3 Giugno 2025
 
Santi Carlo Lwanga e Compagni Martiri
 
At 20,17-27; Salmo Responsoriale Dal Salmo 67 (68); Gv 17,1-11a
 
Colletta
O Dio,
che nel sangue dei martiri hai posto il seme di nuovi cristiani,
concedi che il campo della tua Chiesa,
irrigato dal sangue di san Carlo [Lwanga
e dei suoi compagni,
produca una messe sempre più abbondante
a gloria del tuo nome.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.  
 
Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato: Benedetto XVI (Messaggio, 28 Maggio 2010): Ma cos’è la “vita eterna”... Ce lo illustra Gesù, quando, rivolto ai suoi discepoli, afferma: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Sono parole che indicano una proposta esaltante di felicità senza fine, della gioia di essere colmati dall’amore divino per sempre. Interrogarsi sul futuro definitivo che attende ciascuno di noi dà senso pieno all’esistenza, poiché orienta il progetto di vita verso orizzonti non limitati e passeggeri, ma ampi e profondi, che portano ad amare il mondo, da Dio stesso tanto amato, a dedicarci al suo sviluppo, ma sempre con la libertà e la gioia che nascono dalla fede e dalla speranza. Sono orizzonti che aiutano a non assolutizzare le realtà terrene, sentendo che Dio ci prepara una prospettiva più grande, e a ripetere con Sant’Agostino: “Desideriamo insieme la patria celeste, sospiriamo verso la patria celeste, sentiamoci pellegrini quaggiù” (Commento al Vangelo di San Giovanni, Omelia 35,9). Tenendo fisso lo sguardo alla vita eterna, il Beato Pier Giorgio Frassati, morto nel 1925 all’età di 24 anni, diceva: “Voglio vivere e non vivacchiare!” e sulla foto di una scalata, inviata ad un amico, scriveva: “Verso l’alto”, alludendo alla perfezione cristiana, ma anche alla vita eterna. Cari giovani, vi esorto a non dimenticare questa prospettiva nel vostro progetto di vita: siamo chiamati all’eternità. Dio ci ha creati per stare con Lui, per sempre. Essa vi aiuterà a dare un senso pieno alle vostre scelte e a dare qualità alla vostra esistenza.
 
I Lettura La prima lettura è tratta dal ‘terzo grande discorso di Paolo. Il primo rappresentava “la sua predicazione davanti ai giudei [c 13], il secondo la sua predicazione davanti ai pagani [c 17]; questo è il suo testamento pastorale. Paolo lo rivolge ai capi della principale delle chiese da lui fondate. Molti sono i punti di contatto con le sue lettere; lo spirito è il medesimo delle lettere pastorali. Dopo aver ricordato il suo ministero in Asia [vv 18-21] e prevista una separazione definitiva, forse quella della morte [vv 22-27], Paolo fa le ultime raccomandazioni agli anziani di Efeso [e attraverso loro a tutti i pastori delle chiese]: vigilanza [vv 28-32], disinteresse e carità [vv 33-35]. Queste parole acquistano maggior valore dagli stessi esempi di Paolo, del quale il discorso ci offre così uno splendido profilo” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
Padre, glorifica il Figlio tuo.
 
Padre, è venuta l’ora: è giunta l’ora, il momento della glorificazione che avverrà mediante la passione, morte e risurrezione; è l’ora della prova, gli Apostoli abbandoneranno Gesù, ma dopo lo smarrimento ritorneranno nell’ovile, rinfrancati dalla luce della Risurrezione. Nel momento di lasciare il mondo e ritornare al Padre, Gesù prega per i suoi amici (Gv 15,15): essi restano nel mondo, e il mondo è pieno di insidie e di tentazioni. Gesù non prega per il mondo, cioè per coloro che non hanno accolto la sua parola di verità, ma prega per coloro che il Padre gli ha dato e hanno creduto che il Padre lo ha mandato nel mondo per la salvezza di tutti gli uomini.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,1-11a
 
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».
 
Parola del Signore.
 
