1 OTTOBRE 2021
 
SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA
 
Bar 1,15-22; Sal 78 (79); Lc 10,13-16
 
Il Santo del Giorno - 1 Ottobre 2021 - Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa - Quella «piccola via» verso la grandezza di Dio: Dio scava nell’anima, entra nel profondo della nostra vita, incide con il suo amore le fondamenta del nostro esistere, ma non sempre è facile seguire le sue tracce. Capitò anche a santa Teresa di Lisieux di “perdersi”, di chiedersi dove fosse Dio e il suo smarrimento è narrato in “Storia di un’anima”. Dal senso del limite e dell’imperfezione, però, per santa Teresa passò la scoperta della sua “piccola via” verso Dio: è nelle imperfezioni della vita che è possibile cogliere con più forza l’amore del Signore. Nata nel 1873 ad Alençon in Francia, Teresa era cresciuta in una famiglia “santa” (anche i genitori sono stati canonizzati) e, giovanissima, era entrata nel Carmelo di Lisieux. Il suo intenso cammino spirituale alla ricerca della santità venne interrotto dalla tubercolosi: morì nel 1897 all’età di 24 anni. Nel 1997 è stata proclamata dottore della Chiesa. (Autore Matteo Liut)
 
Colletta: O Dio, che apri le porte del tuo regno agli umili e ai piccoli, fa’ che seguiamo con fiducia la via tracciata da santa Teresa [di Gesù Bambino], perché, per sua intercessione, ci sia rivelata la tua gloria eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Omelia 19 Ottobre 1997): Tra i “Dottori della Chiesa” Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo è la più giovane, ma il suo cammino spirituale è così maturo ed ardito, le intuizioni di fede presenti nei suoi scritti sono così vaste e profonde, da meritarle un posto tra i grandi maestri dello spirito.
Nella Lettera Apostolica che ho approntato per l’occasione ho additato alcuni aspetti salienti della sua dottrina.
Ma come non ricordare, in questo momento, quello che se ne può considerare il vertice, alla luce del racconto dell’emozionante scoperta che ella fece della propria particolare vocazione nella Chiesa? “La Carità - ella scrive - mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un cuore e che questo cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue . . . Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni [. . .] Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore ... la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore” (Teresa di Gesù Bambino, Ms B, 3v·, in Opere complete, p. 223). È una pagina stupenda, che basta da sola ad illustrare quanto si possa applicare a Santa Teresa la pagina evangelica che abbiamo ascoltato nella Liturgia della Parola: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,  25).
Teresa di Lisieux non solo intuì e descrisse la profonda verità dell’Amore quale centro e cuore della Chiesa, ma la visse intensamente nella sua pur breve esistenza. Proprio questa convergenza tra dottrina ed esperienza concreta, tra verità e vita, tra insegnamento e prassi, risplende con particolare evidenza in questa Santa, rendendola un modello avvincente specialmente per i giovani e per quanti sono alla ricerca del senso autentico da dare all’esistenza.
Di fronte al vuoto di tante parole, Teresa indica come alternativa l’unica Parola di salvezza che, compresa e vissuta nel silenzio, diventa sorgente di vita rinnovata. Ad una cultura razionalistica e troppo spesso permeata di materialismo pratico, ella contrappone con semplicità disarmante la “piccola via” che, rifacendosi all’essenziale delle cose, conduce al segreto di ogni esistenza: la divina Carità che avvolge e permea ogni umana vicenda. In un’epoca, come la nostra, segnata in tanti suoi aspetti dalla cultura dell’effimero e dell’edonismo, questo nuovo Dottore della Chiesa appare dotato di singolare efficacia nell’illuminare la mente ed il cuore di chi è assetato di verità e di amore.
 
I Lettura: Non è mai troppo tardi per pentirsi dei propri peccati, e riprendere il cammino della conversione. Il popolo di Israele è stato deportato in catene nella terra di Babilonia perché ha tradito l’alleanza, ha dimenticato i prodigi che Dio ha compiuto per liberarlo dalla schiavitù egiziana, ha dimenticato i portenti che Dio ha operato nell’introdurlo nella terra promessa, si è ribellato al suo amore con culti idolatrici. Si è ostinato a non ascoltare la voce di Dio, hanno rigettato i profeti mandati da Dio, ha seguito le perverse inclinazioni del suo cuore. Il messaggio di Baruc è una sincera confessione dei peccati di Israele, e allo stesso tempo apre il cuore alla speranza: un sincera conversione, purificando i cuori, è cammino di riconciliazione, è un ritorno all’alleanza la quale ampiamente promette amore, provvidenza e perdono.
In questa cornice la penitenza è confessione gioiosa e pacificante della misericordia di Dio.
 
Vangelo: I “guai” rivolti alle città incredule ci fanno scoprire che al di là della misericordia di Dio c’è anche un giudizio severo per coloro che non accolgono il Vangelo. Ma la “rovina” non è soltanto temporale e materiale, ma anche escatologica, e pertanto la rovina che Gesù minaccia alle città incredule che hanno disprezzato la sua parola, e quella dei suoi inviati, è sopra tutto spirituale e definitiva, fino agli inferi precipiteranno.
 
Dal Vangelo secondo Luca 10,13-16: In quel tempo, Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».
 
Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): «Chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato», Il no, esternamente, è diretto solo ai discepoli di Gesù. Ma dietro di loro sta l’autorità di Cristo, Uomo­Dio, e dietro Cristo c’è Dio stesso, il Santo, l’Infinito. Lo stesso capita oggi. Il rifiuto esteriormente riguarda la Chiesa. Perciò ha sempre un’apparente giustificazione. Poiché l’incredulo può farsi forte delle deficienze umane dei messaggeri della fede, dell’insufficienza della loro vita spirituale, del metodo di predicazione, umano, troppo umano, delle ipoteche storiche che gravano sulla Chiesa, e di molte altre cose. E tuttavia in un certo senso egli dice di no al Cristo Signore incarnato. È lui che vive ed agisce nella Chiesa. È l’invisibile mistero della Chiesa visibile, è il contenuto divino della sua forma umana. La Chiesa che annuncia la fede non è solo istituzione, movimento spirituale, autorità legiferante; in essa è presente, come sua propria essenza, Cristo glorioso. Perciò il no colpisce lui stesso. E poiché egli è l’Uomo-Dio, il no dell’incredulità è un rigettare Dio. Ma chi rigetta Dio, è da Dio rigettato.
Propriamente parlando, egli rigetta se stesso. Il no che egli lancia a Dio, gli è rimandato come un’eco.
 
