. Il nome di Pietro, qui anticipato, sarà dato a Simone da Gesù in occasione della sua “confessione” (Cf. Mt 16,18). Nel mondo antico, soprattutto nella mentalità biblica, v’era la tendenza di trovare sempre un significato funzionale ai nomi delle persone o anche delle cose. Imporre il nome o cambiare il nome stava ad indicare il potere di potere di chi prendeva tale iniziativa. Adamo che era stato posto nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15), impone nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, segno indubbio di esercizio di sovranità (Gen 2,19-20), Abram da Dio sarà chiamato Abraham, per significare che tutti i popoli saranno benedetti in lui, loro padre (Gen 17,5). Giacobbe sarà chiamato Israele, perché ha lottato con Dio (Gen 48,20), così Simone sarà chiamato Pietro perché sarà la pietra sulla quale Gesù edificherà e renderà salda la sua Chiesa (Mt 16,18).
Andrea suo fratello. Dapprima discepolo di Giovanni il Battista, segue, su sua chiamata, Gesù, e fa parte dei discepoli più intimi di Gesù. Secondo Giovanni (1,35-40) è Andrea a condurre suo fratello Simone da Gesù. Secondo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predicò il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guidò i cristiani di Patrasso. E qui subì il martirio per crocifissione.
E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». L’immagine usata dall’evangelista Matteo per indicare la futura missione degli Apostoli si radica nelle credenze del tempo. Era sentire comune credere che il mare fosse il regno delle potenze infernali, trarre fuori gli uomini dal mare assumeva quindi il significato profondo di liberare gli uomini dal peccato; liberare gli uomini dal potere di Satana sarà appunto la missione specifica degli Apostoli prima, della Chiesa dopo. Per Angelico Poppi si “tratta di una immagine del linguaggio escatologico, connessa con l’opera e la funzione di Gesù quale giudice universale [cf. Ez 47,1-12]. Come i pescatori «raccolgono» i pesci, così i discepoli sono associati all’attività di Gesù per la raccolta escatologica degli uomini [(cf. A Sand, p. 118]” (I Quattro Vangeli, Commento Sinottico).
Nella chiamata di Simone e Andrea, suo fratello, vi è una novità sorprendente: infatti, a differenza «dei discepoli dei maestri ebrei che scelgono il loro maestro, qui è Gesù che sceglie quelli che vuole che lo seguano. C’è una forza e un’autorità misteriosa in lui se basta questo semplice invito a seguirlo per ottenere da parte dei discepoli una risposta pronta e l’altrettanto immediata rinuncia a tutto [Cf. Anche Mc 1,16-20]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli, Ed. Paoline).
La scuola di Gesù non vuole trasmettere nozioni o scibile umano, ma vuole creare una comunione di vita tra il Maestro e i discepoli: «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui» (Mc 3,13; Cf. Gv 1,39).
 
Venite e seguitemi; Io vi farò diventare pescatori di uomini: Paolo VI (Omelia, 29 giugno 1975): Oh! beati voi, figli e fratelli carissimi! beati voi, che avete avuto la grazia, la sapienza, il coraggio di ascoltare e di accogliere questo invito determinante! Esso ha sconvolto i progetti normali e seducenti della vostra vita; esso vi ha strappati dal consorzio dei vostri cari; esso vi ha chiesto perfino la rinuncia all’amore coniugale per esaltare in voi una pienezza eccezionale d’amore per il regno dei cieli; per la fede cioè, e per la carità verso i fratelli; ha fatto di voi degli esseri singolari, più simili - in virtù del carattere sacerdotale - agli angeli che agli uomini di questo mondo; vi ha infuso, ed anche imposto una spiritualità esclusiva, che però tutto sa comprendere e valutare; e accogliendo la vostra oblazione, vi ha inserito nella drammatica avventura della sequela di Cristo. Oh! beati voi! riflettete sempre alla sopraelevante fortuna della vostra vocazione, e non dubitate mai d’avere sbagliato la vostra scelta ispirata da un superlativo carisma di sapienza e di carità. E non voltatevi più indietro! ve lo insegna Gesù stesso: «Chiunque, dopo aver messo mano all’aratro volge indietro lo sguardo, non è idoneo al regno di Dio». Questa è la legge della vocazione: un sì totale e definitivo.
 
Pescatori di uomini: “Prima di dire a fare alcunché, Cristo chiama gli apostoli, affinché nulla resti loro nascosto delle sue parole e delle sue opere, sicché in seguito con fiducia possano dire: Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto a ascoltato [At 4,20]. Li osserva non nel corpo ma nello spirito, non guardando al loro aspetto esteriore ma ai loro cuori. E li sceglie non perché fossero apostoli ma perché potevano divenire apostoli. Come l’artigiano, se ha visto delle pietre preziose ma non tagliate, le sceglie non per quello che sono ma per ciò che possono divenire, perché essendo pratico nella sua arte, non disdegna un bene pur rozzo, allo stesso modo il Signore, vedendoli, non sceglie le loro opere ma i loro cuori” (Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 7)

La comunione al tuo sacramento, o Signore,
ci fortifichi, perché, portando in noi i patimenti di Cristo
sull’esempio del santo apostolo Andrea,
possiamo vivere con lui nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.

