1 APRILE 2024
 
LUNEDÌ FRA L’OTTAVA DI PASQUA

At 2,14.22-33; Salmo Responsoriale Dal Salmo 15 (16);  Mt 28,8-15
 
Dom Guy-Marie Oury: Il Tempo di Pasqua dura cinquanta giorni, sette volte sette giorni, una settimana di settimane, con un domani; e il numero sette è un’immagine della pienezza (si pensi al racconto della creazione nel primo capitolo della Genesi), l’unità che si aggiunge a questa pienezza moltiplicata apre su un aldilà. È così che il tempo di Pasqua, con la gioia prolungata del trionfo pasquale, è divenuto per i padri della Chiesa l’immagine dell’eternità e del raggiungimento del mistero del Cristo. Per Tertulliano alla fine del secondo secolo, la cinquantina pasquale è il tempo della grande allegrezza durante il quale si celebra la fase gloriosa del mistero delle redenzione dopo la risurrezione del Cristo, fino all’effusione dello Spirito sui discepoli e su tutta la Chiesa nata dalla Passione del Cristo. Secondo sant’Ambrogio: «I nostri avi ci hanno insegnato a celebrare i cinquanta giorni della Pentecoste come parte integrante della Pasqua». A ciò che un solo giorno è troppo breve per celebrare, la Chiesa consacra cinquanta giorni, che sono estensione della gioia pasquale; il digiuno è stato sempre bandito in questo periodo, anche dai più austeri degli asceti. I cinquanta giorni sono come una sola domenica. Gioia, rendimento di grazie, celebrazione della luce e della vita, tale è il tempo pasquale. Evidentemente, l’ottava di Pasqua ha un carattere più pronunciato di allegrezza e di meditazione sul fatto della risurrezione del Cristo e della nascita del cristiano nel battesimo, che è una partecipazione alla vita risuscitata del Cristo, mediante una nuova nascita e un pegno della risurrezione futura. Ma tutta la cinquantina ha più o meno questo carattere: vi si canta continuamente l’Alleluia. Sono privilegiati gli epiloghi evangelici delle manifestazioni di Gesù dopo la risurrezione, ma anche, secondo san Giovanni, il suo ultimo discorso, gli ultimi insegnamenti sul comandamento dell’amore, l’unione intima fra lui e suo Padre, la promessa di un altro consolatore, lo Spirito di verità, la grande preghiera sacerdotale per l’unità. Nel quarantesimo giorno si celebra l’Ascensione di Cristo al cielo, e i giorni che seguono sono una lunga preghiera per la venuta dello Spirito, in unione con i discepoli e Nostra Signora del Cenacolo.
 
Colletta
O Padre, che fai crescere la tua Chiesa
donandole sempre nuovi figli,
concedi ai tuoi fedeli di custodire nella vita
il sacramento che hanno ricevuto nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Papa Francesco (Regina Caeli 18 Aprile 2022): I giorni nell’Ottava di Pasqua sono come un unico giorno in cui si prolunga la gioia della Risurrezione. Così il Vangelo della Liturgia odierna continua a raccontarci del Risorto, della sua apparizione alle donne che si erano recate al sepolcro (cfr Mt 28,8-15). Gesù va loro incontro, le saluta; poi dice loro due cose, che farà bene anche a noi accogliere, come dono pasquale. Sono due consigli del Signore, un dono pasquale.
Per prima cosa le rassicura con due semplici parole: «Non temete» (v. 10). Non avere paura. Il Signore sa che i timori sono i nostri nemici quotidiani. Sa pure che le nostre paure nascono dalla grande paura, la paura della morte: paura di svanire, di perdere le persone care, di star male e non farcela più... Ma a Pasqua Gesù ha vinto la morte. Nessun altro, dunque, può dirci in modo più convincente: “Non temere”, “non avere paura”. Il Signore lo dice proprio lì, accanto al sepolcro da cui è uscito vittorioso. Ci invita così a uscire dalle tombe delle nostre paure. Ascoltiamo bene: uscire dalle tombe delle nostre paure, perché le nostre paure sono come le tombe, ci seppelliscono dentro. Egli sa che il timore sta sempre accovacciato alla porta del nostro cuore e che abbiamo bisogno di sentirci ripetere non temere, non avere paura, non temere: al mattino di Pasqua come al mattino di ogni giorno sentire: “Non temere”. Abbi coraggio. Fratello, sorella che credi in Cristo, non temere! “Io – ti dice Gesù – ho provato per te la morte, ho preso su di me il tuo male. Ora sono risorto per dirti: Sono qui, con te, per sempre. Non temere!”. Non abbiate paura.
Ma come fare, possiamo dire, a combattere la paura? Ci aiuta la seconda cosa che Gesù dice alle donne: «Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (v. 10). Andate ad annunciare. La paura ci chiude sempre in noi stessi; ci chiude in noi stessi. Gesù, invece, ci fa uscire e ci manda agli altri. Ecco il rimedio. Ma io – possiamo dire – non sono capace! Ma pensate, quelle donne non erano certo le più adatte e preparate per annunciare il Risorto, ma al Signore non importa. A Lui importa che si esca e si annunci. Uscire e annunciare. Uscire e annunciare. Perché la gioia pasquale non è da tenere per sé. La gioia di Cristo si rafforza donandola, si moltiplica condividendola. Se ci apriamo e portiamo il Vangelo, il nostro cuore si dilata e supera la paura. Questo è il segreto: annunciare per vincere la paura.
 
Prima Lettura: La prima lettura è una parte del discorso che Pietro pronunciò a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste. La risurrezione di Gesù poggia su due solide testimonianze ed è quindi veritiera (cfr. Dt 19,15; Mt 18,16). La prima testimonianza è quella della Sacra Scrittura, la seconda è quella degli Apostoli: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni». Il salmo 15 nel giudaismo veniva letto in chiave messianica e poteva servire, modificando lievemente la versione greca, come argomento per la fede nella risurrezione. Dalla Chiesa apostolica, questa applicazione messianica è stata vista verificata nella risurrezione di Cristo.
 
Vangelo
Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno.
 
Gesù, abbandonato il sepolcro, appare alle donne che lo avevano consolato sulla via del Calvario, e avevano assistito alla sua agonia e morte. Sono le prime apostole, a loro è affidato l’annunzio pasquale, annunzio di gioia: la Vita è risorta, la morte e gli Inferi sono stati annientati dall’Amore che ha spalancato le porte del Paradiso. A questo annuncio di gioia e di vita, si contrappone l’annuncio dei soldati, e alla notizia dei militi si associa la proposta menzognera e corruttrice dei capi dei sacerdoti e degli anziani. Costoro non sono discepoli della Verità, si avvoltolano nella menzogna, e non possono ascoltare la Verità, ma porgono l’orecchio a satana, il padre della menzogna. Il denaro perverte i cuori, gli onesti diventano disonesti, la buona notizia si tramuta in diceria, il denaro corrompe le vie dell’uomo e la falsa notizia si diffonde velocemente afferrando i cuori degli uomini, rendendoli schiavi della menzogna. Bisogna fuggire da queste vie tortuose. Bisogna con coraggio andare “in Galilea”, là lo “vedremo”.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,8-15
In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: "I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo". E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.


Parola del Signore.
 