Invito alla conversione continua - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Nel duro rimprovero alle città penitenti c’è un ultimo invito alla conversione comunitaria e personale per un duplice motivo: perché il regno di Dio ha il primato assoluto e perché la semplice appartenenza al popolo israelita non garantisce l’ingresso nel regno. Questo vale anche per noi cristiani, membri battezzati della Chiesa. Sarebbe molto pericoloso non dare ascolto a Gesù oggi.
Ma c’è molta differenza tra il percepire l’urgenza della conversione come una fredda minaccia a come un invito liberatore. Nel caso della minaccia, l’imminenza del giudizi di Dio crea angoscia; nel caso dell’invito liberatore, invece, si tratta di un richiamo stimolante che genera gioia perché ci libera della zavorra che sta impedendoci di crescere come persone e come credenti.
Non crediamo che la conversione riguardi solo i grandi peccatori e i miscredenti. Anche se forse siamo cristiani da tutta la vita, abbiamo sempre bisogno di convertirci. L’«uomo vecchio» che portiamo dentro si oppone costantemente all’«uomo nuovo» liberato da Cristo. Per questo la conversione a Dio e ai valori evangelici del suo regno è fatica continua di tutta l’esistenza, compito silenzioso di ogni giorno. Non saremo mai convertiti abbastanza, perché l’amore cristiano non arriva mai alla fine della tappa; la meta sta sempre più in là.
La conversione continua è, quindi, una materia sempre pendente. Abbiamo bisogno di convertirci ogni giorno dal peccato profondo che si annida nel nostro cuore con molteplici manifestazioni: egoismo e superbia, aggressività e violenza, menzogna e lussuria, indifferenza e classismo, doppiezza, apatia e disperazione ... per diventare altruisti e generosi, umili e pacifici, sinceri e casti, servizievoli e accoglienti, solidali con gli altri e testimoni di speranza per tutti.
 
In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli - L’infanzia spirituale - Pio XI (Omelia, 17 maggio 1925): Teresa, la nuova Santa, avendo vivamente assorbito questa dottrina evangelica, la tradusse nella pratica della vita quotidiana; anzi con la parola e con l’esempio insegnò alle novizie del suo monastero questa via dell’infanzia spirituale, e a tutti gli altri per mezzo dei suoi scritti: scritti che, diffusi in tutto il mondo, nessuno legge senza volerli rileggere più e più volte, con massima gioia dell’animo e con vantaggio. Infatti, questa candidissima fanciulla, che fiorì nell’orto chiuso del Carmelo, avendo aggiunto al proprio nome quello del Bambino Gesù, ne espresse al vivo in se stessa l’immagine; quindi si deve dire che chiunque venera Teresa, venera e loda il divino esempio, che ella ricopiò in sé. Oggi pertanto speriamo che negli animi dei fedeli s’instauri un certo desiderio di praticare questa infanzia spirituale, la quale consiste in questo: che tutto ciò che il fanciullo pensa e fa per natura, anche noi lo pensiamo e lo facciamo per esercizio di virtù. Infatti, come i fanciulli, non macchiati da nessuna colpa e non impediti da nessuno sforzo di passione, riposano sicuri nel possesso della propria innocenza [e privi affatto di ogni inganno e doppiezza esprimono sinceramente i loro pensieri e agiscono rettamente mostrandosi esternamente quali di fatto sono], così Teresa apparve di natura angelica più che umana, e acquistò la semplicità del fanciullo, secondo le leggi della verità e della giustizia. Poiché nella memoria della vergine di Lisieux erano ben impressi gl’inviti e le promesse dello Sposo divino: «Chi è piccolo venga a me. Sarete portati sul seno e sarete vezzeggiati sulle ginocchia. Come la madre accarezza qualcuno, così io vi consolerò», così Teresa, consapevole della propria fragilità, si affidò fiduciosa alla divina Provvidenza affinché, appoggiandosi unicamente sul suo aiuto, potesse raggiungere la perfetta santità della vita, pur attraverso asperrime difficoltà, avendo deciso di tendere ad essa con la totale e gioiosa abdicazione della propria volontà.
 
Basilio il Grande, Esortazione al santo battesimo, 7-8: Abbi timore della geenna, o uomo, e fa’ di tutto per renderti meritevole del regno. Non disprezzare l’invito che ti è stato rivolto. Non presentare giustificazioni (cf. Lc 14,18), ricorrendo a questo o a quell’altro pretesto. Non riesco a frenare le lacrime, quando penso fra me e me al fatto che, scegliendo le opere turpi piuttosto che la sfolgorante gloria di Dio e abbracciando senza esitazione il peccato per soddisfare la tua libidine, escludi te stesso dai beni promessi sì da impedirti di contemplare i beni della Gerusalemme celeste (cf. Sal 127,5; Ap 21,1ss). Qui si trovano le infinite schiere di angeli, le moltitudini dei primogeniti, i troni degli apostoli, i seggi dei profeti, si ammirano gli scettri dei patriarchi, le corone dei martiri, si cantano le lodi dei giusti: fa’ nascere in te stesso il desiderio di essere annoverato anche tu in mezzo a tutti costoro, dopo esser stato purificato e santificato dai doni del Cristo.
 
Il sacramento che abbiamo ricevuto, o Signore,
accenda in noi la forza di quell’amore
che spinse santa Teresa [di Gesù Bambino] ad affidarsi
interamente a te e a invocare per tutti la tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Settembre 2021
 
Giovedì XXVI Settimana T. O.
 
San Girolamo, Presbitero e Dottore della Chiesa - Memoria
 
Ne 8,1-4a.5-6.7b-12; Sal 18 (19); Lc 10,1-2
 
Il Santo del Giorno - 30 Settembre 2021 - Mart. Rom. Memoria di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa: nato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, uomo di grande cultura letteraria, compì a Roma tutti gli studi e qui fu battezzato; rapito poi dal fascino di una vita di contemplazione, abbracciò la vita ascetica e, recatosi in Oriente, fu ordinato sacerdote. Tornato a Roma, divenne segretario di papa Damaso e, stabilitosi poi a Betlemme di Giuda, si ritirò a vita monastica. Fu dottore insigne nel tradurre e spiegare le Sacre Scritture e fu partecipe in modo mirabile delle varie necessità della Chiesa. Giunto infine a un’età avanzata, riposò in pace.

Colletta: O Dio, che hai dato al santo presbitero Girolamo un amore soave e vivo per la Sacra Scrittura, fa’ che il tuo popolo si nutra sempre più largamente della tua parola e trovi in essa la fonte della vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Benedetto XVI (Udienza Generale 14 Novembre 2007): Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Poesia sugli ingrati 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull’ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l’ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15) e soprattutto l’obbedienza a Dio: «Nulla ... piace tanto a Dio quanto l’obbedienza..., che è la più eccelsa e l’unica virtù» (Omelia sull’obbedienza). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep. 108,14).
Non può essere taciuto, infine, l’apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfr Epp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un’anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep. 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l’emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive, perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola – «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un’esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all’esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. Ricordatevi che... potete educarla più con l’esempio che con la parola» (Ep. 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l’importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l’urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l’esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione e di ogni esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione, e così del vero umanesimo.
 
