13 Luglio 2025
 
XV Domenica Tempo Ordinario
 
Dt 30,10-14; Salmo Responsoriale Dal Salmo 18 (19); Col 1,15-20; Lc 10,25-37
 
Colletta
Padre misericordioso,
che nel comandamento dell’amore
hai portato a compimento la legge e i profeti,
donaci un cuore capace di misericordia
affinché, a immagine del tuo Figlio,
ci prendiamo cura dei fratelli
che sono nel bisogno e nella sofferenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Deus caritas est 15: La parabola del buon samaritano (cfr. Lc 10,25-37) conduce soprattutto a due importanti chiarificazioni. Mentre il concetto di «prossimo» era riferito, fino ad allora, essenzialmente ai connazionali e agli stranieri che si erano stanziati nella terra d’Israele e quindi alla comunità solidale di un paese e di un popolo, adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora. Rimane compito della Chiesa interpretare sempre di nuovo questo collegamento tra lontananza e vicinanza in vista della vita pratica dei suoi membri. Infine, occorre qui rammentare, in modo particolare, la grande parabola del Giudizio finale (cfr. Mt 25,31-46), in cui l’amore diviene il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio.
 
Prima Lettura: Mosè, alla vigilia di entrare nella terra promessa, rivolge tre discorsi a Israele. Come condizione per possedere e godere la terra promessa raccomanda l’osservanza della legge di Dio, proponendo per la seconda volta il decalogo e il codice. La Legge è la base irrinunciabile di ogni convivenza civile, di ogni moralità. Per il credente questo assunto si fa più forte perché per lui la fonte della Legge è Dio.
 
Seconda Lettura: La comunità cristiana di Colossi è scossa da una dottrina d’origine ebraica e pagana. Contro aberranti teorie che esaltano il ruolo di misteriose potenze celesti, Paolo propone una riflessione approfondita sulla persona e sul ruolo di Cristo, «capo» della Chiesa e dell’intero creato. L’inno cristologico è composto da due strofe che celebrano Cristo come il primogenito di tutta la creazione e come il primogenito dei morti: alla «cristologia cosmica della prima strofa corrisponde la soteriologia cosmica della seconda strofa. Creazione e redenzione sono rapportate reciproca­mente. Cristo in quanto esaltato nella redenzione cosmica è anche come il detentore di una sovranità cosmica, quella che presiede e orienta tutta la creazione» (Mauro Orsatti).
 
Vangelo
Chi è il mio prossimo?
 
I personaggi del racconto evangelico appartengono a due mondi contrapposti, «l’un contro l’altro armato» (Alessandro Manzoni): da una parte il Samaritano, lo straniero ed eretico (Cf. Gv 8,48; Lc 9,53), dal quale non si attenderebbe normalmente che odio e dall’altra il sacerdote e il levita, coloro che in Israele sono maggiormente tenuti a osservare la legge della carità. Quest’ultimi sono convinti di amare Dio anche se lasciano morire per strada chi ha avuto la disavventura di incappare nei briganti: non si accorgono che è una pura scempiaggine credere di amare Dio disprez­zando il prossimo. La religione che separa totalmente il religioso dal profano, che ha cura del rito senza integrarlo con la morale, che non assomma il culto con la carità, è praticamente una religione atea con pericolosi propensioni al fanatismo e all’idolatria.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,25-37
 
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Sa- maritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ri- torno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
 
Parola del Signore.
 
