12 Giugno 2025
Giovedì X Settimana T. O.
2Cor 3,15-4,1.3-6; Salmo Responsoriale Dal Salmo 84 (85); Mt 5,20-26
Colletta
O Dio, sorgente di ogni bene,
ispiraci propositi giusti e santi
e donaci il tuo aiuto,
perché possiamo attuarli nella nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
L’inferno - Catechismo della Chiesa Cattolica 1033: Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: «Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna» (1Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola «inferno».
1034 Gesù parla ripetutamente della «geenna», del «fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe: «Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).
1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). «Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti».
1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole «che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2 Pt 3,9): «Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti».
I Lettura: Mosè era solito portare un velo sul volto per nascondere il fulgore divino che si sprigionava dalla sua faccia dopo essersi incontrato con Dio. Paolo, partendo da questo fatto, suggerisce ai Corinzi che quel velo è ancora steso sugli occhi dei Giudei, incapaci di accorgersi che tutto è stato compiuto in Cristo. Il “vecchio” è passato, ora c’è il “nuovo” e chi accoglie il “nuovo” da Dio riceve la luce interiore per comprendere la predicazione degli Apostoli.
Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà: “Queste parole sono state interpretate in diversi modi. Alcuni le applicano a Gesù e spiegano che, quando Paolo dice «è lo Spirito», l’Apostolo si riferisce al fatto che Cristo è il senso spirituale, profondo e nascosto che sta sotto la lettera dell’ Antico Testamento, incomprensibile agli Ebrei per il velo che c’è sopra i loro cuori (cfr v. 16). Molti santi Padri, invece, applicano il versetto allo Spirito Santo, considerandolo il soggetto della frase, che si configura così: «Lo Spirito (Santo) è Signore (Dio)». A ogni modo, la presenza di Cristo, o dello Spirito Santo, nel Nuovo Testamento porta con sé la libertà dei figli di Dio, ottenuta da Gesù, che ci ha liberati dal peccato e dall’Antica Legge (cfr Rm 8, 1-17; Gal 4,21-31).
Questa libertà dei cristiani non elimina ogni vincolo o legge. Anzi, essi accolgono i comandamenti di Dio come figli che cercano di vivere in conformità con i desideri del loro Padre Dio, e non come schiavi o per timore del castigo.
Così spiega sant’Agostino: «È infatti sotto la legge chi sente d’astenersi dall’opera del peccato per timore del castigo minacciato dalla legge e non per amore della giustizia [ ... ]. ‘Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete più sotto la legge’ (Gal 5,18): si intende sotto la legge che incute il timore e non dona la carità, la quale ‘carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori’ non per mezzo della lettera della legge, ma ‘per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’ (Rm 5, 5). Questa è la legge della libertà e non della servitù, perché appunto legge di carità e non di paura» [De natura et gratia, cap. 57]” (La Bibbia di Navarra, Nuovo Testamento [2]).
Vangelo
Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Con gli insegnamenti sull’amore e sulla giustizia Gesù, dando pieno compimento alla Legge e ai Profeti, indica ai suoi discepoli non la legge della casistica, ma la legge della carità e del perdono. Solo l’amore permette al discepolo di Gesù che la sua giustizia superi quella degli scribi e dei farisei: unica condizione per entrare nel regno dei cieli.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,20-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Parola del Signore.
Per comprendere il testo evangelico occorre decodificarlo.
Innanzi tutto l’espressione In verità io vi dico (= Amen): la parola ebraica che significava in origine stabilità in seguito venne a significare la verità e la fedeltà. Qui sottolinea semplicemente in verità, mettendo in questo modo in evidenza l’autorità e la signoria di Gesù.
Se la vostra giustizia... è un aperto rimprovero ai farisei che avevano deformato lo spirito della Legge, riducendo il loro impegno religioso a una formale interpretazione della Legge di Dio. La giustizia dei farisei era quindi il frutto di una ipocrita osservanza esteriore della Legge, deprecata dagli uomini e rigettata da Dio (cfr. Lc 18,9-14). Invece, il vero giusto per la sacra Scrittura è colui che si sforza sinceramente di adempiere la volontà di Dio (cfr. Mt1,19), che si manifesta sopra tutto nei Comandamenti. Per avvicinarci al nostro linguaggio cristiano, giustizia è sinonimo di santità (cfr. 1Gv 2,29; 3,7-10; Ap 22,11).
