17 Giugno 2025
Martedì XI Settimana T. O.
2Cor 8,1-9; Salmo Responsoriale Dal Salmo 145 (146); Mt 5,43-48
Colletta
O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto,
soccorrici sempre con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Giovanni Paolo II (Omelia 18 Febbraio 1996): La santità di Dio consiste nella sua perfezione e, allo stesso tempo, diventa una chiamata per l’uomo. L’esortazione, che nell’Antico Testamento fu indirizzata a Mosè, viene ripresa da Cristo nel cosiddetto “Discorso della Montagna”: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” ( Mt 5, 48 ).
Questa perfezione, cioè la santità di Dio, coincide con la pienezza dell’amore. Nell’odierno brano evangelico Cristo propone a coloro che lo ascoltano le grandi esigenze dell’amore, giungendo fino a proclamare il dovere di amare i nemici. “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste” ( Mt 5, 43-45 ).
Cristo offre la motivazione più profonda di un amore tanto esigente: amate i nemici, amate i persecutori, perché Dio ama tutti. Egli, infatti, “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” ( Mt 5, 45 ). Per questo anche voi dovete cercare di amare tutti, senza nessuna esclusione! Certo, si tratta di un’esigenza difficile, ma “l’amore di Dio è veramente perfetto” soltanto in colui che “osserva la sua parola” (cf. 1 Gv 2, 5 ). In tale impegnativo compito di conformarci alla santità di Dio, amando come Lui ama, ci conforta la presenza dello Spirito Santo, Spirito di amore: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” ( 1 Cor 3, 16 ).
I Lettura: La Chiesa madre di Gerusalemme stava attraversando enormi difficoltà, anche economiche, e Paolo si era apprestato ad organizzare una colletta. Nel brano odierno, Paolo esorta i cristiani di Corinto a portare a termine la colletta e ad essere generosi, a imitazione delle Chiese della Macedonia. Nella pericope si possono mettere in evidenza alcuni temi molto cari all’Apostolo: “la povertà, fonte di arricchimento per gli altri [qui e 2Cor 6,10]; l’esempio di Cristo [2Cor 8,9; cfr. 2Cor 1,7]; il dono di Dio [2Cor 8,1] che suscita il dono dei cristiani [2Cor 8,5; cfr. 2Cor 9,8s]” (Bibbia di Gerusalemme). Il gesto caritatevole va poi fatto mirando l’esempio di Gesù: “il Cristo si è volontariamente spogliato in terra della sua gloria e dei suoi privilegi divini, ha voluto partecipare alle nostre sofferenze, alla nostra morte [cfr. Fil 2,7], per arricchirci dei privilegi ai quali aveva rinunziato” (Bibbia di Gerusalemme).
Vangelo
Amate i vostri nemici.
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 43-45 Amerai il tuo prossimo (Levitico, 19, 18) e odierai il tuo nemico. Questo secondo comma del precetto non è contenuto nella legislazione del Vecchio Testamento. Esso può avere un senso meno crudo, come: non amerai il tuo nemico, perché il termine semitico “odiare” esprime anche: non amare, oppure: amare di meno (cf. Lc., 14, 26). Il prossimo per l’israelita è il connazionale; gli stranieri erano considerati come nemici perché costituivano una minaccia per la nazione e per la purezza dell’idea religiosa. Gesù toglie queste restrizioni. Tutti gli uomini senza eccezioni costituiscono il nostro prossimo. Cristo comanda l’amore affettivo ed effettivo, l’amore interno ed esterno degli altri. L’amore del prossimo non è una tolleranza, bensì un’attività positiva e benefica per gli altri (vers. 44).
46 I pubblicani erano i gabellieri o esattori delle imposte; essi per la professione che esercitavano, erano spesso esosi ed avidi di guadagni, per cui venivano cordialmente odiati dal popolo.
47 Che fate mai di straordinario? altri traducono: qual è la vostra generosità (περισσόν)?
Gesù presenta come modello dell’amore Dio stesso (cf. Levitico, 11, 44; Deuteronomio, 18, 13). Egli, con questo, insinua che nell’amore del prossimo non vi è un limite, ma un’intensità sempre crescente, perché la perfezione di Dio è irraggiungibile.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,43-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo, e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Parola del Signore.
