22 Giugno 2025
 
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
 
Gen 14,10-20; Salmo Responsoriale dal Salmo 109 (110); 1Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17
       
Colletta
Signore del cielo e della terra,
che ci raduni in festosa assemblea
per celebrare il sacramento pasquale
del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
fa’ che nella partecipazione
all’unico pane e all’unico calice
impariamo a condividere con i fratelli
i beni della terra e quelli del cielo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo. 
 
I segni del pane e del vino Catechismo della Chiesa Cattolica 1333 Al centro della celebrazione dell’Eucaristia si trovano il pane e il vino i quali, per le parole di Cristo e per l’invocazione dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Fedele al comando del Signore, la Chiesa continua a fare, in memoria di lui, fino al suo glorioso ritorno, ciò che egli ha fatto la vigilia della sua passione: «Prese il pane ...», «Prese il calice del vino ...». Diventando misteriosamente il Corpo e il Sangue di Cristo, i segni del pane e del vino continuano a significare anche la bontà della creazione. Con, all’offertorio, rendiamo grazie al Creatore per il pane e per il vino, «frutto del lavoro dell’uomo», ma prima ancora «frutto della terra» e «della vite», doni del Creatore. Nel gesto di Melchisedek, re e sacerdote, che «offri pane e vino» (Gen 14,18) la Chiesa vede una prefigurazione della sua propria offerta.
1334 Nell’Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono anche un nuovo significato nel contesto dell’Esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio. Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il «calice della benedizione» (1Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli Ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell’attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significate nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice.
1335 I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico pane che è la sua Eucaristia.
 
I Lettura - Bibbia di Gerusalemme: 14,18 Salem: dopo il Sal 76,3, tutta la tradizione ebraica e molti Padri hanno identificato Salem con Gerusalemme. Il suo re­sacerdote, Melchìsedek (nome cananeo, cf. Adonì-Sedek, re di Gerusalemme, Gs 10,1l, adora il Dio Altissimo, ‘El ‘Elyon, nome composto di cui ciascun elemento è attestate per due divinità distinte del pantheon fenicio. ‘Elyon è usato nella Bibbia (soprattutto nei salmi) come un titolo divino. Qui, v 22, ‘El ‘Elyon è identificato con il vero Dio di Abramo. - Melchisedek, che fa nel racconto sacro una breve e misteriosa comparsa, come re di Gerusalemme dove YHWH sceglierà di abitare, come sacerdote dell’Altissimo prima dell’istituzione levitica, è presentato dal Sal 110,4 come una figura di Davide, che è a sua volta una figura del messia, re e sacerdote. L’applicazione al sacerdozio del Cristoo è sviluppata in Eb 7. La tradizione patristica ha sfruttato e arricchito questa esegesi allegorica, vedendo nel pane e nel vino portati ad Abramo una figura dell’eucaristia, e anche un vero sacrificio, figura del sacrificio eucaristico, interpretazione accolta nel canone della messa. Parecchi Padri avevano anche ammesso che in Melchìsedek fosse apparso il Figlio di Dio in persona. I vv 18-20 potrebbero essere posteriori al resto del capitolo Melchìsedek è qui l’immagine del sommo sacerdote dopo l’esilio, erede delle prerogative regali e capo del sacerdozio, a cui i discendenti di Abramo pagano la decima.
14,19 La benedizione è una parola efficace (9,25+) e irrevocabile (27,33+; 48,18+) che, anche pronunciata da un uomo, trasmette l’effetto che vi si esprime, poiché è Dio che benedice (1.27.28; 12,1; 28,3-4; 5aI67,2; 85,2; ecc.). Ma anche l’uomo, a sua volta, benedice Dio, loda la sua grandezza e la sua bontà nello stesso tempo in cui augura di vederle affermarsi ed estendersi (24,48; Es 18,10; Dt 8,10; 1Sam 25,32.39; ecc.). Qui le due benedizioni sono associate. Il culto israelita comportava le une e le altre (Nm 6,22; Dt 27,14-26; Sal 103,1-2; 144,1; Dn 2,19-23; ecc. Cf. Lc 1,68; 2Cor 13; Ef 1,3; 1Pt 1,3).
 
II lettura: San Paolo “si rifà a quanto egli stesso ha ricevuto per «tradizione», risalente  direttamente a Cristo: Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me’. Gli studiosi sono d’accordo nel dire che qui Paolo non compone direttamente, ma piuttosto riporta dalla prassi liturgica, quale forse egli aveva appreso nella Chiesa di Antiochia. E risaputo anche che la narrazione eucaristica di Luca (22,14-20), discepolo di Paolo, è molto simile alla nostra. Paolo vi aggiunge di proprio solo la connotazione storica iniziale: «Nella notte in cui veniva tradito», quasi a mettere a confronto il gesto e le parole di Gesù, che esprimono il massimo di donazione, e il «tradimento» di Giuda” (Settimio Cipriani).
 