La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Alla fine del discorso della Cena (capp. 13-16) ha inizio la cosiddetta preghiera sacerdotale di Cristo, la quale occupa tutto il capitolo 17. È chiamata “preghiera sacerdotale” perché Gesù si rivolge al Padre in un dialogo commovente nel quale, come sacerdote, gli offre il sacrificio ormai imminente della sua Passione e Morte. In tal maniera la preghiera ci rivela elementi essenziali della missione redentrice di Cristo e ci serve da modello e di insegnamento: «Il Signore, unigenito e coeterno al Padre, avrebbe potuto. anche nella sua forma di servo e in quanto servo, se fosse stato necessario, pregare in silenzio; ma egli volle manifestarsi in atteggiamento di preghiera al Padre, non dimenticando di essere nostro Maestro [...]. È stata una edificazione per quelli che erano là ad ascoltare, e lo è per noi che leggiamo cose che essi hanno scritto» (In Ioannis Evang. tractatus, 104,2).
La preghiera sacerdotale consta di tre parti: nella prima (vv. 1-5) il Signore chiede la glorificazione della sua umanità santissima e l’accettazione, da parte del Padre, del suo sacrificio in Croce. Nella seconda (vv. 6-19) prega per i suoi discepoli, che è in procinto di mandare nel mondo affinché proclamino l’opera redentrice che egli sta  per portare a compimento. In ultimo (vv. 20-26), Gesù prega per l’unità di tutti coloro che crederanno nel corso dei secoli, fino a conseguire la piena unità con lui nella gloria.
 
La più bella preghiera di Gesù - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): È un titolo molto generico, ma forse anche il più conveniente. Le preghiere di Gesù sono tutte belle e assai significative.
Si pensi a quella del Getsemani, a quelle pronunciate sulla croce e soprattutto al «Padre nostro». Questa è la più colma di sentimento. Gesù la pronuncia circondato da quei discepoli che hanno appena finito di ascoltare il suo «Discorso di Addio» e che forse sono ancora lì nel Cenacolo. Egli ha cercato di attenuare un po’ la loro tristezza e si è sforzato dì continuare a rivelare loro l’amore del Padre; ma certamente si è accorto di non esserci del tutto riuscito e allora alza gli occhi al cielo e prega per sé (17,1-5), per i discepoli che vede lì accanto (17,6-19) e per quelli che crederanno per mezzo della loro parola (17,20-23); alla fine prega perché un giorno siano tutti con lui nella casa del Padre (17,24-26) e conclude chiedendo che, mentre aspettano, sia in loro l’amore del Padre (17,26).
La preghiera è assai ricca, ma per capirla non bisogna dimenticare quanto Gesù ha appena detto. Egli infatti rende preghiera quanto finora ha detto ai suoi discepoli. Per questo ritroveremo qui il tema della sua glorificazione e di quella del Padre (vedi 13,31-32) e anche il tema della situazione in cui si troveranno i discepoli senza Gesù (vedi 15,18-21), per i quali egli chiede al Padre di custodirli, di difenderli e di santificarli; ma il tema che più spesso viene ripreso è quello della comunione di vita tra i discepoli, Gesù e il Padre (vedi 15,1-17). Su questo punto la preghiera insiste assai, tanto che qualcuno l’ha intitolata «Preghiera per l’unità dei cristiani». Ma questo titolo non è esaustivo. Infine non tralascia di riprendere anche il tema della gioia (vedi 15,11; 16,22).
Se un insegnamento pratico risulterà chiaro dalla meditazione di questa preghiera del Signore, sarà quello di abituarci, come fa Gesù, a trasformare in preghiera le diverse situazioni del nostro vivere cristiano. Per esempio: un sacerdote o un catechista che non impara a pregare quanto deve annunziare, otterrà assai poco.
 