 

 29 Novembre 2021
 
Lunedì I Settimana di Avvento
 
Is 4,2-6; Sal 121 (122); Mt 8,5-11
 
Il Santo del Giorno - 29 Novembre 2021 - Sant’Egevino, Abate: Sant’Egevino o Egelvino era un monaco inglese vissuto nel VII secolo.
La tradizione lo qualifica come fratello di Kenewalch, re dei Sassoni occidentali.  Per tutta la vita dovette sopportare santamente continue malattie e considerevoli sofferenze, che sopportò sempre con cristiana rassegnazione. Sant’Egevino seppe raggiungere un alto grado di perfezione religiosa e santità, che lo fece diventare famoso oltre la sua discendenza reale.
Sant’Egevino era molto venerato grazie ai numerosi miracoli avvenuti attraverso la sua intercessione, specialmente nell’abbazia di Athelney nel Somerset, fondata 878 da re Alfredo il Grande. In questo monastero Sant’Egevino era ricordato e festeggiato nel giorno 29 novembre. (Autore: Mauro Bonato)
 
Colletta: Il tuo aiuto, o Padre, ci renda perseveranti nel bene in attesa di Cristo tuo Figlio; quando egli verrà e busserà alla porta, ci trovi vigilanti nella preghiera, operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Benedetto XVI (2 Dicembre 2006): La prima antifona di questa celebrazione vespertina si pone come apertura del tempo di Avvento e risuona come antifona dell’intero anno liturgico. Riascoltiamola: “Date l’annunzio ai popoli: Ecco, Dio viene, il nostro Salvatore”. All’inizio di un nuovo ciclo annuale, la liturgia invita la Chiesa a rinnovare il suo annuncio a tutte le genti e lo riassume in due parole: “Dio viene“. Questa espressione così sintetica contiene una forza di suggestione sempre nuova. Fermiamoci un momento a riflettere: non viene usato il passato – Dio è venuto -, né il futuro – Dio verrà -, ma il presente: “Dio viene”. Si tratta, a ben vedere, di un presente continuo, cioè di un’azione sempre in atto: è avvenuta, avviene ora e avverrà ancora. In qualunque momento, “Dio viene”. Il verbo “venire” appare qui come un verbo “teologico”, addirittura “teologale”, perché dice qualcosa che riguarda la natura stessa di Dio. Annunciare che “Dio viene” equivale, pertanto, ad annunciare semplicemente Dio stesso, attraverso un suo tratto essenziale e qualificante: il suo essere il Dio-che-viene.
L’Avvento richiama i credenti a prendere coscienza di questa verità e ad agire in conseguenza. Risuona come un appello salutare nel ripetersi dei giorni, delle settimane, dei mesi: Svegliati! Ricordati che Dio viene! Non ieri, non domani, ma oggi, adesso! L’unico vero Dio, “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”, non è un Dio che se ne sta in cielo, disinteressato a noi e alla nostra storia, ma è il-Dio-che-viene. È un Padre che mai smette di pensare a noi e, nel rispetto estremo della nostra libertà, desidera incontrarci e visitarci; vuole venire, dimorare in mezzo a noi, restare con noi. Il suo “venire” è spinto dalla volontà di liberarci dal male e dalla morte, da tutto ciò che impedisce la nostra vera felicità. Dio viene a salvarci.
 
I lettura: Perché si instauri il regno di Dio, regno di pace e di giustizia, gli uomini devono spezzare le spade e le lance, tutti gli strumenti di guerra, e fare aratri e falci, cioè devono imparare a custodire la creazione, secondo il disegno di Dio. Purificati, pacificati gli uomini potranno a camminare nell’insegnamento di Dio, nella sua luce. Un impegno che aprirà le porte del regno di Dio a tutti i popoli della terra.
 
Vangelo: Il racconto della guarigione del servo del centurione romano, ci suggerisce che il Vangelo ha superato gli angusti confini della Palestina, e ha raggiunto il cuore dei pagani: “non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.” (Col 3,11). La Chiesa per un po’ di tempo resterà chiusa nella gabbia del nazionalismo giudaico (At 11,9), poi, a motivo della continua ostilità dei giudei, comprenderà che la Buona Novella doveva essere annunciata a tutti i popoli (Mt 28,19): “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’stremità della terra».” (At 13,46-48). Alla testardaggine d’Israele, popolo disobbediente e ribelle (Rm 10,21), Dio risponde pazientemente con la fedeltà: quando nell’ovile di Cristo saranno entrate tutte quante le genti, allora tutto Israele sarà salvato (Rm 11,25-26). Il Vangelo è luce che illumina tutta l’umanità, la pazienza e la fedeltà di Dio aprono i cuori degli uomini alla pace e alla speranza.