I Lettura: Quando la riforma religiosa portata avanti da Esdra e Neemia aveva sufficientemente conquistato il cuore degli Israeliti, si pensò di rinnovare solennemente l’alleanza con il Signore. Al popolo riunito in assemblea liturgica, Esdra per più giorni proclama la legge di Mosè. All’ascolto segue il sì del popolo: un sì solenne che consacra quel giorno al Signore con il sigillo della gioia.

Vangelo: Gesù è venuto a portare la pace destinandola a tutti gli uomini. Lo fa intendere anche col numero dei missionari inviati ad annunciare la Parola: secondo i Giudei, i popoli della terra erano settantadue e presumibilmente l’evangelista Luca vuol prefigurare la missione universale alla quale sarà inviata la Chiesa. La missione ha le note della massima sollecitudine svolgendosi «sotto il segno di un’urgenza escatologica: si deve annunziare che il Regno è vicino; non è consentito attardarsi per via negli interminabili saluti caratteristici degli Orientali. È scoccata ormai l’ora della mietitura: tradizionale immagine del “Giorno di Jahvé”, l’intervento definitivo Dio, salvifico e giudiziale al tempo stesso» (V. Fusco).
 
Dal Vangelo secondo Luca 10,1-12: In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
 
I tratti più importanti della missione: Javer Pikaza (Vangelo secondo Luca): a) Il punto di partenza sta nel fatto che il regno arriva (10,9-11). Non è la missione che dà origine al regno, ma è il regno che suscita il missionario che lo annunzia e dispone ad accoglierlo. Al di sopra di tutti i tentennamenti degli uomini, vi è la certezza che Dio salva e che «il regno è vicino».
b) Visto in sé, il regno viene come «pace». Perciò i missionari devono invocare la pace di Dio sulle case e sulle città in cui arrivano. Si ricordi che, nel suo valore biblico, questa pace non consiste nella mancanza di guerra· aperta, ma nell’irruzione e nella presenza dei beni messianici, fra i quali è compresa fondamentalmente l’apertura a Dio e la giustizia interumana.
c) La parola di Gesù assicura al missionario la possibilità che il suo messaggio sia ascoltato: tutto il testo suppone che vi siano famiglie e città che ricevono la chiamata al regno. In questa situazione si allude alla necessità d’una spartizione dei beni. Il messaggero interamente dedicato alla cura del regno offre gratuitamente la parola; quelli che lo ascoltano devono offrirgli il loro focolare e la loro mensa. Ognuno dà quello che ha e tutti si spartiscono fraternamente i loro averi.
d) Al fondo di tutto il messaggio di Gesù si accenna anche alla possibilità d’uno scontro. In questo caso, la situazione delle parti è diversa: i discepoli si trovano come pecore nelle mani dei lupi: manca loro la possibilità d’una difesa e non hanno altra via d’uscita che la via di Gesù che li porta verso la morte. l persecutori, da parte loro, corrono il rischio di un insuccesso escatologico.
 
La Parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo - La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (Sinodo dei Vescovi XII Assemblea Generale Ordinaria) n. 53: La Chiesa ritiene «necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura» (DV 22), perché le persone hanno diritto di incontrare la verità. Oggi è un requisito indispensabile per la missione. Poiché non di rado l’incontro con la Scrittura rischia di non essere un fatto di Chiesa, ma esposto al soggettivismo e all’arbitrarietà, diventa indispensabile una promozione pastorale robusta e credibile della Sacra Scrittura per annunciare, celebrare e vivere la Parola nella comunità cristiana, dialogando con le culture del nostro tempo, mettendosi al servizio della verità e non delle ideologie correnti e incrementando il dialogo che Dio vuole avere con tutti gli uomini (cf. DV 21). A questo scopo è necessario diffondere la pratica biblica con opportuni sussidi, suscitare il movimento biblico tra i laici, curare la formazione degli animatori dei gruppi, con particolare attenzione ai giovani, proponendo la conoscenza della fede attraverso la Parola di Dio anche agli immigrati e a quanti sono in ricerca del senso della vita.
Poiché «il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione che sta unificando l’umanità [...], l’utilizzazione dei media è diventata essenziale all’evangelizzazione e alla catechesi [...]. La Chiesa si sentirebbe colpevole davanti al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi [...]. In loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini» (cf. IM 11). Va dato perciò largo spazio, con sapiente equilibrio, ai metodi e alle nuove forme di linguaggio e comunicazione nella trasmissione della Parola di Dio, come sono: radio, TV, teatro, cinema, musica e canzoni, fino ai nuovi media, come CD, DVD, internet, ecc. Non si dimentichi però che il buon uso dei media richiede agli operatori pastorali serio impegno e competenza. Occorre integrare il messaggio stesso nella “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna, con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici.
 
I discepoli sopravvivono in mezzo ai lupi con Cristo come pastore: Perché dunque comanda ai santi apostoli, che sono innocenti pecore, di cercare la compagnia dei lupi e andare fra loro di loro volontà? Non è evidente il pericolo? Non sono posti come preda pronta per i loro attacchi? Come può una pecora prevalere su un lupo? Come può qualcuno così pacifico conquistare la ferocia delle bestie da preda? «Sì», dice, «perché tutti loro hanno come loro pastore: piccoli grandi, popolo e principi, maestri e allievi. Sarò con voi, vi aiuterò e vi libererò da ogni male. Domerò le bestie selvagge. Cambierò i lupi in pecore e farò sì che i persecutori diventino il sostegno dei perseguitati. Renderò quelli che fanno torto ai miei ministri partecipi dei loro devoti intenti. Io faccio e disfo tutte le cose e niente può resistere alla mia volontà»” (Cirillo di Alessandria, Commento a Luca, omelia 61).
 
San Girolamo: Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5,39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7,7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22,29). Se, infatti, al dire dell’apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.
 
I divini misteri che abbiamo ricevuto
nella gioiosa memoria di san Girolamo
risveglino, o Signore, i cuori dei tuoi fedeli,
perché, meditando i santi insegnamenti,
comprendano il cammino da seguire
e, seguendolo, ottengano la vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 29 Settembre 2021
 
Santi Michele, Gabriele, Raffaele Arcangeli - Festa
 
Dn 7,9-10.13-14 oppure Ap 12,7-12a; Sal 137 (138); Gv 1,47-51
 
Il Santo del Giorno - 29 Settembre 2021 - Michele, Gabriele e Raffaele. La loro voce ci parla di Dio e ci mostra il suo amore: Dio ci parla, si trasmette, comunica ogni giorno nella nostra vita attraverso innumerevoli voci: per ascoltare le sue parole è necessario però educare il cuore, vivere il discernimento, fare silenzio attorno a noi. I santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli, sono l’icona di questa dinamica, perché il loro compito è, secondo la tradizione, quello di mediare tra Dio e gli uomini. La loro stessa identità ci parla del Signore e del suo amore per noi, ricordandoci che Egli è unico (Michele l’avversario del maligno), ha un progetto di salvezza da offrire a tutto il mondo (Gabriele il messaggero) e ci sostiene a ogni nostro passo (Raffaele il soccorritore). La devozione per questi santi arcangeli ha radici antiche e il messaggio di speranza che essa porta ha un valore universale: ci rivela che Dio non parla solo agli “eletti” ma all’intera umanità.
 
