1 Luglio 2025
 
Martedì XIII Settimana T. O.
 
Gen 19,15-29; Salmo Responsoriale Dal Salmo 125 (126); Mt 8,23-27
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.  
 
Catechismo della Chiesa Cattolica Compendio 30. La fede è un atto personale, in quanto libera risposta dell’uomo a Dio che si rivela. Ma è nello stesso tempo un atto ecclesiale, che si esprime nella confessione: «Noi crediamo». È infatti la Chiesa che crede: essa in tal modo, con la grazia dello Spirito Santo, precede, genera e nutre la fede del singolo cristiano. Per questo la Chiesa è Madre e Maestra.  
31. Le formule della fede sono importanti perché permettono di esprimere, assimilare, celebrare e condividere insieme con altri le verità della fede, utilizzando un linguaggio comune.
32. In qual modo la fede della Chiesa è una sola? La Chiesa, benché formata da persone diverse per lingua, cultura e riti, professa con voce unanime l’unica fede ricevuta da un solo Signore e trasmessa dall’unica Tradizione Apostolica. Professa un solo Dio - Padre, Figlio e Spirito Santo - e addita una sola via di salvezza. Pertanto noi crediamo, con un cuor solo e un’anima sola, quanto è contenuto nella Parola di Dio, tramandata o scritta, ed è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato.
 
I Lettura: Lot, spinto dalla sollecitudine di Dio, fugge via da Sodoma. Ha finalmente compreso l’errore di dimorare tra gente incapace di avere una morale, ma forse non doveva attendere l’ordine perentorio di Dio per fuggire via dalla città impenitente, bastava un po’ di coerenza, di sapienza e di fedeltà al suo credo.
L’insipienza di Lot non è un peccato, ma certamente un errore di valutazione che poteva portare conseguenze assai infauste nella sua vita. Una buona e salutare lezione per tutti.   
Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale - “La tradizione ebraica della haggadà annovera Lot tra i giusti (zaddikim) ma ritiene che separandosi da Abramo si sia allontanato da Dio e a Sodoma sia caduto vittima delle passioni, trasformandosi in usuraio e giudice ingiusto. [...].
Il vangelo di Luca vede la distruzione di Sodoma come prefigurazione del giudizio universale (Lc 17,29-32).
Lot stesso, in una lettera neotestamentaria, è lodato come giusto che soffre tra i suoi simili (2 Pt 2,7s.). Cirillo di Gerusalemme (sec. IV) considera la moglie di Lot un monito perenne: chi ha posto mano all’aratro non deve voltarsi indietro a guardare «il vivace e “salato” andirivieni di questa esistenza». Ambrogio (334-397) e Ugo di S. Vittore (sec. XII) vedono in questa donna l’immagine del peccatore, che torna volontariamente al peccato. Al seguito di Agostino (354-430), il racconto di Sodoma viene rielaborato e ampliato nel medievale Speculum humanae salvationis. La scomparsa di Sodoma diventa tipo della punizione infernale e della distruzione del mondo nel giudizio universale” (Grande Dizionario Illustrato dei Personaggi Biblici).
Mentre la scomparsa di Sodoma diventa tipo della punizione infernale, il racconto della moglie che divenne una colonna di sale è una eziologia: essa spiega in modo particolare la forma singolare delle colonne di sale che si trovano sulla riva del Mar Morto e nello stesso tempo esprime l’idea dell’ubbidienza che Dio esige.
 
Vangelo
Si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
 
Ed ecco avvenne nel mare …: è il lago di Galilea che va soggetto a tempeste quando è battuto dai venti del Nord-Ovest. La tempesta si determina spesso all’improvviso e rende estremamente difficile la navigazione. Anche per esperti marinai il pericolo era reale e grave, e questo spiega la viva apprensione dei discepoli.
Uomini di poca fede; Gesù prima rimprovera i discepoli, poi placa il lago. Il rimprovero non è fuori luogo, poiché i discepoli dovevano ormai sapere che essi quando erano con Gesù desto o dormiente non potevano morire. Cristo “tratta gli elementi (i venti e l’acqua del lago) come due servi indocili e ribelli. Lo storico-evangelista osserva che in seguito al comando di Gesù il lago si placò; le tempeste nel lago come a volte sorgono improvvise così anche si placano subitamente; ma qui la bonaccia è conseguenza dell’intervento del Maestro” (Benedetto Prete I Quattro Vangeli).
Tutti pieni di stupore: ci si attenderebbe i discepoli. Probabilmente è un eco di una comunità che manifesta  stupore dinanzi alla potenza divina di Gesù.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,23-27
In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».  

Parola del Signore.
 
