20 Giugno 2025
Venerdì XI Settimana T. O.
2Cor 11,18.21b-30; Salmo Responsoriale Dal Salmo 33 (34); Mt 6,19-23
Colletta
O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto,
soccorrici sempre con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
... se il tuo occhio è semplice: Evangelium vitae 24: E nell’intimo della coscienza morale che l’eclissi del senso di Dio e dell’uomo, con tutte le sue molteplici e funeste conseguenze sulla vita, si consuma. E in questione, anzitutto, la coscienza di ciascuna persona, che nella sua unicità e irripetibilità si trova sola di fronte a Dio. Ma è pure in questione, in un certo senso, la “coscienza morale” della società: essa è in qualche modo responsabile non solo perché tollera o favorisce comportamenti contrari alla vita, ma anche perché alimenta la “cultura della morte”, giungendo a creare e a consolidare vere e proprie “strutture di peccato” contro la vita. La coscienza morale, sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per l’influsso invadente di molti strumenti della comunicazione sociale, a un pericolo gravissimo e mortale: quello della confusione tra il bene e il male in riferimento allo stesso fondamentale diritto alla vita. Tanta parte dell’attuale società si rivela tristemente simile a quell’umanità che Paolo descrive nella Lettera ai Romani. E fatta “di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia” (1,18): avendo rinnegato Dio e credendo di poter costruire la città terrena senza di lui, “hanno vaneggiato nei loro ragionamenti” sicché “si è ottenebrata la loro mente ottusa” (1,21); “mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti” (1,22), sono diventati autori di opere degne di morte e “non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (1,32). Quando la coscienza, questo luminoso occhio dell’anima (Mt 6,22-23), chiama “bene il male e male il bene” (Is 5,20), è ormai sulla strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale. Eppure tutti i condizionamenti e gli sforzi per imporre il silenzio non riescono a soffocare la voce del Signore che risuona nella coscienza di ogni uomo: è sempre da questo intimo sacrario della coscienza che può ripartire un nuovo cammino di amore, di accoglienza e di servizio alla vita umana.
I Lettura: Paolo ha molte cose di cui vantarsi: per le sue purissime radici ebraiche, per l’appartenenza al popolo d’Israele (israelita), e per la discendenza abramitica, ma soprattutto il vanto di cui va fiero sono i patimenti sofferti per Cristo e l’“assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese”. Però alla fine, preferisce vantarsi della sua debolezza, perché in questa debolezza risplende e si manifesta la potenza di Dio: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,9-10).
Vangelo
Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
Il Vangelo di oggi mette in evidenza due temi: il primo indica ai cristiani il vero tesoro, che è il Cielo, il secondo tema individua l’occhio come lampada del corpo. Sia l’Antico Testamento che il Nuovo sono concordi nel rimproverare l’accumulo di ricchezza, sopra tutto quando scivola nella avarizia e nell’egoismo. Siracide 29,8-10, invita ad essere generosi verso chi è in difficoltà: “Sii paziente con il misero, e non fargli attendere troppo a lungo l’elemosina. Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e un amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra”. Per Giacomo le ricchezze malamente accumulate ed egoisticamente custodite sono fonte di castighi divini: “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!” (Gc 5,1-3).
La lampada del corpo è l’occhio … la “luce spirituale che si irradia dall’anima è paragonata alla luce materiale di cui l’occhio, sano o malato, dispensa o rifiuta il beneficio al corpo: se anch’essa si trova oscurata, l’accecamento sarà ben peggiore della stessa cecità fisica” (Bibbia di Gerusalemme, nota a Mt 6,23).
L’esortazione di Gesù a non accumulare tesori sulla terra ha come fulcro due ragioni: tutto è effimero, e tutto passa, anche le ricchezze, e, quello che è più grave, i tesori terreni, spesso oscurando il cuore e annebbiando la mente, pervertono l’uomo, lo fanno deviare da un sano giudizio morale, spegnendo in lui ogni barlume di umanità. Solo nella conquista del Paradiso c’è tutta la vita dell’uomo credente.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,19-23
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».
Parola del Signore.
