18 Giugno 2025
 
Mercoledì XI Settimana T. O.
 
2Cor 9,6-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 111 (112); Mt 6,1-6.16-18
 
Colletta
O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto,
soccorrici sempre con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Spe salvi: 33. Nella preghiera l’uomo deve imparare che cosa egli possa veramente chiedere a Dio – che cosa sia degno di Dio. Deve imparare che non può pregare contro l’altro. Deve imparare che non può chiedere le cose superficiali e comode che desidera al momento – la piccola speranza sbagliata che lo conduce lontano da Dio. Deve purificare i suoi desideri e le sue speranze. Deve liberarsi dalle menzogne segrete con cui inganna se stesso: Dio le scruta, e il confronto con Dio costringe l’uomo a riconoscerle pure lui. « Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo », prega il Salmista (19[18],13). Il non riconoscimento della colpa, l’illusione di innocenza non mi giustifica e non mi salva, perché l’intorpidimento della coscienza, l’incapacità di riconoscere il male come tale in me, è colpa mia. Se non c’è Dio, devo forse rifugiarmi in tali menzogne, perché non c’è nessuno che possa perdonarmi, nessuno che sia la misura vera. L’incontro invece con Dio risveglia la mia coscienza, perché essa non mi fornisca più un’autogiustificazione, non sia più un riflesso di me stesso e dei contemporanei che mi condizionano, ma diventi capacità di ascolto del Bene stesso.
34. Affinché la preghiera sviluppi questa forza purificatrice, essa deve, da una parte, essere molto personale, un confronto del mio io con Dio, con il Dio vivente. Dall’altra, tuttavia, essa deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il Signore ci insegna continuamente a pregare nel modo giusto. Il Cardinale Nguyen Van Thuan, nel suo libro di Esercizi spirituali, ha raccontato come nella sua vita c’erano stati lunghi periodi di incapacità di pregare e come egli si era aggrappato alle parole di preghiera della Chiesa: al Padre nostro, all’Ave Maria e alle preghiere della Liturgia. Nel pregare deve sempre esserci questo intreccio tra preghiera pubblica e preghiera personale. Così possiamo parlare a Dio, così Dio parla a noi. In questo modo si realizzano in noi le purificazioni, mediante le quali diventiamo capaci di Dio e siamo resi idonei al servizio degli uomini. Così diventiamo capaci della grande speranza e così diventiamo ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso « la fine perversa ». È speranza attiva proprio anche nel senso che teniamo il mondo aperto a Dio. Solo così essa rimane anche speranza veramente umana.
 
I Lettura: L’apostolo Paolo invita i cristiani di Corinto ad essere solleciti nel preparare la colletta a favore della Chiesa di Gerusalemme, e sopra tutto ad essere generosi. Nel brano Paolo per ben due volte fa ricorso all’Antico Testamento. Il primo è Proverbi 2,8 (LXX): Chi semina ingiustizia raccoglie miseria e il bastone che usa nella sua collera svanirà. Il secondo è il Salmo 112,9 (LXX): (L’uomo che teme il Signore) dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane per sempre, la sua fronte s’innalza nella gloria. Gli spilorci affogano sempre nell’egoismo e nella tristezza, chi dona con  generosità invece è benedetto da Dio perché Dio ama chi dona con gioia.
 
Vangelo
Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
 
Gesù esamina tre pilastri della pietà dei farisei: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Gesù non li condanna, saranno pilastri anche per i cristiani, ma condanna l’ostentazione farisaica. L’elemosina, la preghiera e il digiuno saranno autentici solo se compiuti per piacere a Dio.
 
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,1-6.16-18
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
 
Parola del Signore.
 