Colletta:  O Dio, che con ordine mirabile affidi agli angeli e agli uomini la loro missione, fa’ che la nostra vita sia difesa sulla terra da coloro che in cielo stanno sempre davanti a te per servirti. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Servitori di Dio e di Cristo - Catechismo degli Adulti [378]: Nella nostra cultura dubbi e negazioni riguardo agli angeli e ai demòni coesistono con il fascino dell’occulto. Occorre chiarire e chiedersi: ci sono davvero queste presenze nella storia? quale incidenza hanno? La rivelazione attesta la creazione dei puri spiriti e la loro chiamata alla comunione con Cristo. Creati liberi, possono liberamente accogliere o rifiutare il disegno di Dio. Una parte di essi lo accoglie: sono gli angeli santi. Ora stanno davanti a Dio per servirlo, contemplano la gloria del suo volto e giorno e notte cantano la sua lode. «Potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola» (Sal 103,20), intervengono nella storia, a servizio del suo disegno di salvezza.
[379]  Cristo è il loro capo ed essi sono «i suoi angeli» (Mt 25,31); gli sono accanto come servitori in alcuni momenti decisivi della sua vita. Un angelo porta a Maria e a Giuseppe l’annuncio dell’incarnazione del Figlio di Dio; una moltitudine di angeli loda Dio per la sua nascita; un angelo lo protegge dalla persecuzione di Erode; gli angeli lo servono nel deserto; un angelo lo conforta nell’agonia del Getsemani; gli angeli annunciano la sua risurrezione; infine, saranno ancora gli angeli ad assisterlo nell’ultimo giudizio.
Protettori della Chiesa[380]  In modo analogo gli angeli accompagnano e aiutano la Chiesa nel suo cammino. Incoraggiano gli apostoli; li liberano dalla prigione; li sostengono nell’evangelizzazione. Proteggono tutti i fedeli e li guidano alla salvezza: «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita». Si comprende così la tradizionale e bella devozione agli angeli custodi.
 
I Lettura: In questa seconda parte del libro di Daniele predominano un linguaggio e uno stile che vengono definiti apocalittici (rivelazione). Le visioni sono caratterizzate da simboli complessi, per questo si ha spesso l’intervento di un angelo che le interpreta per Daniele. I troni che vengono collocati sono i troni dei giudici, i santi di Dio che vengono chiamati a giudicare con lui. Il fiume di fuoco che scorre dinanzi al vegliardo (Dio), simboleggia l’ira di Dio, quale fuoco divorante i suoi nemici. Il titolo Figlio dell’uomo (aramaico bar nasha’, o l’ebraico ben ‘adam) equivale in primo luogo a «uomo» (cfr. Sal 8,5). Ma l’espressione ha qui un senso particolare, eminente, per cui designa un uomo che supera misteriosamente la condizione umana. Nei vangeli indica Gesù. Una lettura delle visioni notturne alla luce del Nuovo Testamento fa comprendere che il testo parla di un futuro molto lontano dal tempo di Daniele, un futuro nel quale i cieli sono aperti.
 
Vangelo: Nell’incontrare Natanaèle, Gesù manifesta una conoscenza sovraumana: Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone (6,61; 13,1), e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta: Gesù, conosce tutti e non ha bisogno che alcuno dia testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosce quello che c’è nell’uomo (Gv 2,23-25). Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio… Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,47-51: In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
 
In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo - Giuseppe Segalla (Giovanni): È difficile trovare a questo detto una conveniente ed univoca circostanza storica: «il cielo aperto» farebbe pensare al battesimo di Gesù (Lc 3,21), gli angeli e il salire alla risurrezione, il Figlio dell’uomo alla parusia ed al giudizio finale, nella risposta di Gesù alla domanda del sommo sacerdote, che reinterpreta, come qui, la figura del Messia (Mc 14,62 par). Ciò che invece è certo è la allusione alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17) col senso conseguente che Gesù si considera mediatore fra Dio e gli uomini o, meglio, il luogo dell’autentica ed ultima rivelazione di presenziale di Giovanni. Già durante la sua vita terrena compare in Gesù la sua gloria di Unigenito. Il «Figlio dell’uomo», da figura centrale della escatologia futura, diviene una persona storica, in cui si rivela la presenza salvifica di Dio. «Figlio dell’uomo» ritorna 13 volte in Giovanni ed, eccetto 13,31, tutte nel «libro dei segni» (1-12): tre riguardano il suo «essere innalzato» (3,14; 8,28; 12,34); la maggior parte però riguarda la gloria futura e solo una ha carattere escatologico nel senso apocalittico (5,27).
 
San Michele: “Per quanto frammentarie, le notizie della Rivelazione sulla personalità ed il ruolo di San Michele sono molto eloquenti. Egli è l’Arcangelo che rivendica i diritti inalienabili di Dio. È uno dei principi del Cielo eletto alla custodia del Popolo di Dio, da cui uscirà il Salvatore. Ora il nuovo popolo di Dio è la Chiesa. Ecco la ragione per cui Essa lo considera come proprio protettore e sostenitore in tutte le sue lotte per la difesa e la diffusione del regno di Dio sulla terra. È vero che «le porte degli inferi non prevarranno», secondo l’assicurazione del Signore, ma questo non significa che siamo esenti dalle prove e dalle battaglie contro le insidie del maligno. In questa lotta, l’Arcangelo Michele è a fianco della Chiesa per difenderla contro tutte le nequizie del secolo, per aiutare i credenti a resistere al Demonio che «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare». Questa lotta contro il Demonio, che contraddistingue la figura dell’Arcangelo Michele, è attuale anche oggi, perché il Demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, il disordine che si riscontra nella società, l’incoerenza dell’uomo, la frattura interiore della quale è vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche effetto dell’azione infestatrice ed oscura del Satana, di questo insidiatore dell’equilibrio morale dell’uomo, che San Paolo non esita a chiamare «il dio di questo mondo», in quanto si manifesta come astuto incantatore, che sa insinuarsi nel gioco del nostro operare per introdurvi deviazioni tanto nocive, quanto all’apparenza conformi alle nostre istintive aspirazioni. Per questo l’Apostolo delle Genti mette i cristiani in guardia dalle insidie del Demonio e dei suoi innumerevoli satelliti, quando esorta gli abitanti di Efeso a rivestirsi «dell’armatura di Dio per poter affrontare le insidie del Diavolo, poiché la nostra lotta non è soltanto col sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i Dominatori delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria».” (Giovanni Paolo II, Discorso, 24 maggio 1987).
 