Un uomo scendeva... - Solo Luca parla di questo episodio. Il «dottore della Legge» che si «alza» per mettere alla prova Gesù è un esperto della Legge e trascinare intenzio­nalmente il giovane maestro di Nazaret in questioni riguardanti la Legge era come spingerlo sulle sabbie mobili. La domanda posta a Gesù, - che devo fare per ereditare la vita eterna? -, era di vitale importanza per ogni ebreo e la preoccupazione del dottore della Legge non è sul piano teorico, ma pratico (Cf. Lc 18,18). Non era facile districarsi in una selva di precetti e trovarvi la via che conduceva alla vita eterna. Basti pensare che il numero dei precetti della Torà era ben 613, di cui 248 precetti positivi e 365 precetti negativi.
Alla domanda del leguleio, Gesù risponde a sua volta con una domanda in modo che sia lo stesso interlocutore a dare la risposta. Quando il dottore della Legge cita la sacra Scrittura, e precisamente: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza... » (Dt 6,5) e la legge parallela «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev 19,18), Gesù gli dice che ha risposto corretta­mente e lo invita a comportarsi di conseguenza.
Il monito fa’ questo (tu fa’ così) è ripetuto anche alla fine della parabola per sottolineare l’importanza della pratica di vita di cui certamente difettava il borioso dottore della Legge, il quale volendosi giustificare chiede a Gesù: «E chi è mio prossimo?».
La risposta per l’interlocutore era in verità già scontata. In linea di massima, il prossimo, per un Giudeo, era il connazionale o lo straniero che dimorava in Israele (Cf. Lev 19,33-34). Più tardi saranno considerati prossimo i pagani convertiti.
Da questa lista certamente erano esclusi i nemici e sopra tutto i Samaritani. Secondo Rinaldo Fabris, al tempo di Gesù erano state aggiunte altre restrizioni, «per cui praticamente il prossimo era il membro della setta o del gruppo religioso [farisei, esseni, zeloti, ecc.]. È su questo sfondo che deve essere trascritto il racconto magistrale di Gesù».
Gesù, a questo punto, perché sia più chiara la sua esortazione, narra la parabola dell’uomo incappato nei briganti. Di proposito gli attori del racconto sono un sacerdote, un levita e un Samarita­no. I primi due, consci di essere gli «eletti» rappre­sentanti religiosi dell’ebraismo, appartengono al popolo d’Israele; il Samaritano invece a un popolo considerato dai Giudei eretico, pagano. Un’antica ferita che si perdeva nella notte dei tempi quando Sargon re degli Assiri, nel 721 a.C., aveva conquistato il regno del Nord deportando i suoi abitanti e al loro posto erano state trasferite genti di altre nazioni (Cf. 2Re 17) che si erano amalgamate con i pochi rimasti in patria. Anche in campo religioso si era creato un sincretismo che aveva spinto i Giudei scampati all’esilio, e che erano ritornati nella loro terra, a considerare i Samaritani come popolo misto.
Gesù nel raccontare la parabola, di propo­sito, opera uno spostamento di accento, dall’oggetto al soggetto. Mentre il dottore della Legge aveva chiesto chi doveva essere oggetto del suo amore, Gesù fa vedere il soggetto, chi è colui che ama veramente; al dottore della Legge che chiedeva chi fosse il prossimo da amare, Gesù gli insegna come lui avrebbe dovuto diventare prossi­mo. Praticamente, Gesù chiede al dottore della legge di rientrare in se stesso e di verificare in che modo egli si pone nei confronti degli altri, quali relazioni costruisce con gli altri. Al termine della parabola, il saccente custode della Legge scopre il senso dell’insegnamento di Gesù: come il Samaritano deve avere il coraggio di farsi prossimo di chi nell’immediato ha bisogno del suo aiuto senza stare a sofisticare in questioni di lana capri­na. Una bella lezione per chi era abituato a «filtrare il moscerino» (Mt 23,24). Non va poi dimenticato il senso cristologico della parabola: il buon Samaritano è Gesù che nell’amare l’umanità rivela e realizza l’infinito amore del Padre per tutti gli uomini. In questa ottica l’amore verso il prossimo, che con la parabola viene comandato a tutti i discepoli, deve essere interpretato come continuazione dell’amore di Gesù, come insegnano le sue stesse parole: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 15,34).
 
Obbedirai alla voce del Signore - Giuseppe Barbaglio: Il motivo tematico è espresso in greco con il verbo hypakouein e il sostantivo corrispondente hypakoé. In ebraico vi corrisponde il verbo shama’, che vuol dire «ascoltare», non solo l’atto di udire ma soprattutto l’adesione alla parola. Dunque nel tema dell’ascolto, proprio dell’Antico Testamento, è compresa la realtà dell’obbedienza. Di fatto, hypakouein-hypako é è terminologia preferita da Paolo che vi esprime contenuti teologici rilevanti.
Altri termini greci da tener presenti sono peitharchein (obbedire: Cf. At 5,29; 5,32; 27,21; Tt 3,1); peithesthai che a volte presenta il significato di obbedire, soprattutto per indicare l’adesione di fede; parako-uein-parakoé (dissobedire-disobbedienza).
La testimonianza dell’Antico Testamento - A volte la traduzione greca rende il verbo shama’ (= ascoltare) con hypakouein (= obbedire).
In Gn 22,18 e 26,5 si afferma l’obbedienza di Abramo, in particolare quando si dimostrò pronto a sacrificare il figlio e, più in generale, quando aderì alla parola di Jahvé. Per questo Dio conferma a lui e alla sua discendenza la promessa solenne, già giurata all’inizio, quando fu chiamato a lasciare Ur dei caldei e a venire in un paese sconosciuto. Un’obbedienza esemplare, che la lettera agli Ebrei richiamerà nella sua esortazione ai credenti: «Per fede Abramo chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava» (11,8).
Nel libro del Levitico poi le maledizioni divine sono minacciate a quanti disobbediscono a Jahvé: «Se non mi obbedirete», dice Jahvé, vi capiterà questo e quest’altro ancora (26,14.18.21.27).
Positivamente, invece, Dio dichiara che egli sarà il Dio d’Israele, se questi obbedirà alla sua voce (Dt 26,17).
In Sir 24,22 poi si parla dell’obbedienza alla sapienza. Ma più spesso si parla dell’in­vito della sapienza rivolto agli israeliti perché l’ascoltino.
Infine, gravi pene vengono comminate al figlio che si ribella ai genitori: «Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della città: Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore. Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà; così estirperai da te il male e tutto Israele lo saprà e avrà timore» (Dt 21,18-21).
È tutto e, come si vede, è poco. In realtà, come già detto sopra, il tema dell’obbedienza nell’Antico Testamento si identifica con quello dell’ascolto.
L’obbedienza a Dio - Di grande rilievo è senz’altro, nel Nuovo Testamento, la dichiarazione degli apostoli diffidati dal fare propaganda a favore di Gesù: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29). Il comando delle autorità di Gerusalemme, che proibiscono agli apostoli la predicazione cristiana, non solo può, ma deve essere disatteso, perché in contrasto con il volere di Dio che li ha mandati a testimoniare la morte e risurrezione del suo Figlio. In altre parole, l’obbedienza ad autorità umane non può essere assolutizzata; c’è un’istanza superiore, di fronte a cui viene meno.
Sempre gli Atti parlano della disobbedienza degli israeliti a Mosè, in ultima analisi a Dio che mediante Mosè guidava il cammino del popolo nel deserto verso la terra (7,39). E in proposito la lettera agli Ebrei aggiunge che quanti sono stati disobbedienti nel deserto non sono potuti entrare nella terra, nel riposo (3,18 e 4,6). Anche At 26,19 rientra in questo quadro teologico: Paolo dichiara davanti al re Agrippa che egli non è stato ribelle/disobbediente alla visione celeste sulla via di Damasco; giustifica così la sua attività apostolica di annuncio cristiano: all’origine c’è un espresso comando di Dio.
 
