6 Luglio 2025
XIV Domenica T. O.
Is 66,10-14c; Salmo Responsoriale Dal Salmo 65 (66); Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20
Colletta
Dio di consolazione e di pace,
che chiami alla comunione con te tutti i viventi,
fa’ che la Chiesa annunci la venuta del tuo regno
confidando solo nella forza del Vangelo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Francesco (Angelus 7 Luglio 2019): L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli ... Nell’inviare i settantadue discepoli, Gesù dà loro istruzioni precise, che esprimono le caratteristiche della missione. La prima – abbiamo già visto –: pregate; la seconda: andate; e poi: non portate borsa né sacca …; dite: “Pace a questa casa”… restate in quella casa … Non passate da una casa all’altra; guarite i malati e dite loro: “è vicino a voi il Regno di Dio”; e, se non vi accolgono, uscite sulle piazze e congedatevi (cfr vv. 2-10). Questi imperativi mostrano che la missione si basa sulla preghiera; che è itinerante: non è ferma, è itinerante; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, segni della vicinanza del Regno di Dio; che non è proselitismo ma annuncio e testimonianza; e che richiede anche la franchezza e la libertà evangelica di andarsene evidenziando la responsabilità di aver respinto il messaggio della salvezza, ma senza condanne e maledizioni.
Se vissuta in questi termini, la missione della Chiesa sarà caratterizzata dalla gioia. E come finisce questo passo? «I settantadue tornarono pieni di gioia» (v. 17). Non si tratta di una gioia effimera, che scaturisce dal successo della missione; al contrario, è una gioia radicata nella promessa che – dice Gesù – «i vostri nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). Con questa espressione Egli intende la gioia interiore, la gioia indistruttibile che nasce dalla consapevolezza di essere chiamati da Dio a seguire il suo Figlio. Cioè la gioia di essere suoi discepoli.
Oggi, per esempio, ognuno di noi, qui in Piazza, può pensare al nome che ha ricevuto nel giorno del Battesimo: quel nome è “scritto nei cieli”, nel cuore di Dio Padre. Ed è la gioia di questo dono che fa di ogni discepolo un missionario, uno che cammina in compagnia del Signore Gesù, che impara da Lui a spendersi senza riserve per gli altri, libero da sé stesso e dai propri averi.
I Lettura - La salvezza che Dio dona al suo popolo è descritta con varie immagini, tutte rigurgitanti gioia e pienezza: succhiare a sazietà dal petto materno; essere inondati da un torrente di prosperità; essere portati in braccio e accarezzati, come fa una mamma coi suoi bimbi; rifiorire come erba fresca. Sono immagini che parlano al cuore del popolo volendo ricordare l’amore e la tenerezza che Dio nutre verso i suoi figli. Il versetto 13 - Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati - mette bene in evidenza la tenerezza materna di Dio che per il suo popolo è «papà» ma spesso «più ancora è madre» (Giovanni Paolo I - Cf. Is 49,15).
Seconda Lettura: La consolazione promessa dal Signore al suo popolo ora, «nella pienezza del tempo» (Gal 4,4), si fa carne nel mistero del Cristo. Gesù è la pace offerta dal Padre a tutti gli uomini, poiché nessuno è escluso dal suo amore. La Croce che ha portato la carne immacolata del Figlio di Dio diventa gioia e vanto di tutti i discepoli del Cristo. Il cristiano, sull’esempio dell’apostolo Paolo e di tutti i testimoni di Gesù crocifisso, deve convincersi che, al fuori di ogni retorica e di ogni trionfalismo, la Croce di Cristo è davvero il suo più grande e unico vanto. Al di fuori della Croce non c’è pace, non c’è salvezza.
Vangelo
La vostra pace scenderà su di lui.
Gesù è venuto a portare la pace destinandola a tutti gli uomini. Lo fa intendere anche col numero dei missionari inviati ad annunciare la Parola: secondo i Giudei, i popoli della terra erano settantadue e presumibilmente l’evangelista Luca vuol prefigurare la missione universale alla quale sarà inviata la Chiesa. La missione ha le note della massima sollecitudine svolgendosi «sotto il segno di un’urgenza escatologica: si deve annunziare che il Regno è vicino; non è consentito attardarsi per via negli interminabili saluti caratteristici degli Orientali. È scoccata ormai l’ora della mietitura: tradizionale immagine del “Giorno di Jahvé”, l’intervento definitivo Dio, salvifico e giudiziale al tempo stesso» (Vittorio Fusco).
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,1-12.17-20
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Parola del Signore.
Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi - Dopo la missione dei Dodici (Cf. Lc 9,3-5), Gesù manda settantadue discepoli ad annunziare il regno di Dio che è già vicino. Il numero dei discepoli forse è intenzionale.