San Gabriele: “Gabriele [forza di Dio] è il messaggero della buona novella e viene inviato per annunciare agli uomini gli interventi straordinari dell’Eterno. A Daniele svela il piano di Dio [Dn 8,16; 9,21s];  a Zaccaria annuncia la nascita di Giovanni Battista [Lc 1,11-20]; a Maria, il mistero dell’Incarnazione [Lc 1,26-38] nella mirabile icona lucana della casa di Nazareth. In merito all’annunciazione, «era ben giusto che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi… Gabriele veniva per annunziare colui che si degnò di apparire nell’umiltà per debellare le potenze maligne dell’aria. Dove dunque essere annunziato da “fortezza” colui che veniva quale signore degli eserciti e forte guerriero» [S. Gregorio Magno]. «Come sono belli i passi di colui che reca un lieto annunzio», esclamiamo con parole bibliche. Il nostro pensiero va certamente a Gabriele, ma anche a tutte le persone che disseminano parole e sentimenti di pace e di speranza. Esse ci ricordano anche che ciascuno di noi cristiano è inviato a portare il lieto annuncio della liberazione da ogni forma di schiavitù, specialmente morale. Mi sovviene un canto intitolato «Meraviglioso» dove si parla di un angelo vestito da passante. Quando lungo le strade, nelle nostre piazze vediamo dei poliziotti ci sentiamo più sicuri e protetti. Sappiamo tuttavia che la loro presenza, mentre rassicura noi scatena in alcuni reazioni che rendono sempre più pericoloso il loro ministero. Ma, a parte questo, dovremmo essere tutti, l’un per l’altro, motivo di rassicurazione e di aiuto, differentemente da come la logica dominante e la prassi imperante ci costringe: sparlare, calunniare, trinciare giudizi, spargere parole amare. Se riscoprissimo la forza liberante vivificante e trasfigurante delle parole benevoli!” (Mons. Lucio A. M. Renna, Vescovo, Omelia, 29 Settembre 2013).
 
San Raffaele: “San Raffaele ci viene presentato soprattutto nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo vien sempre collegato anche quello di guarire. Il buon Samaritano, accogliendo e guarendo la persona ferita giacente al margine della strada, diventa senza parole un testimone dell’amore di Dio. Quest’uomo ferito, bisognoso di essere guarito, siamo tutti noi. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Dell’Arcangelo Raffaele si riferiscono nel Libro di Tobia due compiti emblematici di guarigione. Egli guarisce la comunione disturbata tra uomo e donna. Guarisce il loro amore. Scaccia i demoni che, sempre di nuovo, stracciano e distruggono il loro amore. Purifica l’atmosfera tra i due e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda per sempre. Nel racconto di Tobia questa guarigione viene riferita con immagini leggendarie. Nel Nuovo Testamento, l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato, viene guarito dal fatto che Cristo lo accoglie nel suo amore redentore. Egli fa del matrimonio un sacramento: il suo amore, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere «l’angelo» risanatore che li aiuta ad ancorare il loro amore al sacramento e a viverlo con impegno sempre rinnovato a partire da esso” (Benedetto XVI (Omelia, 29 Settembre 2007).
 
Gli Angeli pregano per noi: Origene, Contro Celso, 8,64: Uno solo è colui che dobbiamo placare e supplicare di esserci propizio: il Dio sommo, che possiamo placare con la pietà e ogni virtù. Se poi [Celso] ritiene che, dopo il sommo Iddio, dobbiamo ricercare il favore di qualche altro, consideri che, come il corpo in movimento è accompagnato dal movimento della sua ombra, così al favore del sommo Iddio segue continuamente la benevolenza degli angeli, delle anime e degli spiriti che a lui sono amici. Anch’essi conoscono infatti gli uomini degni della divina benevolenza e a questi non solo sono favorevoli, ma anche li aiutano nella loro intenzione di adorare il sommo Iddio, di placarlo, e con loro pregano, e con loro implorano. Tanto che osiamo dire che insieme con gli uomini, i quali con scelta decisa tendono al meglio e si dedicano alla preghiera, vi sono mille potenze celestiali, che pregano anche non chiamate; offrono il loro aiuto alla nostra schiatta mortale e, per così dire, sono in ansia vedendo i demoni che si oppongono e combattono la salvezza, soprattutto di coloro che si consacrano a Dio e non si curano dell’inimicizia demoniaca. E i demoni sono esasperati contro l’uomo che rifugge dal culto dei sacrifici e del sangue, che con i discorsi e le azioni cerca in ogni modo di riconciliarsi e unirsi al sommo Iddio per mezzo di Gesù; il quale sconfisse miriadi di demoni, quando passava sanando e convertendo gli oppressi dal diavolo (At 10,38).
 
Nutriti con il pane del cielo,
ti preghiamo, o Signore, perché, rinvigoriti dalla sua forza,
sotto la fedele custodia dei tuoi angeli
progrediamo con coraggio nella via della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
 

 

 28 Settembre 2021
 
Martedì XXVI Settimana T. O.
 
  Zc 8,20-23; Sal 86 (87); Lc 9,46-50
 
Il Santo del Giorno - 28 Settembre 2021 - Beata Amalia Abad Casasempere Madre di famiglia, martire: Amalia Abad Casasempere, fedele laica, nacque l’11 dicembre 1897 ad Alcoy, nei pressi di Alicante in Spagna. Fu battezzata il medesimo giorno, cresimata il 6 ottobre 1906 e ricevette la prima comunione il 22 maggio 1907 nella chiesa parrocchiale del paese. Il 6 settembre 1924 convolò a nozze con il capitano dell’esercito Luis Maestre Vidal, dal quale ebbe tre figlie, di cui una andò poi missionaria in Africa. Il focolare domestico era impregnato di una profonda religiosità. Amalia collaborò con numerose Associazioni apostoliche, specialmente con l’Azione Cattolica. Rimase vedova nel 1927, dopo soli tre anni di matrimonio. Allo scoppio della guerra civile e della persecuzione religiosa accolse in casa sua due religiose e si dedicò anche alla visita dei cattolici incarcerati, incoraggiandoli nel mantenere viva la loro fede ed aiutandoli anche materialmente. Imprigionata infine anch’essa, fu sottoposta a diverse vessazioni ed ebbe a soffrire parecchio la fame. Fu infine martirizzata presso Benillup il 28 settembre 1936. Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001 elevò agli onori degli altari ben 233 vittime della medesima persecuzione, tra le quali la Beata Amalia Abad Casasempere, che viene commemorata dal Martyrologium Romanum nell’anniversario del suo martirio. (Autore: Fabio Arduino)
 
