5 Luglio 2025
 
Sabato XIII Settimana T. O.
 
Gen 27,1-5.15-29; Salmo Responsoriale Dal Salmo 134 (135); Mt 9,14-17
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Angelus ): Mentre Gesù si trova a tavola in casa di Levi, il pubblicano, i farisei e i seguaci di Giovanni Battista gli domandano perché i suoi discepoli non stanno digiunando come loro. Gesù risponde che gli invitati a nozze non possono digiunare mentre lo sposo è con loro; digiuneranno quando lo sposo sarà loro tolto … Così dicendo, Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d’Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l’ora del lutto e del digiuno … Ci sia guida e maestra Maria Santissima, che, quando Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme per subirvi la Passione, lo seguì con fede totale. Come “anfora nuova”, ricevette il “vino nuovo” portato dal Figlio per le nozze messianiche (cfr Mc 2, 22). E così, quella grazia che lei stessa, con istinto di Madre, aveva sollecitato per gli sposi di Cana, la ricevette per prima sotto la Croce, versata dal Cuore trafitto del Figlio, incarnazione dell’amore di Dio per l’umanità (cfr Deus caritas est, 13-15).
 
I Lettura: Il brano biblico è un “racconto jahvista che vanta l’astuzia di Giacobbe, ma sfumato, nella sua redazione definitiva, da discreta riprovazione per l’astuzia di Rebecca e da pietà per Esaù. La menzogna qui riferita, nel quadro di una morale ancora imperfetta, serve misteriosamente all’azione di Dio la cui libera scelta ha preferito Giacobbe a Esaù [Gen 25,23; cf. Ml 1,2s, Rm 9,13] (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?
 
Al di là della polemica sul digiuno, una pratica ascetica assai amata dai Farisei, le parole di Gesù contengono una profezia: nella espressione verranno giorni in cui sarà tolto lo sposo, il verbo togliere o strappare (apairomai), nel Nuovo Testamento, usato solo al passivo, preannuncia la fine violenta di Gesù. Solo allora in quei giorni, il tempo della Chiesa, ci sarà posto anche per il digiuno.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,14-17
 
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.
Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».
 
Parola del Signore.