Claude Tassin (Vangelo di Matteo): L’episodio della tempesta sedata si trova anche in Marco e Luca, ispirato certamente dalla storia di Giona che, inviato ai pagani, affronta la tempesta: anch’egli si è addormentato (Gio 1,5); anche grazie a lui ritorna la bonaccia (ibid., v. 15) e i passeggeri pagani rendono grazie a Dio (ibid., v. 16; cfr. Mt 8,27). Già questo riferimento è denso di significato: quando ci si rivolge verso un mondo ostile per testimoniare il regno, si affrontano le tempeste, ma la presenza di Gesù costituisce una sicurezza. Notiamo che la Bibbia fa del mare il simbolo del male, la sede delle potenze diaboliche: è per questo che, nel mondo nuovo immaginato dall’Apocalisse, «il mare non c’era più» (Ap 21,1). Ma il racconto di Matteo rinnova il senso dell’episodio.
a) L’ attenzione si rivolge anzitutto sui «discepoli» che hanno seguito Gesù: essi affrontano non «una tempesta» (secondo Marco e Luca) ma, letteralmente, «un grande sisma». In Matteo il termine evoca uno sconvolgimento cosmico, quello che segna la morte e la risurrezione di Gesù (Mt 27,54; 28,2) e annuncia la fine del mondo (24,7). Insomma, i discepoli affrontano una prova cruciale.
b) Anche il v. 25 presenta qualche variazione. Al grido istintivo: «Maestro, siamo perduti» (Marco e Luca) si sostituisce una sorta di preghiera liturgica della Chiesa: «Signore, salvaci: siamo in pericolo!».
c) In Marco e Luca, Gesù in primo luogo sedata la tempesta e successivamente biasima la mancanza di fede dei suoi. Matteo inverte l’ordine (v. 26): dapprima la riprovazione della fede dei discepoli, poi la vittoria sugli elementi infuriati.
Così, il racconto diventa in primo luogo una lezione: i discepoli hanno la fede, proprio perché si sono imbarcati con Gesù. Ma la loro fede è poca, ben presto vinta dalla paura. Essi credono qui di svegliare Gesù e invece Gesù che risveglia la loro fede, condizione indispensabile per scoprire in lui il vincitore delle forze del male.
Allora colui che dormiva (simbolo di morte), «levatosi» (risuscitato), ristabilisce la calma.
d) Al v. 27 Matteo ha, per così dire, già «lasciato la barca», Non sono i discepoli che parlano, ma «gli uomini», una parola che l’evangelista adopera spesso per designare i non cristiani (cfr. M t 5,16), come i rabbini adoperavano la parola «creature» per parlare dei pagani. Ora, questi « uomini» manifestano uno stupore pieno di ammirazione davanti alla potenza del vincitore degli elementi, prima reazione positiva ai segni della missione di Gesù.
 
Perché avete paura, gente di poca fede? - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matto): La fede di chi ha paura è ancora debole. La fede scaccia la paura poiché ricolma tutto l’uomo della presenza di Dio. La luce della fede scova e allontana da ogni dove l’ ombra dell’ ansietà e dell’ angoscia. I discepoli sono «uomini di poca fede», cioè hanno sì la fede - altrimenti non avrebbero sperato nel suo aiuto; ma è una fede ancora incerta e insufficiente - altrimenti non avrebbero cercato di scongiurare il pericolo con tale spavento e angoscia. Il discepolo di Gesù i trova spesso in questa situazione: crede, ma non pienamente; aspetta l’aiuto dall’alto, ma non tutto l’aiuto; non si sente ancora sicuro nelle mani del Padre, come ha insegnato Gesù (cf. 6,25-34).
Gesù impone la calma alle potenze scatenate, placa la tempesta e i venti. Improvvisamente «si fece una grande bonaccia». Il tumulto delle acque si volatizza come un fantasma. I presenti si domandano stupefatti (i discepoli, o la folla sulla riva o genericamente tutti gli uomini? non è questo che importa, ma unicamente la domanda): «Chi è mai costui?».
Prima lo stupore nasceva dal suo messaggio presentato con autorità sovrana (7, 28), ora scaturisce dal suo agire con potenza, dal suo potere che si estende sulla tempesta e sul mare; gli elementi gli obbediscono come i demoni e le malattie. Di fronte a tale pienezza di poteri, non dovrà obbedirgli anche l’uomo? Se egli è realmente Signore e Maestro, come lo chiamano i discepoli, non è anche il Signore della mia vita?
Il discepolo deve seguire incondizionatamente il Maestro e contare unicamente su di lui; deve quindi rinunciare alla sicurezza di una casa («non ha dove posare il capo») e all’intimità di una famiglia (lascia i morti seppellire i loro morti»). Seguire Gesù, essere suoi discepoli vuol dire sciogliere ogni legame terreno e vincolarsi a un unico legame: il Signore. Sul lago di Genezaret tutto ciò divenne realtà. Ma qui si spezza anche un terzo legame: la liberazione dalla fiducia nelle proprie possibilità.
Sul lago si sperimentò che cosa significasse seguire Gesù: egli è in mezzo ai suoi, nella barca; lui solo basta, qualunque cosa possa accadere; egli è sicuro in Dio e soltanto in lui c’è salvezza. Vivere così è proprio della fede; una fede inizialmente faticosa che diventa fiducia sconfinata; una fede piccola e incerta che diventa adulta e piena. Questo quadro evangelico deve restare sempre davanti ai nostri occhi, specialmente quando i fatti della vita parleranno linguaggi contrari. Nonostante tutto, Gesù è nella barca.
 
Ippolito di Roma, De Christ. et antichr., 59: Il mare è il mondo, in cui la Chiesa, come una nave nelle onde del mare, è sbattuta dai flutti, ma non fa naufragio; perché ha con sé Cristo, il suo accorto timoniere. Ha anche nel centro il trofeo eretto contro la morte, la croce del Signore. La sua prora è Oriente, la poppa Occidente, la carena Mezzogiorno, i chiodi i due Testamenti, le corde son la carità di Cristo che tiene stretta la Chiesa, il lino rappresenta il lavacro di rigenerazione che rinnova i fedeli. Il vento è lo Spirito che vien dal cielo, per il quale i fedeli son condotti a Dio. Con lo Spirito ha anche ancore di ferro nei precetti di Cristo. Né le mancano marinai a destra e a sinistra, poiché i santi angeli la circondano e difendono. La scala, che sale sull’antenna, è immagine della salutare passione di Cristo, che porta i fedeli fino al cielo. Le segnalazioni in cima all’antenna son le luci dei Profeti, dei Martiri, degli Apostoli, che riposano nel regno di Cristo
 
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2025 - San Justino Orona Madrigal (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo».
Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!».
Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.