Maria di Màgdala e l’altra Maria, all’alba, vanno al sepolcro, non per ungere o imbalsamare il corpo di Gesù, come dicono Marco e Luca, ma per visitarlo. Matteo, infatti, ha già dato notizia delle guardie poste a custodia del sepolcro che impedivano a chiunque l’accesso, quindi le donne non potevano entrare nella tomba per ungere il corpo di Gesù. Al gran terremoto segue l’apparizione dell’angelo del Signore dall’aspetto come la folgore e in vesti bianche come neve. Sono elementi simbolici, derivati dalle teofanie apocalittiche (cfr. Dan7,9 e 10,6.8-9). Sono tutti motivi che si collegano ai temi della manifestazione di Dio e del giudizio.
Con questi tratti Matteo ci offre un codice di lettura e ci apre il senso della risurrezione stessa: è il gesto escatologico finale di salvezza che impegna gli uomini in una risposta di fede. So che cercate Gesù, il crocifisso. “Non è qui…”, l’angelo del Signore non si limita ad affermare che il Cristo è risorto, ma attira l’attenzione sulla croce: la risurrezione è la vittoria della croce, ne svela il senso positivo e salvifico. La via dell’amore percorsa da Gesù non è dunque vana: contrariamente al giudizio degli uomini, essa è la via che porta alla vita e costruisce il mondo nuovo. Il giudizio di Dio è diverso da quello degli uomini. Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli (Mt 28,8): questo è il frutto più bello della Pasqua, chi ha incontrato il Risorto non può non correre per le vie del mondo per annunciare con grande gioia che la morte è stata ingoiata nella vittoria (1Cor 15,54). La pericope si conclude con il tentativo da parte del Sinedrio di mascherare la Risurrezione con il goffo suggerimento dato alle guardie di dire che il corpo del Crocifisso è stato trafugato mentre esse dormivano. Un goffo suggerimento che goffamente e maliziosamente si perpetua come litania a danno degli sprovveduti
 
… diedero una buona somma di denaro ai soldati -  Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): la notizia di Matteo svela la bassezza morale dei nemici di Gesù. I gran sacerdoti e gli anziani, pur di nascondere l’evidenza dei fatti, non rifuggono dal corrompere i soldati con il denaro. Voi direte: i suoi discepoli, sono venuti di notte, lo rubarono mentre noi dormivamo; i sacerdoti con gli anziani istruiscono anche i soldati sul modo di spiegare il fatto; essi devono parlare di trafugamento della salma, non già di risurrezione. Indubbiamente la fragile diceria del trafugamento doveva essere detta alla gente cioè a quella massa che, non riflettendo e non possedendo un potere discriminante, accoglie anche le notizie più impensabili; per l’autorità la diceria della rimozione notturna della salma non poteva costituire un argomento valevole.
Noi lo convinceremo e non vi faremo aver noie; nel caso che il governatore venisse a conoscere la notizia ed aprisse un’inchiesta sulla diserzione delle guardie, i sacerdoti assicurano alle sentinelle fuggite di evitare loro ogni noia. La sicurezza con la quale i sacerdoti parlano lascia intravedere che tra essi ed il procuratore vi erano mezzi d’intesa. Lo convinceremo ... alcuni esegeti ritengono che abbia qui il senso di: persuadere con denaro, cioè: corrompere con esso (cf. 2Maccabei, 4,45; 10,20).
I soldati accondiscendono ed accettano volentieri il denaro. Con quell’accomodamento e quell’assicurazione le sentinelle furono tranquillizzate; tirando le somme il loro servizio di vigilanza, fatta eccezione per la gran paura avuta, si chiudeva in attivo. Questa diceria si è sparsa tra i Giudei fino al giorno d’oggi: l’evangelista indica la fonte della sua informazione; egli ha appreso la notizia da circoli ebraici nei quali era corrente quella spiegazione dei fatti; anche S. Giustino (Contro Trifone, 108) attesta l’esistenza di questa diceria del trafugamento. Matteo, che probabilmente ha avuto un intento apologetico nel riportare l’episodio (28,11-15), non nasconde una punta d’ironia nel suo racconto: i rappresentanti dell’ebraismo (i gran sacerdoti e gli anziani) ricorrono alla testimonianza di persone addormentate. S. Agostino rilevava la fragilità di questa diceria con una formula incisiva e mordacemente ironica: dormientes testes adhibes.
 
Omelia per la santa Risurrezione del nostro Salvatore: “Il pio coro delle donne amiche di Dio custodiva un legame d’amore con il sepolcro del Maestro, esse attendevano di veder risplendere di bel nuovo la Vita che sarebbe uscita da un ‘sepolcro tagliato nella roccia’ [Lc 23,53]. A queste donne in lacrime [cfr. Gv 20,11.13.15], due angeli luminosi [cfr. Gv 20,12; Lc 24,4] e abbaglianti come lampi di luce [cfr. Lc 24,4], davano il lieto annuncio. Con il loro aspetto radioso e sorridente, mostravano che la Gioia del mondo era risuscitata, e rimproveravano le donne di pensare a torto che la Vita [cfr. Gv 11,25; 14,6] potesse essere ancora nascosta nel sepolcro e di cercare colui che è vivo in mezzo ai morti [cfr. Lc 24,5]. Muovevano loro dei rimproveri e gridavano verso di loro: «“Perché cercate tra i morti colui che è vivo?’ [Lc 24,5]. Fino a quando rimarrete così nell’errore, a piangere? Fino a quando riterrete morto colui che è vivo e dispensatore di vita? La Luce [cfr. Gv 8,12; 1,4] è risorta, come aveva predetto, al terzo giorno [cfr. Mt 27,63]. Il sepolcro non ricopre più colui che aveva ricoperto la terra con il cielo [cfr. Gen 1,6-8]. Egli non è più avvolto dalle fasce [cfr. Lc 2,7-12]; egli che con una sola parola ha sciolto i lacci della morte [cfr. Gv 11,43-44]. Andate via gioiose, correte ad annunciare agli apostoli la buona novella della Risurrezione». Queste donne dunque, portate per il loro sesso al pessimismo e tuttora affezionate, per l’amore che portavano a Dio, eccole consolate da un messaggio tanto importante, trasmesso loro da angeli, e bastante a rasserenarle dal loro sconforto. Peraltro, oggi, i pastori della grazia annunciano la buona novella alle chiese del Crocifisso sparse su tutta la terra, servendosi delle parole sacre di Paolo, con le quali anch’io, a mia volta, grido a voi nella letizia: ‘Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che si sono addormentati nella morte’ [1Cor 15,20]. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Giovanni da Beirut, Hom. in Pascha)
 
Il Santo del giorno - 1 Aprile 2024 -  Sant’Ugo di Grenoble: Venne alla luce nel 1053 a Châteauneuf-sur-Lers, nel Delfinato, e morì a Grenoble il 1° aprile 1132 dopo 52 anni di episcopato nella città francese. Nato da nobile famiglia, fu educato dalla madre a una vita di elemosina, preghiera e digiuno. A soli 27 anni era già vescovo di Grenoble. Da allora, per tutta la vita, conciliò con abnegazione l’attrazione fortissima verso la vita eremitica e il cenobio e la fedeltà al servizio episcopale, che svolse con grande ardore, secondo lo spirito di riforma della Chiesa che caratterizzò il pontificato di Gregorio VII. (Avvenire)
 
La grazia di questo sacramento pasquale, o Signore,
ricolmi i nostri cuori,
perché coloro che hai fatto entrare
nella via della salvezza eterna
siano resi degni dei tuoi doni.
Per Cristo nostro Signore.
 