Dal Vangelo secondo Matteo 8,5-11: In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
 
Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Matteo - Commento della Bibbia Liturgia): La scena della guarigione del servo del centurione è raccontata “dopo la risurrezione e nella luce che il fatto pasquale proiettò su tutta la vita di Gesù. Comunque, il contenuto e l’insegnamento dell’episodio sono molteplici e profondi. Per due volte il centurione si rivolge a Gesù chiamandolo Signore e, di fronte alla risposta di Gesù, lo stesso centurione stabilisce un confronto fra la propria autorità e quella del giovane rabbino di Galilea. Egli è un capo: ordina una cosa ai suoi subalterni, e i suoi ordini sono eseguiti, vale a dire che la sua parola è efficace. Ma la sua autorità e il suo potere sono un nulla, se messi a confronto con quelli di Gesù che, con una parola, senza toccare l’infermo, può guarirlo a distanza. Fede chiara nel potere della parola di Gesù.
La prima risposta di Gesù: «Io verrò e lo curerò» può essere intesa nel senso positivo di accogliere la richiesta. 
Allora il centurione si rende conto dell’importanza di quella risposta. Non era possibile: come poteva un giudeo entrare nella casa d’un pagano se, appunto perché era pagano, era impuro? L’impegno che Gesù aveva preso era troppo grande. Egli era indegno di quello che Gesù gli aveva proposto. Interpretando in questo modo la risposta del centurione, si potrebbe mettere in rilievo la sua umiltà. In fondo. egli aveva adottato l’atteggiamento d’umiltà e d’indegnità che prova l’uomo quando si trova con Dio personalmente e da solo.
La risposta di Gesù - per quanto sia meno probabile - può anche essere intesa in un senso interrogativo: «devo venire a casa tua e curarlo?», Solo allora, il centurione si rese conto che era indegno della visita del Signore.
Gesù loda la fede del centurione, una fede che è fiducia nella presenza e nel potere di Dio, presenza e potere di Dio che incontrano l’uomo quando si accosta a Gesù.
Una fede che annulla le pretese e si affida totalmente alla volontà di Dio, una fede che raccoglie tutto l’atteggiamento corretto dell’uomo davanti a Dio, una fede che Gesù cercò in quel popolo, come l’aveva cercata Yahveh nell’Antico Testamento. In questo modo, Gesù è posto allo stesso livello di Dio.
La scena del centurione è come un preludio della missione o dell’annunzio del vangelo ai pagani. Gesù approfitta dell’occasione per parlare del trasferimento del regno che dai giudei passerà ai gentili. Il popolo di Dio si costruisce sulla fede: quello che rinnega la fede, si autodistrugge.
La guarigione della suocera di Pietro - che, nonostante la sua vocazione, conserva la casa - è raccontata con grande brevità e senza rilievi particolari. Gesù non pronunzia parole: si limita a prenderla per la mano, e dalla mano di Gesù emana il suo potere curativo. Il potere della parola di Gesù è messo in rilievo anche in altre guarigioni, che ci sono riferite in modo sommario [e che Matteo ha preso ancora una volta da Marco].
È importante l’apprezzamento dell’evangelista al termine della prima serie di miracoli: Gesù agisce come il servo di Yahveh (Is 53). Compiendo i miracoli, egli prende su di sé le nostre infermità e i nostri dolori. Il Signore è anche - e lo è principalmente durante la sua vita terrena - il servo per eccellenza, pienamente solidale e
responsabile dell’uomo, con l’incarico divino di elevarlo”.
 
Io non sono degno: Giovanni Paolo II (4 giugno 1989): Le parole “Signore, ... io non sono degno” (Lc 7,6) furono pronunciate per la prima volta da un centurione romano, un uomo che era un soldato nella terra di Israele. Benché fosse uno straniero e un pagano, amava il popolo d’Israele, tanto che - come ci dice il Vangelo - aveva perfino costruito una sinagoga, una casa di preghiera (cfr. Lc 7,5). Per questo motivo i Giudei appoggiarono caldamente la richiesta che voleva fare a Gesù, di guarire il suo servo. Rispondendo al desiderio del centurione, Gesù s’incamminò verso la sua casa. Ma ora il centurione, volendo prevenire l’intento di Gesù, gli disse: “Signore, non stare a disturbarti, perché io non sono degno che tu venga sotto il mio tetto; ecco perché non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te. Ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito (Lc 7,6-7). Cristo accedette al desiderio del centurione, ma nello stesso tempo “restò ammirato” dalle parole del centurione e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse. “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc 7,9). Se ripetiamo le parole del centurione quando ci accostiamo alla Comunione, lo facciamo perché queste parole esprimono una fede che è forte e profonda. Le parole sono semplici, ma in un certo senso contengono la verità fondamentale la quale dice chi è Dio e chi è l’uomo. Dio è il santo, il creatore che ci dà la vita e che ha fatto tutto ciò che esiste nell’universo. Noi siamo creature e suoi figli, bisognosi di essere guariti dai nostri peccati.
 
