15 Luglio 2025
 
San Bonaventura, Vescovo e Dottore della Chiesa
 
Es 2,1-15 ; Salmo Responsoriale Dal Salmo 68 (69); Mt 11,20-24
 
Colletta
Dio onnipotente, concedi a noi,
che celebriamo la nascita al cielo
del santo vescovo Bonaventura,
di essere illuminati dalla sua eminente sapienza
e di imitare il suo serafico ardore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Catechesi 10 Marzo 2010): (...) per san Bonaventura governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare. Alla base del suo governo troviamo sempre la preghiera e il pensiero; tutte le sue decisioni risultano dalla riflessione, dal pensiero illuminato dalla preghiera. Il suo contatto intimo con Cristo ha accompagnato sempre il suo lavoro di Ministro Generale e perciò ha composto una serie di scritti teologico-mistici, che esprimono l’animo del suo governo e manifestano l’intenzione di guidare interiormente l’Ordine, di governare, cioè, non solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime, orientando a Cristo.
Di questi suoi scritti, che sono l’anima del suo governo e che mostrano la strada da percorrere sia al singolo che alla comunità, vorrei menzionarne solo uno, il suo capolavoro, l’Itinerarium mentis in Deum, che è un “manuale” di contemplazione mistica. Questo libro fu concepito in un luogo di profonda spiritualità: il monte della Verna, dove san Francesco aveva ricevuto le stigmate. Nell’introduzione l’autore illustra le circostanze che diedero origine a questo suo scritto: “Mentre meditavo sulle possibilità dell’anima di ascendere a Dio, mi si presentò, tra l’altro, quell’evento mirabile occorso in quel luogo al beato Francesco, cioè la visione del Serafino alato in forma di Crocifisso. E su ciò meditando, subito mi avvidi che tale visione mi offriva l’estasi contemplativa del medesimo padre Francesco e insieme la via che ad esso conduce” (Itinerario della mente in Dio, Prologo, 2, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 499).
Le sei ali del Serafino diventano così il simbolo di sei tappe che conducono progressivamente l’uomo dalla conoscenza di Dio attraverso l’osservazione del mondo e delle creature e attraverso l’esplorazione dell’anima stessa con le sue facoltà, fino all’unione appagante con la Trinità per mezzo di Cristo, a imitazione di san Francesco d’Assisi. Le ultime parole dell’Itinerarium di san Bonaventura, che rispondono alla domanda su come si possa raggiungere questa comunione mistica con Dio, andrebbero fatte scendere nel profondo del cuore: “Se ora brami sapere come ciò avvenga, (la comunione mistica con Dio) interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non l’uomo; la caligine, non la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio con le forti unzioni e gli ardentissimi affetti ... Entriamo dunque nella caligine, tacitiamo gli affanni, le passioni e i fantasmi; passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo al Padre, affinché, dopo averlo visto, diciamo con Filippo: ciò mi basta” (ibid., VII, 6).
Cari amici, accogliamo l’invito rivoltoci da san Bonaventura, il Dottore Serafico, e mettiamoci alla scuola del Maestro divino: ascoltiamo la sua Parola di vita e di verità, che risuona nell’intimo della nostra anima. Purifichiamo i nostri pensieri e le nostre azioni, affinché Egli possa abitare in noi, e noi possiamo intendere la sua Voce divina, che ci attrae verso la vera felicità.
 
I Lettura: Mosè, figlio di ebrei, è salvato dalla furia omicida egiziana dalla figlia del faraone ed entra in questo modo a far parte della casa reale, ma il suo cuore batte per Israele, il suo popolo. Diventato adulto, un giorno, per salvare un ebreo dalla ferocia di un egiziano si spinge all’omicidio. Un gesto che gli costerà l’esilio in terra di Madian.
 
Vangelo
Nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne e la terra di Sòdoma saranno trattate meno duramente di voi.
 