Gen 10, nella versione dei Settanta, elenca settantadue nazioni, se Luca si attiene a questo dato il numero dei discepoli inviati vuole indicare l’universalità della missione: la salvezza supera gli angusti confini d’Israele per raggiungere tutti gli uomini. Sono mandati a due a due perché, per la legge mosaica, sono necessari due testimoni per attestare la veridicità di un avvenimento (Cf. Dt 19,15).
I settantadue discepoli sono mandati davanti a Gesù (Lc 9,52), quindi come precursori, e il Regno di Dio che essi annunziano è in relazione con la persona di Gesù.
La missione già si presenta ardua in quanto le forze sono impari: «vi mando come agnelli in mezzo a lupi». I discepoli si trovano come pecore tra i denti affilati dei lupi. E i lupi quando azzannano scarnificano la preda. Una missione tutta in salita. La persecuzione sarà sempre in agguato (Cf. Lc 6,22-23).
Gli inviati avranno in eredità il destino di Colui che li manda nel mondo: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Non è una probabilità, è pura certezza: «Vi scacceranno dalle sinagoghe, anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). Gli inviati dalla loro parte avranno soltanto lo Spirito Santo: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire: perche lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12)».
Il loro sangue non sarà sparso invano, testimonierà contro i carnefici, cosicché ricadrà su di essi «tutto il sangue innocente versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare» (Mt 23,35).
Gesù esige, data l’urgenza della missione, la massima povertà e anche essenzialità nelle relazioni: non bisogna perdersi in chiacchiere inutili.
Gesù poi tratteggia il bon ton del missionario.
Innanzi tutto egli è un uomo di pace: è colui che porta la pace che per un israelita è la pienezza dei doni divini. Non bisogna vagabondare di casa in casa e di buon grado mangiare quello che sarà messo dinanzi. Una regola d’oro con la quale viene abrogata la distinzione mosaica tra cibi puri e impuri (Cf. Mc 7,19). Ridonare la salute agli infermi entra nell’opera missionaria: con essa si attesta il potere affidato agli inviati.
Gesù è sempre presente e continua a insegnare e a guarire (Cf. Mc16,20). Se il missionario non viene accolto deve ritirarsi senza recriminare o polemizzare, anche se il ritiro deve essere accompagnato da un gesto molto forte ed eloquente.
Quando i pellegrini giungevano in Terra santa scrupolosamente pulivano i loro piedi per non portare alcuna impurità sul suolo di Dio. Gesù suggerisce di fare il gesto inverso: ai piedi dei missionari non deve restare attaccato alcunché di impuro. Un gesto che diventerà usuale della prima comunità cristiana (Cf. At 13,51).
I settantadue tornarono pieni di gioia: gli inviati tornano pieni di gioia per avere esperimentato la potenza del Nome di Gesù. Ma il Maestro smorza un po’ la loro contentezza. Possono soltanto rallegrarsi per il fatto che i loro nomi «sono scritti nei cieli». Come ricorda san Paolo, la croce, e soltanto la croce, è la ricompensa e la forza del discepolo (Cf. seconda lettura). Invece di aggrapparsi alla gratificazione del loro lavoro apostolico, i cristiani, «abbandonandosi al Padre come il Cristo nel momento supremo della croce [Cf. Lc 23,46; Atti 7,59], restano saldi nella edificazione della Chiesa che il Cristo opera proprio attraverso la loro stessa tribolazione» (Maria Ignazia Danieli). E se questo è l’unico metodo che Cristo usa per edificare la sua Chiesa allora si può comprendere perché scarseggiano gli operai per il suo regno.
Il compimento della pace in Gesù di Nazaret - Bruno Liverani: Le aspirazioni di pace suscitate dal ministero dei profeti si avviano al compimento con la comparsa di Gesù di Nazaret. I momenti che precedono la sua nascita sono densi di presentimenti e di accadimenti profetici. Il padre del Battista profetizza il ministero del figlio come guida nella via della pace, orientamento ad accogliere la luce della salvezza e della liberazione che sta sorgendo (Lc 1,76-79).
Nella nascita di Gesù si realizzano le profezie pronunciate nei tempi antichi sulla figura del Pacificatore escatologico, il rampollo regale (Cf. Is 9,5-6; 11,1-5; Mi 5,1-4).
Il canto delle potenze celesti evidenzia il significato dell’evento: Dio si manifesta nella sua gloria e gli uomini sperimentano l’amore divino col dono della pace (Lc 2,14). Il giusto Simeone, che riceve tale pargolo nelle sue braccia, gusta finalmente, alla fine della propria vita, la pace di Dio e profetizza l’aprirsi della luce della salvezza a tutte le nazioni (Lv 2,29-32).