Colletta: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, affrettandoci verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Lumen fidei 16: La prova massima dell’affidabilità dell’amore di Cristo si trova nella sua morte per l’uomo. Se dare la vita per gli amici è la massima prova di amore (cfr Gv 15,13), Gesù ha offerto la sua per tutti, anche per coloro che erano nemici, per trasformare il cuore. Ecco perché gli evangelisti hanno situato nell’ora della Croce il momento culminante dello sguardo di fede, perché in quell’ora risplende l’altezza e l’ampiezza dell’amore divino. San Giovanni collocherà qui la sua testimonianza solenne quando, insieme alla Madre di Gesù, contemplò Colui che hanno trafitto (cfr Gv 19,37): «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35). F. M. Dostoevskij, nella sua opera L’Idiota, fa dire al protagonista, il principe Myskin, alla vista del dipinto di Cristo morto nel sepolcro, opera di Hans Holbein il Giovane: «Quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno». Il dipinto rappresenta infatti, in modo molto crudo, gli effetti distruttivi della morte sul corpo di Cristo. E tuttavia, è proprio nella contemplazione della morte di Gesù che la fede si rafforza e riceve una luce sfolgorante, quando essa si rivela come fede nel suo amore incrollabile per noi, che è capace di entrare nella morte per salvarci. In questo amore, che non si è sottratto alla morte per manifestare quanto mi ama, è possibile credere; la sua totalità vince ogni sospetto e ci permette di affidarci pienamente a Cristo.
 
I Lettura: La profezia con cui si chiude la prima parte del libro di Zaccaria manifesta la presa di coscienza da parte del popolo di Israele della sua missione spirituale universale. Il profeta Zaccaria vede uno sciame di popoli che convergeranno verso Gerusalemme, la città santa, dove Iahvè ha posto la sua dimora. Popoli  e nazioni di tutto il mondo sono pervasi dal desiderio di fare parte del popolo eletto per partecipare ai prive ligi e alla salvezza che Iahvè ha promesso a Israele. Questa decisione è determinante a che gli uomini di tutto il mondo possano entrare nella stessa alleanza con Iahvè: «In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi”» (Zac 8,23)
 
Vangelo: Inizia una nuova sezione del Vangelo secondo Luca: il “grande viaggio” che si concluderà a Gerusalemme con la morte di Gesù su una croce, in piena e perfetta obbedienza alla volontà del Padre.
Gesù è consapevole che se andrà a Gerusalemme inevitabilmente l’odio dei Farisei si abbatterà su di lui, sa che lo uccideranno, ma è il “progetto di salvezza” che deve essere compiuto. I discepoli pur conoscendo questo progetto vogliono fermare Gesù, come nota l’evangelista Luca, egli prende la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Non sarà l’amore e la benevolenza dei suoi discepoli a fermarlo, e nemmeno l’ostilità dei samaritani, o l’odio dei Farisei, l’obbedienza al Padre e l’urgenza del Vangelo hanno il primato assoluto nella sua vita. Rimproverando lo zelo violento dei discepoli che volevano incenerire il villaggio di samaritani inospitali, Gesù fa intendere a chiare lettere che per la sua Chiesa non ci sono nemici e tanto meno persone da distruggere. L’invio dei messaggeri indica alle comunità cristiane la loro missione: annunciare al mondo la morte di Gesù, e la sua risurrezione al terzo giorno.
 
Dal Vangelo secondo Luca 9,51-56: Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.  
L’espressione “i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto oltre i giorni dell’assunzione di Gesù” (cfr. At 1,2) ricorda anche i giorni della passione, morte e resurrezione. La frase prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme, in greco letteralmente suona “egli indurì il volto per andare a Gerusalemme”, un modo di dire semitico (cfr. Ger 21,10; Ez 6,2; 21,2) con cui l’evangelista Luca vuole sottolineare la risolutezza di Gesù nell’affrontare il suo destino di morte che lo attende a Gerusalemme: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,50). La stessa espressione la troviamo in Isaia 50,7 quando si sottolinea la missione del Servo sofferente: «II Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso». Il percorso più rapido che dalla Galilea porta a Gerusalemme prevede l’attraversamento della regione dei Samaritani, i quali, sempre molto mal disposti verso i Giudei (cfr. Gv 4,9), si rifiutano di accogliere Gesù. Da qui l’inimmaginabile reazione degli apostoli Giacomo e Giovanni. La richiesta dei «figli del tuono» (Mc 3,17) cavalca l’onda di un messianismo terreno e ricorda 2Re 1,10-12 in cui Elia, per due volte, chiama il fuoco dal cielo per incenerire i suoi nemici. La risposta di Gesù non si fa attendere ed è molto dura: si voltò e li rimproverò. Il verbo che Luca usa è “epitimao” che significa, letteralmente, “vincere con un comando, minacciare”, usato da Gesù negli esorcismi. In questo modo il senso della richiesta e del rimprovero si fanno più chiari. In sostanza, come Satana, Giacomo e Giovanni propongono a Gesù un messianismo trionfalistico che sottende il rifiuto della croce. A questa proposta Gesù si oppone con forza. È lo stesso rimprovero che aveva mosso a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23). Alla luce della proposta dei figli di Zebedeo, l’insegnamento di Gesù suona come monito anche per noi, spesso tanto bellicosi a tal punto da voler incendiare il mondo intero.
 
Il rifiuto di Samaria e l’inizio del cammino (vv. 51-56) - Rosanna Virgili (Vangelo secondo Luca): I versetti iniziali introducono il tempo di tutto il cammino che va fino alla fine del vangelo. La menzione dei «giorni della sua salita (analémpseos)» evoca l’ascensione del Signore risorto in Le 24,51 («Mentre li benediceva, si separò da loro e veniva fatto salire su, in cielo»), cioè del suo ritorno al Padre. All’origine di questo cammino che si concluderà con la morte e poi con la risurrezione, c’ è la decisione di Gesù, segno di come la croce non fosse la meccanica esecuzione di una volontà divina, ma come il Figlio vi partecipasse con la propria fede.
Gesù «rese duro il suo volto» (v. 51, to prosopon estérisen), proprio come il Servo, per affrontare il suo destino di sofferenza (cf Is 50,6-7). I preparativi per la partenza vengono fatti in Samaria, che si mostra chiusa all’accoglienza del Maestro (v. 53, cf v. 48). Un dettaglio teologico, più che di cronaca, per manifestare come la salvezza che sarebbe venuta da Gesù dovesse appartenere alla Giudea ed a Gerusalemme e non alla Samaria (cf Gv 4,22: «La salvezza viene dai giudei»). La reazione di Giacomo e Giovanni è tipica dell’atteggiamento profetico (cf 2Re 1,10-14), ma Gesù li rimprovera. Nonostante la città dove la sua resa di amore dovrà consumarsi fosse Gerusalemme, Gesù amerà Samaria e apprezzerà i samaritani; più dei giudei (cf Lc 10,29-36; 17,15-17).
Ancor più toccante è, per questo, la reazione frequente di rifiuto che Gesù si trova ad avere. Oltre che qui, all’inizio del cammino per Gerusalemme, Gesù fu rifiutato a Nazaret dai suoi concittadini (cf 4,28-29), all’inizio della missione in Galilea, e poi sarà rifiutato a Gerusalemme (cf 19,41-44). Il modello è quello del profeta perseguitato, secondo la profezia di Simeone (il “segno di contraddizione” di Lc 2,34).
 