Molti cristiani amano giocare con il fuoco. Sono maestri nell’arte del rimandare, oggi non posso, domani... oggi ho tante cose da fare è meglio domani ... altri, più che mai incoscienti, decidono di regolare i conti sul letto di morte. Non possiamo approfittare della pazienza di Dio (2Pt 3,8-10). E, tanto meno, non possiamo essere così sciocchi da dire ho peccato, e che cosa mi è successo? (Sir 5,1ss). Eppure, l’esperienza dovrebbe suggerirci che ad ogni passo la morte si avvicina: “Ad ogni ora, ad ogni momento ci avviciniamo a quella che sarà la nostra forca, cioè appunto l’ultima malattia che ci costringerà ad abbandonare il mondo” (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Apparecchio alla morte, Riflessione IV, Punto II). Attento, dunque, chiunque tu sia, a non giocare con il fuoco, alla fine ti potresti trovare ad essere salato con il fuoco (Mc 9,49).

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,20-24
 
In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sodòma sarà trattata meno duramente di te!».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 20 Le maledizioni di Gesù (11, 20-24) furono pronunziate molto probabilmente alla fine del ministero galilaico; Matteo le inserisce convenientemente in questa parte del suo scritto, poiché ha accennato al rifiuto del piano salvifico progettato dalla sapienza divina.
21 Corozein (Corazin) identificata con Kkirbet Kerazeh, sorgeva nell’interno a circa 4 chilometri a nord-ovest di Cafarnao; Bethsaida era sulla riva del lago sull’estuario del Giordano (sponda sinistra). Si è pensato all’esistenza di due città chiamate Bethsaida: una Bethsaida orientale (detta Bethsaida Giulia, la città di questo passo) e una Bethsaida occidentale (cf. Mc., 6, 45) chiamata Bethsaida di Galilea; cf. Gto., 12, 21; l’antichità, tuttavia, non conosce l’esistenza di due Bethsaida. Tiro e Sidone: due città della costa fenicia in territorio interamente pagano. Il Maestro rimprovera queste città per la loro ostinazione, non già per fatti di perversione morale come nel caso di Sodoma e Gomorra. Avrebbero fatto penitenza con il cilicio e con la cenere; espressione tradizionale per indicare la penitenza (cf. Giona 3, 5-8); il cilicio è una stoffa rude (sacco) di cui ci si rivestiva nei giorni di digiuno. Gesù si esprime in modo popolare; egli non intende trattare il problema se Dio conosca i così detti “futuribili”, cioè le cose possibili nel futuro, ma che non si attueranno mai.
23 Cielo... inferno: termini metaforici per indicare la condanna (cf. Isaia, 14, 13, 15). Sodoma; la città, distrutta per le innominabili turpitudini commesse dagli abitanti, è rimasta come l’esempio tradizionale della giustizia vendicatrice di Dio. Gesù fa appello alle proprie opere portentose (δυνάμεις), le quali testimoniano in favore della verità del suo messaggio. Gli abitanti di queste città maledette, rimasti sordi alla predicazione e ciechi davanti ai miracoli compiuti da Cristo, sono inescusabili e, conseguentemente, meritano un giudizio severo.
 