Ortensio da Spinetoli (Matteo): Il precetto della carità, esteso indistintamente a tutti, è il punto culminante del discorso della montagna, l’ultimo, cioè il supremo completamento della legge (v. 17). A questa conclusione l’evangelista è arrivato lentamente dopo aver parlato dell’astensione dall’ira e della immediata riconciliazione (vv. 21-26), del rispetto verso la donna (vv. 27-30) e la propria moglie (vv. 31-32), della verità e sincerità nei rapporti interpersonali (vv. 33-37), fino alla rinuncia alla vendetta e alle rivendicazioni (vv. 38-42). Ora con il precetto dell’amore dei nemici sorpassa ogni attesa. Il Levitico (19, 18) imponeva all’ebreo di amare il re ‘a (in greco plésios, avverbio sostantivato ho plésios, tradotto dalla Volgata con proximus). Nella mentalità israelitica il re ‘a è il connazionale, il compagno, il socio, il vicino sia per razza che per religione. Il precetto dell’amore del prossimo nei testi legislativi vale innanzitutto per i colleghi dell’alleanza jahvistica, i membri della comunità del popolo di Dio.
Anche lo straniero (ger) entrato in comunione religiosa con Israele può essere oggetto d’amore. Ma la mentalità biblica e israelitica aveva subito in ciò una evoluzione?
L’odio per i nemici non aveva alcuna codificazione, tanto meno una formulazione così cruda. Esso è nato come una conseguenza del precetto dell’amore del prossimo. Se «vicini» sono i connazionali, l’amore del re’a non abbraccia gli altri, gli ammoniti, gli edomiti, i moabiti, in una parola i non ebrei? La frase di Matteo, anche se non cosi coniata, riassumeva una prassi largamente diffusa.
Gesù riporta il comandamento della carità alle intenzioni del primo legislatore senza restrizione di persone. L’amore impone di rendere a tutti ciò che è dovuto: stima, considerazione, soccorso. Come nelle altre innovazioni (vv. 21-42), Gesù non dà un semplice consiglio ma detta un nuovo ordine di rapporti tra gli uomini, che prescinde da quello convenzionale attualmente vigente.
Il discorso è chiaro ma può dare sempre luogo a malintesi qualora si pretenda adottarlo in senso assoluto quale norma per la soluzione dei problemi e dei conflitti comunitari. Occorre sempre recedere dall’animo vendicativo, estendere la comprensione e il perdono anche agli ingiusti aggressori menzionati nel testo, ma non è consentito in nome della stessa carità cristiana che spinge a creare condizioni di vita sempre più rispondenti alle aspirazioni e alla dignità dell’uomo, avallare le situazioni ingiuste esistenti, i soprusi, le angherie. Bisogna scoraggiare il ‘tiranno’ e anche resistergli, per il suo bene e per il bene dei fratelli. Aver offerto troppo spesso l’altra guancia e aver piegato troppo spesso la schiena è stato motivo del perpetuarsi di secolari o millenarie ingiustizie. Gesù è morto per non aver ceduto alle pressioni che gli giungevano delle voci della prudenza e del buon senso. Non occorre ‘odiare’ qualcuno per essere un sovvertitore dell’ordine ingiustamente costituito. Il precetto d’amore ai nemici non sconvolge la struttura della società, solo rinsalda i rapporti umani.