 31 Marzo 2024
 
Domenica di Pasqua
 
At 10,34.37-43; Salmo Responsoriale dal Salmo 117; Col 3,1-4 [oppure: 1Cor 5,6-8]; Gv 20,1-9
 
Colletta
O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio unigenito,
hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna,
concedi a noi, che celebriamo la risurrezione del Signore,
di rinascere nella luce della vita,
rinnovati dal tuo Spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Il regno di Dio in Cristo risorto - Catechismo degli Adulti [262] Con il Crocifisso risuscitato riparte la causa del regno di Dio. Ciò che in modo così promettente era iniziato durante la vita pubblica e poi sembrava annullato dalla morte in croce, ora viene ripreso con nuova e potente efficacia. Dio non finisce di stupire per il suo amore: restituisce agli uomini come Salvatore il proprio Figlio, che essi hanno rifiutato e ucciso. Mediante il Crocifisso risorto, egli si fa definitivamente vicino ai peccatori, ai poveri, ai malati, ai falliti della storia, ai morti inghiottiti dalla terra. Non c’è solitudine umana che non vada a raggiungere. Il regno di Dio ormai è esplicitamente impersonato in Gesù, «costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Dio esercita la sua sovranità per mezzo di lui e «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Il vangelo del Regno, che Gesù predicava, diventa il «vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1); nasce la fede cristiana come fede in Gesù Signore e in Dio che lo ha risuscitato dai morti.
[263] La fede cristiana ha la sua origine e il suo nucleo centrale nel mistero pasquale: «Cristo morì per i nostri peccati... ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4), cioè secondo il disegno salvifico di Dio.  
 
I Lettura: Molti già si erano convertiti alla nuova fede, il Vangelo aveva superato i confini della Palestina, e numerosi pagani avevano accolto il credo che gli Apostoli instancabilmente, sospinti dalla potenza dello Spirito Santo, annunciavano in tutte le città l’impero romano. Tra questi pagani Luca ricorda la conversione del centurione romano Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio (At 10,22). Il brano odierno è il discorso che Pietro rivolge a Cornelio nella sua casa.
Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: il discorso di Pietro «è una sintesi della trama evangelica: la predicazione del Battista, il battesimo di Gesù, il suo ministero pubblico segnato dalla lotta contro il male, la crocifissione, la risurrezione, le apparizioni pasquali ai discepoli e la missione nel mondo. È l’annuncio che i primi predicatori proclamavano suscitando conversioni a Cristo... Nella scena di Cornelio si ha quasi l’emblema di questa azione missionaria» (La Bibbia, Via Verità e Vita, Ed. Paoline).
 
II Lettura: Il credente è già risorto con Cristo, partecipando realmente alla sua vita celeste: «Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (Ef 2,6-7). Questa certezza deve far sì che il credente orienti decisamente la sua vita alla conquista del Cielo: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» (Col 3,1-3). Un orientamento sostenuto da una attesa: «Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3,4). Una certezza sostenuta e alimentata da una vita azzima, cioè da una vita preservata dal lievito del male.
 
Vangelo
Egli doveva risuscitare dai morti.
 
Egli doveva risuscitare dai morti: Nonostante che siano state le donne, e in modo particolare Maria di Magdala, le prime a recarsi alla tomba, sono tuttavia Pietro e Giovanni i primi ad entrarvi e ad osservare «i teli posati là, e il sudario... avvolto in un luogo a parte», segni che rivelano tangibilmente la risurrezione di Cristo: infatti, era «inammissibile che un ladro lasciasse le cose così in ordine. La conclusione non andava certo troppo lontano» (Felipe F. Ramos). Che sia Pietro ad entrare, e non l’altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, lascia intravedere che già allora a Pietro era riconosciuta una certa preminenza (cfr. Gv 21,15-17).
 
Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,1-9
 
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
 
Parola del Signore.
 
La notte è avanzata, il giorno è vicino (Rom 13,12) - Quando si compivano i tragici fatti del Calvario, in quell’anno, la festa di Pasqua cadeva di sabato: Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il Sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato - chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via (Gv 19,31).
Il sabato, giorno di riposo settimanale, era consacrato al Signore Dio che aveva riposato nel settimo giorno della creazione (Cf. Es 20,8-11; Gen 2,2-3).
Per non violare il sabato che imponeva il riposo e l’astensione da ogni lavoro manuale, Maria di Magdala attende il primo giorno della settimana per recarsi al sepolcro.
L’espressione il primo giorno della settimana richiama il giorno primo della creazione, quando Dio separò le tenebre dalla luce (Gen 1,3-5). Con la risurrezione di Gesù ha inizio una nuova settimana, una nuova creazione: il primo giorno di questa nuova ricreazione è diventato «per i cristiani, il primo di tutti i giorni, la prima di tutte le feste, il giorno del Signore [“dies dominica”], la “Domenica”» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2174).
L’evangelista Giovanni non specifica il motivo per cui Maria di Magdala va alla tomba. Matteo dice per visitare il sepolcro (Mt 28,1). Marco, invece, riferisce che Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome, avendo comprato degli oli aromatici, si erano recate al sepolcro per ungere il corpo di Gesù (Mc 16,1; Cf. Lc 24,1).
Quando era ancora buio, una nota che mette in evidenza l’attesa trepida di Maria di Magdala: stare lontano da quella tomba doveva essere un vero martirio e così quando la Legge permise di riprendere il cammino, Maria, si reca immantinente al sepolcro per riabbracciare il corpo esanime del Maestro.
Molto probabilmente, secondo gli usi del tempo, la pietra del sepolcro era stata intonacata (Cf. Mt 23,27) e quindi era ben visibile al buio. Qui, come nel caso di Nicodemo (Cf. Gv 3,2) e di Giuda (Cf. Gv 13,30), «l’indicazione delle tenebre esteriori non è priva di valenze simboliche. Nel cuore di Maria di Magdala regna ancora il buio dell’angoscia. In realtà, nel vedere il sepolcro vuoto, reagisce col credere che l’abbiano portato via [Gv 20,2.13] e col pianto [Gv 20,1]. Ecco un “vedere” che si ferma al di qua della fede pasquale, rimanendo nel buio dell’incomprensione» (Adrian  Schenker - Rosario Scognamiglio).
Hanno portato via il Signore dal sepolcro... Maria di Màgdala pensa che il corpo di Gesù sia stato rubato. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava: all’annuncio della  donna, i due discepoli corrono al sepolcro.
La tradizione ha ravvisato nel compagno di Pietro l’apostolo Giovanni, l’autore del quarto Vangelo.
L’altro discepolo, giunto per primo, si china, per entrare nel sepolcro, vede i teli posati là, ma non entra. Sarà Pietro ad entrare, una nota, forse, per sottolineare la sua autorità, ma non è opportuno forzare il senso del testo giovanneo per provare il primato di Pietro. I teli attirano immediatamente l’attenzione dei due discepoli in quanto non sono abbandonati in disordine, ma posati, «come un involucro sgonfio, dopo aver perso il proprio contenuto. Il dettaglio ripetuto due volte, è importante per l’evangelista: lascia intendere che con la risurrezione, il corpo di Gesù ha lasciato i teli che lo racchiudevano» (La Bibbia, Via Verità e Vita, Ed. Paoline).
Dai teli, l’attenzione si sposta al sudario, in quanto non era stato posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Un indizio che «indica con chiarezza che la salma del Maestro non è stata rubata, perché i ladri non si sarebbero affatto preoccupati di piegare il sudario. Quindi Gesù si è liberato da solo dalle lenzuola e dal sudario che lo avvolgevano, mentre Lazzaro dovette essere sciolto da altri [Gv 11,44], segno che non ha raggiunto la risurrezione finale» (Alberto Salvatore Panimolle).
Dopo Pietro anche l’altro discepolo entra e vide e credette. Il “vedere” è un tema caratteristico di tutta l’opera giovannea. Si riferisce anzitutto «all’esperienza fisica dei sensi, vista, udito, tatto... approfondita poi col guardar dentro e l’ascoltare intensaménte gli intimi significati [1Gv 1,1.3], ma che giunge al suo traguardo solo con la contemplazione della Vita che si autorivela [1Gv 1,2]. Questo sviluppo di “visione” porta all’annuncio e ad un parallelo sviluppo di “comunione”, koinonia, umano-divina [1Gv 1,3.6-7; Cf. Gv 1,39.50-51]» (Bruno Barisan).
Dal contesto si può comunque pensare a una fede iniziale, forse basata sul «segno» della tomba vuota, dei lini ben ordinati giacenti a terra, della pietra rovesciata. Giovanni, stupito per l’assenza del corpo di Gesù, non capisce, non sa ancora che il Maestro è risuscitato da morte. Ciò spiega il senso del versetto che conclude la pericope: Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura.
La Scrittura potrebbe essere intesa in generale oppure a un testo specifico. Nella predicazione, gli Apostoli fanno ricorso al Salmo 16,9-10 (Cf. At 2,27.31) oppure a Osea 6,2. La fede dei discepoli, comunque, doveva essere portata a compimento dall’apparizione del Risorto e, allora, dolce si farà il rimprovero: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29).
 
Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): I due discepoli (vv. 3-10). Pietro e il discepolo che Gesù amava sono ambedue presenti dall’inizio della passione di Gesù, in una vicinanza dolorosa per Pietro nel suo tradimento, fedele nell’ altro discepolo. Attivi nella passione, lo sono anche nella loro scoperta del mistero della risurrezione. La differenza tra loro e la superiorità nella fede del discepolo che Gesù amava sussistono, poiché 1’«altro discepolo» arriva per primo al sepolcro (segno di maggiore sollecitudine?), poi «vide e credette»: la formula concisa esprime il passaggio dal «vedere» alla piena adesione a Gesù risorto. La vista degli indumenti o l’ordine nel quale sono disposti attesta che il corpo del Cristo non è stato rubato, ma che il Signore se ne è andato, lasciando le sue vesti nell’ ordine e nel posto in cui le portava. A differenza di Lazzaro che esce vestito, Gesù non ha più bisogno d’indumenti, poiché lascia il mondo degli uomini. In questo vangelo non viene detto nulla della fede di Pietro (Lc 24,12 sottolinea che alla vista delle bende Pietro meravigliato). Le scritture, che fino a quel momento non erano state abbastanza convincenti, ricevono la conferma delle numerose indicazioni accumulate sul cammino dei discepoli. Essi ritornano a casa, dove Maria Maddalena recherà loro la «buona novella». Il racconto mette in evidenza i due discepoli senza polemica né rivalità apparenti con la superiorità che spetta loro: Pietro è entrato per primo, divenendo così per la Chiesa primitiva un testimone indiscutibile. L’altro discepolo prevale chiaramente per la sua adesione al Signore. Questo rapporto complesso tra i due discepoli sarà spiegato nel capitolo 21.
 
Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti - La risurrezione di Gesù è il punto cruciale della fede cristiana: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14). Per i credenti la «Risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano, trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva promesso, della sua autorità divina» (CCC 651).
Gesù in tre riprese aveva annunciato la sua morte e la sua risurrezione dai morti: la prima volta immediatamente dopo la confessione di fede di Pietro a Cesarea, la seconda in Galilea, la terza, infine, al momento della “salita” a Gerusalemme.
Dopo il primo annuncio, Pietro restò scandalizzato, e con lui tutti gli altri Apostoli. Al secondo annuncio Matteo aggiunge: «ed essi furono molto rattristati» (Mt 17,23). Marco dirà dopo il secondo annuncio: «Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9,32).
Un altro annuncio della risurrezione è contenuto nei versetti successivi al racconto della Trasfigurazione in Matteo e in Marco: «Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”» (Mt 17,9) e Marco in particolare aggiunge: «Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti» (Mc 9,10).
Anche Giovanni ricorda una profezia di Gesù riguardante la sua risurrezione. In occasione dell’episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio scrive: «Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,20-21).
I discepoli in verità ben sapevano che cosa significava “risurrezione” o “risuscitare dai morti”, a risultare  incomprensibile era invece la morte e la risurrezione del Maestro in quanto non avevano compreso che la sua risurrezione portava a compimento le promesse vaticinate dalle Scritture.
La risurrezione di Gesù, portando a compimento il piano della salvezza, è principio e sorgente della nostra risurrezione futura: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti [...] e come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita» (1Cor 15,20-22).
In attesa che tutto questo si compia perfettamente nell’ultimo giorno, il discepolo senza esitazioni deve «abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli», deve «rinnovarsi nello spirito della sua mente» e deve «rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità» (Ef 2,24-25).  Passaggi obbliganti, ma che danno senso e concretezza alla Pasqua cristiana.
 
Beato Guerrico D’Igny: Se voi avete mai amato Gesù vivo, morto, poi restituito alla vita, in questo giorno in cui nella Chiesa i messaggeri della sua risurrezione la annunciano e la proclamano più volte e di comune accordo, il vostro cuore esulta in voi e dice: «Me l’hanno annunciato: Gesù, mio Dio, è in vita! Ecco che a questa notizia si rianima il mio spirito, che era sopito dalla tristezza, languido di tepore, a pronto a soccombere allo scoraggiamento. Infatti, il suono di questo gioioso messaggio arriva persino a salvare i criminali dalla morte. Se fosse diversamente, non resterebbe che disperarsi e seppellire nell’oblio colui che Gesù, uscendo dagli inferi, avrebbe lasciato nella rovina». Tu avrai il diritto di riconoscere che il tuo spirito ha ricuperato pienamente la vita in Cristo, se esso potrà dire: «Mi basta che Gesù sia in vita». Come questa parola esprime una devozione profonda, come è degna degli amici di Gesù! Com’è puro l’affetto di chi parla così: «Mi basta che Gesù sia in vita». Se egli vive, io vivo, poiché la mia anima è sospesa a lui; molto di più, egli è la mia vita, è tutto ciò di cui ho bisogno. Che cosa può mancarmi, infatti, se Gesù è in vita? Quando pure mi mancasse tutto, ciò non avrà nessuna importanza per me, purché Gesù sia vivo. Se anche capitasse che io manchi a me stesso, mi è sufficiente che egli viva, anche se non fosse che per se stesso.
 