Sulle strade della Galilea si annunciano i primi segni della pace, nascosta come un fermento nella vita del figlio di Giuseppe e di Maria. Nella cacciata dei demoni e nelle guarigioni miracolose ha inizio un nuovo mondo, l’avvento del Regno. Colui che è liberato dal demonio o guarito miracolosamente sperimenta il dono della pace come liberazione e risanamento. Il saluto di Gesù a costui: «Va’ in pace», sottolinea il valore salvifico dell’evento (Mc 5,34; Cf. Lc 7,50; 8,48).
Il saluto della pace torna a ripetersi per bocca dei primi seguaci di Gesù. Essi sono stati inviati per le strade di Galilea a trasmetterlo di casa in casa: non è più soltanto il consueto saluto di ogni giorno, ma in esso risuona la voce stessa di Gesù e si annunzia la presenza del Regno. Non è un puro suono vocale, ma è il dono messianico che può essere accolto o rifiutato in piena libertà (Lc 10,5-6).
Le profezie che predicevano il compiersi della pace con il ristabilirsi della giustizia per i miseri da parte del Messia posseduto dallo Spirito sono coscientemente applicate a se stesso da Gesù (Cf. Lc 4,16-20).
Non solo nelle parole, ma anche nei gesti di Gesù le profezie si adempiono: secondo la parola del profeta Zaccaria (9,9), egli si presenta nella città santa come il re mansueto che cavalca un’asina e il popolo, in un momento di fugace entusiasmo, professa solennemente l’adempiersi della pace messianica (Lc 19,38).
Gregorio Magno, Hom., 17, 1-4.7 s: “L’operaio è degno della sua mercede” (Lc 10,7), perché gli alimenti fanno parte della mercede, in modo che qui cominci la mercede della fatica della predicazione, che sarà compiuta in cielo con la visione della Verità. Il nostro lavoro, dunque, ha due mercedi, una qui nel viaggio e un’altra nella patria: una che ci sostiene nel lavoro, l’altra che ci premia nella risurrezione. La mercede che riceviamo qui però ci deve rendere più forti per la seconda. Il predicatore perciò non deve predicare per ricevere una mercede temporale, ma deve accettare la mercede, perché possa continuare a predicare. E chiunque predica per una mercede di lode o di danaro, si priva della mercede eterna. Colui invece che, quando parla, desidera di piacere, non perché lui sia amato, ma perché il Signore sia amato, e accetta uno stipendio solo perché non venga poi meno la voce della predicazione, certamente questi non sarà premiato meno nella patria perché ha accettato un compenso in questa vita.
Ma che facciamo noi pastori, non posso dirlo senza dolore, che facciamo noi che prendiamo la mercede dei pastori e non ne facciamo il lavoro? Mangiamo ogni giorno il pane della santa Chiesa, ma non lavoriamo affatto per la Chiesa eterna. Riflettiamo quale titolo di dannazione sia il prendere il salario d’un lavoro senza fare il lavoro. Viviamo con le offerte dei fedeli, ma dov’è il lavoro per le loro anime? Prendiamo come paga ciò che i fedeli danno in sconto dei loro peccati, ma non ci diamo da fare con l’impegno della preghiera e della predicazione, come sarebbe giusto, contro quegli stessi peccati.
Il Santo del Giorno - 6 Luglio 2025 - Santa Maria Goretti, Vergine e Martire: Nacque a Corinaldo (Ancona) il 16 ottobre 1890, figlia dei contadini Luigi Goretti e Assunta Carlini, Maria era la seconda di sei figli. I Goretti si trasferirono presto nell’Agro Pontino. Nel 1900 suo padre morì, la madre dovette iniziare a lavorare e lasciò a Maria l’incarico di badare alla casa e ai suoi fratelli. A undici anni Maria fece la Prima Comunione e maturò il proposito di morire prima di commettere dei peccati. Alessandro Serenelli, un giovane di 18 anni, s’innamorò di Maria. Il 5 luglio del 1902 la aggredì e tentò di violentarla. Alle sue resistenze la uccise accoltellandola. Maria morì dopo un’operazione, il giorno successivo, e prima di spirare perdonò Serenelli.
L’assassino fu condannato a 30 anni di prigione. Si pentì e si convertì solo dopo aver sognato Maria che gli diceva avrebbe raggiunto il Paradiso. Quando fu scarcerato dopo 27 anni chiese perdono alla madre di Maria.
Maria Goretti fu proclamata santa nel 1950 da Pio XII. (Avvenire)
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.