Le elemosine nell’Antico Testamento sono altamente apprezzate; molte prescrizioni veterotestemantarie si preoccupano di proteggere le vedove, gli orfani, e i poveri (Lv 19,15). Dare gratuitamente è imitare la “gratuità di Dio”. Scorrendo infatti la storia della salvezza si evince che Dio ha dato sempre gratuitamente senza nulla esigere in contraccambio. Gratuita è l’elezione, gratuita è la salvezza (Lv 25,42; Dt 15,15). Attenuandosi l’importanza del culto ed in seguito alla spietata critica dei profeti, le elemosine sono più apprezzate del digiuno e dei sacrifici (Is 58,6s; cfr. Lc 11,41; Prov 21,3; Tb 4,11). Le elemosine operano per la remissione dei peccati (Dn 4,24; Tb 12,9); nell’età della salvezza esse saranno superflue. Secondo molti passi il dovere dell’elemosine vale solo nei confronti dei poveri del proprio popolo (Lv 25,44). Il Nuovo Testamento eredita l’alto apprezzamento delle elemosine ma ne fornisce nuovi motivi, per esempio sarà portata a favore del credente nel giudizio universale; e ancora, il Nuovo Testamento  spezza l’angusto orizzonte nazionale, per esempio, viene insegnato ai discepoli l’amore per i nemici. I confini tra cambiamento delle strutture ed elemosine vengono annullati, allorché si tratta di compiere dei seri sacrifici personali (cfr. Mr 10,21 par). Le elemosine non devono essere solo un dono esteriore, ma devono corrispondere ad un adeguato atteggiamento interiore (Mt 6,1-4). La Chiesa fin dall’inizio ha avuto cura di poveri, elargendo abbondanti elemosine ai più indigenti, e istituendo il diaconato per il “servizio delle mense” a favore dei più poveri. La colletta dell’apostolo Paolo per la comunità di Gerusalemme consisteva in elemosine (At 24,17; 1Cor 16,1ss; 2Cor 8-9; Rm 15,25ss), che furono abbondanti proprio a motivo dell’alta considerazione dell’amore a favore dei più bisognosi bene inculcato nel cuore dei discepoli dagli insegnamenti di Gesù.
 
E quando pregate… - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): La preghiera occupa il posto centrale nel trittico delle opere buone e perciò assume un rilievo particolare. Anche nel giudaismo era molto stimata.
Dalle molteplici forme di preghiera trasmesse dalla Bibbia e dalla tradizione rabbinica emerge chiaramente come Israele fosse un popolo che sapeva pregare Dio.
La pietà cristiana si è sempre nutrita di varie espressioni di preghiera formulate e sperimentate dal popolo ebraico. Tuttavia, anche nell ‘ambiente giudaico c’era il pericolo di una certa ostentazione e teatralità, di una sottile ipocrisia, che poteva snaturare il senso profondo e autentico della preghiera. Invece di un dialogo con Dio o di una lode riconoscente per la sua bontà, poteva risultare una manifestazione dissacrante di vanità.
Gesù allo sfasamento di una simile preghiera contrappone l’atteggiamento di sincerità che deve animare il credente nel suo rapporto con Dio. La preghiera personale, fatta in segreto, non esclude quella pubblica e comunitaria. Gesù stesso partecipava alte feste giudaiche. Egli intende in questo passo condannare la strumentalizzazione della preghiera. L’ebreo pregava normalmente in posizione eretta anche in luoghi pubblici, come nelle sinagoghe o negli incroci delle strade. Gesù biasima l’ostentazione e la mancanza di rettitudine. La preghiera fatta in una «camera» (lett. «nella dispensa»), cioè nell’angolo più oscuro della casa, spesso costituito da una grotta senza luce, non contrasta con la precedente esortazione relativa alle «opere buone», da compiersi dinanzi agli uomini, affinché glorifichino il Padre (5,16). In entrambi i casi Gesù inculca l’onore e a gloria di Dio, che il discepolo deve ricercare con sincerità di cuore, procurando anche di edificare i fratelli.
 
