1 Luglio 2019
Lunedì della XIII Settimana T. O.
Gn 18,16-33; Sal 102 (103); Mt 8,18-22
Colletta: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Gesù aveva operato dei miracoli: aveva guarito un lebbroso (Mt 8,1-4), il servo di un centurione romano (Mt 8,5-13), la suocera di Pietro (Mt 8,14-15), e nel chiudere la faticosa giornata gli avevano portato molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati (Mt 8,16). Eventi portentosi che erano avvenuti sotto gli occhi di innumerevoli testimoni e quindi non potevano passare inosservati, e da qui la fama di Gesù, come taumaturgo, volava di bocca in bocca, raggiungendo anche i paesi più lontani della Palestina. Molto probabilmente lo scriba e il discepolo furono spinti a fare la richiesta di seguire Gesù perché stupefatti da ciò che avevano visto con i loro occhi e udito con le loro orecchie. Ma si accorgeranno ben presto che non è facile seguire Gesù, non è una allegra scampagnata, le esigenze sono quasi al di là delle forze umane: al primo viene richiesta la povertà piena, il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo; al secondo la rinuncia totale, anche degli affetti più cari: Seguimi, lascia che i morti seppelliscano i loro morti. In verità, Gesù, con le sue risposte, sta svelando ai due richiedenti il loro cuore: il primo, prima o poi, dinanzi alle radicali esigenze evangeliche avrebbe abbandonato il cammino, il secondo se non si fosse deciso di recidere le radici che lo tenevano avvinghiato al suo mondo sarebbe rimasto per sempre morto dentro. Parole, quelle di Gesù, che indicano la via per la sequela cristiana: povertà, radicalità, novità di vita, universalità, primato di Dio, mettere al centro della propria vita Gesù, e soltanto lui. Questa è l’unica via per mettersi dietro al Maestro e solo con lo sguardo fisso a Gesù, senza volgersi indietro o titubare, si è degni di entrare nel Regno dei Cieli.
Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 8,18-22: In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Le volpi hanno le loro tane - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Tutti noi abbiamo una casa, o almeno aspiriamo ad averla. Il bisogno di sicurezza nell’intimità della casa ci è connaturale. Nonostante la nostra irrequietezza, il nostro cambiar sede e viaggiare - per scelta o per necessità - desideriamo sempre avere un luogo preciso dove tornare; aspiriamo a una patria, a una terra dove vivere. Perfino gli animali hanno una dimora fissa, oggetto, per istinto, delle loro continue cure.
Con Gesù è diverso! Quando è partito da Nazaret ha rinunciato alla sicurezza della casa. Non abitare in una casa propria è nota essenziale della sua nuova vita; non si allontana per breve tempo da un luogo ben preciso, per farvi poi ritorno; al contrario tutta la sua vita è un peregrinare: «Non ha dove posare il capo».
Questa scelta non dipende unicamente dalla sua vocazione di annunziare ovunque il me saggio della salvezza, ma è parte essenziale della sua spoliazione, della sua vita di «servo» che si dona totalmente e rinuncia, di conseguenza, anche al calore e all’intimità di un focolare. Prima di prendere una decisione - per non restare delusi - dobbiamo entrare in questa mentalità del Maestro, qualora egli ci prenda in parola.
Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo - Santi Grasso (Il Vangelo di Matteo): La risposta paradossale di Gesù di stile sapienziale, è tesa ad indicare come la sua sorte non sia nemmeno paragonabile a quella delle volpi e degli uccelli (Sal 84,4. 104,12.17), ma stia sotto il segno dell’incertezza che coinvolge anche chi lo segue. Egli traccia il profilo della sequela, caratterizzata dall’insicurezza e dallo sradicamento. Per la prima volta in Matteo, parla di sé attraverso il personaggio del Figlio dell’uomo. Il primo vangelo usa questo appellativo, che non è mai contenuto di professione di fede, in maniera frequente e regolare (30 volte), ponendolo esclusivamente sulle labbra di Gesù con verbi alla terza persona singolare. Il racconto non è interessato a riportare l’esito dell’incontro, ma a mettere in luce come qualsiasi discepolo sia chiamato a condividere con il Figlio dell’uomo un futuro che è sotto il segno dell’incognita.