Il Santo del giorno - 31 Marzo 2024 - Santa Balbina di Roma Martire: Di lei non si hanno molte notizie certe. Secondo la tradizione era figlia del tribuno romano e martire Quirino con cui venne uccisa introno al 130 per poi essere seppellita sulla via Appia. Tuttavia il cimitero che vi si trova nonché la chiesa sul piccolo Aventino non avrebbe alcun legame con lei. Balbina era stata battezzata da Papa Alessandro I insieme al padre convertitosi al cristianesimo. Ammalatasi gravemente fu portata dal Pontefice che allora era imprigionato e ne venne guarita. Di estrazione nobile venne chiesta più volte in sposa ma rimase sempre fedele al suo voto di verginità.
Arrestata insieme col padre per ordine dell’imperatore Adriano venne decapitata dopo lunghe torture.
L’iconografia la raffigura con croce e scettro di gigli; talvolta anche con un angelo che indica il cielo. Altre immagini la rappresentano mentre tiene in mano una catena. Sarebbe infatti guarita dal mal di gola sfiorando le catene che tenevano imprigionato Papa Alessandro I. (Avvenire)
 
Proteggi sempre la tua Chiesa, Dio onnipotente,
con l’inesauribile forza del tuo amore,
perché, rinnovata dai sacramenti pasquali,
giunga alla gloria della risurrezione.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 

30 Marzo 2024
 
Sabato Santo
 
La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi): Secondo una vecchia tradizione, questo è il giorno senza l’Eucaristia, il giorno del silenzio e del digiuno a causa della morte del Redentore. Solo la sera si radunano i fedeli per la veglia notturna e le preghiere. I riti del Sabato Santo, anche se celebrati ancora la sera di questo giorno, in sostanza appartengono già alla liturgia della Domenica della Risurrezione.
Il corpo del Figlio di Dio riposa nel sepolcro. All’entrata del sepolcro fu posta una grande pietra, furono apposti i sigilli e le guardie. Se n’è andato il nostro Pastore, la fonte dell’acqua viva; perciò, la Chiesa piange su di lui come si piange l’unico figlio l’Innocente, il Signore è stato ucciso. Il Signore disse una volta: «Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,40); «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2, 9).
Nella Liturgia delle ore, nella sua quotidiana preghiera, la Chiesa professa la fede nella Risurrezione di Gesù, nella vittoria di Gesù sulla morte. Il Signore riposa in pace, ma nella speranza che il suo corpo non subirà la corruzione della morte; si apriranno le porte eterne ed entrerà il Re della Gloria; il Signore sconfiggerà le forze infernali e le porte della morte; il Padre salverà la sua anima dal potere delle tenebre.
Fra poco il Signore acclamerà: «Ero morto, adesso vivo in eterno - mie sono le chiavi della morte e dell’abisso». Il chicco di grano gettato in terra porterà frutto. La Chiesa in preghiera attende la Risurrezione del Signore. La preghiera della Chiesa può essere riassunta nel canto, che inizia la odierna liturgia delle ore: «Venite, adoriamo il Signore, il crocifisso e sepolto per noi».
 
Fratelli carissimi, supplichiamo umilmente
Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo
unico creatore dell’universo,
in questa grande mattina del grande sabato,
ossia della deposizione del Corpo del Signore,
affinché colui che trasse Adamo misericordiosamente
dalle profondità degli inferi,
per la sola misericordia del Figlio suo
tragga noi che con forza gridiamo
dalla feccia presente alla quale aderiamo.
Gridiamo infatti e preghiamo
perché il pozzo dell’inferno non apra su di noi la sua bocca
e liberati dal fango del peccato,
non ricadiamo in esso. (Missale Gothicum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1961, n. 219)
 
Catechismo della Chiesa Cattolica - La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo 613: La morte di Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la redenzione definitiva degli uomini per mezzo dell’Agnello che toglie il peccato del mondo e il sacrificio della Nuova Alleanza, che di nuovo mette l’uomo in comunione con Dio riconciliandolo con lui mediante il sangue versato per molti in remissione dei peccati.
614 Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici. Esso è innanzitutto un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza.
Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza 615: «Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19). Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati.
Sulla croce, Gesù consuma il suo sacrificio 616: È l’amore sino alla fine che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell’offerta della sua vita. «L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti» (2 Cor 5,14). Nessun uomo, fosse pure il più santo, era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti. L’esistenza in Cristo della Persona divina del Figlio, che supera e nel medesimo tempo abbraccia tutte le persone umane e lo costituisce Capo di tutta l’umanità, rende possibile il suo sacrificio redentore per tutti.
617: «Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis iustificationem meruit - Con la sua santissima passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione», insegna il Concilio di Trento sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come causa di salvezza eterna. E la Chiesa venera la croce cantando: «O crux, ave, spes unica! - Ave, o croce, unica speranza!».
 
Vangelo secondo Giovanni
Gv 19,31-42
 
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo - quello che in precedenza era andato da lui di notte - e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Parola del Signore.
 
Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): «Con il ricco fu il suo tumulo» (Is 53,9). Giovanni non si smentisce: anche qui continua a proclamare la grandezza e la regalità di Gesù. Tante notiziole, presenti nei Sinottici, scompaiono, come pure certi personaggi. Pilato entra solo di sfuggita. Riappaiono invece i discepoli nascosti di Gesù, quelli che non gli diedero mai la loro aperta adesione per paura dei dirigenti giudei. Ora si fanno coraggio. Oramai Gesù ha già iniziato ad attirare tutti a sé.
Qui c’è Giuseppe di Arimatea, mai sentito prima. È lui che osa andare da Pilato. Non si preoccupa di celebrare quella pasqua; il contatto con un morto rende impuro (vedi Nm 19,11-13), ma si tratta del corpo di Gesù per lui più prezioso di ogni altro bene. Non può finire nella fossa comune: dev’essere sepolto in modo onorifico. E così vuole anche Nicodemo, che già abbiamo incontrato due volte: una notte a colloquio con Gesù (3,1-15) e poi in una riunione dei farisei quando cercò invano di difendere Gesù (7,50-52). Ora i due si fanno coraggio: uno va da Pilato, l’altro si procura più del necessario: bende di lino, un centinaio di libbre di aromi tra mirra e aloe, quegli aromi che si usavano per la stanza nuziale, non per i morti (Ct 4,12-16). È un’incredibile quantità di cose preziose, ma ora non c’è Giuda che si lamenta (vedi 12,4-6). Per loro Gesù si merita questo ed altro: dev’essere sepolto con sfarzo regale, la sua tomba dev’essere profumata come l’alcova dello sposo.
Ed ecco il sepolcro: è in un giardino, il luogo della vita; è tutto nuovo; nessuno vi è mai stato sepolto; sembra fatto apposta per Gesù così ben tagliato nella roccia. Lì depongono Gesù: è il seme che va sottoterra, che si prepara a nuova vita.
Il racconto si chiude ricordando il giorno della Preparazione. La parola dice attesa. Per i cristiani è l’attesa della Pasqua del Signore. È un implicito annunzio del passaggio di Gesù da questo mondo al Padre.
Giovanni in tutto il suo racconto di Passione, iniziatosi e conclusosi in un giardino, non è mai scaduto di tono e non ha mai fatto il cronista. Ci ha rivelato chi è Gesù; meglio, ci ha raccontato come anche nella passione Gesù ha continuato a rivelarsi, a dire chi è. Il suo Gesù non è mai apparso abbattuto o umiliato, ma sempre cosciente di tutto quel che gli capitava. I due «sapendo» posti uno all’inizio (18,4) e l’altro alla fine (19,28) lo dimostrano. Il lettore cristiano si sarà accorto che ha imparato a conoscere meglio il Signore e che ha capito di essere stato amato sino alla fine; e «con Maria» sa che può continuare a fissare con fiducia lo sguardo in colui che è stato trafitto.
 