E quando digiunate … - Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2009: Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po’ della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una “terapia2 per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostolica Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a “non più vivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e ... anche a vivere per i fratelli” (cfr Cap. I) [...]
La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità alla persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere nell’intimità con il Signore. Sant’Agostino, che ben conosceva le proprie inclinazioni negative e le definiva “nodo tortuoso e aggrovigliato” (Confessioni, II, 10.18), nel suo trattato L’utilità del digiuno, scriveva: “Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza” (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un’interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio.
Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. Nella sua Prima Lettera san Giovanni ammonisce: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?” (3,17). Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Enc. Deus caritas est, 15). Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza e di attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunità ad intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunitario, coltivando altresì l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l’elemosina. Questo è stato, sin dall’inizio, lo stile della comunità cristiana, nella quale venivano fatte speciali collette (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e i fedeli erano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato messo da parte (cfr Didascalia Ap., V, 20,18). Anche oggi tale pratica va riscoperta ed incoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale.
Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d’origine, i cui effetti negativi investono l’intera personalità umana. Opportunamente esorta un antico inno liturgico quaresimale: “Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia - Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti”.
 
Agostino (De Sermone Domini in Monte, II, 12-4): Tu invece, quando digiuni, profumati il capo e lavati il viso ...: sebbene abitualmente ogni giorno ci laviamo, non si potrebbe ragionevolmente comandare che dobbiamo stare col capo profumato quando digiuniamo. E se tutti ammettono che la faccenda è molto sconveniente, si deve intendere che l’ingiunzione di profumarsi il capo e di lavarsi il viso è relativa all’uomo interiore. Quindi il profumarsi il capo è relativo alla gioia e il lavarsi il viso alla pulizia e perciò si profuma chi gioisce nell’interiorità con un atto del pensiero ... Colui dunque che secondo questo comando desidera avere il capo profumato, goda nell’interiorità durante il suo digiuno, per il fatto stesso che così digiunando si distoglie dai piaceri del mondo per essere sottomesso a Cristo. Così laverà anche il viso, cioè renderà pulito il cuore, con cui vedrà Dio, poiché non si verificherà l’offuscamento per la precarietà proveniente dalle sozzure, ma egli sarà sicuro e stabile, perché pulito e schietto.
 
Il Santo del Giorno - 18 Giugno 2025 - San Gregorio Giovanni Barbarigo. Sapersi mettere al servizio: ecco il vero segno dell’autorità: La porpora cardinalizia ci ricorda che nella Chiesa a chi ha un ruolo guida spetta prima di tutto il compito di mettersi al servizio, di farsi compagno di strada di tutti, soprattutto degli ultimi. E fu proprio in quest’orizzonte che san Gregorio Giovanni Barbarigo visse il mandato ricevuto assieme alla porpora, facendosi un autentico pastore in mezzo alla gente. Il suo è l’esempio di un uomo che seppe testimoniare la fede piegandosi sulle ferite dell’umanità, amando la Chiesa, guidando con saggezza il clero e facendo della propria vita un dono per il bene di tutti. Era nato a Venezia nel 1625 e aveva conosciuto in Germania il futuro Alessandro VII, che poi lo avrebbe chiamato a Roma per organizzare l’aiuto agli appestati nel 1657. Un anno dopo il Papa lo volle vescovo di Bergamo e nel 1660 lo creò cardinale. Nel suo ministero si ispirò all’esempio di Carlo Borromeo: camminava con il suo popolo e avviò diverse riforme. Nel 1664 divenne vescovo di Padova, dove curò in particolare il Seminario e la formazione dei preti. «Mangia con la servitù e non lascia mai d’insegnare la dottrina cristiana, di fare missioni e assistenza a’ moribondi», raccontava un testimone che lo vide all’opera. Morì nel 1697, fu beatificato nel 1761 ed è stato proclamato santo da papa Giovanni XXIII nel 1960. (Matteo Liut)
 
La partecipazione ai tuoi santi misteri, o Signore,
come prefigura la nostra unione in te,
così realizzi l’unità nella tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.