Gesù è il buon samaritano - Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 7, 74: Non è di poco conto questo samaritano, il quale non disdegnò anche lui quell’uomo che il sacerdote, che il levita aveva disdegnato. E non stimarlo poco a motivo del nome della setta, perché lo ammirerai quando avrai conosciuto la traduzione dell’appellativo: la parola «samaritano» significa «custode». Questa è la spiegazione. E chi è il custode, se non Colui del quale è stato detto: Il Signore custodisce i piccoli (Sal 114, )?
Perciò, come vi è un Giudeo secondo la lettera, e uno secondo lo spirito, così vi è un samaritano che si vede e uno nascosto. Questo samaritano, che stava scendendo - chi è Colui che è disceso dal cielo, se non colui che è asceso al cielo, il Figlio dell’ uomo che è nel cielo (Gv 3, 13)? -, vedendolo mezzo morto, poiché nessuno prima era stato capace di curarlo, [ ... ] si accostò a lui, cioè: si fece simile a noi avendo preso sopra di sé la nostra compassione, e si fece vicino donandoci la sua misericordia.
 
Il Santo del giorno: 13 Luglio 2025: Sant’Enrico II, Imperatore: Enrico nacque sulle rive del Danubio il 6 maggio del 973. Il giovane principe venne affidato dalla madre alle cure dei canonici di Hildesheim e, in seguito, a quelle del vescovo di Regensburg (Ratisbona), san Wolfgang, alla cui scuola si formò culturalmente e spiritualmente. Crebbe in un ambiente cristiano. Il fratello Bruno divenne vescovo di Augsburg (Augusta), una sorella si fece monaca e l’altra sposò un futuro santo, il re d’Ungheria Stefano. Un episodio, dal sapore leggendario, contribuì a mantenerlo sulla retta via: a 23 anni gli apparve in sogno il suo precettore, morto da poco, che tracciava sul muro della camera le seguenti parole: «Fra 6». Enrico le interpretò come una predizione di morte, pensando che la sua ora sarebbe arrivata di lì a 6 giorni; invece i 6 giorni passarono e non successe nulla. Allora Enrico pensò si trattasse di 6 mesi e si preparò all’evento con pii esercizi; ma neanche dopo 6 mesi la morte lo portò via, ed egli ringraziò Dio per avere ancora 6 anni a disposizione. Trascorsi i 6 anni, Enrico si trovò sul trono di Germania spiritualmente ben fortificato per non cadere nelle tentazioni della mondanità. Nel 1014 quando “già re di Germania e d’Italia” Papa Benedetto VIII, lo incoronò a guida del Sacro Romano Impero. Nel corso della sua vita, Enrico governò con fermezza e al tempo stesso con moderazione, promosse la riforma del clero e dei monasteri. Raro esempio di correttezza civile, di onestà morale e di santità, tra i consiglieri ebbe Odilone, abate di Cluny, centro di riforma della Chiesa. Morì il 13 luglio 1024 e fu sepolto a Bamberga. Fu lui a sollecitare l’introduzione del Credo nella Messa domenicale. 
 
O Signore, che ci hai nutriti con i tuoi doni,
fa’ che per la celebrazione di questi santi misteri
cresca in noi il frutto della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.