Gesù crocifisso rivelatore perfetto dell’amore di Dio - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Il quarto evangelista nella scena della morte del Cristo presenta il Crocifisso come il rivelatore perfetto del piano salvifico del Padre (Gv 19,28-30). L’inclusione tematica di questo brano, formata dal verbo «è compiuto» («tetélestai») (vv. 28.30), mette in risalto la centralità del compimento perfetto della manifestazione piena dell’amore di Dio. Con la sua «ora» Gesù non solo ha amato i discepoli fino all’estremo limite, cioè in modo perfetto (Gv 13,1), ma ha compiuto perfettamente la Scrittura (Gv 19,28.30), mostrando nella maniera più eloquente e concreta, come Dio ha amato il mondo nel dono del Figlio, esaltato sulla croce (Gv 3,14-17). Il «sitio» del Crocifisso (Gv 19,28) deve essere compreso in questa prospettiva rivelatrice: esso parte da un bisogno fisiologico dei crocifissi che perdono moltissimo sangue, ma giunge ad indicare il desiderio ardente del Cristo di chiudere la sua giornata, aprendo la via allo Spirito santo. In effetti nel quarto vangelo il bisogno della sete simboleggia il desiderio della vita divina e della salvezza, appagato con il dono della parola di Gesù (Gv 4,14), accogliendo la sua rivelazione con una fede esistenziale profonda (Gv 6,35; 7,37s). Gesù sulla croce ha sete (Gv 19,28) cioè desidera ardentemente dare inizio all’èra dello Spirito santo con la consegna di questa persona divina alla chiesa nell’istante della sua morte (Gv 19,30).
Il Cristo crocifisso ha manifestato in modo perfetto l’amore suo e di Dio per l’umanità peccatrice: l’ultimo atto di questa rivelazione è la proclamazione di Maria madre della chiesa (Gv 19,26s); ora egli può lasciare il campo libero allo Spirito, perché ha compiuto la sua missione rivelatrice e salvifica alla perfezione.
In realtà con la morte di Gesù termina la prima fase della storia della manifestazione dell’amore del Padre, mediante il Figlio, per l’umanità e incomincia l’èra del Paraclito, al qual il Figlio apre la strada, allorché dal trono regale della croce lo consegna alla sua comunità (Gv 19,30).
Tale esegesi appare in perfetta sintonia con una delle tematiche fondamentali del sistema teologico giovanneo: la concezione della storia della rivelazione salvifica in due tappe, la prima legata alla persona del Cristo rivelatore e l’altra a quella dello Spirito della verità.
 
La morte di Cristo - Ambrogio (Exp. Ev. Luc., 10, 140 s., 144): E non è senza scopo che un altro evangelista abbia scritto che il sepolcro era nuovo (cf. Gv 19,41), un altro che era il sepolcro di Giuseppe (cf. Mt 27,60). Di conseguenza, Cristo non aveva un sepolcro di sua proprietà. Effettivamente, il sepolcro viene allestito per quanti stanno sotto la legge della morte (cf. Rm 7,6); ma il vincitore della morte non ha un sepolcro proprio. Che rapporto ci potrebbe essere tra un sepolcro e Dio? Del resto l’Ecclesiaste dice di colui che medita sul bene (cf. Sir 14,22): Egli non ha sepoltura (Qo 6,3). Perciò, se la morte è comune a tutti, la morte di Cristo è unica, e perciò Egli non viene seppellito insieme con altri, ma è rinchiuso, solo, in un sepolcro; infatti l’incarnazione del Signore ebbe tutte le proprietà simili a quelle degli uomini, però la somiglianza va insieme con la differenza della natura: è nato da una Vergine con la somiglianza della generazione, e con la dissomiglianza della concezione. Curava gli ammalati, ma intanto imperava (cf. Lc 5,24). Giovanni battezzava con l’acqua, Egli con lo Spirito (cf. Lc 3,16). Perciò anche la morte di Cristo è comune a quella degli altri secondo la natura corporea, ma unica secondo la potenza.
E chi è mai questo Giuseppe, nel cui sepolcro Egli viene deposto? Senz’alcun dubbio è un giusto. È bello perciò che Cristo sia affidato al sepolcro di un giusto, e là il Figlio dell’uomo abbia dove posare il capo (cf. Lc 9,58) e trovi riposo nel domicilio della giustizia...
Non tutti riescono a seppellire il Cristo. Del resto le donne, sebbene pietose, stanno lontano, e appunto perché sono pietose osservano con ogni cura il posto per poter recare gli unguenti e cospargere il corpo (cf. Lc 23,55; Mt 27,55). Ma poiché sono piene d’ansia, si allontanano per ultime dal sepolcro e ritornano per prime al sepolcro (cf. Lc 23,55). Sebbene manchi la fermezza, non manca la premura.
 
Il Santo del Giorno - 30 Marzo 2024 - San Leonardo Murialdo. Laici e sacerdoti insieme con gli ultimi La visione di una Chiesa «di popolo»: Lo stile sinodale e l’impegno nella cura dell’ascolto e della condivisione hanno in diversi santi dei veri e proprio precursori, profeti del loro tempo la cui eredità parla ancora ai giorni nostri. Come nel caso di san Leonardo Murialdo, la cui attualità appare evidente nelle parole con le quali ricordava che «il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere oggi un apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più del prete», anticipando così l’idea di una Chiesa “di popolo” che avrebbe preso forma nel Concilio Vaticano II. Questo testimone della santità sociale torinese del XIX secolo era nato nel 1828 in una famiglia benestante ed era rimasto orfano di padre a cinque anni. Nel 1851, dopo gli studi nel Collegio degli Scolopi di Savona e alla Facoltà teologica a Torino, venne ordinato sacerdote, lavorando per 14 anni nell’oratorio di San Luigi a Porta Nuova. Gran parte del suo ministero lo dedicò ai giovani e agli operai, che anche allora erano le maggiori emergenze sociali, come oggi lo sono il lavoro e l’educazione. Tra il 1865 e il 1866 si trovò a studiare a Parigi e soggiornò per un periodo anche a Londra. Nel 1867 diede vita alla confraternita laicale di San Giuseppe, per l’aiuto ai ragazzi poveri e abbandonati; nel 1871 fondò l’Unione operai cattolici. Lavorò alla nascita dell’Associazione della Buona stampa e del giornale «La voce dell’operaio». Colpito da polmonite morì il 30 marzo 1900; beatificato nel 1963, è santo dal 1970. (Matteo Liut)
 
Dio eterno e onnipotente,
che ci concedi di celebrare il mistero del Figlio tuo Unigenito,
disceso nelle viscere della terra,
fa’ che, sepolti con lui nel Battesimo,
risorgiamo con lui nella gloria della risurrezione.
Egli è Dio,
e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
 
 
 
