15 Giugno 2025
SANTISSIMA TRINITÁ
Pro 8,22-31; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15
Colletta
Padre santo e misericordioso,
che nel tuo Figlio ci hai redenti
e nello Spirito ci hai santificati,
donaci di crescere nella speranza che non delude,
perché abiti in noi la tua sapienza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
La Santa Trinità - Giovanni Paolo II (Udienza Generale 4 Dicembre 1985): 1. Al termine del lungo lavoro di riflessione, portato avanti dai Padri della Chiesa e consegnato nelle definizioni dei Concili, la Chiesa parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo come di tre “Persone”, che sussistono nell’unità dell’identica sostanza divina. Dire “persona” significa fare riferimento a un ente unico di natura razionale, come opportunamente chiarisce già Boezio nella sua famosa definizione (“Persona proprie dicitur rationalis naturae individua substantia”, in Boezio, De duabus naturis et una persona Christi: PL 64, 1343 D). La Chiesa antica precisa però subito che la natura intellettuale in Dio non è moltiplicata con le Persone; essa resta unica, così che il credente può proclamare col simbolo Quicumque: “Non tre dèi, ma un unico Dio”.
Il mistero si fa qui profondissimo: tre Persone distinte e un solo Dio. Come è possibile? La ragione comprende che non v’è contraddizione, perché la trinità è delle Persone e l’unità della Natura divina. Resta però la difficoltà: ciascuna delle Persone è il medesimo Dio; come possono allora distinguersi realmente?
2. La risposta che la nostra ragione balbetta si appoggia sul concetto di “relazione”. Le tre Persone divine si distinguono fra loro unicamente per le relazioni che hanno l’Una con l’Altra: e precisamente per la relazione di Padre a Figlio, di Figlio a Padre; di Padre e Figlio a Spirito, di Spirito a Padre e Figlio. In Dio, dunque, il Padre è pura Paternità, il Figlio pura Figliolanza, lo Spirito Santo puro “Nesso di Amore” dei Due, cosicché le distinzioni personali non dividono la medesima e unica Natura divina dei Tre.
L’XI Concilio di Toledo (675) precisa con finezza: “Ciò che il Padre è, lo è non in riferimento a sé, ma in relazione al Figlio; e ciò che è il Figlio, lo è non in riferimento a sé, ma in relazione al Padre; allo stesso modo lo Spirito Santo, in quanto è predicato Spirito del Padre e del Figlio, lo è non in riferimento a sé, ma relativamente al Padre e al Figlio” (Denz.-S. 528).
Il Concilio di Firenze (1442) ha potuto perciò affermare: “Queste tre Persone sono un unico Dio... perché dei Tre unica è la sostanza, unica l’essenza, unica la natura, unica la divinità, unica l’immensità, unica l’eternità; in Dio infatti tutto è una cosa sola, ove non c’è opposizione di relazione” (Denz.-S. 1330).
3. Le relazioni che distinguono così il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e che li rivolgono realmente l’Uno verso l’Altro nel loro stesso essere, possiedono in se stesse tutte le ricchezze di luce e di vita della natura divina, con la quale esse si identificano totalmente. Sono relazioni “sussistenti”, che in forza del loro slancio vitale si fanno l’una incontro all’altra in una comunione nella quale la totalità della Persona è apertura all’altra, paradigma supremo della sincerità e libertà spirituale a cui devono tendere le relazioni interpersonali umane, sempre assai lontane da tale trascendente modello.
Al riguardo il Concilio Vaticano II osserva: “Il Signore Gesù, quando prega il Padre perché tutti siano una cosa sola come io e te siamo una cosa sola” (Gv 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità.
Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di se stesso” (Gaudium et spes, 24).
4. Se la perfettissima unità delle tre Persone divine è il vertice trascendente che illumina ogni forma di autentica comunione tra noi, esseri umani, è giusto che la nostra riflessione ritorni di frequente alla contemplazione di questo mistero, a cui così spesso si fa cenno nel Vangelo. Basti ricordare le parole di Gesù: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30); e ancora: “Credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre” (Gv 10,38). E in altro contesto: “Le parole che io vi dico non le dico da me; ma il Padre che è in me” (Gv 14,10-11).