I due amori - C. Wiener: Da un capo all’altro del Nuovo Testamento l’amore del prossimo appare indissociabile dall’amore di Dio: i due comandamenti sono il vertice e la chiave della legge (Mc 12,28-33 par.), la carità fraterna è la realizzazione di ogni esistenza morale (Gal 5,14; 6,2; Rom 13,8s; Col 3,14), è in definitiva l’unico comandamento (Gv 15,12; 2Gv 5), l’opera unica e multiforme di ogni fede viva (Gal 5,6.22): Chi non ama il fratello che vede, non può amare quel Dio che non vede... amiamo i figli di Dio quando amiamo Dio» (1Gv 4,20s). Non si potrebbe affermare meglio che, in sostanza, non c’è che un solo amore. L’amore del prossimo è quindi essenzialmente religioso; non è una semplice filantropia. Anzitutto è religioso per il suo modello: imitare l’amore stesso di Dio (Mt 5,44s; Ef 5,1s.25; 1Gv 4,11s). Poi, e soprattutto, per la sua sorgente, perché è l’opera di Dio in noi: come potremmo essere misericordiosi come il Padre celeste (Lc 6,36), se il Signore non ce lo insegnasse (1 Tess 4,9), se lo Spirito non lo effondesse nei nostri cuori (Rom 5,5; 15,30)? Questo amore viene da Dio ed esiste in noi per il fatto stesso che Dio ci prende come figli (1Gv 4,7). E, venuto da Dio, esso ritorna a lui: amando i nostri fratelli, amiamo il Signore stesso (Mt 25,40), perché tutti assieme forniamo il corpo di Cristo (Rom 12,5-10; 1Cor 12,12-17). Questo è il modo in cui possiamo rispondere all’amore con cui Dio ci ha amati per primo (1Gv 3,16; 4,19s). In attesa della parusia del Signore, la carità è l’esigenza essenziale, in base alla quale gli uomini saranno giudicati (Mt 25,31-46).
Questo è il testamento lasciato da Gesù: «Amatevi gli imi gli altri, come io vi ho amati, (Gv 13,34s). L’atto d’amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso gli atti dei discepoli. Questo comandamento, benché antico perché legato alle sorgenti stesse della rivelazione (1Gv 2,7s), è nuovo: di fatto Gesù ha inaugurato una nuova era mediante il suo sacrificio, fondando la nuova comunità annunziata dai profeti, donando ad ognuno lo Spirito che crea dei cuori nuovi. Se dunque i due comandamenti sono uniti, si è perché l’amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso la carità che i discepoli manifestano tra loro.
Il rispetto e l’amore per gli avversari - Gaudium et spes 28: Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo.
Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l’amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose.
Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque. La dottrina del Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie e il precetto dell’amore si estende a tutti i nemici; questo è il comandamento della nuova legge: «Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori » (Mt 5,43).
Risposta agli oltraggi - Giovanni Crisostomo (Commento alla Lettera ai Romani, 23,3): Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male! [Rm 12,21]. L’Apostolo dice così per indicare sotto sotto che non si deve agire con sentimento di vendetta: infatti lo stesso ricordo del male è un modo di essere vinti dal male. Subito non l’ha detto, non essendo il momento adatto, ma, placatosi l’animo, soggiunge: Vinci col bene il male. È una vittoria anche questa, infatti. Il pugile vince non quando si rannicchia incassando i colpi, ma soprattutto quando si erige, facendo sì che l’avversario batta invano l’aria. Così non subisce i colpi e tutta la forza dell’altro non ha effetto. Ciò avviene anche con le ingiurie. Quando infatti tu rispondi con altre ingiurie, sei vinto non da un uomo, ma, cosa ben peggiore, da bassi sentimenti d’ira che ti sconvolgono. Ma se tu taci, hai vinto e ottieni senza fatica un trionfo: ce ne saranno mille che ti applaudiranno e riconosceranno la falsità delle ingiurie a te rivolte.
Il Santo del Giorno - 17 Giugno 2025 - San Marciano Martire: La persecuzione ordinata dell’imperatore Diocleziano arrivò nel 304 anche a Venafro, cittadina dell’attuale Molise. Tra l’anfiteatro romano e il tempio pagano della dea Bona sulle cui fondamenta sorge oggi la Cattedrale di Santa Maria Assunta in cielo, vivevano due ufficiali dell’esercito romano: Nicandro e Marciano. Le antiche fonti storiche si pronunciano sulla loro provenienza (forse nativi della Grecia), ma non come i due aderirono alla fede cristiana e rifiutano di compiere rituali alle divinità pagane. Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una significativa vicenda familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch’essa al cristianesimo, spronò lo sposo a non abiurare la fede. Questo costò anche a lei il martirio. I loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, dove già nel 313 fu eretta la Basilica cimiteriale a loro dedicati. Nel 1930 furono rinvenuti i loro sepolcri. La tradizione plurisecolare li acclama patroni delle città e delle diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro. (Avvenire)
La partecipazione ai tuoi santi misteri, o Signore,
come prefigura la nostra unione in te,
così realizzi l’unità nella tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.