14 Luglio 2025
Lunedì XV Settimana Tempo Ordinario
Es 1,8-14.22; Salmo Responsoriale Dal Salmo 123 (124); Mt 10,34-11,1
Colletta
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità
perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Deus caritas est 6: L’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l’amore mira all’eternità. Sì, amore è «estasi», ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: «Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Lc 17,33), dice Gesù - una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10,39; 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24; Gv 12,25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell’amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l’essenza dell’amore e dell’esistenza umana in genere.
I Lettura: La mano dell’oppressore inizia a scrivere per gli Israeliti la dolorosa pagina della schiavitù.
L’Egitto “non sembra aver conosciuto una organizzazione regolare del lavoro forzato, ma la mano d’opera dei grandi lavori pubblici era reclutata in parte tra i prigionieri di guerra e gli schiavi addetti ai domini regali [cfr. per Israele 2Sam 12,31]. Gli israeliti hanno risentito come un’oppressione insopportabile la loro equiparazione a queste categorie inferiori: si comprende che essi abbiano voluto riprendere la vita libera del deserto, si comprende anche che gli egiziani abbiano considerato la loro proposta come una rivolta di schiavi” (Bibbia di Gerusalemme).
Vangelo
Sono venuto a portare non pace, ma spada.
Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me... ascoltare questo insegnamento di Gesù a molti fa venire la pelle d’oca... sono pagine che danno fastidio, e che vorremmo strappare... e così, qualche volta, nella nostra insipienza riusciamo a neutralizzarle apportandovi becere correzioni secondo i nostri gusti. Ma è in questa pagina che troviamo il cuore della Buona Novella: la Croce, e soltanto la Croce può dare all’uomo, su questa terra, la vera pace, e, oltrepassati i confini della vita, la vera ed eterna beatitudine. Il tuo distintivo di cristiano non è nel crocifisso d’oro che porti al collo o vezzosamente come bijou sul bavero del tuo elegante tailleur. Potrai dimostrare di essere cristiano soltanto quando, mostrando le tue spalle, esse appariranno letteralmente scarnificate dal legno della Croce.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 10,34-11,1
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.
Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.
Parola del Signore.
Pace e spada - Felipe F. Ramos (Commento alla Bibbia Liturgica): Abbiamo davanti a noi uno dei paradossi più vistosi. Sembrano parole in contrasto con le speranze nel Messia che doveva essere il principe della pace (Is 9,5); sono contrarie alle speranze di tutti gli uomini che lottano e lavorano per la pace; sono contrarie alla stessa parola di Gesù che ha proclamato beati tutti quelli che lavorano per la pace (5,9: saranno chiamati figli di Dio) e ha ordinato ai suoi discepoli di annunziare la pace.
È agevole uscire da questo tremendo paradosso? Naturalmente no, se lo si prende nel senso che gli è stato dato talvolta per giustificare la «guerra santa» o aspirazioni umane o intransigenze religiose. La spada o lotta portata da Gesù non è dichiarazione di guerra contro il resto dei mortali che non accettano la fede cristiana. I figli del tuono furono ripresi duramente per questa mentalità: «Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54-55) dissero; ma egli li rimproverò. Non si tratta della lotta dei discepoli contro altri uomini, ma di questi uomini contro i discepoli.
La spada-divisione è implicita nelle esigenze della presenza di Gesù. Lo stesso messaggio porta alla divisione: esige la rinunzia alle cose più amate, esige che nessuno e nulla sia al di sopra di lui nella scala dei valori che l’uomo deve trattare. Gerarchizzando questi valori, egli intende stare alla vetta; e non tutti, e anzi pochi sono disposti ad accettare questo criterio. Solo una fede profonda può farlo accettare. La divisione di cui si parla nel testo era già stata vissuta come esperienza nella Chiesa, subito dopo che il giudaismo ufficiale aveva lanciato il decreto di scomunica contro tutti quelli che avessero ammesso che Gesù era il Messia. Questo portò nelle famiglie la divisione a cui accenna il testo. Ma, al di sopra e al di là di questo livello sta l’esperienza della Chiesa, dei discepoli di Gesù che vogliono essere pienamente coerenti con la loro vocazione, con la chiamata del Signore e con le esigenze cristiane. L’esigenza che, a volte, è imposta ai discepoli di Gesù, di rinunziare a tutto e a tutti, anche alle cose più amate (8,22), va incontro all’incomprensione, alla divisione, alla lotta, la spada in azione, che è la stessa parola di Dio (Eb 4,12).