Efrem, Diatessaron (6,22): Il centurione si presentò con gli anziani del popolo e chiese al Signore di non disdegnare di andare a salvare il suo servo. E siccome il Signore aveva accettato di andare con lui (cfr. Lc 7,3-6; Mt 8,5-7), “egli aggiunse: Signore, non disturbarti, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,6-7). “Quando il Signore ebbe sentito ciò, ne rimase ammirato” (Lc 7,9). Dio ha ammirato un uomo. “E disse: Non ho mai trovato una tal fede in Israele” (Mt 8,10), per confondere gli Israeliti che non avevano creduto in lui, come invece faceva quello straniero. Il centurione aveva condotto con sé degli Israeliti e li aveva portati per servirsene come avvocati, ma essi furono ripresi, perché non avevano la fede del centurione. Ecco perché: “Essi andranno nelle tenebre esteriori” (Mt 8,12).
 
Il sacramento che abbiamo ricevuto, o Padre,
ci renda vigilanti e alimenti le lampade della nostra fede,
perché possiamo attendere la venuta del tuo Figlio
ed essere introdotti al banchetto delle nozze eterne.
Per Cristo nostro Signore.
 
 

 

 

 28 NOVEMBRE 2021

 I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C

 Ger 33,14-16; Sal 24 (25); 1s 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36

Il santo del Giorno - 28 Novembre 2021 - San Giacomo della Marca: La fede può anche muovere l’economia, valorizzando i talenti di tutti e la dignità di ogni essere umano, costruendo così una società basata su solidarietà e giustizia. Ce lo ricorda la storia di san Giacomo della Marca, frate minore, predicatore e ideatore dei Monti di Pietà, creati per consentire l’accesso al credito a interessi minimi anche a chi si trovava in difficoltà. Era nato a Monteprandone (Ascoli Piceno) nel 1394 e a 22 anni aveva ricevuto il saio francescano da san Bernardino da Siena. Seguendo l’esempio del maestro, si dedicò alla predicazione in Italia, Polonia, Boemia, Bosnia e Ungheria. S’impegnò anche nella lotta contro le piaghe sociali dell’usura, dell’azzardo, della bestemmia e della superstizione. Debilitato dall’intensità con cui viveva l’impegno dell’apostolato, morì a Napoli nel 1476. (Matteo Liut)
 
Colletta: Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa dal male e apri i nostri cuori alla speranza, perché attendiamo vigilanti la venuta gloriosa di Cristo, giudice e salvatore. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Papa Francesco (Angelus 2 Dicembre 2018): Stare svegli e pregare: ecco come vivere questo tempo da oggi fino a Natale. Stare svegli e pregare. Il sonno interiore nasce dal girare sempre attorno a noi stessi e dal restare bloccati nel chiuso della propria vita coi suoi problemi, le sue gioie e i suoi dolori, ma sempre girare intorno a noi stessi. E questo stanca, questo annoia, questo chiude alla speranza. Si trova qui la radice del torpore e della pigrizia di cui parla il Vangelo. L’Avvento ci invita a un impegno di vigilanza guardando fuori da noi stessi, allargando la mente e il cuore per aprirci alle necessità della gente, dei fratelli, al desiderio di un mondo nuovo. È il desiderio di tanti popoli martoriati dalla fame, dall’ingiustizia, dalla guerra; è il desiderio dei poveri, dei deboli, degli abbandonati. Questo tempo è opportuno per aprire il nostro cuore, per farci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita.
Il secondo atteggiamento per vivere bene il tempo dell’attesa del Signore è quello della preghiera. «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28), ammonisce il Vangelo di Luca. Si tratta di alzarsi e pregare, rivolgendo i nostri pensieri e il nostro cuore a Gesù che sta per venire. Ci si alza quando si attende qualcosa o qualcuno. Noi attendiamo Gesù, lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Pregare, attendere Gesù, aprirsi agli altri, essere svegli, non chiusi in noi stessi. Ma se noi pensiamo al Natale in un clima di consumismo, di vedere cosa posso comprare per fare questo e quest’altro, di festa mondana, Gesù passerà e non lo troveremo. Noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza.
Ma qual è l’orizzonte della nostra attesa orante? Ce lo indicano nella Bibbia soprattutto le voci dei profeti. Oggi è quella di Geremia, che parla al popolo duramente provato dall’esilio e che rischia di smarrire la propria identità. Anche noi cristiani, che pure siamo popolo di Dio, rischiamo di mondanizzarci e di perdere la nostra identità, anzi, di “paganizzare” lo stile cristiano. Perciò abbiamo bisogno della Parola di Dio che attraverso il profeta ci annuncia: «Ecco, verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto [...]. Farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (33,14-15). E quel germoglio giusto è Gesù, è Gesù che viene e che noi attendiamo. La Vergine Maria, che ci porta Gesù,  donna dell’attesa e della preghiera, ci aiuti a rafforzare la nostra speranza nelle promesse del suo Figlio Gesù, per farci sperimentare che, attraverso il travaglio della storia, Dio resta sempre fedele e si serve anche degli errori umani per manifestare la sua misericordia
 
I Domenica di Avvento - I Lettura: Gesù è il germoglio che il Signore Dio ha fatto germogliare per Davide. In realtà, nella pienezza dei tempi (Gal 4,4), in Gesù Cristo tutte le promesse di Dio sono divenute “sì” (Cf 2Cor 1,19-20).
 