Non accumulate per voi tesori sulla terra - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Il tema del tesoro (19-24) richiama alla esperienza degli investimenti vantaggiosi: gli abiti costosi diventano preda degli insetti che li corrodono e i metalli preziosi lo diventano dei ladri, mentre invece un capitale collocato nei cieli presso Dio si troverà al sicuro da questi pericoli.
Questo capitale celeste non è certo altro che la ricompensa promessa all’elemosina, alla preghiera e al digiuno autentici, come sono appena stati descritti. D’altronde, la concezione dell’elemosina come un «investimento» affidato a Dio compare spesso nel giudaismo antico (già in Sir 29,11-12). Il v. 21 si rivolge al discepolo al singolare: la sua scelta fra i due tipi di «tesori» rivela il tuo cuore, il tuo essere profondo. Insomma: dimmi dove poni la tua sicurezza e io ti dirò chi sei.
Quindi il discepolo deve scegliere. L’occhio, che permette di individuare un obiettivo degno, rappresenta questo giusto discernimento senza il quale non si sa assolutamente decidere. Matteo illustra questo concetto con l’immagine dell’occhio, lucerna del corpo (vv. 22-23). Luca inserisce la stessa metafora in un contesto diverso (Lc 11,34-36); si ignora però a che cosa Gesù applicasse in origine questa immagine.
Piuttosto che scegliere tra due «tesori», non si potrebbe invece venire a un compromesso? Impossibile!, afferma Gesù (v. 24). Altrimenti ci si troverebbe nella poco gradita situazione di uno schiavo che appartiene a due padroni (come succedeva talvolta all’epoca). La scelta va effettuata fra Dio e il denaro, letteralmente: Mammona. Questa parola semitica non designa una divinità: indica senza dubbio le «ricchezze»: va dunque scritta con l’iniziale maiuscola, come una potenza che l’uomo rischia di idolatrare. Ma contare sui soli «tesori» di Dio non è esporsi all’incessante angoscia del futuro? Il seguito del discorso affronta quest’aspetto.
Distacco dai beni terreni - Ambrogio Valsecchi - La mentalità propria di Gesù riguardo alle ricchezze incomincia a manifestarsi nella vocazione degli apostoli e discepoli. Numerose pericopi ce la rivelano.
Ci sono anzitutto i brani che riferiscono la chiamata di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni (Mt 4,18-22 = Mc 1,16-20; Lc 5,1-11) e di Matteo (Mt 9,9-13 = Mc 2,13-17; Lc 5,27-32): da essi risulta che Gesù chiede a coloro che chiama (e si tratta anche, nel caso dei primi quattro, di persone di un certo censo) un effettivo e completo distacco dai beni terreni. C’è al riguardo un’interessante progressione tra i tre sinottici: per Marco, «essi, la ciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni lo seguirono» (1,20); per Matteo, «essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono» (4,22); mentre Luca marca chiaramente la totalità del distacco: «Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono» (5,11). La stessa annotazione vale per la vocazione di Matteo: mentre Marco (2,14) e Matteo (9,9) dicono che all’appello di Gesù, Levi «si alzò e lo seguì», Luca (5,28) precisa che «lasciando tutto, si alzò e lo seguì».
Né questo distacco è provvisorio, ma pone i chiamati in una definitiva condizione di povertà. Così, nell’inviare i dodici in missione, Gesù impone nuovamente loro una completa povertà: niente pane, niente bisacce, niente denaro , anzi - come precisano Mt 10,10 e Lc 9,3 (contro Mc 6,8) - neppure il bastone, né i sandali. E che essi vivano di fatto in stato di povertà, risulta chiaro dal significativo episodio delle spighe di grano (Mt 12,1-4 = Mc 2,23-28; Lc 6,1-5), come pure dai cenni di Luca dai quali si arguisce che il piccolo gruppo viveva praticamente di elemosina (8,1-3). Insomma, la sequela di Gesù domanda una rinuncia «a tutto quello che (si) ha» (Lc 14,33; cf. Mt 10,9-10).