Lo sposo è con loro - Il digiuno è una pratica penitenziale onnipresente in tutte le religioni. Un rito celebrato sopra tutto per attenuare l’arroganza e l’orgoglio, ma che si imponeva in alcune circostanze particolari: per esempio, per scongiurare un castigo divino o per sfuggire a eventi nefandi. Per molti Farisei era una delle tante pratiche escogitate dalla loro affettata religiosità per accampare diritti dinanzi al Signore e carpirne in questo modo la benevolenza (Lc 18,9-14).
Gesù condanna l’esibizionismo, l’ostentazione farisaica (Mt 6,16-18) non il digiuno che, come tutte le altre pratiche penitenziali, deve essere celato da un atteggiamento gaio, sereno, spontaneo: «Tu, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto» (Mt 6,17). No, quindi, a facce lugubri, tristi.
No, sopra tutto, a comportamenti ostentati unicamente per accaparrarsi le lodi e gli applausi degli uomini (Mt 6,1; 23,5). La religiosità cristiana è fatta di una spiritualità lieta, festante, briosa: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5) .
Il Vangelo è la buona notizia che va annunciata con una faccia ilare, sorridente.
Il peccato delle guide spirituali del popolo d’Israele è quello di non essere state capaci di cogliere in Gesù lo sposo dell’umanità. Con Gesù «l’attesa di Dio è colmata: “sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta!” [Ap 19,7]. Gesù è lo sposo che porta a compimento l’alleanza tra Dio e il suo popolo annunciata dal profeta Osea. I tempi sono dunque compiuti. Non è più il tempo per il legalismo, non è più il tempo per leggere il presente con gli occhi del passato, ma con quelli del futuro inaugurato da Gesù. Non è più il momento di digiunare, come all’epoca in cui si preparava ancora l’incontro con Dio, ma è il momento della festa. Egli è ormai qui!» (Anselmo Morandi).
Presente lo Sposo gli invitati non possono digiunare, solo nei giorni successivi alla sua morte potranno farlo: «Il primo periodo è un continuato convito, non ci può essere posto per le astensioni e le privazioni; il secondo è un tempo di lutto, quindi anche di macerazioni. Il digiuno appare quindi un rito di condoglianze che la comunità cristiana celebra per sentirsi vicina al Cristo morto e sepolto» (Ortensio Da Spinetoli).
Gesù, con la «parabola del vestito e dell’otre», rintuzza il cieco attaccamento dei Farisei alle loro tradizioni: ancora una volta non hanno capito la novità della Buona Novella che dichiara apertamente tramontate le vecchie pratiche religiose ormai incapaci di contenere il nuovo spirito che deve animare il discepolo. È l’immagine del vino nuovo, più di quella del panno non follato, a rendere più evidente il contrasto tra il vecchio e il nuovo.
Con l’immagine del vestito vecchio e del vino nuovo, Gesù dichiara sorpassate e inutili tutte le numerosissime, ossessionanti e minute prescrizioni giudaiche: erano diventate ormai vecchi e logori contenitori incapaci di contenere le nuove forze fermentatrici, proprie della predicazione cristiana.
Non vi può essere accordo o compromesso tra le leggi e le leggine mosaiche e il Vangelo, rivelazione ultima e definitiva dell’amore liberante di Dio: il vecchio è vecchio e va messo da parte; il vestito vecchio è frusto, liso ed è quindi inservibile. Gesù è venuto a tagliare i rami secchi non ad abolire la Legge in se stessa (Mt 5,17-19).
Sono gli orpelli a dare fastidio, ad appesantire i cuori, ad intralciare il cammino; sono le tradizioni umane che deturpano il messaggio evangelico spogliandolo della sua bellezza e della sua novità.
Fuori immagine, non basta più essere buoni giudei, occorre diventare cristiani: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).
 
Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco - La Bibbia di Navarra 27,1-45. Giacobbe aveva già ottenuto il diritto di primogenitura; ora sta per ricevere la benedizione che il padre elargiva al figlio maggiore. Quella benedizione implicava, a quanto pare, il diritto all’eredità - peraltro già venduto da Esaù a Giacobbe - e quello a rappresentare l’intera famiglia, acquisendo in tal maniera il primato sopra i fratelli (cfr v. 29). Inoltre, attraverso la benedizione patema veniva trasmessa anche la benedizione di Dio. La Bibbia non esprime giudizi sui mezzi di cui Giacobbe si avvale per carpire la benedizione paterna, ma rileva ancora una volta che Giacobbe non ne aveva diritto secondo le leggi umane, ma che egli ricevette l’una e l’altra cosa - primogenitura e benedizione - come doni gratuiti di Dio, che volle scegliere il figlio più piccolo (cfr 25,23). Anche qui, come nel caso di Isacco (cfr 21,8-13), viene posto in risalto l’intervento della madre, al di sopra delle leggi vigenti, nella realizzazione dei progetti divini. II passo intende rilevare, nel medesimo tempo, lo sagacia di Giacobbe, superiore a quella di Esaù.
L’azione del patriarca trova giustificazione nell’intera trama del racconto, dato che egli aveva in precedenza comperato dal fratello i diritti di primagenitura. Tuttavia, il profeta Osea giudicherà negativa lo condotta di Giacobbe; il patriarca se ne dovrà pentire e, in questo senso, Giacobbe prefigura il popolo d’Israele che il profeta esorta alla conversione (cfr Os 12,3- 7).
II racconto presenta uno stile analogo a quello che abbiamo notato al cap. 24. Infatti, l’azione si svolge in cinque scene, ciascuna delle quali comprende un dialogo fra due personaggi, la cui psicologia viene magistralmente descritta; la tensione drammatica su chi sarà il beneficiario ultimo della benedizione è attenuata, in certo senso, dai modi compiti con cui tutta l’azione si svolge.
27,5-17. Rebecca agisce apparentemente per motivi umani, spinta dalla predilezione per il figlio minore (cfr 25,28). Di questo interessato amore materno Dio si serve per guidare gli avvenimenti, di modo che si compiano i suoi disegni sul futuro dei due figli (cfr 25,23). Dall’operato di Rebecca, che la Sacra Scrittura anche qui non giudica, Dio trarrà un grande bene: le promesse fatte ad Abramo passeranno, tramite Giacobbe, al popolo d’Israele che da lui discende.
27,20. La risposta di Giacobbe, data richiamando il nome del Signore, non è priva di astuzia: non chiarisce come Dio gli abbia fornito gli animali, ma il lettore comprende che vi è stato l’intervento di Rebecca.
27,26-29. La benedizione di Isacco a Giacobbe evoca il primato di questo figlio, la fecondità della terra e il dominio sui popoli. Le tre cose sono connesse alla chiamata di Abramo e alla promessa della terra e di una numerosa discendenza, come verrà detto esplicitamente poco dopo, quando Isacco conferma la benedizione sopra Giacobbe dopo avere saputo dell’inganno (cf 28,3-4). La Lettera agli Ebrei (cfr. 11,20) insegna che sia questa benedizione come quella ricevuta da Esaù (cfr Gn 27,39-40) furono pronunciate da Isacco per impulso della fede e rivolte al futuro vale a dire, in ordine a Cristo nella pienezza dei tempi.
 