II Lettura: Paolo prega Dio perché confermi i cuori dei cristiani di Tessalonica e perché siano trovati irreprensibili nella santità alla venuta del Signore Gesù. Se i pagani accondiscendono senza ritegno agli impulsi delle loro passioni carnali, coloro che conoscono Dio devono vivere nella purezza, non devono fare del male ai fratelli. La carità è una regola di vita che i Tessalonicesi hanno ricevuto da parte del Signore Gesù e che possono mirare efficacemente operante in Paolo.
 
Vangelo: «Il Figlio dell’uomo verrà con certezza. Lo si vedrà con i propri occhi. Nessuno potrà sottrarsi a tale evento. E tutti coloro che lo vedranno, comprenderanno chiaramente che è proprio lui. [...] Gesù non verrà più nella debolezza della sua figura terrena, ma in tutta la grandezza e lo splendore della sua glorificazione» (Alois Stoger).

Dal Vangelo secondo Luca 21,25-28.34-36: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
 
State attenti a voi stessi - Il 21mo capitolo del Vangelo di Luca registra due eventi che coinvolgeranno drammaticamente il popolo eletto e l’umanità: la rovina di Gerusalemme e la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo.
L’evangelista Luca, seguendo una delle sue fonti, aveva già parlato del ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi (Cf 17,22-37). Qui, come Marco che egli segue e combina con un’altra fonte, tratta della distruzione di Gerusalemme, senza rimenarvi la fine del mondo come fa l’evangelista Matteo (Cf Mt 24,1; Lc 19,44).
Entrambi gli eventi, la distruzione del tempio di Gerusalemme e la beata venuta di Gesù, saranno preceduti da segni premonitori.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle e sulla terra angoscia di popoli... Il genere letterario qui adoperato dall’evangelista è quello apocalittico corrente nell’ambiente semitico (Cf Is 13,9-10; 34,4; Ger 4,23-26; Ez 32,7s; Am 8,9; Mi 1,3-4; Gl 2,10; 3,4; 4,15).
Il Figlio dell’uomo verrà con grande potenza e gloria, tutti lo vedranno e sarà un evento di liberazione per i credenti e di condanna per gli empi.
Anche se Luca tralascia il giudizio universale (Cf. Mt 25,31-46), il giudizio di condanna degli empi è implicito nel racconto. Solo chi avrà perseverato nella fede si salverà (Cf Lc 21,19).
Mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra, i «cristiani non dovranno spaventarsi per gli sconvolgimenti cosmici finali, ma dopo tante sofferenze, persecuzioni e oppressioni che li hanno schiacciati, potranno finalmente drizzarsi e alzare con sicurezza le loro teste, essendo quello “il segnale della realizzazione della loro speranza”» (Angelico Poppi).
Dal testo lucano si evincono due riflessioni.
Innanzi tutto, la liberazione, inaugurata sul monte Calvario e già garantita dal dono dello Spirito, raggiungerà il suo compimento soltanto nella parusia, con la liberazione dalla morte mediante la resurrezione dei corpi (Cf Rm 8,23). Non vi sono quindi paradisi terreni. Infine, prima «della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il pellegrinaggio sulla terra, svelerà il “Mistero di iniquità” sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè del pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del Messia venuto nella carne» (CCC 675).
Dunque, il «Regno non si compirà attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo Giudizio dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa» (CCC 677).
Cassata la parabola del fico (vv. 29-33), il racconto evangelico si conclude con un monito rivolto particolarmente ai discepoli, ma non esclusivamente: immersi in un mondo pagano che non lesina immoralità e ogni genere di sregolatezze, il credente deve condurre una vita spoglia di stravizi e di vegliare in ogni momento pregando per non essere sorpresi dal giudizio divino che si abbatterà sull’umanità come un laccio (Cf 1Ts 5,1-11).
A differenza degli empi che non «conoscono i segreti di Dio; non sperano salario per la santità né credono alla ricompensa delle anime pure» (Sap 2,22-23), i credenti, che attendono la venuta del loro Redentore e Signore, perché abbiano la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo, devono essere perseveranti nella preghiera e vegliare in essa (Cf Col 4,2). In questa ottica, la vigilanza cristiana suppone «una solida speranza ed esige una costante presenza di spirito che prende il nome di “sobrietà” [1Ts 5,6-8; 1Pt 5,8; Cf 1Pt 1,13; 4,7]» (Bibbia di Gerusalemme, 1974). Ottemperando queste regole, l’attesa cristiana si impasta di gioia e di serenità.
 