Vangelo
Tutti mangiarono a sazietà.
 
La moltiplicazione dei pani e dei pesci segna il culmine del ministero di Gesù in Galilea e prepara la successiva professione di fede di Pietro (Cf. Lc 9,18-21). Gesù, sfamando miracolosamente la folla, è Colui che adempie le attese messianiche: attraverso lui la salvezza è offerta con sovrabbondante pienezza. Gesù è il «pane disceso dal cielo, quello vero» (Gv 6,32) che sfama l’uomo nella sua fame più intima: fame di libertà, fame di salvezza. In una visione biblica dell’uomo, la quale non contrappone l’anima al corpo, la liberazione dalla fame diventa un segno concreto dell’azione salvifica di Dio per il suo popolo.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,11b-17
 
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Parola del Signore.
 
La moltiplicazione dei pani e il banchetto del regno - Javer Pikaza (Commento della Bibbia Liturgica): La moltiplicazione dei pani è uno dei segni rivelatori più importanti di tutto il vangelo. Come avviene sempre in Luca, la figura di Gesù comincia a manifestarsi anche qui nella duplice prospettiva delle parole e dei fatti: apre davanti agli uomini la via del regno che offre la salvezza e la vita nuova (9,11). Su questo sfondo brevemente precisato, si rivela il segno dei pani.
Il banchetto era uno dei grandi elementi dell’apocalittica tradizionale. L’Apocalisse d’Isaia precisava: «E Yahveh Sabaot preparerà per tutti i popoli un banchetto di cibi prelibati, un banchetto di vini generosi». Gli stessi vangeli testimoniano questa attesa quando accennano alla felicità di colui che riceve il pane del regno (Lc 14,15) o quando affermano che Gesù brama ansiosamente il cibo del regno che si avvicina (Lc 22,16).
Su questo sfondo si precisa il contenuto del segno dei pani. Quelli che seguono Gesù han dovuto fare a meno delle sicurezze che offre il mondo. Scende la notte ed essi sono soli; hanno fame e non dispongono di cibo, perché si trovano lontani dai centri abitati (9,12). Orbene, nel mezzo del deserto, al calar della notte, Dio ripete gli antichi prodigi della storia del suo popolo; sebbene gli uomini credano di essere soli e abbandonati, Gesù si trova in mezzo a loro e distribuisce a piene mani il suo mistero: insegna, guarisce, offre il cibo.
È difficile trovare un’immagine più preziosa del senso e e dell’opera di Gesù. Coloro che lo seguono, devono rischiare, lasciando alle loro spalle il vecchio mondo con le sue sicurezze e il suo cibo. Ma, una volta che l’hanno fatto, non hanno più bisogno di dir nulla: Gesù conosce le loro necessità e li aiuta.
Non ha grande interesse il modo concreto in cui il segno fu realizzato: l’importante è che Gesù diede al popolo un cibo abbondante, e che il suo gesto suscitò l’entusiasmo messianico fra i suoi, i quali scoprirono che il banchetto del regno aveva cominciato a essere una realtà.
Si direbbe che siano tati sconvolti improvvisamente i vecchi livelli delle cose: si ha l’impressione che il mondo dei poveri e degli emarginati sia finito e che sorga la verità definitiva della vita.
A modo di conclusione, vorremmo indicare brevemente gli elementi più preziosi del segno dei pani: a) In primo luogo, il gesto costituisce una rivelazione escatologica: per mezzo di Gesù, Dio si rivela come colui che offre l’alimento della vita al popolo. b) Nel gesto si rivela il potere degli apostoli che, per sé, sono incapaci di rifocillare la gente (9,13): solo quando ricevono il pane che dona loro il Cristo, possono realmente alimentare il popolo. c) In prospettiva ecclesiale il miracolo è divenuto un’anticipazione e un segno dell’eucaristia, nella quale vediamo lo stesso comportamento di Gesù che pronunzia la benedizione, spezza il pane e lo offre agli uomini. Perciò quel mangiare insieme nella tensione della speranza escatologica è divenuto il segno fondamentale della Chiesa. d) Tutto questo ci porta finalmente verso un altro piano: il banchetto fraterno e abbondante nel quale i doni del regno sono offerti a tutti i salvati dev’essere anticipato sulla mensa della vita. Questo significa che i beni di questo mondo sono i mezzi, i cibi d’un banchetto al quale tutti sono invitati; per questo, in una società nella quale l’ingiustizia separa brutalmente gli uni dagli altri, è molto difficile rinnovare il segno della moltiplicazione dei pani e celebrare veramente l’eucaristia. Gesù invita tutti con il medesimo pane (nella moltiplicazione e nell’eucaristia); i beni del banchetto del regno sono comuni. Orbene una società. nella quale gli uomini si rubano il cibo (si opprimono a vicenda) non segue certamente Gesù e non anela al banchetto del suo regno.
 