Io prego per loro; non prego per il mondo... : Paolo VI (Discorso al Patriziato e alla Nobiltà Romana, 13 gennaio 1966): Mondo è il cosmo, è l’universo, la meravigliosa e misteriosa e immensa opera di Dio creatore; mondo è l’umanità, è tutta la famiglia di Adamo, che Dio amò nella sua soprannaturale vocazione, nella sua drammatica ed ereditaria sventura, nella sua non meno drammatica e ineffabile redenzione; siamo noi; e mondo è l’uomo privo della luce di Dio e tutto orientato a negarla, a simularla, a profanarla; è un concetto negativo originale del Vangelo. Un acuto pensatore e poeta (Leopardi) lo osserva: «Gesù Cristo fu il primo che distintamente additò agli uomini, col termine mondo, quel lodatore e precettore di tutte le virtù finte... quello schiavo dei forti, tiranno dei deboli, odiatore degli infelici... il mondo». Per Cristo, il mondo così inteso è l’antitesi del suo regno: è il regno della negazione, della falsità, dell’astuzia, dell’egoismo, dell’odio; è quel mondo, come dice l’Evangelista, che non accolse e non volle conoscere in Cristo il Salvatore: «Mundus eum non cognovit; in propria venit et sui eum non receperunt» (Io 1,10-11); è quell’espressione, spesso potente e seducente, della vita umana, che è fuori della benedizione cristiana, quella per cui Gesù non pregò: «Non pro mundo rogo», non prego per il mondo (Io 17,9).
 
Guglielmo di Saint-Thierry (Speculum fidei, 68): Questa è la Vita eterna: conoscere Te, solo vero Dio, e conoscere Colui che Tu hai inviato, Gesù Cristo: la conoscenza di D io, però, è diversa a seconda che sia generata dalla fede o, in altro modo, dall’amore o dalla carità. Quella che scaturisce dalla fede appartiene a questa vita; viceversa, quella che deriva dalla carità è propria della Vita eterna: o meglio, come dice il Signore, questa è la Vita eterna. Difatti, una cosa è conoscere Dio come una persona conosce un proprio amico, altra cosa è conoscerlo così come Egli stesso si conosce. Il conoscere comunemente inteso, cioè il conoscere un uomo o una cosa qualunque, consiste nell’averne in sé, nella memoria, l’immagine - acquisita per effetto di una qualche visione, grazie alla quale la persona o la cosa viene rappresentata mentalmente, se è assente, o riconosciuta, se è presente. Quando si tratta di Dio, questo conoscere è quello dato dalla fede ché non genera una somiglianza d ‘immagine, ma un sentimento di devozione; e questo, concepito dalla forma della fede e affidato alla memoria, ogni volta che viene sperimentato da colui che ricorda, s’imprime con dolcezza nella coscienza di colui che pensa.
Il conoscersi reciproco del Padre e del Figlio, invece, è l’unità stessa che intercorre fra loro, cioè lo Spirito Santo; e per essi la conoscenza con cui si conoscono l’un l’altro si identifica con l’essenza spirituale per la quale essi sono quello che sono. Ma, secondo questa conoscenza, nessuno conosce il Figlio , se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio abbia voluto rivelarlo (Mt. 1 1 ,27)
Quanti, perciò, ricevono la rivelazione del Padre e del Figlio conoscono nello stesso modo in cui si conoscono il Padre e il Figlio, perché hanno in se stessi la loro conoscenza reciproca, la loro reciproca unità e la loro volontà o amore, e tutto questo costituisce lo Spirito Santo.
 
Il Santo del Giorno - 3 Giugno 2025 - Santi Carlo Lwanga e Compagni Martiri: Tra il 1885 e il 1887, in Uganda i cristiani subirono una violenta persecuzione. Le vittime furono un centinaio. Tra loro Carlo, domestico del re Muanga dell’antico regno indipendente del Buganda, bruciato vivo insieme a dodici compagni il 3 giugno 1886. Carlo Lwanga, capo dei paggi reali, era stato battezzato durante l’evangelizzazione attuata dai Padri Bianchi, fondati dal cardinale Lavigerie. Inizialmente la loro opera, avviata nel 1879, venne ben accolta dal re Mutesa così come dal successore Muanga, che però si fece influenzare dal cancelliere del regno e dal capotribù. Tanto che decise la soppressione fisica dei cristiani, alcuni dei quali uccise con le proprie mani. Oggi il calendario ricorda ventidue martiri dell’Uganda, beatificati il 6 giugno 1920 da Benedetto XV e canonizzati da Paolo VI l’8 ottobre 1964. A loro è stato inoltre dedicato un grande santuario a Namugongo consacrato da Paolo VI nel 1969. (Avvenire)
 
Abbiamo partecipato ai tuoi misteri, o Signore,
nel glorioso ricordo dei tuoi santi martiri;
questo sacramento, che li sostenne nella passione,
ci renda forti nella fede e nell’amore
in mezzo alle prove della vita.
Per Cristo nostro Signore.