Tempo di Avvento - La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi): La Chiesa ogni anno festeggia il ricordo della venuta al mondo del Figlio di Dio nel corpo umano, e attraverso la lettura dei profeti dispone i fedeli per questo giorno. Non lo fa soltanto per ricordare la realtà passata, il fatto storico, la lunga attesa del popolo eletto per la venuta del Messia. Cristo è venuto sulla terra, ha annunziato la buona novella della salvezza, ha compiuto la redenzione dell’uomo, ha riempito della nuova vita coloro che credono in lui, li ha fatti partecipare all’amore del Padre e ha dato loro la caparra della gloria futura. L’umanità ha visto la salvezza, è stata predetta dai profeti «la pienezza dei tempi».
Il tempo di preparazione al Natale deve servirci da introduzione per capire il mistero della presenza di Cristo in mezzo a noi. Il Signore è venuto, il Signore è presente, ma bisogna sentire il bisogno della salvezza che proviene dal Signore, comprendere l’inconcepibile amore di Dio, accogliere i doni del cielo.
La Chiesa, nei giorni dell’Avvento, si rende conto del «già» della salvezza, ma attende il «non ancora» che deve venire. Cristo è venuto, ma la Chiesa pellegrinante nel tempo attende il ritorno del Signore. Aspettare il ritorno di Cristo come i servi che aspettano il ritorno del padrone, vegliare per aprirgli appena sarà venuto e avrà bussato, andargli incontro con le lampade accese, ecco l’atteggiamento dell’Avvento.
Isaia e Giovanni il Battista, queste le due grandi figure dell’Avvento. La voce dei profeti e la voce del grande Precursore del Signore continuano a risuonare nella Chiesa, perché bisogna continuamente preparare la via al Signore e bisogna continuamente gridare: Convertitevi! Coraggio, non abbiate paura! Il Signore ha vinto il male, ma l’uomo rimane ancora nella sua schiavitù. La luce è venuta nel mondo, ma l’uomo può ancora amare le tenebre. Cristo ci ha fatti nuove creature, ma noi possiamo continuare a vivere secondo i desideri dell’uomo vecchio.
Cristo si fece uomo nel seno della Vergine Maria: Lei, Immacolata Vergine, coll’annuncio dell’angelo accoglie il Verbo Eterno, viene riempita dallo Spirito Santo e diventa il tempio di Dio. Il Verbo prese carne da Maria Vergine ed abitò in mezzo a noi. Le parole di Maria: «Avvenga di me secondo la tua parola», dovrebbero farsi preghiera dell’Avvento nel discepolo di Cristo, poiché vivere pienamente l’Avvento significa accogliere Cristo come Maria.
 
Beato chi pensa al giudizio - Basilio di Cesarea (Epist., 174): Beata l’anima che notte e giorno non si preoccupa d’altro che di rendere agevole il suo compito quel giorno in cui ogni creatura dovrà presentare i suoi conti al grande giudice. Colui, infatti, che tiene fisso innanzi agli occhi quel giorno e quell’ora e medita su quel tribunale che non può essere ingannato, non può commettere se non qualche lievissimo peccato; poiché, quando pecchiamo, pecchiamo per mancanza di timor di Dio; perciò, se uno tiene ben fisso lo sguardo sulle pene che sono minacciate, il suo intimo ed istintivo timore gli consentirà soltanto di cadere in qualche involontaria azione o pensiero. Perciò, ricordati di Dio, conservane il timore nel tuo cuore e invita tutti a pregare con te. È grande l’aiuto di quelli che possono placare Dio. E questo non lo devi tralasciare mai. Questo sostegno dell’altrui preghiera ci è di aiuto in questa vita e ci è di buon viatico, quando ne usciamo per la vita futura. Però, com’è cosa buona la preoccupazione del bene, così è dannoso per l’anima lo scoraggiamento e la disperazione. Riponi la tua speranza nella bontà di Dio e aspettane l’aiuto con la sicurezza che, se ci rivolgiamo a lui con sincerità di cuore, non solo non ci rigetterà, ma prima ancora che si chiuda la bocca sulla preghiera, egli ci dirà: Eccomi, son qui.
 
La partecipazione a questo sacramento,
che a noi pellegrini sulla terra
rivela il senso cristiano della vita,
ci sostenga, Signore, nel nostro cammino
e ci guidi ai beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.
 
 27 Novembre 2021
 
Sabato XXXIV Settimana T. O.
 
Dn 7,15-27; Sal Cant. Dn 3,82-87; Lc 21,34-36
 
Il Santo del Giorno - 27 Novembre 2021 - Beata Vergine della Medaglia Miracolosa: Tra tutte le ‘memorie sacre’ di questa giornata, ci sembra particolarmente utile ricordare il dono fatto dalla Madonna all’umile santa Caterina Labouré, il 27 novembre del 1830. Proprio in quella vigilia di Avvento, le apparve la Vergine, vestita di un abito di seta bianca, che teneva il mondo tra le mani, stringendolo all’altezza del cuore. L’immagine era racchiusa in una cornice ovale, come se si delineasse il bozzetto di una medaglia, contornata da una scritta in lettere d’oro: «O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi», invocazione allora inusuale. Poi la cornice ruotò su se stessa e apparve la lettera M sormontata da una croce e, sotto, due cuori: uno circondato dalla corona di spine, l’altro trafitto da una spada. La Vergine chiese alla giovane novizia di far coniare una medaglia secondo la visione avuta e di diffonderla in tutto il mondo. La ragazza avrebbe voluto poter trasmettere almeno la spiegazione dei due simboli, ma le fu detto soltanto: «La lettera M e i due cuori dicono abbastanza!». Parigi era allora devastata da un’epidemia di colera. Dopo qualche resistenza, la medaglia fu realizzata da un orafo di Parigi e furono tante le guarigioni e le grazie di conversione che in pochissimi anni fu necessario coniarne milioni di copie. Il quotidiano La France, nel 1835, già sosteneva che quel piccolo oggetto sacro era diventato «uno dei più grandi segni della fede, degli ultimi tempi». E quando, nel 1854, Pio IX definirà il dogma dell’Immacolata Concezione, riconoscendo che «era una verità tenacemente custodita nel cuore dei fedeli», potrà fondarsi anche sul fatto che c’erano già almeno dieci milioni di cristiani che ne portavano sul cuore la medaglia miracolosa. (Fonte: santiebeati)
 