In quei giorni, sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto - Giuseppe René Motte e Pierre Grelot: 1. Funzione dell’Egitto nella storia sacra.- Tra le nazioni straniere con le quali Israele è stato in rapporto,nessuna forse manifesta meglio dell’Egitto l’ambiguità delle potenze temporali. Questa terra d’abbondanza è il rifugio provvidenziale dei patriarchi affamati (Gen 12,10; 42ss), dei proscritti (1 Re 11,40; Ger 26,21), degli Israeliti vinti (Ger 42s), di Gesù fuggiasco (Mt 2,13); ma con ciò stesso costituisce una tentazione facile per persone senza ideali (Es 14,12; Num 11,5,...).
Impero tronfio della sua forza, esso un tempo ha oppresso gli Ebrei (Es 1-13); e non di meno conserva il suo prestigio agli occhi di Israele durante i secoli in cui questo aspira alla grandezza temporale. David (2Sam 20,23-26) e soprattutto Salomone (1Re 4,1-6) si ispirarono al modello egiziano per organizzare la corte reale e l’amministrazione del regno. Se ne ricerca l’appoggio nei periodi di crisi, sia a Samaria (Os 7,11), sia a Gerusalemme (2 Re 17,4; 18,24; Is 30,1-5; Ger 2,18...; Ez 29,6s...).
Centro di cultura, esso ha contribuito all’educazione di Mosè (Atti 7,22), ed i sapienti ispirati sfruttano all’occasione la sua letteratura (specialmente Prov 22,17 - 23,11); ma, in cambio, è una è una terra di idolatria e di magia (Sap 15,14-19) la cui seduzione nefasta allontana gli Israeliti dal loro Dio (Ger 44,8 ...).
2. L’Egitto dinanzi a Dio. - Non è quindi sorprendente che ci sia un giudizio di Dio contro l’Egitto: al momento dell’esodo, per costringerlo a liberare Israele (Es 5-5; cfr. Sap 16-19); all’epoca regia, per punire questa potenza orgogliosa che promette ad Israele un aiuto vano (Is 30,1-7; 31,1-3; Ger 46; Ez 29-32), per umiliare questa nazione pagana sedotta dai suoi sapienti (Is 19,1-15). A tutti questi titoli esso continuerà a raffigurare simbolicamente le collettività umane votate all’ira di Dio (Apoc 11,8). Tuttavia, anche quando lo punisce in tal modo, Dio usa moderazione verso di esso: gli Egiziani rimangono sue creature, ed egli vorrebbe anzitutto distoglierli dal male (Sap 11,15-12, 2). E questo perché egli intende convertire infine l’Egitto ed unirlo al suo popolo, affinché impari a sua volta a servirlo (Is 19,16-25; Sal 87,4-7). Giudicato per il suoi peccati, esso parteciperà non di meno alla salvezza come tutte le altre nazioni.
Basilio Caballero - La croce, segno d’amore e di vita - A partire dal vangelo di oggi, la croce appare all’orizzonte cristiano come simbolo convincente della sequela di Gesù, perché è segno d’amore, come dare la vita per qualcuno. E questa è la suprema prova d’amore. Vedendo l’immagine di Cristo, crocifisso perché Dio amò così tanto l’uomo (Gv 3,16), si capisce che la croce e dare la vita per amore sono sinonimi per il discepolo di Gesù. Le sue parole sono più che espressioni metaforiche: egli vuole inculcarci un modo di pensare è uno stile di vita per realizzare ogni giorno la sequela che ci chiede.
Nei sacramenti, a partire dal battesimo, tutta la nostra vita cristiana è segnata con la croce di Cristo. La croce battesimale sulla nostra fronte, insieme all’acqua e allo Spirito, ci ha dato il nome di cristiani. Ma questo non è un titolo che si conferisce per eredità, e neanche honoris causa; bisogna superare le prove necessarie, ci dice oggi Gesù. « Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me».
Per meditare, assimilare e trasmettere integralmente il messaggio di Cristo bisogna far parlare la croce nella vita del cristiano. Ricordare questa verità è dovere di chi è al servizio della parola, di chi educa alla fede e dei genitori cristiani verso i loro figli. Nostra gloria è la croce di Cristo, possiamo dire con san Paolo, perché è segno positivo di vita e non di morte, di liberazione e non di schiavitù.