Un uguale distacco è richiesto al giovane ricco (che sia giovane è Matteo a dirlo), nell’episodio che tutt’e tre i sinottici ricordano. Gli fa seguito un commento generale di Gesù sulla ricchezza che già allarga il discorso oltre la cerchia dei primi «chiamati» dal Maestro. Si tratta di un «buon ricco» (ha osservato e osserva la legge), al quale è domandato un distacco effettivo (vendere e donare) e totale, senza del quale non si può essere discepoli di Gesù. Ma non sembra che si tratti di una vocazione particolare o solo di consiglio: anche se alcuni tratti lo fanno pensare (e può darsi che in questo senso sia suonato inizialmente l’invito in bocca a Gesù), nel contesto attuale del Vangelo questo appello non è affatto presentato come riferentesi a una perfezione supererogatoria: si tratta né più né meno che delle esigenze del Regno. Ed è proprio la grave difficoltà dei ricchi a spogliarsi dei loro beni che ispira il commento scoraggiato ed estremamente vigoroso di Gesù (con la nota immagine del cammello e della cruna d’ago); ove la ricchezza tende ad apparire in se stessa un male, almeno sotto il profilo storico-esistenziale, perché costituisce - come tale - per chi non vuole disfarsene un ostacolo umanamente insuperabile per la salvezza e per il Regno (leggere Mt 19,16-30 e par.).
Quando l’intelligenza è soffocata - Giovanni Crisostomo (Commento al Vangelo di Matteo 20, 3): Qui il Signore dà al denaro il nome di padrone, non perché sia tale per natura, ma perché lo diviene per la meschinità e la miseria di coloro che gli si assoggettano. Nello stesso senso Paolo chiama «dio» il ventre: non per sottolineare la grandezza di un simile tiranno, ma la bassezza di chi lo serve: servitù questa che è peggiore di qualsiasi supplizio, in quanto è capace di far soffrire chi vi si sottomette anche prima del supplizio eterno. Di quali dannati sono dunque più miserabili costoro che, mentre hanno Dio per padrone, abbandonano il suo dolce dominio per assoggettarsi a quella crudelissima tirannia e subiscono anche in questa vita terrena un così grave danno? Da questa idolatria per il denaro nascono, infatti, un’infinità di sciagure processi, liti, contrasti, pene e tenebre spirituali; E, ciò che è ancora più grave, questa schiavitù allontana dai beni celesti, cioè dal servizio e dall’adorazione di Dio.
Il Santo del Gorno - 20 Giugno 2025 - San Baino di Thérouanne, Vescovo e abate: San Baino nacque nel VII secolo in Francia e, dopo esser stato missionario nel Pas-de-Calais fu nominato vescovo di Thérouanne, la diocesi che anticamente comprendeva Calais. Nell’elenco dei vescovi della città, è stato inserito al quinto posto, dopo Drauscio e prima di Ravengero.
San Baino si dimise dalla carica di Vescovo nel 701, dopo dodici anni di episcopato, per ritirarsi nell’abbazia di Fontanelle. Tre anni dopo il suo ritiro venne nominato abate.
San Baino è il quinto abate della celebre abbazia presso il villaggio di Saint-Wendrille-Racon (cediglia) in Normandia, di Fontanelle, che era stata fondata da San Vendregisilo intorno all’anno 648, adottando la regola di Colombano di Bobbio.
San Bainio nell’elenco degli abati, è ricordato dopo Hildebert I e prima di San Begnigno. Si presume che abbia retto le sorti del monastero, negli anni tra gli anni 704 e 711.
Secondo alcuni storici, verso la fine della sua vita San Baino è stato nominato abate di Fleury, vicino a Orléans, da Pipino di Herstal, padre di Carlo Martello. Ma dagli elenchi più moderni della serie degli abati, non risulta il suo nome, tanto che negli anni in questione ressero le sorti dell’abbazia Adalbeto fino al 710 e Geilon fino al 729. Nella diocesi di Calais viene ricordato nel giorno 20 giugno. (Autore: Mauro Bonato)
La partecipazione ai tuoi santi misteri, o Signore,
come prefigura la nostra unione in te,
così realizzi l’unità nella tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.