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; la risposta di Gesù ha una formulazione che tende al paradosso; essa va illuminata con il principio stabilito da Gesù in Mt., 10, 37. Cristo non è senza pietà, né senza cuore; egli vuole semplicemente stabilire la gerarchia dei valori: anche i più sacri doveri umani sono subordinati alle esigenze divine, com’è quella dell’apostolato. Il detto, studiato nel contesto, trova la sua esatta spiegazione. Il Maestro sta per attraversare il lago con la barca; in questa circostanza un discepolo gli chiede di restare per seppellire il proprio padre; Gesù lo avverte che, data l’imminenza del viaggio, le necessità dell’apostolato non vanno posposte ai doveri della pietà verso i propri cari. I morti seppelliscano i morti; il termine morti ripetuto ha una diversa accezione: nel primo caso ha senso metaforico, indica cioè coloro che non vivono, né sentono i supremi interessi di Dio e dell’anima, nel secondo ha un senso proprio. Chi non vive per il regno rimanga a seppellire i propri morti.
Il “Figlio dell’uomo” - Jean Delorme: La tradizione giudaica. - L’apocalittica giudaica posteriore al libro di Daniele ha ripreso il simbolo del figlio d’uomo, ma interpretandolo in modo strettamente individuale e accentuandone gli attributi trascendenti. Nelle parabole di Enoch (la parte più recente del libro), è un essere misterioso, dimorante presso Dio, possessore della giustizia e rivelatore dei beni della salvezza, tenuti in serbo per la fine dei tempi; allora egli siederà sul suo trono di gloria, giudice universale, salvatore e vendicatore dei giusti, che vivranno presso di lui dopo la loro risurrezione. Gli vengono attribuiti alcuni dei tratti del messia regale e del servo di Jahve (egli è l’eletto di giustizia, cfr. Is 42,1), ma non si parla a suo riguardo di sofferenza ed egli non ha una origine terrena. Benché la data delle parabole di Enoch sia discussa, esse rappresentano uno sviluppo dottrinale che doveva essere acquisito in taluni ambienti giudaici prima del ministero di Gesù. D’altronde l’interpretazione di Dan 7 ha lasciato tracce nel libro IV di Esdra e nella letteratura rabbinica. La fede in questo salvatore celeste che sta per rivelarsi prepara l’uso evangelico dell’espressione «figlio dell’uomo».
Nei vangeli, «figlio dell’uomo» (espressione greca ricalcata su una aramaica, che si sarebbe dovuto tradurre «figlio d’uomo») si trova settanta volte. A volte è solo l’equivalente del pronome personale «io» (cfr. Mt 5,11 e Lc 6,22; Mt 16,13-21 e Mc 8,27-31). Il grido di Stefano che vede «il figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio» (Atti 7,56) può indicare che questa concezione era viva in certi ambienti della Chiesa nascente. Ma la loro influenza non è sufficiente a spiegare tutti gli usi evangelici di questa espressione. Il fatto che essa compaia esclusivamente sulla bocca di Gesù presuppone che la si sia ritenuta una delle sue espressioni tipiche, mentre la fede postpasquale lo designava con altri titoli. A volte Gesù non si identifica esplicitamente con il figlio dell’uomo (Mt 16,27; 24,30 par.); ma altrove è chiaro che parla di se stesso (Mt 8,20 par.; 11,19; 16,13; Gv 3,13s; 12,34). È possibile che abbia scelto l’espressione a motivo della sua ambiguità: suscettibile di un senso banale («l’uomo che io sono»), essa racchiudeva pure una netta allusione all’apocalittica giudaica.