Invito alla conversione - Felipe F. Ramos (Commento alla Bibbia Liturgica): La misura della responsabilità è il dono che la rende possibile: a un dono maggiore corrisponde una maggiore responsabilità. La piccola storia raccolta in questa lettura è un’illustrazione pratica di queste affermazioni. L’attività di Gesù in Galilea fu concentrata principalmente nelle città intorno al lago di Genezaret. Corazin, al nord del lago, all’interno, è menzionata solo qui, mentre è menzionata spesso Betsaida. Ma la città nella quale Gesù rimase più a lungo fu senza dubbio Cafarnao, che Matteo (9,1) chiama «la sua città» e nella quale, secondo Marco, aveva una casa (Mc 2,1). Diremmo che persino l’ordine col quale esse compaiono nel racconto evangelico ha la sua importanza: sono ricordate secondo l’ordine della minore attività che Gesù esercitò in esse: Corazin, Betsaida, Cafarnao. Abbiamo già detto che Corazin è menzionata solo in questo passo e che Cafarnao fu il luogo in cui Gesù dimorò più a lungo durante la sua attività in Galilea.
Anche l’ordine nel contrappunto è intenzionale: Tiro e Sidone erano città pagane, che sono ricordate insieme come testimoni dell’ira divina (Is 23; Am 1,9-10), e Sodoma era passata alla storia biblica come la città peccatrice per eccellenza.
Tenendo conto di queste osservazioni, possiamo comprendere facilmente la lezione del testo evangelico: a una maggiore attività di Gesù in ciascuna di quelle città corrisponde una maggiore responsabilità. Furono invitate alla penitenza e non risposero all’invito; perciò saranno giudicate con maggior severità che le città menzionate nel contrappunto del paragone. Queste ultime città avrebbero risposto all’invito alla conversione, se fossero state testimoni dei miracoli che Gesù compì nelle altre.
Il nostro testo parla di miracoli di Gesù in modo generico: non è specificato esattamente quali siano stati operati nelle città ricordate. Meglio così. Infatti questo ci porta a una considerazione, anch’essa generica, sui miracoli di Gesù. Essi sono un’epifania dell’azione dello Spirito, della vittoria su satana, della misericordia di Dio, che invita sempre il traviato a tornare alla casa paterna. Opere che sono predicazione-parola allo stesso tempo, opere-parola che potrebbero spingere alla penitenza le città più empie. La responsabilità maggiore ricade su Cafarnao per la ragione che abbiamo detta: in Cafarnao fu presente, fisicamente presente per un tempo più lungo il regno dei cieli, per la più lunga permanenza di Gesù in essa. Questo stesso fatto fu forse un motivo d’orgoglio? Comunque sia, la città è descritta con le parole di Isaia (14,13-15) che si riferiscono alla città di Babilonia. Il messaggio di Gesù livella ogni genere di privilegi e pone sul terreno personale di chiamata-risposta. La risposta personale alla sua parola decide l’appartenenza o l’esclusione dal suo regno.
 
Come attraverso il fuoco ...: Spe salvi 47: Alcuni teologi recenti sono dell’avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore. L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l’impuro ed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l’amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. È chiaro che la «durata» di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il «momento» trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno - è tempo del cuore, tempo del «passaggio» alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo. Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura. L’incarnazione di Dio in Cristo ha collegato talmente l’uno con l’altra - giudizio e grazia - che la giustizia viene stabilita con fermezza: tutti noi attendiamo alla nostra salvezza «con timore e tremore» (Fil 2,12). Ciononostante la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro «avvocato», parakletos (cfr. 1Gv 2,1). 
 
Giovanni Crisostomo (Omelie sulla Lettera agli Efesini, 4,3-4): La bontà di Dio ti conduce alla penitenza, non a un maggior numero di peccati. Se invece tu diventi cattivo a causa della bontà di Dio, la farai allora odiare maggiormente dagli uomini; vediamo, infatti, come siano in molti a stigmatizzare la longanimità di Dio. Ne sconterai perciò la pena, se non userai di questa come si conviene. Dio è buono? Ma è anche giusto giudice. Perdona i peccati? Ma rende anche a ciascuno secondo le sue opere. Sorvola sulle iniquità e toglie le trasgressioni? Eppure le passa altresì in rassegna. Non si contraddicono dunque tutte queste cose? Nient’affatto, una volta che le abbiamo divise a seconda dei momenti: quaggiù Dio rimette le trasgressioni per mezzo del lavacro e della penitenza; lassù egli compie l’indagine delle azioni compiute, mediante il fuoco e i tormenti.
 
Il Santo del giorno - 15 Luglio 2025 - San Bonaventura, Vescovo e Dottore della Chiesa: Giovanni Fidanza nacque a Bagnoregio (Viterbo) nel 1218. Bambino fu guarito da san Francesco, che avrebbe esclamato: «Oh bona ventura». Gli rimase per nome ed egli fu davvero una «buona ventura» per la Chiesa. Studiò a Parigi e durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell’Ordine dei Frati Minori. Insegnò teologia all’università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola. Nel 1257 venne eletto generale dell’Ordine francescano, carica che mantenne per diciassette anni con impegno al punto da essere definito secondo fondatore dell’Ordine. Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di San Francesco. Fu nominato vescovo di Albano e cardinale. Partecipò al II Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca. Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti di Cristo, pane vivo,
nella memoria di san Bonaventura,
formaci alla scuola del Vangelo,
perché conosciamo la tua verità
e la viviamo nella carità fraterna.
Per Cristo nostro Signore.