Dei Verbum 14: Iddio, progettando e preparando nella sollecitudine del suo grande amore la salvezza del genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo al quale affidare le promesse. Infatti, mediante l’alleanza stretta con Abramo (cfr. Gn 15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele (cfr. Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s’era acquistato come l’unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti (cfr. Sal 21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17). L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: «Quanto fu scritto, lo è stato per nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza» (Rm 15,4).
 
Come seguire Gesù - Ambrogio, In Luc., 7,27s.: E se egli rimprovera i discepoli che volevano far discendere il fuoco su coloro che non avevano voluto accogliere Cristo (cfr. Lc 9,55), questo ci indica che non sempre si devono colpire coloro che hanno peccato: spesso giova di più la clemenza, sia a te, perché fortifica la tua pazienza, sia al colpevole, perché lo spinge a correggersi. Ma il Signore agisce mirabilmente in tutte le sue opere. Egli non accoglie colui che si offre con presunzione, mentre non si adira contro coloro che, senza nessun riguardo, respingono il Signore. Egli vuole così dimostrare che la virtù perfetta non ha alcun desiderio di vendetta, che non c’è alcun posto per la collera laddove c’è la pienezza della carità, e che, infine, non bisogna respingere la debolezza ma aiutarla. L’indignazione stia lungi dalle anime pie, il desiderio della vendetta sia lontano dalle anime grandi; e altrettanto lontano stia dai sapienti l’amicizia sconsiderata e l’incauta semplicità. Perciò egli dice a quello: «Le volpi hanno tane»; il suo ossequio non è accettato perché non è trovato effettivo. Con circospezione si usi dell’ospitalità della fede, nel timore che aprendo agli infedeli l’intimità della nostra dimora si finisca col cadere, per la nostra imprevidente credulità, nella rete della cattiva fede altrui.
 
Questo sacramento di vita eterna
ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo,
perché, annunciando la morte del tuo Figlio,
partecipiamo alla sua passione
per diventare eredi con lui nella gloria.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 

 

27 Settembre 2021
 
Lunedì XXVI Settimana T. O.
 
San Vincenzo de’ Paoli, presbitero - Memoria
 
 Zc 8,1-8; Sal 101 (102); Lc 9,46-50
 
Il Santo del Giorno - 27 Settembre 2021 -  San Vincenzo de’ Paoli: Come Dio, con la mano tesa verso chi vive nel bisogno: Con la mano tesa verso l’umanità ferita, abbandonata, emarginata, privata di tutto: così si presenta Dio nella storia, così agiscono i cristiani. E fu questo lo stile di vita di san Vincenzo de’ Paoli, che ci ha lasciato in eredità una grande famiglia di persone impegnate accanto agli ultimi. Nato in Guascogna nel 1581, da giovane era stato guardiano di porci, anche se poi aveva scelto il sacerdozio. Nel 1605 venne fatto schiavo da pirati turchi e venduto a Tunisi, ma nel 1607 riuscì a fuggire, arrivando prima a Roma e poi a Parigi, dove fu parroco e precettore. Si trovò in seguito a guidare una parrocchia di campagna, tra i poveri: qui maturò il seme della sua opera di carità tra i bisognosi. Tra il 1618 e il 1626 fondò i Preti della Missione (Lazzaristi) e insieme a santa Luisa de Marillac nel 1633, le Figlie della Carità. Morì nel 1660. (Autore Matteo Liut)
 
Colletta: O Dio, che per il servizio ai poveri e la formazione dei tuoi ministri hai ricolmato di virtù apostoliche il santo presbitero Vincenzo [de’ Paoli], fa’ che, animati dal suo stesso spirito, amiamo ciò che egli ha amato e mettiamo in pratica i suoi insegnamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
E, preso un bambino...: Giovanni Paolo II (Messaggio per la Quaresima 2004): Il tema di quest’anno - “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5) - offre l’opportunità di riflettere sulla condizione dei bambini, che anche oggi Gesù chiama a sé e addita come esempio a coloro che vogliono diventare suoi discepoli. Le parole di Gesù costituiscono un’esortazione a esaminare come sono trattati i bambini nelle nostre famiglie, nella società civile e nella Chiesa. E sono anche uno stimolo a riscoprire la semplicità e la fiducia che il credente deve coltivare, imitando il Figlio di Dio, il quale ha condiviso la sorte dei piccoli e dei poveri. In proposito, santa Chiara d’Assisi amava dire che Egli, “posto in una greppia, povero visse sulla terra e nudo rimase sulla croce” (Testamento, Fonti Francescane n. 2841). Gesù amò i bambini e li predilesse “per la loro semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, e la loro fede piena di stupore” (Angelus del 18.12.1994). Egli, pertanto, vuole che la comunità apra loro le braccia e il cuore come a Lui stesso: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5). Ai bambini Gesù affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché in loro Egli si rende particolarmente presente.
 
I Lettura: La parola del Signore vuole infondere ottimismo, fiducia, Dio per il suo popolo sa fare anche “miracoli”, l’oracolo vuole ricordare che l’amore di Dio per Israele è rimasto inalterato. Dio non si è stancato del suo popolo, rinnova la sua alleanza, e la longevità degli abitanti e l’abbondanza dei figli è il segno che questa parola è vera, e si realizzerà.
 
Vangelo: Nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande: la discussione dei discepoli, nell’ambiente giudaico, era d’obbligo e di grande importanza quando più uomini si venivano a trovare insieme. L’imbarazzo dei discepoli è dovuto dal fatto che essi comprendevano che tali discorsi erano contrari agli insegnamenti di Gesù. I bambini da accogliere nel nome di Gesù sono gli uomini più reietti, gli infelici, quelli che hanno bisogno di tutto: nel debole, nel povero risplende il volto del Cristo.
 