Gli antichi scrittori ecclesiastici si soffermano spesso a trattare di questo reciproco compenetrarsi delle Persone divine. I Greci lo definiscono come “perichóresis”, l’Occidente (specialmente dall’XI secolo) come “circumincessio” (reciproco compenetrarsi) o “circuminsessio” (reciproca inabitazione). Il Concilio di Firenze ha espresso questa verità trinitaria con le seguenti parole: “Per questa unità... il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio” (Denz.-S. 1331). Le tre Persone divine, i tre “Distinti”, essendo pure relazioni reciproche sono il medesimo Essere, la medesima Vita, il medesimo Dio. Davanti a questo folgorante mistero di comunione, in cui la nostra piccola mente si perde, sale spontanea al labbro l’acclamazione della liturgia: “Gloria tibi, Trinitas, / aequalis, una Deitas / et ante omnia saecula, / et nunc et in perpetuum”. “Gloria a te, Trinità, / uguale nelle Persone, unico Dio, / prima di tutti i secoli, ora e per sempre” (Sollemnitas SS.mae Trinitatis, “Ad I Vesperas”, Ant. 1).
I Lettura: Nel brano odierno, la sapienza stessa rivela la sua origine (generata prima di ogni creatura, vv. 22-26), la parte attiva che ebbe nella creazione (vv. 27-30) e la missione che deve svolgere presso gli uomini per condurli a Dio (vv. 31.35.36). Il tema della sapienza personificata sarà ripreso nel Nuovo Testamento che lo applicherà al Cristo (Mt 11,9; 23,34-36; Lc 11,49; 1Cor 1,24-30). La vetta di questa riflessione sarà raggiunta dal Vangelo di Giovanni a partire dal prologo che attribuisce al Verbo i tratti della sapienza creatrice.
II Lettura: Paolo evidenzia l’amore del Padre verso le sue creature che trova piena concretezza e realizzazione nella salvezza operata dal Cristo, Figlio unigenito del Padre, e dal dono dello Spirito Santo, principio di vita nuova e pegno dell’amore con cui il Padre ama gli uomini.
Vangelo
Tutto quello che il Padre possiede, è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.
Siamo nel contesto del discorso di addio dell’Ultima Cena: agli Apostoli affranti, a motivo della imminente dipartita del Maestro (Gv 16,6), Gesù promette il dono dello Spirito Santo. Quando «verrà lo Spirito di verità», saranno ricolmi di gioia e saranno guidati «a tutta la verità» (Gv 16,13). Lo Spirito Santo prenderà il posto di Cristo nella guida dei discepoli, «sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (Ap 7,17).
La missione dello Spirito Santo sarà parallela a quella di Gesù. Annuncerà ai discepoli le cose future: non nel senso di nuove rivelazioni riguardanti il futuro, ma nel senso che donerà l’intelligenza per capire e interpretare quanto è già avvenuto o è stato detto o insegnato dal Cristo. Lo Spirito Santo glorificherà Gesù manifestando le ricchezze del suo mistero. Il verbo annunziare è usato negli scritti apocalittici [cfr. Dn 2,2.4.7.9], «dove indica le interpretazioni delle visioni e delle rivelazioni dei misteri. In questo senso, lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo, ma interpreterebbe la rivelazione storica di Gesù, in relazione al futuro escatologico. Lo Spirito espleterà questa funzione mediante gli Apostoli, che avranno una missione particolare nei riguardi della rivelazione di Gesù in quanto furono testimoni fin dall’inizio [Gv 15,27]... Non solo mediante gli Apostoli, ma nella vita della Chiesa espleterà la sua missione di verità mediante la guida nell’interpretare la rivelazione di Gesù in relazione al futuro e al futuro ultimo» (Giuseppe Segalla).
Tutto quello che lo Spirito Santo prende dal Figlio proviene dal Padre, in questo modo la «rivelazione è dunque perfettamente una: avendo origine nel Padre e realizzandosi per mezzo del Figlio, si compie nello Spirito, per la gloria del Figlio e del Padre» (Bibbia di Gerusalemme).
Le ultime parole di Gesù (v. 15: Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà di quel che è mio e ve l’annuncerà) hanno una portata particolarmente trinitaria, ma «la prospettiva rimane cristologica: nel Cristo, interpretato dallo Spirito, si svela il mistero di Dio» (A. Marchadour).
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,12-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Parola del Signore.
Le Tre Persone divine - Il Nuovo Testamento non conosce il termine Trinità. Esso è tardivo, infatti, appare per la prima volta nelle opere di san Teofilo di Antiochia (circa 180 d.C.) nella forma greca Triàs. Tuttavia numerosi testi neotestamentari sono il fondamento della fede nella Trinità. Ne ricordiamo soltanto qualcuno:
L’evangelista Matteo chiude il suo vangelo con una formula battesimale interamente trinitaria: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).