Colletta
Ridesta, o Signore, la volontà dei tuoi fedeli,
perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza,
ottengano in misura sempre più abbondante
i doni della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Cooperazione alla redenzione - Lumen gentium 61. La beata Vergine, predestinata fino dall’eternità, all’interno del disegno d’incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l’alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore, concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, coll’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia.
Funzione salvifica subordinata 62. E questa maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato nell’Annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti anche dopo la sua assunzione in cielo non ha interrotto questa funzione salvifica, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata. Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, Mediatrice. Ciò però va inteso in modo che nulla sia detratto o aggiunto alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico Mediatore .
Nessuna creatura infatti può mai essere paragonata col Verbo incarnato e redentore. Ma come il sacerdozio di Cristo è in vari modi partecipato, tanto dai sacri ministri, quanto dal popolo fedele, e come l’unica bontà di Dio è realmente diffusa in vari modi nelle creature, così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, bensì suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte. La Chiesa non dubita di riconoscere questa funzione subordinata a Maria, non cessa di farne l’esperienza e di raccomandarla al cuore dei fedeli, perché, sostenuti da questa materna protezione, aderiscano più intimamente al Mediatore e Salvatore.
 
I Lettura: La quarta bestia o il quarto regno raffigura la triste figura di Antioco IV persecutore del popolo d’Israele. Ai “santi” d’Israele sotto il giogo della persecuzione, Daniele rivolge una parola di speranza, chiede loro di resistere perché il tempo della prova sarà breve, durerà un tempo, tempi e metà di un tempo.
Si terrà poi il giudizio e gli sarà tolto il potere, quindi verrà sterminato e distrutto completamente. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno.
Si terrà poi il giudizio e gli sarà tolto il potere, quindi verrà sterminato e distrutto completamente. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno.
Il potere è di Dio non degli uomini, egli è il signore della storia e alla sua potenza nessuno può opporsi e resistere.
 
Vangelo: Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo: con queste parole Gesù vuole inculcare nei credenti un atteggiamento di vigile responsabilità, aliena dal fanatismo apocalittico: il cristiano non progetta il futuro del mondo almanaccando su sedicenti profezie o appellandosi a fantastici calendari. Il credente, in attesa della venuta del Figlio dell’uomo, getta via le opere delle tenebre e indossa le armi della luce. Si comporta onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Si riveste invece del Signore Gesù Cristo e non si lascia prendere dai desideri della carne (cfr. Rm 13,12-14). In altre parole la tensione escatologica della comunità cristiana, che attende il Signore, non è una fuga dagli impegni terreni, ma un costruire giorno dopo giorno la sua casa eterna, e quella del mondo, nella situazione presente.
 
Dal Vangelo secondo Luca 21,34-36: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
 
Carlo Ghidelli (Luca): 34-36: State bene attenti che i vostri cuori...: anche la «piccola apocalisse» (17,22-37) conteneva un forte, martellante invito alla vigilanza; qui, oltre al pericolo di essere trovati impreparati, si sottolinea quello di lasciarsi travolgere nella crapula, nella ubriachezza e nelle preoccupazioni della vita (cfr 8,14). Dato che questi vv., praticamente, non hanno paralleli metteremo in evidenza il loro carattere squisitamente lucano.
- State bene attenti: è un motivo che ricorre più volte in questi vv., ma anche altrove (cfr 12,1; 17,3). Questa vigilanza implica esame critico del tempo nel quale si vive, presenza critica nel tessuto sociale nel quale si opera, discernimento critico delle proposte di salvezza che vengono da altre sponde.
- Vi è, poi, il richiamo alla rinuncia: per prepararsi all’incontro con il Signore occorre tenersi in un atteggiamento di purezza interiore ed esteriore, senza indulgere alle seduzioni del Maligno e del mondo.
- Troviamo ancora il binomio vegliate e pregate (v. 36) che sottende un duplice tema caro a Lc (cfr 18,1): la vigilanza permetterà di trovare il tempo per la preghiera, d’altro canto l’assiduità alla preghiera ci tiene sempre più vigili.
- Vi è, infine, l’accenno alla forza necessaria per sfuggire a tutto quello che sta per accadere (è detto, implicitamente, che essa è dono di Dio), ma anche e soprattutto per comparire (oppure: per stare sicuri) dinanzi al Figlio dell’uomo. È dunque evidente il carattere parenetico di questi ultimi vv. A questo proposito B. Rigaux scrive giustamente: « Qui la parenesi è diretta, escatologica e messianica ».
 