Ma io vi dico... un’espressione che mette in risalto l’autorità di Gesù: poiché la sua potestà è divina, Egli è superiore a Mosè e ai Profeti. Una prerogativa rigettata dai farisei, ma accolta dalla folla che seguiva il Maestro di Nazaret: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,22; cfr. Mt 7,28).
Stupido... Epiteto ingiurioso cui si accompagnava a un gran disprezzo, che spesso veniva espresso non solo con le parole, ma sputando a terra.
Pazzo, ancora più offensivo perché a volte voleva sottintendere un’aperta ribellione alla volontà di Dio. Gesù non vuole aggiungere nulla alla Legge e non crea una nuova statistica, ma va in profondità e in questa luce si comprende perché il suo insegnamento per la folla e per i discepoli era fonte di gioiosa novità, per i farisei un palese rimprovero che dava la stura all’astio e all’odio.
… sarà destinato al fuoco della Geènna - Jean-Marie Fenasse e Jaques Guillet - Discendere in questi inferi, sazi di giorni, al termine d’una vecchiaia felice, per «ritrovarvi i propri padri» (Gen 25, 8), è la sorte comune dell’umanità (Is 14, 9-15; Giob 3, 11-21) e nessuno se ne può dolere. Ma molto spesso lo sheol non aspetta questo momento; come un mostro insaziabile (Prov 27, 20; 30, 16) spia la sua preda e la rapisce nel pieno vigore (Sal 54, 16). «A metà dei suoi giorni» Ezechia vede aprirsi «le porte dello sheol» (Is 38, 10).
Questa irruzione delle forze infernali «sulla terra dei viventi» (38, 11) costituisce il dramma e lo scandalo (Sal 18, 6; 88, 4 s).
L’inferno dei peccatori - Questo scandalo è una delle molle della rivelazione. L’aspetto tragico della morte manifesta il disordine del mondo, ed uno dei capisaldi del pensiero religioso israelitico è lo scoprire che questo disordine è il frutto del peccato. A mano a mano che questa coscienza si afferma, i tratti dell’inferno assumono un aspetto sempre più sinistro. Esso apre la sua gola per inghiottire Korakh, Dathan ed Abiron (Num 16, 32 s), mette in moto tutta la sua potenza per divorare «la gloria di Sion e la sua folla rumoreggiante, le sue grida, la sua gioia» (Is 5, 14), fa sparire gli empi nello spavento (Sal 73, 19). Di questa fine terrificante Israele ha conosciuto due immagini particolarmente espressive: l’incendio di Sodoma e Gomorra (Gen 19, 23; Am 4, 11; Sal 11, 6) e la devastazione della località di Tofet, nella valle della Geenna, luogo di piacere destinato a diventare un luogo di orrore, dove «si vedranno i cadaveri di coloro che si sono rivoltati contro di me, il cui verme non morrà, il cui fuoco non si spegnerà» (Is 66, 24). La morte nel fuoco ed il suo perpetuarsi indefinitamente nella corruzione, sono già le immagini evangeliche dell’inferno. È un inferno che non è più l’inferno per così dire «normale» quale era lo sheol, ma un inferno che si può dire caduto dal cielo, «venuto da Jahvè» (Gen 19, 24).
Se esso riunisce «l’abisso senza fondo» e «la pioggia di fuoco» (Sal 140, 11), l’immagine dello sheol e il ricordo di Sodoma, si è perché questo inferno è acceso dal «soffio di Jahvè» (Is 30, 33) e «dall’ardore della sua ira» (30, 27). Quest’inferno promesso ai peccatori non poteva essere la sorte dei giusti, soprattutto quando questi, per restare fedeli a Dio, dovevano subire la persecuzione dei peccatori e talvolta la morte. È logico che dal «paese della polvere», lo sheol tradizionale, dove dormono confusi i santi e gli empi, questi ultimi si risveglino per «l’orrore eterno», mentre le loro vittime si risvegliano «per la vita eterna» (Dan 2, 12). Ed il Signore, mentre consegna ai giusti la loro ricompensa, «arma la creazione per castigare i suoi nemici» (Sap 5, 15 ss).