La mistica della sequela attraverso la rinuncia e la croce è monopolio del cristianesimo, perché fu esclusiva dell’atteggiamento e della dottrina di Gesù e supera di molto l’ideale di tutte le religioni della storia. Non ha punti di paragone con le tecniche orientali del silenzio dei sensi e del nirvana delle passioni, né con l’atarassia o serenità dispregiativa degli stoici come Seneca.
La rinuncia a se stessi e l’abnegazione cristiana non sono passività fatalista né droga o narcotico per calmare il dolore, il disprezzo e la persecuzione, ma attività feconda dell’amore che distrugge i criteri e i centri d’interesse dell’uomo vecchio, creando la vita dell’uomo nuovo, cioè di Cristo e del discepolo che si incorpora a lui attraverso la fede del battesimo.
Gesù conclude oggi il discorso missionario parlando di ricompensa per chi accoglierà i suoi inviati. La sua richiesta di fedeltà incondizionata ha una contropartita gratificante a misura di colui del quale ci siamo fidati. Ogni sacrificio, lavoro e sforzo per il regno di Dio e ogni servizio prestato al fratello, fosse solo un bicchiere d’acqua fresca, non resteranno senza ricompensa.
Giovanni Crisostomo (Commento al Vangelo di Matteo 35, 2): Gesù parla in tal modo per rendere al tempo stesso i figli più forti, quando è in causa l’amore di Dio, e i genitori, che volessero ostacolarli, più miti e ragionevoli. Costatando che Dio ha tale forza e potenza da attirare a sé i figli degli uomini, separandoli dai loro genitori, questi ultimi desisteranno dall’opporsi, ben comprendendo che tutti i loro sforzi in tal senso sarebbero inutili. Ecco perché in questo passo Gesù si rivolge solo ai fiali, e non indirizza le sue parole anche ai padri, i quali, però, dalle sue parole sono avvertiti di non tentare mai di allontanare da Dio i loro figli trattandosi di impresa impossibile. Ma affinché i padri non rimangano indignati e non si ritengano offesi da questo comando ch’egli rivolge ai giovani, osservate come prosegue il suo di orso. Dopo aver detto: «Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre», aggiunge subito, «e persino la propria vita». Credete voi - egli dice in sostanza - che io vi chieda soltanto di rinunziare ai vostri genitori, ai vostri fratelli, alle vostre sorelle, alle vostre spose?
Non c’è niente di più strettamente unito all’uomo della sua vita: ebbene, se non giungerete a disprezzare anche quella, io non vi considererò né vi tratterò certo da amici, ma in modo del tutto contrario.
Il Santo del Giorno - 14 Luglio 2025 - San Camillo de Lellis. La profezia della cura, volto di un Dio che guarisce: È la profezia della cura il messaggio più prezioso dell’eredità umana e spirituale lasciataci da san Camillo de Lellis. Nel suo apostolato fu testimone di un Dio che si fa compagno dell’umanità, soprattutto nei momenti di sofferenza e difficoltà. Nato a Bucchianico (Chieti) nel 1550 in una famiglia nobile intraprese la carriera militare, ma a causa di una piaga al piede per un periodo fu ricoverato a Roma. Riprese le armi, fu rovinato dal vizio del gioco, che lo portò a perdere tutti i suoi averi. Si ritrovò così al servizio dei frati cappuccini di San Giovannni Rotondo. Nel 1575 fu ricoverato nuovamente all’ospedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma e lì finalmente trovò la sua strada: si mise a servire con dedizione e delicatezza i compagni malati ed ebbe l’idea di fondare una congregazione votata a questa attività. Nacquero così nel 1582 i Ministri degli Infermi, i Camilliani: l’esperienza militare del fondatore fu una risorsa preziosa per modernizzare l’assistenza ai malati, che prese così una forma più organizzata. De Lellis morì nel 1614 a Roma. Fu beatificato il 7 aprile 1742 e canonizzato il 29 giugno 1746 da Benedetto XIV. Con san Giovanni di Dio, tra l’altro, è patrono degli ospedali e dei malati dal 1886 e degli infermieri dal 1930. (Avvenire)
O Signore, che ci hai nutriti con i tuoi doni,
fa’ che per la celebrazione di questi santi misteri
cresca in noi il frutto della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.