Seguimi: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 ottobre 1987): Gesù chiama a seguire lui personalmente. Questa chiamata sta, si può dire, al centro stesso del Vangelo. Da una parte Gesù rivolge questa chiamata, dall’altra sentiamo gli evangelisti parlare di uomini che lo seguono, e anzi, di alcuni di essi che lasciano tutto per seguirlo. Pensiamo a tutte quelle chiamate di cui ci hanno trasmesso notizie gli evangelisti: “Uno dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt 8,21-22): modo drastico di dire: lascia tutto, subito, per me. Così nella redazione di Matteo. Luca aggiunge la connotazione apostolica di questa vocazione: “Tu va’ e annunzia il regno di Dio” (Lc 9,60). Un’altra volta, passando accanto al banco delle imposte, disse e quasi impose a Matteo, che ci attesta il fatto: “Seguimi. Ed egli si alzò e lo segui” (Mt 9,9; cfr. Mc 2,13-14). Seguire Gesù significa spesso lasciare non solo le occupazioni e recidere i legami che si hanno nel mondo, ma anche staccarsi dalla condizione di agiatezza in cui ci si trova, e anzi dare i propri beni ai poveri. Non tutti si sentono di fare questo strappo radicale: non se la sentì il giovane ricco, che pure fin dalla fanciullezza aveva osservato la Legge e forse cercato seriamente una via di perfezione. Ma “udito questo (cioè l’invito di Gesù), se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze” (Mt 19,22; cfr. Mc 10,22). Altri, invece, non solo accettano quel “Seguimi”, ma, come Filippo di Betsaida, sentono il bisogno di comunicare ad altri la loro convinzione di aver trovato il Messia (Gv 1,43ss.). Lo stesso Simone si sente dire fin dal primo incontro: “Tu ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42). L’evangelista Giovanni annota che Gesù “fissò lo sguardo su di lui”: in quello sguardo intenso vi era il “Seguimi” più forte e accattivante che mai. Ma sembra che Gesù, data la vocazione tutta speciale di Pietro (e forse anche il suo naturale temperamento) voglia far maturare gradualmente la sua capacità di valutare e accettare quell’invito. Il “Seguimi” letterale per Pietro verrà infatti dopo la lavanda dei piedi in occasione dell’ultima cena (cfr. Gv 13,36), e poi, in modo definitivo, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade (Gv 21,19).
Maestro, ti seguirò dovunque tu vada: Benedetto XVI (Angelus, 27 giugno 2010): [...] Gesù [...], mentre cammina per la strada, diretto a Gerusalemme, incontra alcuni uomini, probabilmente giovani, i quali promettono di seguirlo dovunque vada. Con costoro Egli si mostra molto esigente, avvertendoli che “il Figlio dell’uomo – cioè Lui, il Messia – non ha dove posare il capo”, vale a dire non ha una propria dimora stabile, e che chi sceglie di lavorare con Lui nel campo di Dio non può più tirarsi indietro (cfr. Lc 9,57-58.61-62). Ad un altro invece Cristo stesso dice: “Seguimi”, chiedendogli un taglio netto dei legami familiari (cfr. Lc 9,59-60). Queste esigenze possono apparire troppo dure, ma in realtà esprimono la novità e la priorità assoluta del Regno di Dio che si fa presente nella Persona stessa di Gesù Cristo. In ultima analisi, si tratta di quella radicalità che è dovuta all’Amore di Dio, al quale Gesù stesso per primo obbedisce. Chi rinuncia a tutto, persino a se stesso, per seguire Gesù, entra in una nuova dimensione della libertà, che san Paolo definisce “camminare secondo lo Spirito” (cfr. Gal 5,16). “Cristo ci ha liberati per la libertà!” - scrive l’Apostolo - e spiega che questa nuova forma di libertà acquistataci da Cristo consiste nell’essere “a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,1.13). Libertà e amore coincidono! Al contrario, obbedire al proprio egoismo conduce a rivalità e conflitti.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «“Seguimi” non è un’indicazione precisa. È un: “Fidati e vedrai!”» (Don Marco Pedron).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
La divina Eucaristia, che abbiamo offerto e ricevuto, Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.