L’inferno non è più localizzato nel più profondo della terra, è «l’universo scatenato contro gli insensati» (5, 20). I vangeli riprendono queste immagini: «Dal soggiorno dei morti» dov’è «torturato dalle fiamme», il ricco scorge Lazzaro «nel seno di Abramo», ma tra essi si apre invalicabile «un grande abisso» (Lc 16, 23-26). Fuoco ed abisso, 1’ira del cielo e la terra che si apre, la maledizione di Dio e l’ostilità della creazione, questo è l’inferno.
Cristo parla dell’inferno - Gesù attribuisce maggior importanza alla perdita della vita, alla separazione da lui che alla descrizione dell’inferno ricevuta nel suo ambiente. Se è forse azzardato trarre dalla parabola del ricco epulone una affermazione decisiva del Signore sull’inferno, bisogna in ogni caso prendere sul serio Gesù quando utilizza le immagini scritturali dell’inferno più violente e più spietate: «i pianti e gli stridori di denti nella fornace ardente» (Mt 13, 42), «la geenna, dove il loro verme non muore e dove il fuoco non si spegne» (Mc 9, 43-48; cfr. Mt 5, 22), dove Dio può «far perire l’anima ed il corpo» (Mt 10, 28). La gravità di queste affermazioni è costituita dal fatto che esse sono formulate da colui stesso che ha potere di gettare nell’inferno. Gesù non parla soltanto dell’inferno come di una realtà minacciosa; annuncia che egli stesso «manderà i suoi angeli a gettare nella fornace ardente gli operatori di iniquità» (Mt 13, 41 s) e pronuncerà la maledizione: «Lungi da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25, 41). È il Signore che dichiara: «Non vi conosco» (25, 12), «Gettatelo fuori, nelle tenebre» (25, 30).
Essere i primi a chiedere perdono - Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 11 - Non dire: «Mi ha offeso lui, non io lui; egli deve chiedermi scusa, non io a lui». Dato che il Signore ti ordinò di realizzare l’amicizia in vista della gloria della tua salvezza, a maggior ragione se offeso devi chiedere di ottenere una duplice gloria. Una per il fatto che hai subito un’offesa, l’altra perché hai chiesto la riconciliazione per primo. Se tu l’hai offeso e ti sei riconciliato con lui, Dio ti perdonerà dell’offesa perché per primo ti sei adoperato per la riconciliazione; tuttavia non avrai alcuna ricompensa per esserti riconciliato, dato che eri tu il colpevole. Se invece quello ti avrà danneggiato e tu ti sarai riconciliato per primo, otterrai una grande ricompensa. Affrettati dunque ad anticipare il tuo avversario nell’ amicizia, per evitare che in seguito al tuo ritardo, egli ti prevenga nella riconciliazione e ti sottragga dalle mani la ricompensa della pietà. Se, infatti, egli ti ha offeso e ti chiede perdono, la tua amicizia non porta frutto: Che giustizia avrai realizzato dinanzi a Dio e ti sarai pacificato dopo essere stato pregato? Dio ti ordina di pregare per primo in vista della riconciliazione non con l’intenzione che tu ti sottometta ai suoi piedi, ma volendo che tu anteponga dinanzi ai tuoi occhi la gloria dell’umiltà.
Il Santo del Giorno - 12 Giugno 2025 - San Gaspare Luigi Bertone, Sacerdote: Nato a Verona il 9 ottobre 1777, a 18 anni risponde alla chiamata al sacerdozio, ma proprio mentre inizia il corso di teologia la sua città subisce l’invasione straniera. Il giovane chierico si distingue per l’assistenza ai malati e ai feriti, entrando a far parte dell’«Evangelica Fratellanza degli Spedalieri». Ordinato sacerdote il 20 settembre 1800, gli viene affidata la cura spirituale della gioventù. Nel maggio 1808 viene chiamato a dirigere spiritualmente la nascente Congregazione delle Figlie della Carità, fondate da santa Maddalena di Canossa; guida anche la serva di Dio Leopoldina Naudet, fondatrice delle Sorelle della Sacra Famiglia. Con alcuni compagni formati nei suoi Oratori, nel 1816 dà inizio “presso la Chiesa delle Stimmate di San Francesco” all’istituto religioso dei «Missionari apostolici in aiuto dei vescovi», detto poi delle «Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo». Provato da continue malattie, muore a Verona il 12 giugno 1853. Giovanni Paolo II lo proclama santo il 1° ottobre 1989. (Avvenire)
O Signore, la tua forza risanatrice,
operante in questo sacramento,
ci guarisca dal male e ci guidi sulla via del bene.
Per Cristo nostro Signore.