 
 29 Marzo 2024
 
VENERDI SANTO – PASSIONE DEL SIGNORE
 
Is 52,13 - 53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1–19,42
 
La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi)La Chiesa rimane oggi con il Signore che affronta la Passione per la salvezza del mondo. Sta insieme con Gesù nel Giardino degli Olivi, vive insieme con Lui l’arresto e il giudizio, cammina col Salvatore lungo la Via della Croce, resta con lui sul Calvario e sperimenta il silenzio del sepolcro. La liturgia della parola ci introduce nel mistero della Passione del Signore. Il sofferente Servo di Dio, disprezzato e respinto dagli uomini, viene condotto come agnello al macello. Dio pose su di lui le colpe di noi tutti. Cristo muore nel momento in cui nel tempio vengono sacrificati gli agnelli necessari alla celebrazione della cena pasquale. È Lui il vero Agnello, che toglie i peccati del mondo. Egli viene offerto come nostra Pasqua. Cristo morì per tutti gli uomini e perciò in questo giorno la Chiesa, secondo la sua più antica tradizione, rivolge a Dio una grande preghiera. Prega per tutta la Chiesa nel mondo, chiede l’unificazione di tutti i credenti in Cristo, intercede per il Popolo Eletto. Ricorda tutti i credenti delle altre religioni come anche chi non crede, prega per i governanti e per gli afflitti.
Come non ringraziare Dio in questo giorno? Lodiamo Gesù e rendiamogli grazie, adorando la Croce su cui si compì la salvezza del mondo. Non solo glorifichiamo il Signore, ma ricevendo la santa Comunione dai doni consacrati ieri ci uniamo a Cristo: ogni volta che mangiamo di questo Pane annunziamo la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta.
 
Colletta 
O Dio, che nella passione di Cristo nostro Signore 
ci hai liberati dalla morte,
eredità dell’antico peccato
trasmessa a tutto il genere umano,
rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; 
e come abbiamo portato in noi,
per la nostra nascita,
l’immagine dell’uomo terreno,
così per l’azione del tuo Spirito
fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. 
Per Cristo nostro Signore.
 
La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo - Catechismo della Chiesa Cattolica 618La croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo mediatore tra Dio e gli uomini. Ma poiché, nella sua Persona divina incarnata, « si è unito in certo modo ad ogni uomo », egli offre « a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale ». Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo, poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice.
« Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo ».
 
I Lettura: Il Servo sofferente è un uomo che ben conosce il patire, il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di tutti gli uomini. Sebbene non avesse commesso violenza fu eliminato dalla terra dei viventi, per colpa del suo popolo fu percosso a morte, ma “la morte non è il definitivo estuario della vita del Servo. Il giusto, infatti, contempla la luce, si sazia della conoscenza di Dio e davanti al Signore egli riconduce tutti gli uomini che sono stati salvati dal suo sacrificio espiatorio” (Messale Quotidiano, San Paolo).
 
II Lettura: Gesù, il Figlio di Dio, è il sommo sacerdote che sa ben comprendere le debolezze di tutti gli uomini, infatti anche lui è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Ed è causa di salvezza eterna per le sofferenze e per la morte che egli patì.
 
Vangelo: Giovanni, il figlio di Zebedeo, per la tradizione cristiana è l’autore del quarto Vangelo, è il discepolo che Gesù amava. Il figlio del tuono, così come lo chiamò Gesù (Mc 3,17), nel vergare queste ultime pagine della sua Opera vuole ricordare alla sua comunità gli ultimi momenti della vita del Signore, che lui conosceva bene essendogli stato intimo e vicino fino alla fine. L’immagine che ne esce dal suo ricordo è quella del Maestro che ha insegnato le vie dell’amore al suo popolo, ha fatto segni chiarissimi davanti ad esso, segni che indicavano la sua provenienza dall’alto, ma ora era tragicamente solo davanti alla tortura della passione e alla morte. Passione e morte che non hanno niente di glorioso agli occhi degli uomini. Sembrano una passione e una morte di un malfattore, non degne di essere ricordate e celebrate. Eppure quella morte fu la più alta manifestazione dell’amore di Gesù per tutti gli uomini: In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi (1Gv 3,16). È un amore che venne eternato con la sua risurrezione al terzo giorno e ora può essere sperimentato da chi tiene lo sguardo su di Lui, il Signore, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (Eb 12,1).
 
Seconda Lettura
Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.
 
Dalla lettera agli Ebrei
Eb 4,14-16; 5,7-9
 
Gesù, il Figlio di Dio, è il sommo sacerdote che sa ben comprendere le debolezze di tutti gli uomini, infatti anche lui è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Ed è causa di salvezza eterna per le sofferenze e per la morte che egli patì.
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Parola di Dio
 
Che cosa hai fatto? Pilato è il governatore romano che odiava i giudei a tal punto da provocarli deliberatamente per poi intervenire con mano pesante. Riguardo a questa avversione, una notizia trapela anche dal vangelo di Luca lì dove si parla del sangue dei Galilei che «Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici» (Lc 13,1).
Siamo all’inizio del processo romano contro Gesù e Ponzio Pilato cerca di conoscere la verità su quell’uomo che gli era stato tradotto dinanzi con l’accusa generica di essere un «malfattore» (Gv 18,30). Ma già chiare sono le intenzioni degli accusatori: hanno giudicato reo di morte l’imputato e vogliono la sua morte, pronti a tutto pur di spuntarla (Gv 8,31). Il Sinedrio è alla ricerca dell’avallo supremo del tribunale di Roma perché non ha il potere di eseguire le pene capitali (Gv 8,31). Inconsapevolmente i sinedriti rivolgendosi ai romani per avere la certezza che Gesù sia crocifisso, compiono la profezia secondo la quale egli sarebbe stato innalzato (Gv 3,14; 12,32-33; 18,32).
Pilato non teme Gesù, ma le idee nazionalistiche che avrebbero potuto portare ad una sommossa: Roma non poteva permettersi rivali, la pace poteva albergare soltanto sotto i labari imperiali. Perciò investiga sulla presunta regalità dell’imputato.
Sei tu il re dei Giudei?... Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto? Alla domanda di Pilato Gesù risponde con un’altra domanda per fare emergere innanzi tutto l’incongruenza della delazione; poi per sapere «se il giudice romano ponga in discussione la regalità del Cristo, di sua iniziativa o dietro suggerimento dei giudei [Gv 18,34], per sapere se la sua regalità è intesa in senso politico o in senso messianico» (Salvatore Alberto Panimolle).
Sono io forse Giudeo? Una risposta che mette a nudo tutto il ribrezzo che Pilato provava per i Giudei. Il governatore vuol sapere perché il Sinedrio lo ha consegnato alla giustizia romana e soprattutto gli preme sapere se chi gli sta dinanzi può costituire veramente un serio pericolo per la sicurezza dell’Impero romano.
All’insistenza del procuratore, Gesù risponde che il suo regno «non è di questo mondo» e ne porta le prove: l’assenza di un esercito che armato avrebbe combattuto per liberare il suo re.
Cosa abbia capito Pilato non è difficile da comprendere. Per un romano non vi poteva essere che un solo potere, Roma; tutto il resto era poco meno che paglia. Ecco perché, forse tra lo stupore e il faceto, il governatore romano ritorna a chiedere: «Dunque tu sei re?». Pilato disprezza Gesù come Giudeo anche se, come suggeriscono gli evangelisti, nel corso del processo rimarrà colpito dalla dignità e dalla franchezza delle sue risposte arrivando al punto di tentare di salvarlo (Mt 27,14; Mc 15,12-14; Lc 23,16; Gv 18,38-39; 19,12-15).
La domanda non ammette deroghe e il procuratore romano sembra seccato e vuole una risposta chiara che dipani ogni dubbio e Gesù lo accontenta ammettendo con estrema franchezza: «Tu lo dici: io sono re».
È chiaro, a questo punto, che il brano giovanneo vuole evidenziare la regalità del Cristo ed è teso quindi intenzionalmente a offrire alcuni spunti di riflessione ai credenti.
Innanzi tutto, Gesù è re ed è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità.
In questa affermazione si coglie tutta la decisione divina di attuare il progetto salvifico che doveva avere inizio con l’incarnazione di Dio: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio [...]. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14) e trovare la sua pienezza di fecondità nella orrenda morte di croce.
Gesù è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. Questo vuole dire che il Verbo di Dio si è fatto carne per manifestare autorevolmente e infallibilmente le realtà celesti che vede e ascolta (Gv 3,11.32). E chiunque è dalla verità, ascolta la sua voce, cioè accetta la sua testimonianza come vera, accoglie docilmente la sua Parola e decide liberamente di fare parte del suo regno: quindi, essere dalla verità «significa avere l’origine della vita religiosa dalla Parola, cioè essere animati profondamente dalla rivelazione del Cristo, per cui non si subisce alcun influsso malefico del Maligno. I Giudei che non fanno penetrare nel cuore la parola di Gesù, sono dal diavolo, non sono da Dio, in quanto non ascoltano il Verbo rivelatore [Gv 8,42-47]. Perciò il discepolo del Cristo, partecipe del suo regno, trova l’origine della sua esistenza nella rivelazione di Gesù, nella sua verità e quindi si mostra docile alla sua voce [Gv 18,37]» (S. Panimolle).
 