Perché i tuoi discepoli non digiunano? Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 30, 4: Verrà tempo in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Il Signore fa loro intendere che se i suoi discepoli non digiunano non è per intemperanza, ma per un’ammirabile disposizione, e insieme anticipa l’annuncio della sua passione; da una parte ammaestra i discepoli alle dispute con gli avversari e dall’altra li esercita alla meditazione di eventi apparentemente tristi. Sarebbe stato troppo duro e insopportabile rivolgere loro direttamente questo annuncio: e difatti, quando fu loro rivolto in seguito, li turbò estremamente. Ora, sentendone parlare in un discorso indirizzato ad altri, l’impressione che ne ricevono è meno forte.
E poiché verosimilmente i discepoli di Giovanni si gloriavano della dolorosa situazione in cui si trovava il loro maestro, il Signore reprime anche questo loro orgoglio. Ora, comunque, non fa alcun ceno alla sua risurrezione: non era ancora il momento opportuno. Perché se la morte era conforme alla natura per chi era considerato uomo, la risurrezione era un fatto al di sopra della natura umana.
 
Santo del giorno - 5 Luglio 2025 - Sant’Antonio Maria Zaccaria, Sacerdote: Nasce a Cremona nel 1502. Nel 1524 si laurea in medicina a Padova. Ma poi, tornato a Cremona, decide di spiegare Vangelo e dottrina a grandi e piccoli. Viene consacrato prete nel 1528. Cappellano della contessa Ludovica Torelli, la segue a Milano nel 1530. Qui trova sostegno nello spirito d’iniziativa di questa signora e in due amici milanesi sui trent’anni come lui: Giacomo Morigia e Bartolomeo Ferrari. Rapidamente nascono a Milano tre novità, tutte intitolate a san Paolo. Già nel 1530 egli fonda una comunità di preti soggetti a una regola comune, i Chierici regolari di San Paolo. Milano li chiamerà Barnabiti, dalla chiesa di San Barnaba, loro prima sede. Poi vengono le Angeliche di San Paolo, primo esempio di suore fuori clausura. San Carlo Borromeo ne sarà entusiasta, ma il Concilio di Trento prescriverà loro il monastero. Terza fondazione: i Maritati di San Paolo, con l’impegno apostolico costante dei laici sposati. Denunciato come eretico e come ribelle Antonio va a Roma: verrà assolto. Durante un viaggio a Guastalla, il suo fisico cede. Lo portano a Cremona, dove muore a poco più di 36 anni. (Avvenire)
 
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.