Gesù volle restare sotto le apparenze del pane e del vino...: Paolo VI (Omelia, 28 maggio 1978): Noi vogliamo proporvi, più suggerendo che sviluppando, qualche rapido spunto di riflessione. Innanzi tutto circa il valore di «memoria» del rito che stiamo celebrando. Voi sapete il perché delle due specie eucaristiche. Gesù volle restare sotto le apparenze del pane e del vino, figure rispettivamente del suo Corpo e del suo Sangue, per attualizzare nel segno sacramentale la realtà del suo sacrificio, di quella immolazione sulla croce, cioè, che ha portato al mondo la salvezza. Chi non ricorda le parole dell’apostolo Paolo: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché Egli venga»? (1Cor. 11,26). Nella Eucaristia, dunque, Gesù è presente come «l’uomo dei dolori» (cfr. Is. 53,3), come 1’«agnello di Dio», che si offre vittima per i peccati del mondo (cfr. Io. 1,29). Comprendere questo significa vedersi spalancare dinnanzi prospettive immense: in questo mondo non c’è redenzione senza sacrificio (cfr. Hebr. 9,22) e non c’è esistenza redenta che non sia al tempo stesso un’esistenza di vittima. Nell’Eucaristia è offerta ai cristiani di tutti i tempi la possibilità di dare al quotidiano calvario di sofferenze, incomprensioni, malattie, morte, la dimensione di un’oblazione redentrice, che associa il dolore dei singoli alla passione di Cristo, avviando l’esistenza di ognuno a quella immolazione nella fede, che nell’ultimo compimento si apre sul mattino pasquale della risurrezione. Come vorremmo poter ripetere ad ognuno personalmente, e soprattutto a chi è attualmente oppresso dalla tristezza, dalla malattia, questa parola di fede e di speranza! Il dolore non è inutile! Se unito a quello di Cristo, il dolore umano acquista qualcosa del valore redentivo della stessa passione del Figlio di Dio.
 
Il dono dell’Eucaristia - Guerric d’Igny, Sermo in Ascens., 1: Avendo amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1). Allora diffuse sui suoi amici quasi tutta la forza del suo amore, prima di effondersi egli stesso, come acque per gli amici. Allora diede loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituì la celebrazione. Non so se più ammirare la sua potenza o il suo amore! Per consolarli della sua partenza, inventò questo nuovo modo di presenza; così, anche lasciandoli e togliendo loro la sua presenza corporale, egli restava non solo con loro, ma in loro, per virtù del sacramento Allora, come se avesse completamente dimenticato la sua maestà e facesse oltraggio a se stesso - ma è un vanto per chi ama abbassarsi per gli amici - con una degnazione ineffabile il Signore - quel Signore! - lavò i piedi dei servi. Così, allo stesso tempo, diede loro un modello di umiltà e il sacramento del perdono.
 
Il santo del Giorno - 22 Giugno 2025 - San Gregorio I di Agrigento, Vescovo: Secondo il Gaetano - che ricava la notizia dalla Passione di S. Agrippina il cui corpo venne portato in Sicilia e sostò in Agrigento dove fu onorato da S. Gregorio I - questo Santo sarebbe vissuto attorno all’anno 262.
Della traslazione delle sue reliquie in Sicilia ci rimane un racconto pubblicato dal Gaetano nel primo volume delle sue “Vitae Sanctorum Siculorum” e poi riportato e annotato dai Bollandisti negli “Acta Sanctorum”, vol. IV del mese di giugno.
Secondo questa narrazione, S. Gregorio, in Roma, avrebbe assistito e confortato S. Agrippina durante il martirio subìto sotto Valeriano e Gallieno; tornato in Agrigento, apprese che tre vergini: Bassa, sorella di S. Agrippina, Paola e Agatonica erano approdate alla spiaggia con il corpo della martire che intendevano deporre in Mineo.
Egli, con l’arcidiacono e alcuni chierici, vi accorse. Un grande profumo si era sparso dovunque nella zona.
Celebrati i sacri misteri e comunicate le tre vergini, profetizzò loro che avrebbero seguito la santa nel martirio, cosa che avvenne tre mesi dopo.
Il Calendario della Chiesa Agrigentina commemora S. Gregorio il 22 giugno. (Autore: Raimondo Lentini)
 
Donaci, o Signore,
di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno,
che ci hai fatto pregustare
in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.