Nel vangelo di Giovanni il discorso di Gesù dopo la Cena espone chiaramente i rapporti intercorrenti fra le tre persone divine: «Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Altre due volte Gesù dirà: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me» (Gv 15,26) e «Egli [lo Spirito di verità] mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve l’annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà di quel che è mio e ve l’annuncerà” (Gv 16,14-15).
L’Apostolo Paolo per chiudere la seconda Corinzi usa un saluto trinitario: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13).
L’Apostolo Pietro nel saluto iniziale della I Lettera: “[...] ai fedeli [...] scelti secondo il piano stabilito da Dio Padre, mediante lo Spirito che santifica, per obbedire a Gesù Cristo” (1Pt 1,1-2).
Sia nei Sinottici che nel vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo è chiaramente collegato con il Padre e con il Figlio nel Battesimo di Gesù nel quale compare in forma di colomba. E se i primi tre vangeli sono meno espliciti del quarto sul legame che collega lo Spirito Santo e Gesù, tuttavia non lo ignorano: è infatti lo Spirito Santo che ha reso Maria Madre di Dio.
Oltre a questi testi «trinitari», è chiaro che molti altri dati del Nuovo Testamento conducono alla formulazione della dottrina trinitaria. Da una parte, essi insistono sull’unicità assoluta di Dio, ed escludono l’esistenza di più dei; dall’altra, molti testi collocano il Cristo e lo Spirito Santo sul medesimo piano di Dio, e l’opera di Cristo è eguagliata più di una volta all’opera del Padre e dello Spirito Santo, che, a sua volta, non è più solo un modo per esprimere l’attività divina, ma un vero soggetto di azione come il Padre e il Figlio, e perciò Persona.
Per una più facile comprensione, comunque, è necessario dividere le operazioni delle Tre Persone divine, non dimenticando, comunque, che esse sono sempre congiunte.
Il Padre dona il suo Figlio. Dona ciò che è più caro e più prezioso per un Padre: il Figlio.
Il Padre dona il Figlio per l’infinito amore che ha verso l’umanità, per la salvezza degli uomini (Cf. Gv 3,16).
Nel dono del suo Figlio unico si misura tutta la sua paternità: è vero Padre che ama sinceramente e profondamente ed in modo smisurato tutti gli uomini.
Il Padre manda il Figlio per espiare i peccati dell’umanità. Pur conoscendo la tragica fine che gli uomini avrebbero riservato al Figlio, pur sapendo quanti grumi di malvagità si sarebbero scaricati sul Figlio sofferente, pur prevedendo l’enormità della ingratitudine umana, pur sapendo che gli uomini avrebbero rifiutato, maltrattato, ucciso il Figlio suo... nonostante la consapevolezza certa di una tragica morte, il Padre «introduce il primogenito nel mondo» (Eb 1,6) perché «sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Il vero amore non fa calcoli sulla corrispondenza altrui.
Il Padre è infinitamente misericordioso e attende impaziente il ritorno dei suoi figli.
L’amore del Padre verso i peccatori sembra quasi esagerato (Cf. Lc 15,11-32).
È più forte e più grande la capacità di perdono da parte di Dio della capacità di peccare da parte di tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Il Figlio per la gloria del Padre e la salvezza degli uomini dà tutto se stesso. Dà la sua vita fino al supremo sacrificio. La morte in Croce è il massimo atto di amore. Gesù, buon Pastore, dimostra di saper soffrire, sino al massimo, non per costrizione, ma per generosità, per esigenza e abbondanza di amore: Cristo «ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2). Come se tutto questo non potesse appagare pienamente il suo Cuore, Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue quale vero cibo e vera bevanda: dà la sua sostanza quale alimento per i suoi fedeli, quale sua perenne presenza per gli uomini. Nel suo infinito amore per gli uomini rivela i più nascosti misteri divini: rivela le idee, i pensieri, i segreti del Padre. Svela e fa conoscere il volto del Padre: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9).
Infine, «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). È stato riversato nei nostri cuori l’amore di Dio: «l’amore con cui Dio ci ama e di cui lo Spirito Santo è un pegno e, con la sua presenza attiva in noi, un testimone [Cf. Rm 8,15 e Gal 4,6]. In lui noi ci rivolgiamo a Dio come un figlio al Padre: l’amore è reciproco. In lui, ugualmente, noi amiamo i nostri fratelli con lo stesso amore con cui il Padre ama il Figlio e noi [Cf. Gv 17,26]» (Bibbia di Gerusalemme). Infatti, Cristo mandò a tutti gli uomini lo Spirito Santo per muoverli interiormente «ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze, e ad amarsi reciprocamente come Cristo ha amato loro» (LG 40a).