Ecco il legno della Croce! - Giovanni Paolo II (14 Aprile 1995): “O Croce di nostra salvezza, albero tanto glorioso, un altro non v’è nella selva di rami e di fronde a te uguale! Per noi dolce legno, che porti appeso il Signore del mondo” (Inno Crux fidelis). Proclamando la grandezza della Croce su cui si è compiuta la salvezza del mondo, la Chiesa il Venerdì Santo ci conduce al centro della storia dell’uomo: tra “l’albero della conoscenza del bene e del male” e “l’albero della vita” (cf. Gen 2, 9). Nel Libro della Genesi la trasgressione del divieto divino di mangiare dell’“albero della conoscenza del bene e del male” costituisce quel peccato che è all’origine della peccaminosità ereditata dall’umanità (cfr. Gen 2, 16-17). Il testo del Libro della Genesi, pur conciso e denso, se letto fino in fondo, è sconvolgente. L’uomo perse l’originale stato di felicità a causa del peccato. Ma non perse di vista il secondo albero. Il peccato allontanò l’uomo dall’“albero della vita”, ma non poté sradicare dal suo animo il desiderio della vita da esso simboleggiata. Conformemente al primo annuncio contenuto nel Libro della Genesi, l’Unto di Dio, il Figlio di Donna, avrebbe nuovamente indicato agli uomini la via che porta alla vita. Egli dice di sé: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Ecco, questa via passa attraverso la Croce. Per questo oggi adoriamo il legno della Croce, su cui fu appeso il martoriato corpo del Redentore: Croce che è divenuta per noi via che porta alla vita. Accanto alla Croce, presso il Colosseo, concludiamo dunque la nostra liturgia del Venerdì Santo, che è liturgia passionis. La concludiamo con un profondo sentimento di speranza. Non aveva Cristo già annunciato che sarebbe risorto? Così dunque il mysterium passionis dovrà rivelarsi come mysterium paschale. Madre di Cristo, Tu che hai accompagnato il tuo Figlio sulla via dolorosa, Tu che stavi sotto la Croce nell’ora della sua morte, conduci i nostri cuori attraverso tutti i Colossei della storia dell’uomo. Guidali attraverso il vasto e molteplice mysterium passionis della famiglia umana, verso il mysterium paschale, verso, cioè, quella luce, che si rivelerà nella resurrezione di Cristo, e mostrerà la definitiva vittoria della vita sulla morte.
 
Alberto Magno (In ev. Jo. exp ., XI):  - Di dove vieni?: cioè, qual è la tua origine: Divina od umana? Cristo aveva già risposto a questa domanda: Voi siete di quaggiù, Io sono di lassù. Voi siete di questo mondo, Io non sono di questo mondo (Gv. 8,23).9 Ma Gesù non gli diede risposta: tre sono i motivi di questo silenzio. Il primo è che Gesù voleva dimostrare nella Passione la sua natura mansueta, simile a quella dell’agnello. Il secondo è che era ormai tempo di Passione, nella quale doveva dimostrare la debolezza dell’umanità e non la potenza della Divinità ... per cui se avesse risposto di essere Figlio di Dio, la sua risposta sarebbe stata giudicata falsa, perché in quel momento appariva davanti a loro con i limiti dell’uomo. Il terzo motivo è che essi erano indegni di una risposta così profonda.
 
Il Santo del giorno  - 29 Marzo 2024 - San Marco di Aretusa. La verità e la comunione sono due beni da amministrare con profonda saggezza - Senza se e senza ma, sempre dalla parte di ciò che è vero, perché le ambiguità del mondo aprono alle più profonde ferite: i testimoni del Vangelo sanno che il patrimonio di fede loro affidato è un tesoro prezioso per l’umanità. Per questo lo difendono fino alla fine, anche amministrandolo con saggezza di fronte alle minacce e agli assalti dei prepotenti, che creano divisioni e lotte fratricide. A dimostrarlo sono le storie come quella di san Marco di Aretusa, vescovo del IV secolo della città siriana che oggi è Er Rastan. Accusato inizialmente di non essere abbastanza deciso contro l’arianesimo (forse perché preoccupato proprio della ferita provocata dalla diffusione dell’eresia e non volendo creare spaccature ancora più profonde nella Chiesa), nel 360 Marco chiarì la sua ortodossia e questo fece sparire i “sospetti” su di lui. Nel 361 fu costretto a fuggire a causa della presa di potere di Giuliano l’Apostata che voleva restaurare il paganesimo.
Tornò, però, quando venne a sapere che i preti erano stati imprigionati. Marco aveva fatto distruggere un tempio pagano e questo, al suo ritorno, gli costò l’arresto e le torture, alle quali, però, sopravvisse. Si dedicò all’evangelizzazione dei pagani fino alla morte nel 364 e la sua eredità è un chiaro invito a scegliere sempre la difesa della verità e la cura della comunione. (Matteo Liut)
 
Dio onnipotente ed eterno,
che ci hai rinnovati con la gloriosa morte
e risurrezione del tuo Cristo,
custodisci in noi l’opera della tua misericordia,
perché la partecipazione a questo grande mistero
ci consacri sempre al tuo servizio.
Per Cristo nostro Signore.
 
ORAZIONE SUL POPOLO
Scenda, o Padre, la tua benedizione
su questo popolo
che ha celebrato la morte del tuo Figlio
nella speranza di risorgere con lui;
venga il perdono e la consolazione,
si accresca la fede,
si rafforzi la certezza nella redenzione eterna.
Per Cristo nostro Signore.