Vegliate in ogni momento pregando - Bruno Maggioni (Il racconto di Luca): Vigilare - stando a questo testo di Luca (ma si potrebbe arricchire il discorso con altri passi) - significa non avere il cuore «appesantito». Vigilanza è dunque libertà, disponibilità, acutezza, prontezza di discernimento. Il ritorno del Figlio dell’uomo non sarà preceduto da segni premonitori prevedibili e rassicuranti: giungerà all’improvviso. Ciò che conta dunque è stare attenti a non lasciarsi sorprendere. C’è invece il rischio che gli uomini, distratti dalla vita, non appiano scorgere il momento propizio per la salvezza. Luca parla di «dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». È questione di disordini morali e di sregolatezza, ma non soltanto. Gli affanni della vita sembrano essere qualcosa di più normale (il testo parallelo di 17,27 dice ancora più chiaramente: mangiavano, bevevano, si posavano). È la vita, semplicemente, che può appesantire il cuore, se non si rimane vigilanti, in preghiera (21,36).
Il discorso escatologico di Luca dice anche altro.
Per esempio: «I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (21,33). Per questo bisogna attenersi alle sue parole in ogni tempo, senza lasciarsi distrarre da curiosità e fantasiose rivelazioni. parola di Gesù è solida ed è ferma come la Parola di Dio. Vigilare è anche vivere di questa certezza, senza cercare conoscenze altrove.
La conclusione è che il ritorno improvviso del Signore non permette di programmare né l’imminenza né il ritardo. Così viene sottolineata la continuità della vigilanza e della preghiera (ed in ogni momento).
Il verbo «vigilare» (agrupnein), che Luca introduce soltanto nella frase conclusiva, non significa - almeno in prima battuta - un’azione, un fare qualcosa, ma uno stato, una modalità di essere. Vigilare non fissa il momento del passaggio dal sonno alla veglia, ma piuttosto la condizione che ne segue: l’essere desto.
 
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo: Lumen gentium 48: Siccome poi non conosciamo il giorno né l’ora, bisogna che, seguendo l’avvertimento del Signore, vegliamo assiduamente, per meritare, finito il corso irrepetibile della nostra vita terrena (cfr. Eb 9,27), di entrare con lui al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati (cfr. Mt 25,31-46), e non ci venga comandato, come a servi cattivi e pigri (cfr. Mt 25,26), di andare al fuoco eterno (cfr. Mt 25,41), nelle tenebre esteriori dove «ci sarà pianto e stridore dei denti» (Mt 22,13 e 25,30). Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo « davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno il salario della sua vita mortale, secondo quel che avrà fatto di bene o di male» (2 Cor 5,10), e alla fine del mondo «usciranno dalla tomba, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna» (Gv 5,29;  cfr. Mt 25,46).
 
L’ubriachezza indebolisce l’anima e il corpo - Origene (Omelie sul Levitico 7, 1): Guardate che non siano gravati i vostri cuori nell’ubriachezza, nella crapula e nelle sollecitudini del mondo, e su di voi venga improvvisa la morte.
Avete udito l’editto dell’eterno re e appreso la fine lamentabile dell’ubriachezza e della crapula. Se un medico esperto e sapiente vi ammonisse con queste stesse parole e dicesse per esempio: Badate bene che nessuno sorbisca troppo smoderatamente del succo di questa o di quella erba: se lo farà gli capiterà la morte istantanea; non dubito che ciascuno, in considerazione della propria salute, osserverebbe i precetti del medico che ammonisce in anticipo. Or dunque il Signore, medico insieme delle anime e dei corpi, comanda di evitare l’erba della ubriachezza e della crapula, e parimenti quella delle sollecitudini del secolo come succhi mortiferi da cui guardarsi. E non so se qualcuno di noi non si esaurisca in queste cose, per non dire che non ne sia ferito.
Dunque l’ubriachezza di vino è perniciosa in ogni caso, giacché è la sola che rende debole, insieme al corpo, anche l’anima. Negli altri casi può accadere, secondo l’ Apostolo, che mentre il corpo è ammalato, tanto più potente (2Cor 12,10) sia lo spirito, e mentre l’uomo esteriore si corrompe, si rinnovi quello interiore (2Cor 4,16). Invece nella malattia dell’ubriachezza si corrompono sia il corpo che l’anima, sono parimenti viziati sia lo spirito che la carne. Tutte le membra sono deboli: piedi, mani, rammollita la lingua; le tenebre velano gli occhi, la smemoratezza la mente, così che l’uomo non si sa e non si sente tale. Dunque in primo luogo l’ubriachezza del corpo comporta una siffatta sconvenienza.
 
Dio onnipotente,
che ci dai la gioia di partecipare ai divini misteri,
non permettere che ci separiamo mai da te,
fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.