“Noi dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore” (Paolo VI).
Alessandro Pronzato: La balbuzie, unico discorso accettabile. Mai come in questa festa ci si rende conto che parlare di Dio e del suo mistero equivale a balbettare. Anzi, la balbuzie consente l’unico discorso accettabile.
Mosè considerava il suo essere « impacciato di bocca e di lingua » (Es 4, 10) come un impedimento, una specie di esonero dalla missione che il Signore gli affidava, e che lui riteneva dovesse venire realizzata da un « buon parlatore ».
Invece la balbuzie è l’unico mezzo che permette di intravvedere qualcosa del mistero di Dio, senza profanarlo.
C’è uno spiraglio, una feritoia che lascia filtrare la luce divina. Ma c’è anche uno spiraglio, un intervallo tra una parola e l’ altra, che lascia intuire una realtà ineffabile.
Predicatori e cristiani dovrebbero guadagnarsi il diritto a parlare di Dio dimostrando di essere impacciati.
Non la sicurezza, la disinvoltura, ma l’esitazione.
L’uomo della Parola, in qualsiasi occasione, ma oggi in maniera particolare, dovrebbe essere un contemplativo, ossia uno che si lascia avvolgere, investire dalla luce. E riflettere - più coi silenzi che con le parole - qualsiasi scheggia di quella luce che lo trasfigura.
Imparare a zoppicare. Per finire, vorrei suggerire un altro verbo: zoppicare.
L’ esplorazione del mistero esige che il nostro passo sia claudicante.
È vero che Elia lanciava un severo ammonimento: «Fino a quando zoppicherete con i due piedi? » (1 Re 18,21). Qui, però, ciò che viene condannata è l’indecisione, l’incapacità di compromettersi apertamente con Dio.
Ma noi ci accontentiamo di zoppicare da un solo lato (quello della presunzione di tipo intellettuale).
E desideriamo che il piede d’appoggio sia quello della fede.
Giacobbe, dopo aver lottato ostinatamente con Dio, «zoppicava all’anca» (Gn 32,32).
Allorché c’è di mezzo Dio, ci si spinge molto lontano soltanto dopo aver ottenuto la grazia di zoppicare dal lato giusto.
In conclusione, si tratta di:
parlare di Dio balbettando
capire vivendo
esplorare zoppicando
accostarci al mistero adorando.
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. exp ., XVI): Ho ancora molte verità da dirvi, ma ora non potete portarne il peso: non si deve però pensare che ci siano dei segreti nella dottrina cristiana che vengono taciuti ai fedeli meno progrediti e insegnati a quelli più perfezionati; ma le verità della fede vengono proposte a tutti i fedeli: Quello che vi è stato detto in un orecchio predicatelo dai tetti (Mt. 10,27). Ai meno dotti però le cose vanno proposte diversamente che alle persone istruite ... Ciò quindi che essi ancora non potevano portare era il peso della piena conoscenza divina.
Il santo del Giorno - 15 Giugno 2025- Severino di Septempeda - Un eremita scelto dai fedeli come vescovo: Scelto per la sua vita esemplare, modello non solo di una fede limpida ma anche di essenzialità: è questo lo scarno profilo che si riesce a ricostruire di san Severino. Dalla “Vita” scritta tra il VII e il IX secolo si sa che alla morte dei genitori, assieme al fratello Vittorino, rinunciò a una vita agiata e rinunciò a tutto quello che possedeva. Scelse quindi di vivere una vita ritirata, di solitudine, di penitenza e di preghiera sul monte Nero. Ma la sua fama di santità arrivò ai fedeli di Septempeda (che oggi grazie a lui porta il nome di San Severino Marche), che, rimasti senza un pastore, lo scelsero come guida spirituale e come vescovo. Secondo la tradizione il suo episcopato si svolse negli anni tra il 540 e il 545 e la sua morte avvenne nel momento in cui i Goti si apprestavano a conquistare il Piceno. (Autore: Matteo Liut)
Signore Dio nostro,
la comunione al tuo sacramento
e la professione della nostra fede in te,
unico Dio in tre persone,
siano per noi pegno di salvezza dell’anima e del corpo.
Per Cristo nostro Signore.