Dal Vangelo secondo Luca 9,46-50: In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
 
Dio ed i bambini: T. Roy (Bambino, DTB): Già nel AT il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio. Il Signore stesso è il protettore dell’orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22,21ss; Sal 68,6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele «quando era bambino», al tempo dell’uscita dall’Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11,14). I bambini non sono esclusi dal culto di Jahve, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2,16; Giudit 4,10s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sal 8,2s; Mi 21,16). Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l’esperienza dell’amore «materno» di Dio (Is 66,10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l’immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sal 131,2). Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahve e la trasmette fedelmente (1Sam 1-3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1Sam 16,1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Dan 13,44-50). Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7,14ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9,1-6).
Gesù e i Bambini - Non era perciò conveniente che, per inaugurare la nuova alleanza, il Figlio di Dio si facesse bambino? Luca ha notato con cura le tappe dell’infanzia così percorse: neonato del presepio (Lc 2,12), piccino presentato al tempio (2,27), bambino sottomesso ai genitori, e tuttavia misteriosamente indipendente da essi nella sua dipendenza dal Padre suo (2,43-51). Fatto adulto, Gesù nei confronti dei bambini adotta lo stesso comportamento di Dio. Come aveva dichiarato beati i poveri, così benedice i bambini (Mc 10,16), rivelando in tal modo che essi sono, gli uni e gli altri, atti ad entrare nel regno; i bambini simboleggiano i discepoli autentici, «il regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro» (Mt 19,14 par.). Di fatto si tratta di «accogliere il regno come bambini» (Mc 10,15), di riceverlo con tutta semplicità come un dono del Padre, invece di esigerlo come qualcosa di dovuto; bisogna «diventare come bambini» (Mt 18, 3) ed acconsentire a «rinascere» (Gv 3,5) per accedere a questo regno. Il segreto della vera grandezza è «di farsi piccoli» come i bambini (Mt 18,4): questa è la vera umiltà, senza la quale non si può diventare figli del Padre celeste. I veri discepoli sono precisamente i «piccolissimi», a cui il Padre ha voluto rivelare, come un tempo a Daniele, i suoi segreti nascosti ai sapienti (Mi 11,25s). D’altronde, nel linguaggio del vangelo, «piccolo» e «discepolo» sembrano talvolta termini equivalenti (cfr. Mt 10,42 e Mc 9,41). Beati coloro che accolgono uno di questi piccoli (Mt 18, 5; cfr. 25,40), ma guai a chi li scandalizza o li disprezza (18,6.10).
 
Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande - P. Silvio Maria Giraud: L’Umiltà è virtù meravigliosa, misteriosa del pari e semplice; virtù profonda, potente ed estesa, altrettanto facile a conoscersi come difficile a praticarsi; così oscura quaggiù, più oscura ancora nel suo trionfo in cielo; virtù universale e richiesta da tutte le altre; virtù necessaria ad ogni stato e ad ogni grado della vita cristiana; virtù che è l’essenza e come, la sostanza della grazia sacerdotale: chi dice Sacerdote, dice Umiltà. Se avremo la fortuna di intenderne l’eccellenza, di lasciarci vincere dalle sue attrattive, dalla sua grazia così pura, e infine di fame la consigliera, la direttrice, l’amica e la compagna assidua della nostra vita, noi possederemo un carattere infallibile di Predestinazione; poiché sta scritto: Humilibus dat gratiam... Humiles spiritu salvabit [l Pt 5,5; Gc 4,6; Prov 3,34; Sal 23,19]. L’Umiltà è quella virtù, la quale, fondata sulla conoscenza di Dio e di noi stessi per mezzo della Fede, ci porta ad abbassarci, dimenticando, anzi disprezzando noi medesimi. Così da varie parole: dei Padri e dei Dottori della Chiesa. L’Umiltà, quindi, è Figlia della Fede; e, perché la Fede è una partecipazione della luce eterna, nella quale gli Eletti vedono l’essenza divina e, in questa, ogni cosa; la luce di Dio è pure il principio dell’Umiltà. Non è dunque una virtù cieca e ingannevole. Essa invece è piena di chiarezze, ed è infallibile nei suoi giudizi. L’Umiltà vede, da una parte, Dio con tutte le sue perfezioni; dall’altra, il nulla delle creature e i disordini causati dalla loro perversa volontà. Dio è tutto per essa, e in essa tutto è sottomissione a Dio: la creatura le appare come un nulla in se stessa, e come degna, nella sua perversità, di abiezione e di disprezzo. L’Umiltà è quindi in un modo ammirabile una virtù dello stato di Ostia, poiché, con lo sguardo fisso sopra la grandezza di Dio e il nulla della creatura, sottomette, in modo assoluto, la creatura a Dio. Essa non vuol veder altro che quel Tutto divino e assoluto, e vuole che non vi sia gloria che per Lui. L’Umiltà ha fatto dire quella bella parola d’un Profeta: Domino Deo nostro Justitia: nobis autem confusio faciei nostrae (Bar 1,15), e ha dato occasione a quest’altra più magnifica ancora: Si ego glorifico meipsum, gloria mea nihil est (Gv 8,54). Sotto questo aspetto, essa diventa una virtù universale. Per l’Umiltà, tutte le opere nostre, tutte, senza nessuna eccezione, vengono riferite a Dio; nulla, assolutamente nulla ne resta per noi, perché non siamo nulla, non possiamo nulla, non abbiamo diritto a nulla.
 
Maestro, abbiamo visto… - L’invidia: Catechismo della Chiesa Cattolica 2539-2540: L’invidia è un vizio capitale. Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, sia pure indebitamente. Quando arriva a volere un grave male per il prossimo, l’invidia diventa peccato mortale: Sant’Agostino vedeva nell’invidia «il peccato diabolico per eccellenza». «Dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna». L’invidia rappresenta una delle forme della tristezza e quindi un rifiuto della carità; il battezzato lotterà contro l’invidia mediante la benevolenza. L’invidia spesso è causata dall’orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell’umiltà. «Vorreste vedere Dio glorificato da voi? Ebbene, rallegratevi dei progressi del vostro fratello, ed ecco che Dio sarà glorificato da voi. Dio sarà lodato - si dirà - dalla vittoria sull’invidia riportata dal suo servo, che ha saputo fare dei meriti altrui il motivo della propria gioia».
 
San Massimo di Torino: «Chi saprà essere piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli». Noi comprendiamo così che è per mezzo dell’umiltà che si giunge al regno, e per mezzo della semplicità che si entra in cielo. Colui che desidera arrivare alle vette della divinità si dedichi dunque ad abbassarsi nell’umiltà; chiunque voglia precedere suo fratello nel regno, lo preceda innanzi tutto servendolo, come dice l’apostolo: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda» [Rom 12,10]; egli trionfi per mezzo delle sue buone azioni per poter trionfare per mezzo della santità. Perché se un fratello non ti fa un torto, il suo atteggiamento merita il tuo amore; e se ti fa un torto, merita ulteriormente che tu prevalga su di lui. Il punto più alto del nostro cristianesimo è dare il nostro amore a coloro che ci amano, e la pazienza a coloro che ci fanno un torto. Così colui che sarà stato il più paziente davanti alle ingiurie, sarà il più potente nel regno.
 
Nutriti dei sacramenti del cielo,
umilmente ti preghiamo, o Padre:
come l’esempio di san Vincenzo [de’ Paoli]
ci sprona a imitare il tuo Figlio,
venuto a evangelizzare i poveri,
così la sua intercessione sempre ci soccorra.
Per Cristo nostro Signore.